MANNARINO, Cataldo Antonio
Nacque a Taranto nel 1568, da Domenico, esponente di un'importante famiglia del ceto civile dimorante nel vicinato di S. Maria la Greca.
In seguito al matrimonio, celebrato il 28 marzo 1592, con la nobile Porfida De Rossi, si trasferì nella vicina Mesagne. Su questo piccolo centro salentino compose un opuscolo di carattere storico-corografico rimasto manoscritto (Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., XIV.G.18/2; il codice contiene una dettagliata pianta topografica). La permanenza nei luoghi natali fu interrotta da frequenti soggiorni a Napoli e in altri centri (Roma, forse Venezia), alcuni dei quali egli trasfigurò in una corona di sonetti dedicati a varie città d'Italia, inserita nelle sue Rime (Napoli 1617). A Napoli, dove si addottorò in medicina, intrecciò relazioni importanti, come dimostra la Canzone all'illustriss. e reverendiss. monsignor Alfonso cardinal Gesualdo, vescovo d'Ostia (ibid., G.G. Carlino - A. Pace, 1596). Certa è la sua partecipazione, nello scorcio del secolo, all'Accademia degli Oziosi, dove fu introdotto dal poeta e amico mesagnese Gianfrancesco Maia Materdona. A Napoli compose il poema eroico di impianto controriformistico Glorie di guerrieri, e d'amanti in nuova impresa nella città di Taranto succedute (ibid. 1596, lettera prefatoria del M. a Cosmo Pinelli, marchese di Galatone, e con Argomenti e Annotazioni del giurista Lodovico Chiari), che costituisce preziosa testimonianza della precoce diffusione del culto di T. Tasso e della Liberata in area meridionale.
La genesi dell'opera è da collegarsi a un episodio autobiografico: nel settembre 1594 il M. avrebbe distolto il famigerato ammiraglio della flotta ottomana Scipione Cicala dal proposito di attaccare Taranto, mentre il condottiero turco si trovava a poche miglia dalla costa ionica. L'assedio sventato contribuì a stimolare la fantasia del M. che all'evento dedicò il suo poema, articolato in dieci canti e fedelmente ricalcato sulla trama della Liberata, ma con un'accentuazione dell'elemento patetico-amoroso e di quello encomiastico-celebrativo.
Il poema si apre con la descrizione della città e la digressione sulle origini, poi si passa alla narrazione delle azioni militari che si svolgono sotto le sue mura. Strettamente intrecciate agli eventi di guerra, si sviluppano le vicende amorose tra cavalieri cristiani e pagani: la guerriera Erminia ama segretamente, sotto le mentite spoglie del soldato Urano, il compagno d'armi Misandro, che non corrisponde al suo sentimento; di lei si invaghisce, a sua volta non ricambiato, il cristiano Aquilio, sposo della bella Fulgenzia. Aquilio uccide in duello Misandro e per questo motivo Erminia, spinta da propositi di vendetta, vorrebbe eliminare il suo spasimante, ma alla fine desiste e lo perdona. L'assalto alla città fallisce e il poema si conclude con la celebrazione di tutti i cavalieri cristiani (Carlo d'Avalos, Alberto Acquaviva d'Aragona duca d'Atri ecc.) che hanno respinto l'attacco della flotta ottomana.
Primo di una folta schiera di emulatori salentini di Tasso (G.P. D'Alessandro, A. Grandi, S. Sambiasi, A. Caraccio), attivi su diversi fronti (epos, dramma pastorale) e per lo più gravitanti intorno al sodalizio degli Oziosi, della Liberata il M. recepisce pressoché tutti gli elementi strutturali: l'intervento delle divinità celesti e infernali, l'evocazione delle genealogie dinastiche, il recupero di alcune figure protagoniste (Solimano - Cicala, Goffredo di Buglione - Alberto Acquaviva, Tancredi - Misandro), l'inserimento di notazioni cosmografiche, il tema dello scontro di civiltà tra Oriente e Occidente. Nel severo rispetto delle regole che presiedono all'epos postridentino, l'unica significativa variante consiste nel narrare un accadimento recente, che porta ad accentuare la componente celebrativa: esplicito è l'omaggio alla Comunità tarantina e al casato conversanese degli Acquaviva, specie alla persona di Alberto Acquaviva d'Aragona, destinatario nel volume di una collettanea di lodi liriche di vari autori (grecamente detta Oliganthea) in italiano, latino e greco allestita dal Mannarino. L'ottica municipalistica si palesa attraverso molteplici segni: la citazione di s. Cataldo, patrono di Taranto, tra le divinità celesti che favoriscono gli assediati, la costante presenza del paesaggio tarantino e della topografia cittadina, la quotidianità ritratta secondo i costumi e le consuetudini locali.
