CATALISI (IX, p. 404)
La c. è stata in quest'ultimo decennio oggetto di numerosi studî sia a sfondo puramente teorico sia a scopi eminentemente pratici. È noto che, secondo la classica definizione di Berzelius, la c. può riguardarsi come l'azione specifica di una sostanza, detta catalizzatore, sulla velocità di una reazione chimica: azione positiva se la velocità aumenta, negativa nel caso opposto. La prima ha un interesse pratico di gran lunga maggiore, in quanto permette di ridurre a limiti ragionevoli il tempo di decorso di un processo chimico necessario a raggiungere un tasso di conversione dei reagenti più o meno prossimo al valore di equilibrio termodinamico, e quindi anche le dimensioni delle apparecchiature industriali quando esse siano percorse dai reagenti in regime continuo. Ma anche la seconda può essere invocata per ritardare o praticamente sopprimere reazioni secondarie indesiderabili coinvolte nel processo principale. Il catalizzatore può uscire chimicamente alterato o meno dal processo: suole essere considerato ancora tale, nella prima eventualità, qualora non si trovi in una definita relazione stechiometrica con la quantità delle sostanze convertite nella reazione. Poiché sono stati accertati numerosi casi in cui anche i reagenti e i prodotti della reazione intervengono nel suo meccanismo cinetico come catalizzatori positivi o negativi (inibitori), può essere preferita la definizione più generale di catalizzatore come quella sostanza che figura nell'espressione empirica della velocità di reazione con un valore all'esponente più alto del suo corrispondente coefficiente stechiometrico, il quale ultimo è ovviamente zero nel caso, tuttavia più frequente, in cui il catalizzatore è estraneo alla stechiometria del processo.
L'aumento della velocità di reazione viene in generale spiegato col fatto che il catalizzatore modifica il meccanismo della reazione non catalizzata in un meccanismo di due o più reazioni consecutive a ciascuna delle quali compete un'energia di attivazione minore di quella attribuibile alla reazione non catalizzata. Secondo lo schema più semplice a due reazioni, il catalizzatore C si combina con uno o più reagenti A, B per formare un composto intermedio che successivamente si trasforma nei prodotti della reazione, tra cui lo stesso catalizzatore destinato a ripetere il ciclo:
mentre la reazione non catalizzata poteva svolgersi secondo lo schema
di guisa che la velocità di reazione (in grammimolecole di A che reagiscono nell'unità di tempo e nell'unità di volume) potrebbe scriversi, per la prima delle reazioni catalizzate [1], supposta "determinante" la cinetica globale del processo,
invece di
dove con le parentesi quadre si sono indicate le concentrazioni, per lo più in grammimolecole per litro. Essendo la costante cinetica k legata all'energia di attivazione E necessaria alla formazione di un complesso attivato AC o AB, mediante una relazione del tipo
dove ϕ è un parametro dipendente dalla natura del sistema, R è la costante dei gas e T la temperatura assoluta, risulta k1 > k2 appunto perché è E1 〈 E2.
La catalisi altera la distribuzione dei prodotti di reazione in modo da favorire, dopo un definito tempo di contatto, la produzione di uno sugli altri possibili: in ciò consiste l'azione selettiva del catalizzatore e ciò rende tanto più necessario uno studio della catalisi rivolto alla ricerca delle cause e delle modalità che configurano l'intervento del catalizzatore sul meccanismo cinetico, ossia delle diverse tappe attraverso cui il processo catalitico si svolge. L'esperienza fornisce in genere le espressioni globali della velocità di reazione, del tipo della [3]; ma solo l'identificazione del meccanismo cinetico [1] - che deve essere tale da giustificare la forma della medesima [3] - fornisce, oltre ad una plausibile spiegazione dell'effetto generico accelerante del catalizzatore, i criterî di scelta del catalizzatore atto a favorire il processo desiderato tra i molti possibili; il fine ultimo della ricerca teorica consisterebbe nel trovare quella relazione univoca tra la costante cinetica k e le altre variabili fisiche e chimiche (temperatura, pressione, caratteristiche strutturali dei reagenti, dei prodotti, del catalizzatore e dei composti intermedî), tutte in un modo o in un altro indipendentemente misurabili, che muterebbe il significato delle espressioni [3] della velocità di reazione da quello di pure "definizioni" del coefficiente k in quello di vere "relazioni fisiche", nell'accezione strettamente positivistica del termine.
