Castrocaro
. Alcuni versi del canto XIV del Purgatorio, che assieme ad altri compongono, nelle parole accorate rivolte a D. da Guido del Duca, un quadro desolante di decadenza della nobiltà romagnola, sono espressamente dedicati a un gruppo di piccole famiglie comitali della Romagna: tra esse sono ricordati anche i conti di C.; a questi D. non può far a meno di rimproverare, in tono tagliente, di avere ancora dei discendenti, diversamente da altre casate regionali; il che, secondo il poeta, non avrebbe altro effetto se non quello di far smarrire il senso delle nobili tradizioni di quei conti, anzi di lasciarle corrompere dalle cattive prove degli ultimi loro eredi: e mal fa Castrocaro, e peggio Conio, / che di figliar tai conti più s'impiglia (Pg XIV 116).
I conti di C. dal loro primo apparire, verso la fine del sec. XI, assunsero un atteggiamento filoimperiale, che avrebbero mantenuto quasi senza soluzione di continuità nei due secoli successivi; ma al tempo stesso non esitarono a contrastare tenacemente e per lungo tempo il passo alle forze comunali forlivesi che pure militavano nella parte imperiale; e a tale scopo richiesero l'appoggio dei Faentini, i quali, sia per ragioni locali sia per motivi di carattere generale, erano i più decisi rivali dei Forlivesi. Tale sistema di rapporti si mantenne pressoché inalterato fino al 1282, quando i conti locali, con una decisione che aveva un chiaro significato politico antiforlivese, vendettero il castello ai rappresentanti papali da pochi anni insediati in Romagna. Da questo momento C. divenne una delle più munite roccaforti appenniniche e, per la sua posizione geografica (era situata infatti a una decina di chilometri a monte di Forlì nella valle del Montone, lungo un'importante via di comunicazione che unisce Firenze a Forlì), fu un baluardo difficilmente espugnabile del sistema difensivo approntato dalle truppe pontificie contro i frequenti assalti delle forze comunali e poi signorili del piano; e al tempo stesso venne inteso come un simbolo male accetto del temporalismo papale nella regione più settentrionale dello stato della Chiesa.
Agli occhi di D. la cessione del castello di C. dovette apparire come una vera defezione di quei conti dal campo imperiale. La cosa non fu senza gravi conseguenze, se si considera che C. dopo una breve tregua riprese a essere ostinatamente avversa a Forlì, proprio alla città cioè che per iniziativa di Scarpetta Ordelaffi, sul primo scorcio del Trecento, aveva aperto le porte a D. e agli esuli fiorentini di Parte bianca e aveva loro fatto sperare, sia pure per breve tempo, in un pronto ritorno in patria.
Bibl. - G. Mini, Illustrazione storica dell'antico castello di Castrocaro, Modigliana 1889; Id., I conti dinasti di C. (1080-1318), in " Riv. araldica " XIX (1921) 375-379; F. Torraca, Studi danteschi, Napoli 1912, 160; T. Casini, Scritti danteschi, città di Castello 1913, 74; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di D., Firenze 1964, 71, 140, 147 ss.