CASTROGIOVANNI
Posta al centro della Sicilia, su un ampio terrazzo panoramico a circa 900 m sul livello del mare, la città (l'odierna Enna), alla confluenza di fondamentali strade di collegamento che conducevano ai maggiori scali portuali, circondata da corsi d'acqua, godette in età normanna e sveva di un vasto territorio fra i più produttivi dell'isola.
La sua importanza, affidata ai commerci, all'agricoltura, alle miniere di salgemma, era determinata anche dal rilievo militare. Rocca pressoché imprendibile, grazie alla sua posizione geografica strategica consentiva rapidi e decisivi interventi in gran parte della Sicilia. Castrogiovanni fu, di conseguenza, scenario di decisive imprese belliche durante l'invasione musulmana dell'isola e, successivamente, in occasione della riconquista normanna. Non pare che i normanni, almeno all'inizio, molestassero la popolazione musulmana di Castrogiovanni, che mantenne i suoi beni. La città, comunque, annoverava al suo interno un certo numero di greci, a cui si aggiunse, nel corso del XII sec., una colonia lombarda. Non conosciamo i tempi e le modalità dell'arrivo dei lombardi, sui quali le testimonianze sono molto vaghe, ma è indubbio che essi si raccolsero attorno al castello che prese da loro la sua denominazione; nel 1145 versavano le decime alla Chiesa di Catania, nella cui diocesi Castrogiovanni era compresa. La floridezza della città e del suo territorio durante l'età normanna è attestata da al-Idrīsī, che presenta Castrogiovanni come un centro in espansione dal punto di vista demico ed economico. La favorevole congiuntura continuò anche sotto il dominio svevo, quando la città vide un aumento della produzione agricola, degli scambi e della popolazione. Non sappiamo quanti abitanti avesse nel Duecento, ma il loro numero era inferiore solo a quello dei grandi centri e, più o meno, pari alla popolazione di Trapani, Cefalù, Patti, Caltagirone, Randazzo, Piazza e Butera: forse tra le cinque e le seimila anime. L'insediamento principale era attestato nei dintorni del castello, ma esistevano anche molte grotte abitate, specialmente sul versante meridionale del monte, la cui utilizzazione, forse risalente all'antichità, appare in maniera continua dal periodo bizantino. Composte, generalmente, da due ambienti, il più grande dei quali a forma quadrata e lungo da 2 a 4 m, sono simili a quelle del territorio siracusano e prive di elementi architettonici e decorativi. Nel Duecento offrivano riparo a contadini e pastori. È probabile che, tra la fine del XII e l'inizio del XIII sec., l'etnia latina costituisse la quasi totalità della popolazione cittadina.
Dopo la relativa calma dell'epoca normanna, Castrogiovanni fu al centro dei gravi rivolgimenti che contrassegnarono la conquista di Enrico VI. Nel maggio del 1197 una congiura contro l'imperatore, cui pare non fosse estranea la stessa Costanza, sollevò la Sicilia, contrapponendo allo Svevo, come pretendente alla corona, il castellano di Castrogiovanni Guglielmo Monaco. Fallito il progetto di uccidere Enrico durante una partita di caccia, lo scontro decisivo avvenne presso Paternò e si concluse con la completa disfatta dei rivoltosi. Sottomessi i ribelli, i cui castelli furono gravemente danneggiati, l'imperatore assediò Guglielmo Monaco nella sua rocca di Castrogiovanni, che fu l'ultima a cadere, il 6 giugno. Enrico si vendicò ferocemente dei suoi nemici: molti siciliani prigionieri in Germania furono accecati, i congiurati isolani furono uccisi, arsi o annegati; a Guglielmo Monaco fu conficcata in testa, in presenza della stessa Costanza, una corona con chiodi di ferro. Non conosciamo l'entità dei danni inflitti dallo Svevo a Castrogiovanni; non dovettero comunque essere notevoli, perché l'imperatore si spense nel settembre successivo. Da quel momento Castrogiovanni scompare per qualche decennio dalle fonti: non sappiamo come si sia comportata durante la minorità di Federico II, anche se non è da escludere che, a opera dei maggiorenti locali, fossero erosi alcuni possedimenti ecclesiastici. Se ne ha sentore da due documenti datati 1210 e 1216: con il primo Federico conferma alla chiesa di S. Maria di Aidone il possesso del casale di Rahalbasil, sito nel tenimento di Castrogiovanni; nel secondo, su richiesta di Berardo di Castagna, arcivescovo di Palermo, lo Svevo ribadisce i diritti del presule sulle terre che erano state di Ruggero Achmet, sia nel tenimento di Castrogiovanni che altrove. Negli anni successivi si stabilirono in città i Francescani, dipendenti dalla custodia di Agrigento.
