DELLA TOSA, Catalano
Figlio di Meliorello, nacque nella seconda metà del sec. XII da una famiglia già all'epoca molto in vista come componente la ristretta oligarchia che deteneva il monopolio del governo di Firenze attraverso il consolato. Il D. viene menzionato per la prima volta nei documenti ufficiali del Comune nel 1184, quand'egli presenziò alla stipula degli accordi che segnarono una tappa essenziale nella guerra per il predominio nella Valdelsa e, più in generale, su tutto il contado, tra quello che si avviava a diventare il Comune egemone in Toscana e i conti Alberti, potenti sostenitori del partito imperiale.
Nell'ottobre dello stesso anno era caduta infatti nelle mani degli assedianti fiorentini una delle roccaforti degli Alberti in Mugello, il castello di Mangona. Il conte Alberto, che lo aveva difeso strenuamente ma era stato costretto ad arrendersi, dopo un mese di prigionia dovette giurare fedeltà e sottomettersi ai vincitori insieme con la seconda moglie, Tabernaria, e ai figli della prima, Imilia, ma, soprattutto, fu costretto a riconoscere ai Fiorentini il diritto di esazione delle imposte nelle campagne, nei villaggi e nei castelli dei suoi feudi tra l'Arno e l'Elsa, Iasciando il ricavato della metà dei dazi a Firenze. Fu stipulata perciò una serie di accordi che comportò un complesso di atti alla cui stesura parteciparono come testimoni alcuni autorevoli personaggi fiorentini tra i quali il R; sono documenti di estrema importanza, dal momento che in base ad essi si affermò, mentre era ancora in vita Federico I Barbarossa, il dominio del Comune di Firenze su tutti i feudi della famiglia albertesca in onta degli editti pubblicati nel 1158 a Roncaglia dall'imperatore.
Nel 1191 un atto di compravendita di terre e vigne stipulato dal' D. nella sua qualità di procuratore del vescovo confermava il legame ormai tradizionale che la famiglia aveva stabilito con la curia vescovile. Al pari dei Visdomini, di cui costituivano un potentissimo ramo, i Della Tosa dovevano infatti la propria potenza e la propria ricchezza al privilegio, acquistato già da un secolo, di reggere con il titolo ed i poteri di vicedomini laici la Chiesa fiorentina quando la sede era vacante. La vasta consorteria dei Visdomini-Della Tosa era diventata in tal modo una delle più potenti della città grazie anche ai cospicui guadagni, non di rado illeciti, che i membri delle due famiglie si procuravano durante i periodi di vacanza del vescovado. Le case dei Visdomini e dei Della Tosa, su cui si ergeva maestoso lo splendido palazzo dei Della Tosa in mercato Vecchio (poi distrutto nel 1248 dai ghibellini), formavano un vasto quartiere nel sesto di Porta Duomo, non lontano dall'attuale cattedrale di S. Maria del Fiore.
Come il fratello Davizzo, anch'egli influente uomo politico, il D. fu uno dei primi membri della famiglia ad occuparsi attivamente di politica ricoprendo le supreme cariche del Comune. Più volte fu eletto console della città: una prima nel 1190, anno sotto il quale la cosiddetta Cronica dello pseudo Brunetto Latini riporta erroneamente un altrimenti sconosciuto Mariano, probabilmente confuso con il nostro personaggio; di nuovo nel 1194, in un periodo in cui i poteri dei consoli erano fortemente limitati dal controllo esercitato sui vertici del Comune dal podestà imperiale; infine, molti anni più tardi, nel 1210, quando la carica di console stava perdendo la primitiva importanza, poiché alla guida del Comune si stava definitivamente affermando la consuetudine di nominare un podestà forestiero. L'attività politica del D. si esplicò anche sotto altre forme. Nel 1200 fu ancora una volta presente, sempre in veste di autorevole testimone, alla ratifica di una nuova e definitiva serie di atti di sottomissione da parte dei conti Alberti.
I patti stipulati nel i 184 erano stati infatti vanificati da una riaffermazione dei diritti imperiali da parte del figlio di Federico Barbarossa, Enrico VI, il quale tra il 1192 e il 1196 aveva insediato in Firenze podestà a lui fedeli e soprattutto aveva negato alla città quei diritti comitali che il Comune si era progressivamente conquistato a spese dei vari feudatari nei territori delle diocesi fiorentina e fiesolana. Alla morte dell'imperatore, nel settembre 1197, Firenze, postasi a capo della Lega tuscia, riacquistò in breve tempo il pieno dominio su tutti quei territori che le erano stati contestati: i feudatari, per salvare i propri interessi terrieri da sicura rovina, si acconciarono a venire a patti il più possibile convenienti con il Comune ora prevalente. Così nel febbraio del 1200 il conte Alberto rinnovò le concessioni accordate a Firenze quindici anni prima e cedette i propri diritti sul munitissimo castello di Semifonte, allora assediato dai Fiorentini. Il castello era stato fondato sotto i suoi auspici e costituiva una vera spina nel fianco del sistema difensivo fiorentino.
