CASTELLIERE
. Le popolazioni che abitarono durante l'età dei metalli la penisola istriana e gli altipiani della Carsia Giulia, usarono costruire i loro villaggi sulla sommità delle alture. Questo tipo di abitato è noto in Istria col norne di castelliere, voce che ricorre spesso nella toponomastica locale. In molti casi il castelliere preistorico venne trasformato in oppido romano (Nesazio, Castelmuschio, Fontana del Conte), o su di esso sorsero più tardi fortificazioni medievali, villaggi, o chiese.
Il castelliere, nel suo aspetto attuale, è caratterizzato da una o più cinte di detrito calcareo, sciolto o cementato da terriccio e da arbusti, il cosiddetto vallo, che può avere la larghezza di oltre 20 m., e dai ripiani, spazî pianeggianti larghi da 5 a 15 e più m., racchiusi dai valli, e che rappresentano l'antica area abitata. Tali valli sono in generale circolari e cingono la sommità d'un colle; quando invece uno dei versanti del monte è molto ripido, oppure quando il castelliere fu costruito sul margine di un altipiano tagliato da pareti a picco, la cinta muraria, per lo più di forma semicircolare, è limitata alla parte meno declive del terreno. Il primo tipo viene chiamato dal Marchesetti castelliere apicale, il secondo castelliere a cinta incompleta. Egli distingue ancora varî altri tipi di castellieri, a seconda della posizione o della forma. Rari sono i castellieri a cinta quadrangolare. Alcuni di questi villaggi preistorici hanno, secondo il Marchesetti, la circonferenza di oltre 1 km.; uno dei più piccoli sarebbe quello di Naserze (192 m. di circonferenza), costruito sopra una rupe isolata.
Il primo che riconobbe nei castellieri, per l'innanzi ritenuti fortilizî romani, le sedi degli abitanti preistorici dell'Istria fu Carlo De Franceschi di Pisino; al De Franceschi spetta anche il merito di aver identificato la posizione di Nesazio, capitale degl'Istrî. L'età preistorica dei castellieri istriani venne sostenuta in seguito da altri e in modo particolare da Carlo de Marchesetti, il quale, iniziato lo studio dei castellieri nel 1883 con uno scavo in quello di Cattinara, pubblicava nel 1903 una monografia sui castellieri della Venezia Giulia, riassumendo tutto ciò che allora si conosceva intorno ad essi. Le indagini portarono poi alla scoperta di oltre 500 castellieri, dei quali più di 350 si trovano nella penisola istriana e gli altri, nella maggior parte, sull'altipiano carsico triestino-goriziano. Il grande numero dei castellieri elencati nell'opera del Marchesetti contrasta con la scarsezza dei dati posseduti su queste antiche dimore umane. Il castelliere come tale rimase sconosciuto, poiché si preferi studiare la civiltà dei castricoli esolorando le loro necropoli, e particolarmente quelle a incinerazione, e si trascurò invece quasi del tutto l'esplorazione dei tumuli dell'età enea.
L'esplorazione scientifica dei castellieri incominciò appena nel 1925 con lo scavo dei castellieri di Monte Ursino e di Fontana del Conte. Primo risultato di questi scavi fu la constatazione che il vallo non deriva sempre e soltanto dal crollo della cinta muraria. Esso invece può celare o un sistema di costruzioni murarie, ben conservate, assai più complesso d'un semplice muro di cinta, o un terrapieno di pietrisco e di blocchi, costruito allo scopo d'ottenere un ripiano orizzontale. È possibile stabilire per conseguenza l'esistenza di due tipi di castellieri: il tipo a muraglioni e il tipo a terrapieno. Il primo è comune nell'Istria meridionale e nelle isole del Carnaro, contrade abitate dagl'Istrî; il secondo è apparso finora nell'altipiano della Piuca, regione occupata dai Giapidi. Tracce di muri fatti con blocchi calcarei sono state segnalate dal Marchesetti anche in alcuni castellieri del Carso, ma nessuno di essi è stato ancora esplorato.
I castellieri della Venezia Giulia appartengono all'età dei metalli. I più antichi risalgono all'età del bronzo, i più recenti all'età del ferro. Ai primi appartiene il castelliere di M. Ursino, le cui costruzioni murarie sono veramente imponenti: il muraglione principale della cinta esterna misura in certi punti 5 metri di larghezza e 3 di altezza. Grossi blocchi con l'estremità appuntita o tagliente rivolta verso l'alto, furono piantati tutto intonno al castelliere, in modo da formare un gigantesco anello largo 4 metri e del diametro di circa 200. Tracce di questo sistema difensivo esistono anche nel castelliere del M. Vintian (Pola). Particolarmente fortificate erano le porte. Tutto questo vale a dimostrare l'alto grado di perfezione al quale era giunta l'arte della costruzione presso i castricoli istriani dell'età enea.