Il territorio di Castrogiovanni, a causa della sua importanza economica, del suo rilievo militare e dell'amenità dei luoghi, ricevette particolari cure da Federico II. Quando lo Svevo rientrò nel Regno, infatti, in un periodo che non è possibile indicare con precisi riferimenti cronologici, fece edificare nei pressi della città un solacium cinto da mura, non lontano dal lago di Pergusa ricco di pesci e di uccelli acquatici; è possibile, pertanto, che l'imperatore vi risiedesse di tanto in tanto.
Dopo la ribellione nel 1232 di alcuni centri urbani, cui la città non prese parte, Federico si recò in Sicilia per reprimere i moti e, nel 1233, percorse in lungo e in largo l'isola, fermandosi anche a Castrogiovanni, da dove in agosto emise un atto. Forse, in quell'occasione, si interessò al restauro e alla ricostruzione del castello; l'entità dei suoi interventi rimane, comunque, oggetto di controversia tra gli studiosi. È indubbia la preesistenza all'epoca sveva del castello di Lombardia, come certifica, tra gli altri, al-Idrīsī, ma, dalle indagini condotte in loco, nessuna parte del castrum risulta anteriore al Duecento. Dalla testimonianza di Niccolò Jamsilla apprendiamo che Manfredi lo fece riedificare, sicché nessuna circostanziata ipotesi si può ragionevolmente avanzare per gli anni di Federico, anche se lo stesso cronista precisa che il castello era "a tempore imperatoris Frederici constructum". Esso, infatti, nel 1239 si trovava in piena attività, essendo stato incluso tra i castra exempta, e la sua posizione era funzionale, più che alla difesa, al controllo del centro abitato. A questa cinta muraria, la più estesa del Regnum assieme a quella di Lucera, si aggiungeva, poco distante, la cosiddetta Torre di Federico, anch'essa afferente, secondo le più recenti ricerche, alla tarda età sveva. Castrogiovanni, ottenuto il titolo di inexpugnabilis, nel 1240 figurò tra le città invitate a mandare rappresentanti al parlamento di Foggia, segno di un rilievo urbano attestato anche dalla buona gestione e produttività delle sue terre, riconosciute dall'imperatore in una lettera inviata nello stesso 1240 al secreto di Messina. Nel periodo seguente, fino alla morte di Federico avvenuta nel 1250, Castrogiovanni non si distinse nella complessiva storia della Sicilia. Successivamente partecipò ai rivolgimenti che si manifestarono a partire dal 1255. In quell'anno, dopo la nomina a vicario pontificio nell'isola di frate Rufino da Piacenza, la Sicilia, insofferente del governo di Pietro Ruffo, che rappresentava Manfredi con molta libertà e cercava di ritagliarsi un dominio con capitale Messina, insorse. La ribellione partì da Palermo, gelosa del rilievo ottenuto da Messina, e si estese a Polizzi, Nicosia, Aidone, Mistretta, Vizzini, Lentini, Patti, Eraclea, Caltagirone, Piazza e altre sedi, compresa Castrogiovanni, dove, tuttavia, il castellano rimase fedele a Pietro Ruffo, accorso per sedare il tumulto. Approfittando del sostegno del castello, che si ergeva contro il centro abitato, Ruffo ebbe facilmente la meglio sui rivoltosi, "homines rustici et bellice exercitationis ignari", e abbandonò la città al saccheggio delle sue truppe. Poco tempo dopo, però, declinata la stella di Pietro Ruffo, frate Rufino attirò con promesse il castellano fuori del castrum e lo fece uccidere. All'abbattimento dell'autorità sveva, i cittadini distrussero dalle fondamenta il castello e Castrogiovanni, liberata dal freno della rocca, come dice Jamsilla, "cepit libere agere quod volebat". Gli "homines rustici" forse si organizzarono congiuntamente e, traendo profitto dall'inespugnabilità del sito, insieme a pochi altri centri resistettero alla riconquista condotta nella primavera del 1256, in nome di Manfredi, da Enrico Abate. Nel settembre, tuttavia, assediati da Federico Lancia, che devastò il circondario, furono costretti alla resa. Manfredi non infierì sulla popolazione, ma intese riaffermare l'autorità regia ricostruendo il castello e distribuendone le spese fra le città siciliane. Lo spirito antisvevo di Castrogiovanni, tuttavia, non si smorzò, tanto che nel marzo del 1262 i suoi cittadini accolsero con tutti gli onori Giovanni di Cocleria, il mendicante che si spacciava per Federico II redivivo e che lì fu catturato da Riccardo Filangieri grazie al tradimento ordito da Guglielmo Malacocina e Andrea de Bartholucio "habitatoribus castri predicti". Il governo di Manfredi, comunque, dovette apportare dei vantaggi alla città e al suo territorio, che nel 1267 aderirono alla ribellione fomentata in nome di Corradino contro Carlo I d'Angiò da Corrado Capece. Spentosi il moto filosvevo, Castrogiovanni continuò a prosperare, sempre all'interno di un rigido controllo regio (il castello nel 1274 aveva ben cinquanta servienti), tanto da coprire, insieme a Caltagirone, Butera, Nicosia, Piazza e Randazzo, il 25 per cento della colletta che era stata imposta nel 1277 alla Sicilia orientale.