Lo stato attuale delle ricerche è ancora lontano da un simile obiettivo: si sono tuttavia sufficientemente chiariti i meccanismi cinetici di varî processi catalitici; d'altra parte, la teoria della "velocità assoluta di reazione" o degli "stati di transizione" non può non essere, anche nel campo della c., lo strumento più indicato per elaborare in futuro una teoria fisica completa nel senso suddetto.
Conviene infine osservare che l'aggiunta del catalizzatore non modifica il punto di equilibrio della reazione e varia la corrispondente massima conversione dei reagenti soltanto se è presente in quantità sufficiente a cambiare la natura del mezzo o se si combina con i prodotti. Ciò perché il punto di equilibrio, ossia la relativa costante termodinamica, è legata alla variazione di energia libera, e questa dipende solo dagli stati iniziali e finali del sistema e non dal cammino percorso cioè dal particolare meccanismo cinetico. Un'altra prova dell'asserto è data dal principio statistico della reversibilità microscopica.
Si sogliono distinguere le reazioni catalitiche in omogenee ed eterogenee a seconda che il catalizzatore sia solubile o no nel sistema chimico in reazione, ossia formi con esso una fase unica o diversa.
Catalisi omogenea. - Si conoscono pochi casi di c. omogenea in fase gasosa: l'ossidazione mediante ossigeno O2 atmosferico dell'anidride solforosa SO2 ad anidride solforica SO3, catalizzata da monossido d'azoto NO; alla reazione normale
si sostituisce il meccanismo delle due reazioni
identico dunque al meccanismo generico [1] anche per ciò che concerne la differenza tra i valori delle energie di attivazione; la pirolisi delle aldeidi acetica, formica, propionica, dell'etere etilico, dell'ossido etilenico, dell'alcole metilico, della dietilammina, catalizzata dallo iodio molecolare (che agisce tuttavia presumibilmente allo stato atomico); la formazione di acido cloridrico dai suoi elementi, catalizzata da vapori di sodio o di potassio, ed altre. Ove non sia valido il semplice meccanismo che conduce alla [3] vi si può sostituire un'espressione empirica più generale del tipo
in cui a, b, n sono le costanti empiriche.
Tra le molto più numerose reazioni in fase liquida, la più importante è la c. acido-base che interessa i processi di esterificazione, saponificazione, inversione, mutarotazione e varie ossidazioni e riduzioni in soluzione. Secondo la teoria generalizzata degli acidi e delle basi e nella terminologia di J. N. Brönsted, sono acidi le sostanze capaci di fornire un protone e basi quelle capaci di combinarsi con esso: la liberazione o la cattura del protone dipende dal mezzo (substrato o solvente) S o SH in cui l'acido o la base agiscono. Sono stati prospettati diversi meccanismi di reazione catalitica dipendentemente dalla natura sia del mezzo che del composto intermedio formatosi tra il mezzo e l'acido o base. La circostanza più semplice, per una catalisi acida, corrisponde allo schema
dove H+ è l'idrogenione, SH+ l'acido coniugato, R il reagente generico, Keq la costante d'equilibrio della [10]; quella più comune per la catalisi basica segue lo schema
dove Bi è una delle iesime basi in soluzione, BH+ il suo acido coniugato, S- la base coniugata con il substrato SH. Sono pure frequenti le formazioni di composti intermedî con legame ad idrogeno del tipo HS. HA, S.HA, B.HS. L'effetto catalitico è inerente alla maggior rapidità del processo di trasferimento del protone rispetto al normale processo di formazione o rottura dei legami chimici molecolari. J. N. Brönsted ha generalizzato il comportamento di queste catalisi nelle leggi
ove kA e kB sono le costanti cinetiche delle catalisi acida e basica, KA KB le costanti di equilibrio delle ionizzazioni rispettive e GA, GB, α e ?β sono le costanti dipendenti dalla natura della reazione e del solvente, e dalla temperatura.