La ceramica di questi castellieri è caratterizzata da vasi d'impasto nero opaco. Notevoli sono i vasetti globulari a labbra sporgenti e fondo piatto e i vasi ingubbiati, decorati da solchi circolari concentrici, disposti intorno a una bugna o ad un'impressione concoidale. Varî e caratteristici sono i tipi di anse. Sono comuni infine dei grandi e pesanti oggetti triangolari di terracotta, forati o impervî, probabilmente piedi appartenenti a grandi recipienti. Gli oggetti metallici sono rari. Più frequenti sono invece i manufatti di selce e i martelli e le accette di pietre verdi. Sono comuni le pietre da fionda, delle quali a M. Ursino furono scoperti due depositi, e le macine.
I castellieri dell'età del ferro sono ancora pressoché ignoti. A questo gruppo appartiene il castelliere di Fontana del Conte, costruito a terrapieno; oggetti di bronzo e di ferro, tra cui fibule di tipo La Certosa e La Tène, furono scoperti nei castellieri della zona arenacea intorno a Trieste e del Carso. Necropoli a incinerazione giacevano in vicinanza dei castellieri dei Pizzughi, di Vermo e di Castelvenere (Istria centrale e settentrionale), di San Canziano e di San Daniele (Carso). Anche nell'Istria meridionale e nelle isole del Carnaro non mancano necropoli a incinerazione e oggetti metallici riferibili a questo stesso periodo. Tra le ceramiche vanno segnalate le capeduncole emisferiche, d'impasto depurato nero o bruno, ingubbiate e lucidate. Sono comuni gli anelli d'argilla (sostegni di vasi), e i manufatti di corno cervino. La relativa frequenza con cui si rinvengono in questi castellieri scorie di ferro, dimostra l'esistenza dell'arte siderurgica.
Molto scarsi sono i resti delle abitazioni costruite dai castricoli; si conoscono sino ad ora soltanto alcuni avanzi di capanne di pietra, una delle quali a pianta rettangolare, scavata in parte nel terreno. Inoltre nei tumuli dell'età del bronzo dell'Istria meridionale lo Gnirs mise allo scoperto intorno alla cassetta di pietra contenente il cadavere, dei muriccioli circolari, che per essere uguali a quelli delle moderne casite, ripari temporanei di pietra costruiti dai pastori e dagli agricoltori istriani, è probabile ripetano il tipo dell'abitazione in uso presso i viventi.
La navigazione dovette essere largamente praticata già dai castricoli dell'età del bronzo, a giudicare dal numero dei castellieri scoperti non solo nelle isole maggiori del Carnaro e dell'Istria, (Veglia, Cherso, Brioni, ecc.) ma anche nelle isolette vicine.
I castricoli dell'età del bronzo usavano deporre il cadavere in posizione rannicchiata, entro una cassetta fatta con lastre di pietra e ricoperta da un tumulo. Queste necropoli a inumazione sono molto frequenti nell'Istria meridionale e nelle isole; il corredo era, in generale, molto povero: qualche pentola e pugnaletti di bronzo.
Nell'Istria settentrionale e nel Carso esistono giganteschi tumuli isolati, costruiti sulle vette dei monti, non ancora esplorati. Di notevole importanza è stata l'esplorazione del sepolcreto gentilizio scoperto nel castelliere di M. Ursino, ai lati della strada che conduceva all'ingresso del castelliere. Il sepolcreto, recinto da un basso muretto, occupava lo spazio racchiuso tra il muraglione principale e la cinta esterna di pietre, già ricordata. Le tombe, formate da grandi lastre di calcare tenero, ben squadrate, erano ricoperte da lastroni dello stesso tipo. Molte di esse erano recinte da muri rettangolari a corsi regolari. Il cadavere veniva deposto in posizione seduta con le gambe piegate sul petto e, con tutta probabilità, avvolto entro pelli o coperte. Alcune tombe contenevano i resti di sette inumazioni successive; ad ogni nuova inumazione le ossa dei cadaveri precedentemente sepolti venivano messe da un lato o infisse verticalmente nel terriccio lungo le pareti interne della tomba. Il corredo era composto di anelli a spirale di bronzo, e di grani di collana d'ambra. Un teschio mostrava aver subito in vita la trapanazione.
Le necropoli dell'età del ferro sono tutte a cremazione. I resti dei cremati venivano deposti entro buche scavate nel terreno e più spesso entro urne di terracotta.
Le necropoli a incinerazione della Venezia Giulia si possono dividere nei quattro gruppi seguenti: necropoli alpine, carsiche, carnariche, istriane. Ogni gruppo è distinto da speciali tipi di corredi funebri e d'urne funerarie; alcuni tipi di tomba dell'età enea persistono nell'età del ferro.
I frammenti di statue e le altre pietre scolpite scoperte a Nesazio (nelle quali si vollero vedere influssi dell'arte micenea) appartennero con tutta probabilità a un antichissimo sacrario locale, dedicato forse a quelle stesse divinità paleovenete, Eia, Trita, Melesoco, che ebbero culto ancora nell'epoca romana. Un secondo santuario dovette esistere anche a S. Giovanni di Duino, dove ha le sue sorgenti il Timavo, ed è probabile che ivi si venerasse un nume indigeno fluviale, identificato in seguito con Diomede.