Fonti e Bibl.: Niccolò di Jamsilla, Historia de rebus gestis Friderici II imperatoris eiusque filiorum Conradi et Manfredi Apuliae et Siciliae regum ab anno MCCX usque ad MCCLVIII, in R.I.S., VIII, 1726, coll. 549-550 e 583-584; Historia diplomatica Friderici secundi; B. Capasso, Historia diplomatica regni Siciliae inde ab anno 1250 ad annum 1266, Neapoli 1874, pp. 119, 124, 215-216; Bartolomeo di Neocastro, Historia Sicula, in R.I.S.2, XIII, 3, a cura di G. Paladino, 1921-1922, p. 6; Annales Siculi, in appendice a Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, ibid., V, 1, a cura di E. Pontieri, 1925-1928, p. 120; al-Idrīsī, Il libro di Ruggero, a cura di U. Rizzitano, Palermo 1994, pp. 45 e 53; Saba Malaspina, Die Chronik, in M.G.H., Scriptores, XXXV, a cura di W. Koller-A. Nitschke, 1999, pp. 133 e 193. W. Cohn, L'età degli Hohenstaufen in Sicilia, Catania 1932, pp. 24-30, 189, 233, 318; A. De Agostino, Studi sulla topografia di Henna, "Bollettino Storico Catanese", 6-7, 1942-1943, pp. 127-129; E. Pontieri, Ricerche sulla crisi della monarchia siciliana nel secolo XIII, Napoli 19502, pp. 99-102; M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, a cura di C.A. Nallino, I-III, Catania 19772, ad indicem; I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall'XI al XIII secolo, Roma-Bari 1978, pp. 7, 47, 58, 60-61, 112, 132, 140, 143, 239, 241, 248, 326; P. Vetri, Storia di Enna, II, Castrogiovanni dagli Svevi all'ultimo dei Borboni di Napoli, Palermo 1978, pp. 15-37; G. Candura, Storia di Sicilia: Enna-Castrogiovanniurbs inexpugnabilis, Enna 1979, pp. 54-55; M. Granà, La missione siciliana di frate Rufino da Piacenza, legato vicario di Alessandro IV, in Francescanesimo e cultura in Sicilia (secc. XIII-XVI). Atti del Convegno internazionale di studio nell'ottavo centenario della nascita di s. Francesco d'Assisi, Palermo, 7-12 marzo 1982, "Schede Medievali", 12-13, 1987, pp. 99, 112; L. Pellegrini, Impianto insediativo e organizzazione territoriale dei francescani nella Sicilia dei secoli XIII-XIV, ibid., pp. 307, 309; E. Pispisa, Il regno di Manfredi. Proposte di interpretazione, Messina 1991, pp. 175, 196, 198, 212; F. Maurici, Castelli medievali di Sicilia. Dai bizantini ai normanni, Palermo 1992, pp. 143-144 e 282; E. Pispisa, Medioevo meridionale. Studi e ricerche, Messina 1994, pp. 200 e 207; S.A. Alberti, Enna. Il castello di Lombardia, in Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona, I, Archeologia e architettura, a cura di C.A. Di Stefano-A. Cadei, Siracusa-Palermo 2000, pp. 545-560; Id., Enna. La torre di Federico, ibid., pp. 561-581 (con tutta la bibl. precedente sui due edifici). V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, I, Palermo 1855 (riprod. anast. Bologna 1983), pp. 382 ss.