La cinetica delle reazioni in soluzione può inoltre subire l'influenza degli eventuali sali presenti (effetto di sale) i quali turbano l'atmosfera ionica del mezzo in cui avvengono gli urti tra gli ioni reagenti: così gli urti tra ioni di segno opposto vengono favoriti dai sali nella misura in cui questi accrescono l'attrazione elettrostatica, e viceversa. Allo stesso modo, sulle reazioni tra molecole in soluzione il solvente ha effetto catalitico nel senso che i solventi polari aumentano la velocità delle reazioni che danno prodotti più polari dei reagenti, mentre i solventi non polari favoriscono le reazioni che danno prodotti meno polari dei reagenti.
Una nota a parte meriterebbe la c. biologica per il carattere particolare dell'azione catalitica enzimatica, ma si preferisce rimandare alle voci specifiche concernenti le varie reazioni biologiche. Altrettanto dicasi per alcuni processi a catena che coinvolgono una polimerizzazione in soluzione o in sospensione di monomeri attraverso la formazione di "radicali", e che vengono più propriamente attivate o "iniziate", piuttosto che catalizzate, da altre sostanze (ad es. la produzione di polistirolo iniziata da perossido di benzoile).
Catalisi eterogenea. - Prescindendo dalle reazioni che hanno luogo entro una fase fluida a contatto con una superficie solida, la cui azione catalitica è da considerarsi situata al confine tra una vera catalisi eterogenea e gli "effetti di parete" (iniziazione o inibizione) tipici delle reazioni a catena, la catalisi eterogenea in senso stretto fa riferimento a quei processi in cui la trasformazione chimica è localizzata alla superficie di contatto solido-fluido: il catalizzatore è la fase solida, generalmente preparata sotto forma di polveri o di grani porosi allo scopo di rendere utilizzabile la maggior possibile superficie interfase, la quale esercita anche sulle molecole reagenti allo stato fluido un campo di forze attrattive limitato a qualche angstrom di distanza (10-8 cm); e solo i solidi caratterizzati da grande coesione ossia da campi interatomici intensi, come i materiali cristallini a reticolo ionico o metallico, sono buoni catalizzatori (metalli puri, ossidi e solfuri metallici, alcuni sali); non pertanto i solidi a struttura molecolare e tanto meno i liquidi. La superficie solida adsorbe e modifica elettronicamente e quindi chimicamente le molecole reagenti gasose o liquide (reazione 1) rendendole attive agli effetti della successiva reazione chimica vera e propria alla superficie (i a): è messo così in atto il meccanismo che comporta non solo minori energie di attivazione tra le tappe successive, ma pure, in relazione alle stesse caratteristiche energetiche e geometrico-strutturali della superficie solida, la desiderata selezione tra tutte le direzioni di reazione termodinamicamente possibili.