Di lì a poco, nel febbraio del 1203, il conte chiuse la sua esistenza e il D. unì ancora una volta il suo nome a quello di casa albertesca, assistendo come testimone alla stesura delle volontà testamentarie del potente feudatario. Tipico esponente della nobiltà cittadina, il D. seppe conciliare indubbie qualità di fine politico con quelle di diplomatico e di uomo d'arme. Nel 1203, nello stesso anno in cui il fratello Davizzo ricopriva per la seconda volta la carica di console della città, egli fu nominato "consul militum", cioè rettore della potentissima organizzazione cui aderivano i cittadini di stirpe nobile, di virtù guerresche e, soprattutto, di cospicui averi. Durante il suo incarico, al quale erano attribuite anche competenze diplomatiche, partecipò all'ambasceria che sottoscrisse in Poggibonsi i patti tra Firenze e Siena per la delimitazione dei rispettivi confini e, nel settembre, alla stipula di contratti commerciali tra la sua citta e Bologna. Quale insigne cittadino di Firenze fu chiamato nel 1209 ad Arezzo per assumervi la carica di podestà.
Proprio in quegli anni si andava estendendo nei Comuni italiani l'uso di nominare, al posto dei consoli, un podestà scelto al di fuori delle mura cittadine, perché, in quanto estraneo alle locali fazioni, ritenuto perfettamente imparziale. Agli uomini chiamati a rivestire la dignità podestarile si richiedevano doti di giurista, di amministratore e di soldato, tutti requisiti di cui evidentemente il D. non sembrava difettare.
Il D. ebbe modo di distinguersi come uomo d'arme poco tempo dopo, nel 1212, quando, come podestà di Bologna insieme con Gherardo Caponsacchi, si trovò a capo delle milizie bolognesi nella guerra che oppose la città emiliana a Pistoia per il dominio su alcune terre di confine poste sul crinale appenninico. La soluzione della contesa fu tuttavia affidata ad un arbitro, che fu Parcivescovo di Pisa Lotario, davanti al quale il D. rappresentò, insieme col Caponsacchi, il Comune di Bologna (settembre-novembre 1212). Era ancora podestà della città emiliana in dicembre: così viene infatti definito, insieme con il suo collega Caponsacchi, nei documenti relativi all'arbitrato da loro esercitato in quel mese per comporre la controversia promossa dall'abate del monastero di S. Stefano, Azzo. Nel 1225 i Della Tosa cedettero al Comune di Firenze i diritti che la famiglia, assieme a quella dei ghibellini Lamberti, vantava sul castello di Travalle sulla strada tra Firenze e Prato. Nel relativo atto di vendita, il nome del D. compare accanto a quello dei figli Meliorello e Adimaro e ai nomi delle mogli di questi, Ghisla e Diana. Nel 1229 egli risulta creditore, con il figlio Meliorello, dell'allora vescovo di Firenze Giovanni da Velletri: il complesso legame tra quella curia e la famiglia del D. era evidentemente ancora in atto con proficui vantaggi per tutti i suoi membri.
A questa l'ultima notizia, che noi abbiamo sul D., del quale ignoriamo la data esatta della morte.
Fonti e Bibl.: Annales Arretinorum maiores et minores, in Rer. Ital. Script., 2ed., XXIV, 1, a cura di A. Bini-G. Grazzini, p. 3; G. Lami, S. Ecclesiae Flor. monumenta, Florentiae 1758, I, p. 292; II, p. 711; L. Savioli, Annali bolognesi, II, Bassano 1789, pp. 321 ss.; R. Malispini, Cronica fiorentina, Firenze 1816, p. 77; Pseudo Brunetto Latini, Cronica fiorentina, in P. Villari, I primi due secoli della storia di Firenze, II, Firenze 1894, pp. 225 s., 232; Doc. dell'antica costituz. del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze 1895, pp. XXXIX, XLII, XLVII, L e ad Indicem; R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, Firenze 1956, pp. 22, 38; B. Stahl, Adel und Volk im. flor. Dugento, Köln-Graz 1965, p. 64; M. Tarassi, Le fam. di parte guelfa nella classe dirig. della città di Firenze durante il XIII sec., in I ceti dirig. della Toscana nell'età comunale dei secc. XII e XIII, Pisa 1982, p. 304.