APPIANO, Castello di
Le rovine del castello di A. (ted. Schloss Hocheppan), in prov. di Bolzano, sorgono su uno sperone roccioso a S-O del capoluogo. I restauri, promossi da Rasmo a partire dal 1964, hanno consentito (Rasmo, 1965; 1967) di chiarire con apprezzabile precisione le vicende costruttive del castello, il cui nucleo più antico, costituito dall'alta torre pentagonale, la corte e il palazzo, la cappella ed edifici minori, doveva essere terminato nel 1131, anno di consacrazione della cappella.Fra la fine del sec. 12° e gli inizi del successivo, presumibilmente, il castello venne ulteriormente fortificato con un fossato, un recinto e due torri; il palazzo fu anche notevolmente ampliato. Forse a quell'epoca risale la decorazione a fresco della cappella. Altre fortificazioni vennero aggiunte intorno al 1500.La cappella, che sorge a S entro la cinta, si presenta di estrema semplicità costruttiva e con una pianta rettangolare (lunghezza m. 7,70; larghezza m. 4,40; altezza m. 4,30); reca tre absidiole a E, delle quali solo la centrale sporge di poco all'esterno.Sul lato nord la decorazione esterna è costituita da un affresco mal ridotto di un S. Cristoforo, risalente forse al 1131, cui si aggiunse, tra la fine del sec. 12° e il principio del 13°, una rarissima figurazione profana di un cavaliere a caccia, con successiva trasformazione tardoquattrocentesca del cervo in drago; accanto, una mediocre Crocifissione, forse posteriore agli affreschi dell'interno. Questi ultimi illustrano sulle pareti sud, ovest e nord la Vita di Cristo, dall'Annunciazione alla scena delle Pie donne al sepolcro. Nel catino dell'absidiola centrale è raffigurata la Vergine con il Bambino e, sotto di lei, le Vergini sagge e le Vergini folli; nell'absidiola di sinistra, l'Agnello fra i due s. Giovanni; in quella di destra, Cristo fra i ss. Pietro e Paolo. Nelle fasce inferiori restano alcune raffigurazioni fantastiche, tra le quali un episodio tratto dal poema di Ivano. Tranne l'intera parete est, l'Annunciazione e la Visitazione, la decorazione era stata scialbata e venne recuperata nel 1926 da Gerola; la conservazione si presenta complessivamente sofferta, ma sufficientemente rispettosa del testo originale da rendere il ciclo ben valutabile.Dopo la prima illustrazione di Morassi (1927), eco immediata è riscontrabile già in Toesca (1927) mentre ampia divulgazione se ne ebbe a opera di Garber (1928). Da allora la critica, fino alle ultime ineccepibili schedature di Demus (1968) e di Rasmo (1971), ha unanimamente riconosciuto negli affreschi di A. uno dei momenti più alti e significativi della pittura romanica europea. La cronologia, dopo un primo momento di retrodatazione eccessiva, sembra assestata alla fine del sec. 12° o agli inizi del Duecento. Stilisticamente, la decorazione ostenta un riflusso bizantino con l'esagerazione tardoromanica di forme veneziane, quasi "un'ondata di isterismo" (Demus, 1968); nordici sono invece (si sono tentati rimandi alla miniatura salisburghese e riferimenti a Ratisbona) i motivi decorativi e talune notevoli audacie formali come per es. le gambe accavallate di Erode, oppure lo scorcio a oltranza del re Mago che esce a cavallo. Anche i confronti con gli affreschi atesini di Burgusio e S. Margherita di Lana e con quelli veronesi di S. Andrea a Sommacampagna confermano il carattere d'incontro fra lo stile veneto bizantineggiante e quello romanico germanico, "l'esaltazione occidentalizzante del connubio bizantino-salisburghese" (Bologna, 1962). I due pittori principali (ne sembra riconoscibile uno più aulico nelle figure della parete est, un altro più sciolto e popolare nel resto della decorazione) provengono, secondo Demus (1968), dall'area del Maestro di Müstair.
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