Nella prefatoria del poema a Pinelli il M. dichiara di avere in progetto un trattato Delle grandezze della Gerusalemme liberata. Divenuta I leggiadri furti del sig. Torquato Tasso, fatti a diversi poeti greci, latini e toscani, nella sua divina Gierusalemme, con i giudicii, e conferenze intorno a detti furti, e con la spositione de' luoghi più degni nella dedicatoria a Marc'Antonio Musettola del Pastor costante (Bari 1605), l'opera non fu mai pubblicata perché nel frattempo l'Ozioso salentino Giovanni Pietro D'Alessandro aveva dato alle stampe la Dimostratione di luoghi tolti, et imitati in più autori dal sig. Torquato Tasso nel Goffredo, overo Gierusalemme liberata (Napoli 1604). Nella lettera a Musettola il M. rivendicò il primato e dichiarò di essere risoluto a divulgare ugualmente il suo lavoro, per non "perdere le fatiche di diece anni", ma di fatto l'opera di D'Alessandro vanificò il progetto, che non andò in porto.
Il ritorno in Puglia avvenne probabilmente nei primi anni del XVII secolo. In patria è probabile che il M. si dedicasse alla professione medica, proseguendo tuttavia l'impegno letterario. Nella prefatoria delle Rime al barone di Carbonara Giovan Battista Maffei egli parla di un'opera che avrebbe dovuto investigare le origini e la storia della nobiltà meridionale. Una raccolta di oltre cento imprese (L'imprese heroiche, amorose, militari, morali, lugubri, satiriche e ridicole), pur essendo già allestita per la stampa, non vide la luce e rimase inedita (Rhodes, pp. 23 s.).
L'attività del M. si concentrò tuttavia soprattutto sul versante teatrale. Nel 1606 pubblicò a Bari Il pastor costante, favola boschereccia in endecasillabi e settenari concepita sotto l'influenza di Tasso e, soprattutto, di B. Guarini. La trama ricalca le vicende del Pastor fido guariniano, con la riproposizione del medesimo intreccio. Tuttavia la favola si presenta più complessa e dilatata, fitta di colpi di scena e di accelerazioni improvvise, con scoperti richiami autobiografici. La pastorale del M. fu violentemente censurata in un Parere, pubblicato sotto il nome di Giovan Battista Leoni, che fu ripreso e confutato dal M. in una sua Apologia (Napoli 1608; insieme con un Discorso attorno la favola del Pastor costante di Vincenzo Marini). Tuttavia egli ripubblicò l'opera (Venezia 1611) dopo una profonda revisione e con il nuovo titolo di Erminia, di evidente derivazione tassiana. Al 1610 risale la tragedia La Susanna (Venezia), incentrata sulla figura della vergine martirizzata sotto Diocleziano, accompagnata da quattro "Intermedii dell'historia, di Susanna hebrea", aventi come oggetto la storia della Susanna del Vecchio Testamento e composti per "traporsi alla tragedia precedente di Susanna del Testamento novo". La tragedia fu effettivamente rappresentata nel centro pugliese di Torre Santa Susanna, come si ricava dalla lettera dedicatoria a Francesco Dormio, ed ebbe un'altra rappresentazione a Ruvo di Puglia (Rime, p. 365). Errata è l'attribuzione al M. di altre due opere teatrali, una Rappresentatione d'un miracolo del Corpo del Cristo e un'altra Di san Francesco, quando convertì quei tre ladroni che di poi si fecero frati (entrambe Siena 1610), dovuta alla non corretta interpretazione di un passo di Quadrio (III, 1, p. 78).
Nel 1614 morì la moglie del M. in seguito a una febbre maligna (sonetto Accusa lo 'mplacabile ardore dell'ardentissima febre di lei, in Rime, p. 121), conseguente a una paralisi descritta con minuziosa perizia all'amico medico mesagnese Epifanio Ferdinandi (sonetto Narra al sig. Epifanio Ferdinando… l'infirmità di sua donna, ibid., p. 130). Alle Centum historiae, seu Observationes, et casus medici di Ferdinandi (Venezia 1621) il M. avrebbe premesso una dotta Praefatio, testimonianza non solo di amicizia, ma anche di competenza nella scienza medica.