Meccanismo cinetico generale e sua formulazione semi-empirica. - Sono state più precisamente individuate le seguenti tappe del meccanismo della catalisi in superficie solido-fluido: a) diffusione delle molecole reagenti verso la superficie; b) adsorbimento delle stesse sulla superficie; c) reazione chimica sulla superficie; d) desorbimento dei prodotti di reazione; e) diffusione dei prodotti verso la massa fluida. Le tappe a) ed e) sono processi fisici di trasporto che avvengono sino entro i canali della massa porosa e la cui velocità (numero di molecole trasferite per unità di tempo) è determinata dalle ordinarie leggi della diffusione. L'adsorbimento b) può essere di due tipi: l'adsorbimento fisico, dovuto a campi d'attrazione deboli (forze di Van der Waals, le stesse che si esercitano fra molecole gasose), dà luogo ad uno svolgimento di calore dello stesso ordine di grandezza del calore di condensazione molecolare; l'adsorbimento chimico o chemiadsorbimento (o chemisorzione) libera calore nella stessa misura delle reazioni chimiche (da 10 a 100 Kcal/mol) e coinvolge perciò la formazione di legami chimici tra la superficie solida e le molecole e gli atomi reagenti. Essendo entrambi esotermici, l'aumento di temperatura a pressione costante tende a diminuire la quantità totale adsorbita: ma mentre nel primo l'equilibrio tra adsorbimento e desorbimento è raggiunto rapidamente anche a basse temperature, la velocità dell'adsorbimento chimico ha valori misurabili soltanto a temperature più alte: il che fa attribuire a questo processo energie di attivazione altrettanto elevate. La figura (1) mostra a titolo d'esempio l'isobara di adsorbimento dell'H2 su MgO− Cr2O3: i due rami discendenti corrispondono all'equilibrio rispettivamente dell'adsorbimento fisico e chimico, il ramo ascendente è interpretato come corrispondente ad un "falso equilibrio" nel quale la velocità di desorbimento è molto debole. La figura (2) dà un'idea del profilo energetico lungo la coordinata di reazione nell'adsorbimento chimico, identico a quello di qualunque reazione chimica. Così, la pressione del gas ha marcata influenza sull'equilibrio nell'adsorbimento fisico e quasi trascurabile nell'equilibrio dell'altro, in cui si suppone appunto la formazione di uno strato monomolecolare di sostanza adsorbita anche alle basse pressioni; le velocità del processo crescono invece entrambe con la pressione. Infine, mentre all'adsorbimento fisico partecipa una superficie (area specifica, vedi in seguito) approssimativamente eguale a tutta la superficie dei pori della massa solida, sono responsabili del chemi-adsorbimento soltanto alcune posizioni atomiche privilegiate della superficie catalitica, o i "centri attivi".
Si deve a I. Langmuir (1916) il primo tentativo di sistemazione teorica dell'adsorbimento (vedi anche la voce adsorbimento): ponendo la velocità della reazione di adsorbimento tra una molecola di reagente R gasoso ed un centro attivo s (espressa di regola per unità di massa catalitica)
come
ove p è la pressione di R, θ la porzione di superficie unitaria ricoperta dallo strato monomolecolare di R; e la velocità di desorbimento come
raggiunto l'equilibrio r = r′, si ottiene
dove
è la costante d'equilibrio dell'adsorbimento. Per uno schema generale di reazione A + B + ... = R + S + ... si otterrebbe per la frazione di superficie occupata all'equilibrio di ogni componente
Se uno dei componenti si dissocia in modo da impegnare due centri superficiali compare al numeratore e al denominatore della [21] il termine
in luogo dell'omologo lineare. Alcuni fatti sperimentali, primo fra i quali la diminuzione del calore d'adsorbimento con la quantità di gas adsorbita, sono tuttavia incompatibili con le isoterme [21] di Langmuir, sorrette dall'ipotesi di uniformità di comportamento dei centri attivi: non resta che supporre una progressiva alterazione dell'omogeneità della superficie ad opera delle stesse molecole adsorbite, le quali possono variare il potenziale alla superficie per azioni elettrostatiche di dipolo oppure limitare la disponibilità degli elettroni del solido necessarî a formare i legami etero od omopolari con le molecole gasose da adsorbire via via successivamente. Pur tenendo conto dei miglioramenti in tal senso introdotti da S. Yu. Elovich (1939) e da M. Temkin (1940), il modello fisicomatematico è perfettibile.
All'atto di sottoporre alla dinamica dell'adsorbimento l'effettivo decorso della reazione chimica sulla superficie è opportuno fare due ipotesi limiti:1) la reazione chimica è il processo più lento, sicché si può pensare si stabilisca subito l'equilibrio nell'adsorbimento secondo la [21] e simili; 2) la reazione chimica è talmente più rapida dell'adsorbimento-desorbimento da imprimere al sistema un regime stazionario lungo il quale la quantità di adsorbito rimane costantemente sotto il valore che avrebbe all'equilibrio. Nel primo caso la velocità "netta" di reazione (eccesso della diretta A + B S-107??? R + S sull'inversa R + S S-107??? A + B) è supposta proporzionale alla superficie occupata da ogni componente A, B, R, S...
dove le θi sono tratte dalla [21]. La forma definitiva della [22] dipende dalle ipotesi particolari: non può escludersi, nel fatto, la formazione di composti intermedî tra una molecola di A o B per la reazione diretta (e di R, S... per l'inversa) e un sito rimasto vacante alla superficie od anche la possibilità che A adsorbito reagisca con B non adsorbito, ed altre simili.