Secondo il von Duhn e il Ghirardini i castellieri dell'età del bronzo sarebbero stati costruiti dai discendenti dei trogloditi neolitici, ed avrebbero continuato ad essere abitati dagl'Illiro-veneti, che, provenienti dalla penisola balcanica, invasero il paese al principio del primo millennio a. C. Ma le ultime ricerche hanno messo bene in luce la fondamentale differenza esistente tra la cultura dei cavernicoli neo-eneolitici del Carso e dell'Istria e quella dei castricoli dell'età del bronzo. Il fatto che ambedue queste popolazioni inumavano i defunti non autorizza a sostenere la derivazione dei castricoli dagli abitatori delle caverne neolitiche, poiché il rito funebre dei primi è molto diverso da quello dei secondi. La costruzione dei più antichi castellieri istriani e l'introduzione nella Venezia Giulia della cultura enea è opera di popolazioni (Proto-veneti?) che invasero la penisola al principio del secondo millennio. Probabilmente, come pensa il Marchesetti, una seconda immigrazione avvenne all'aprirsi dell'età del ferro. L'influenza celtica si fece poco sentire, specie in Istria; molto più frequenti appaiono gl'indizî dei rapporti avuti dai castricoli con i Veneti di Este e con le popolazioni dell'Apulia. Lo sviluppo che ebbero presso i castricoli della Venezia Giulia le costruzioni in pietra, e i loro caratteri, permettono di riferire questa cultura al ciclo delle culture mediterranee.
Abitati preistorici e protostorici costruiti su colline, simili ai castellieri, esistono anche in altre regioni d'Italia (Veneto, Venezia Tridentina, Liguria, Marche, Puglia), dove sono noti, come in Istria, coi nomi di castellier, caslir (e derivati) o di gradine. Queste costruzioni, le quali contengono per lo più manufatti della prima e della seconda età del ferro, sono ancora assai mal note. Nulla di certo perciò si può dire intorno all'esistenza di possibili affinità culturali tra i loro abitatori e i castricoli istriani. Villaggi recinti da mura di pietra (castellars), pure simili ai castellieri istriani, esistono nelle Alpi Marittime, in Provenza e in altre regioni della Francia. Strette analogie costruttive e paletnografiche esistono tra i castellieri della Balcania (Bosnia, Erzegovina) e quelli della Venezia Giulia. Villaggi murati, o difesi da bastioni dí terra e da palizzate, sono molto comuni nell'Europa preistorica e nel periodo celtico e gallo-romano. Nei paesi tedeschi queste costruzioni vengono denominate Burgwall, Ringwall, Wallburg. Simili ai castellieri erano pure le antiche sedi degli Slavi, costruite sulla sommità di colline recinte da mura, e risalenti al sec. VII-X. Notevolissime sono infine le antiche fortificazioni dell'Irlanda. Ancora al presente certe popolazioni inculte, p. es. in Malesia (Nias), usano cingere di mura a secco i loro villaggi costruiti sulle colline.
Bibl.: R. Battaglia, Il castelliere di Monte Boncastel, in L'Universo, IX (1928); id., Ricerche paletnol. e folkloristiche sulla casa istriana primitiva, in Atti e mem. della Società istriana di archeol. e st. patria, XXXVIII (1926); Necropoli e castellieri dell'età del ferro del Carnaro, in Bull. di paletn. italiana, XLVII (1927); A. Gnirs, Istria praeromana, Karlsbad 1925; C. Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della Regione Giulia, in Atti del Museo civ. di storia naturale di Trieste, X (1903); P. Orsi, Sopra le recenti scoperte nell'Istria e nelle Alpi Giulie, in Bull. di paletn. italiana, IX (1885); A. Puschi, La necropoli preromana di Nesazio, in Atti e mem. della Società istriana di archeol. e st. patria, XXII (1905); F. von Duhn, in Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, s. v. Castellieri, Nesazio.
Per le costruzioni analoghe ai castellieri: V. Di Cicco, in Not. scavi, 1901, p. 217; A. Guébhard, Essai d'inventaire des enceintes préhistoriques, in Comptes rendus Ier Congrès préhist. de France, 1906; O. Menghin, Neue Wallburgen im Etschtale, in Mitt. d. anthropol. Gesellsch. in Wien, XL (1910); L. Niederle, Manuel de l'antiquité slave, II, Parigi 1926; D. Reich, I Castellieri del Trentino, in Rododendro, II (1905); VI (1909) e in La Paganella, I (1910); U. Rellini, Osservazioin e ricerche sull'etnografia preist. delle Marche, in Atti soc. natural. e matem. di Modena, XLV (1912); R. Zanocco, Staz. preist. di Castel Manduca, in Bull. paletn. ital., XL (1914).