casto
. L'aggettivo è sempre in rima nella Commedia. Nel senso proprio di " esente da colpa ", " puro ", è riferito a chi si astiene con gli atti e con la mente dai piaceri sensuali non consentiti dal suo stato: Pg XXV 134 donne / gridavano e mariti che fuor casti / come virtute e matrimonio imponne; Fiore XCV 13 vergine e caste donne gir portando / cotte e sorcotti di colore e manti.
Per traslato, in If XIV 96 " In mezzo mar siede un paese guasto ", / diss'elli allora, " che s'appella Creta, / sotto 'l cui rege fu già 'l mondo casto... ": l'aggettivo c. è spiegato dal Boccaccio " o non corrotto o men corrotto alle lascivie che poi stato non è ", e dal Lana "senza vizio di cupidigia " (per la beatitudine del regno di Saturno cfr. tra gli altri Giovenale Sat. VI 1 ss. " Credo pudicitiam, Saturno rege, moratam / in terris ").
Per ipallage, in Pg I 78 è detto degli occhi di Marzia puri e verecondi: la moglie di Catone fu, infatti, " mulier castissima et honestissima " (Benvenuto).
In Cv IV IX 7 stare casto è contrapposto a lussuriare.
In Pg XXXII 138, al posto della coppia sana e benigna, piacque alla lezione Aldina e alla Crusca la variante casta e benigna, che fu adottata nelle edizioni moderne sino al Foscolo e alla '37, ove l'aggettivo c., riferito all'intenzione dell'aquila, dovrebbe valere " monda da intenti malvagi ", " pura " (cfr. Petrocchi, ad l.).