CASTELLUM DIMMIDI
Forte romano; posto avanzato nel deserto africano, fondato nel 198 da Settimio Severo, abbandonato dai Romani dopo 40 anni, durante i quali vi ebbe stanza quasi sempre la legione III Augusta. Sotto Alessandro Severo il presidio fu invece affidato ai cavalieri del numerus Palmyrenorum. Dopo il 235 vi ritornò la guarnigione legionaria che nel 238 lasciò il forte definitivamente.
L'architettura di questo castrum (v.) è tipica degli edifici militari di origine orientale, adatta alla necessità della lotta contro i nomadi.
Le rovine non permettono di ricostruire perfettamente la pianta: dai resti si deduce che il tracciato delle mura doveva essere molto irregolare, in rapporto con le esigenze del terreno, e che il materiale da costruzione era assai mediocre. Lo spessore delle mura è in media di due metri; la porta d'entrata è al centro del lato N. Una grande via che parte dalla porta deve essere considerata come il cardo maximus. Del decumanus si hanno poche tracce.
Il punto d'incontro fra le due strade corrispondeva al Foro, in fondo al quale erano eretti i Principia, simili a un piccolo tempio elevato su un podio e fiancheggiato da una parte e dall'altra da edifici. La pianta di questi edifici differisce profondamente da quella comune alla maggior parte dei castra e castella romani, in cui il pretorio si presentava come una costruzione quadrata, formata da una lunga corte in fondo alla quale si apriva una serie di cappelle e di uffici. Lungo il cardo si allineavano i magazzini e le caserme, che secondo un piano piuttosto uniforme si componevano di serie di stanze quadrate.
La maggior parte dei monumenti di C. D. ha significato religioso (le pratiche religiose erano parte integrante della disciplina militare) e molte iscrizioni recano invocazioni agli dèi; numerosi oggetti in pietra o terracotta servivano da accessori al culto o decoravano i santuari. Nella eterogeneità etnica del castrurn alcune differenze rituali imponevano separazioni: così al culto degli dèi di Palmira era riservata una cappella indipendente del tempio dei Principia. Il santuario dei Principia presentava una pianta del tutto originale, di cui resta ben visibile il sotterraneo. Questo è formato da un corpo rettangolare che si apre in fondo al cardo, diviso in quattro ambienti da muri di tramezzo (solamente il secondo, il terzo ed il quarto ambiente appartenevano ai Principia). Il terzo ambiente è diviso in due parti da due pilastri; il quarto ha un lato formato da una abside circolare che racchiude un pozzo. Da questo sotterraneo si può intuire la disposizione della costruzione: una scalinata era posta sul secondo ambiente; in cima ad essa si levavano due colonne in antis, che poggiavano sui tramezzi; seguivano un pronao e la cella. L'aspetto della costruzione è dunque quella di un tempio romano classico. Ma il suo posto al centro del campo lo dichiara un praetorium, edificio pubblico e non tempio. In ogni praetorium esiste però al posto d'onore una cappella: l'anomalia qui consiste nel fatto che il tempio assorbe la quasi totalità dei Principia, e gli edifici laici hanno così uno sviluppo più ridotto. Questa stranezza è data dal fatto che i Romani hanno occupato un luogo sacro e hanno poi dato un posto d'onore al dio libico dei pozzi, del quale essi usurpavano il luogo. L'abside, che in un edificio siffatto è cosa del tutto anormale, serviva inoltre per proteggere le riserve d'acqua in caso di assedio. Due altari scoperti nella terza stanza del sotterraneo dovevano essere nel pronao del tempio: essi sono dedicati a Iuppiter Conservator e a Iuppiter Cereus, sposo della Terra, antichissima divinità italica. L'altare dedicato a quest'ultima divinità ha l'aspetto di un piccolo tempio sostenuto da due appoggi massicci: su una parte dell'altare sono scolpiti nove cerchi su tre file le cui intersezioni determinano rosoni; sulla parete destra è una decorazione a losanghe; il coronamento è formato, su ogni facciata, da un frontone con acroteri, l'interno dell'altare è una cavità vuota a forma di piramide.
Nelle caserme, la cui facciata limita ad E il Foro, si sono trovati frammenti di decorazione figurata dipinta; uno di essi raffigura una piccola Vittoria, con un ramo ed una corona nelle mani, che vola verso una figura maschile dal viso ovale, dagli occhi a mandorla, vestita di pantaloni e coperta da una clamide e da una tunica di tipo iranico. Questo dipinto richiama la decorazione del mitreo di Dura Europos e presenta la stessa assoluta frontalità dei personaggi scolpiti su stele palmirene. È probabile che il dipinto rappresenti un dio palmireno, forse Malakbēl.
Un altro affresco, che si suppone raffigurante una scena di sacrificio, colpisce ancora di più per le affinità con gli affreschi di Dura Europos.
Bibl.: G. Ch. Picard, Castellum Dimmidi, Algeri-Parigi 1947; Fasti Arch., II, 1948, 2802; P. Grimal, in Revue des Études Anciennes, LI, 1949, pp. 177-179; J. Heurgon, in Latomus, VIII, 1949, p. 353; R. Scranton, in Am. Journ. Arch., LIII, 1949, pp. 416-417; R. Dussaud, in Syria, XXVI, 1949, pp. 373-374; H. G. Pflaum, in Journal des Savants, 1949, pp. 55-62.