Dal matrimonio erano nati numerosi figli, alcuni dei quali (Carlo, Caterina) sono nominati nelle Rime. Due altri abbracciarono la carriera ecclesiastica: Ermanno fu predicatore dell'Ordine dei celestini e Bonaventura entrò nell'Ordine dei domenicani.
Tornato a Taranto, il M. elesse lo stato ecclesiastico; fu ordinato suddiacono, divenne predicatore e approfondì gli studi di teologia. Negli ultimi anni si dedicò alla sistemazione delle Rime (Napoli 1617).
Si tratta di un compatto canzoniere, organizzato secondo le partizioni delle sillogi tardocinquecentesche e del primo Seicento, che rappresenta il consuntivo di una versatile attività letteraria esperita su molteplici livelli. Vi prevale un lirismo autobiografico e intimistico, inclusivo anche di spunti quotidiani e cronachistici (descrizioni di luoghi, viaggi, incontri ecc.). Si articola in quattro sezioni comprendenti, rispettivamente: una "amorosa ghirlanda" per una Lucrezia (sonetti, canzoni, madrigali e trenta stanze in ottava rima) insistente sul tema della fiamma d'amore; "sospiri" e "lagrime" in memoria della consorte defunta, polimetri; poesie encomiastiche e religiose rivolte a esponenti della famiglia Farnese; "materie sagre, eroiche, amorose, lugubri" offerte al principe degli Oziosi G.B. Manso quale ossequio all'Accademia partenopea.
Il M. morì a Taranto nel 1621, probabilmente il 28 luglio (Valentini).
Due le edizioni moderne, antologiche, delle Glorie di guerrieri e d'amanti: a cura di G. Distaso, Fasano 1995; a cura di J. Minervini, Taranto 1996.
Fonti e Bibl.: N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 61 (le opere del M. sono attribuite al letterato tarantino C.A. Morone); G.M. Crescimbeni, Commentari… intorno alla sua istoria della volgar poesia, II, 1, Venezia 1730, p. 451; IV, ibid. 1730, p. 156; F.S. Quadrio, Della storia, e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 281; III, 1, ibid. 1743, p. 78; III, 2, ibid. 1744, p. 409; IV, ibid. 1749, p. 592; B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et Regno Neapolis… floruerunt, I, Neapoli 1780 p. 136; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie dalla venuta delle colonie straniere sino a' nostri giorni, V, Napoli 1786, pp. 357 s.; T. Valentini, Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, V, Napoli 1818, ad vocem; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 195; D.L. De Vincentiis, Storia di Taranto, Taranto 1878, pp. 58 s.; G. Arditi, La corografia fisica e storica della provincia di Terra d'Otranto, VI, Lecce 1879, p. 604; A. Foscarini, Saggio di un catalogo bibliografico degli scrittori salentini, le cui opere sono state messe a stampa, Lecce 1894, p. 188; A. Profilo, Vie piazze vichi e corti di Mesagne…, Ostuni 1894, pp. 208-215; C. Villani, Scrittori e artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, pp. 563 s.; P. Marti, Catalogo bibliografico delle opere di scrittori salentini…, Lecce 1929, p. 123; A. Galeone, Un medico-poeta tarantino del Seicento, in Taranto, XIII (1935), pp. 3-11; D.E. Rhodes, Un letterato di Taranto: C.A. M., in La Zagaglia, XV (1973), pp. 19-26; G. Distaso, Strutture e modelli nella letteratura teatrale del Mezzogiorno, Fasano 1990, pp. 41-65; Id., Esempi di favola pastorale in area meridionale…, in Teatro, scena, rappresentazione dal Quattrocento al Settecento. Atti del Convegno…, Lecce… 1997, a cura di P. Andrioli et al., Galatina 2000, pp. 240-251; G. De Miranda, Una quiete operosa. Forme e pratiche dell'Accademia napoletana degli Oziosi 1611-1645, Napoli 2000, p. 180; G. Distaso, La prosopopea degli Acquaviva nella celebrazione epica di C.A. M., in La linea Acquaviva dal nepotismo rinascimentale al meriggio della riforma cattolica. Atti del II Convegno…, Conversano… 1995, a cura di C. Lavarra, Galatina 2005, pp. 183-200.