Se, nell'altro caso, si suppone che tutti i componenti tranne uno, ad es. A, siano all'equilibrio nell'adsorbimento e tutti all'equilibrio chimico in superficie, ogni molecola di A che giunge lentamente alla superficie sposta reversibilmente l'equilibrio della reazione verso la formazione dei prodotti: la porzione di superficie realmente occupata da A sarà data allora, invece che dalla [21], dalla
dove pA* è la pressione parziale di A nello stato di equilibrio chimico alla superficie (con costante
mentre la velocità effettiva del processo coincide con l'eccesso della velocità d'adsorbimento sulla velocità di desorbimento di A:
Per ogni meccanismo intermedio tra i due limiti suddetti, il problema consiste nel tentare di eliminare per mezzo di tutte le equazioni disponibili fornite dai cinque processi a)... e) summenzionati le grandezze non misurabili, quali le pressioni parziali dei gas alla superficie e le porzioni θi di superficie ricoperta. È ovvio che le difficoltà di ogni procedimento s'accrescono ogni volta che non sia possibile conservare il modello semplificato di Langmuir, anche se l'esperienza sembri quasi sempre confermare l'ipotesi che un solo processo elementare o nell'adsorbimento o nella reazione determini la cinetica globale, come tappa più lenta. Si è trovato ad esempio che la tappa più lenta è un processo alla superficie nell'ossidazione dell'SO2 a SO3 (reazione tra O atomico adsorbito e SO2 non adsorbita, R. W. Olson e R. W. Schuler, 1950), nell'idrogenazione dell'etilene e del propilene su Ni (reazione tra olefine adsorbite e idrogeno adsorbito con dissociazione, M. v. Sussmann e C. Potter, 1954); nel processo CO2+H2 ⇄ H2O + CO su catalizzatore Fe − Cu (reazione tra CO2 adsorbita e H2 in fase vapore che dà luogo a CO ancora adsorbita e H2O in fase vapore, L. W. Barkley et al., 1952); nell'idratazione dell'etilene ad alcole etilico su acido fosforico ed altri catalizzatori (con l'alcole non adsorbito, C. V. Mace e C. F. Bonilla, 1954); nella fabbricazione di fosgene da CO e Cl2 su carbone attivo (COCl2 e Cl2 adsorbiti, CO in fase gasosa, C. Potter e S. Baron, 1951) nella sintesi dell'alcole metilico da CO e H2 su ZnO − Cr2O3 (tutti adsorbiti, G. Natta, 1955). Invece l'adsorbimento o il desorbimento controllano la cinetica del processo nell'esterificazione dell'alcole etilico con acido acetico su gel di silice (adsorbimento dell'acido acetico, C. Venkateswarlu, 1958); nella sintesi dell'ammoniaca da H2 a N2 su Fe (attivato) (adsorbimento e desorbimento dell'azoto, M. Temkin e V. Pyzhev, 1950); nello scambio idrogeno-deuterio sul metano in presenza di Ni (desorbimento di CH3D, C. Kemball, 1951), ecc.
L'esame statistico-numerico dei dati sperimentali consente di accertare non soltanto il meccanismo del processo ma anche il valore delle costanti cinetiche della reazione chimica in superficie e dell'adsorbimento o desorbimento e delle costanti di equilibrio rispettive, ed anche, talora, delle energie di attivazione. Dal confronto con i valori delle energie di attivazione calcolabili per mezzo della teoria della velocità assoluta di reazione e da indagini statistiche collaterali, si traggono in qualche caso ulteriori indicazioni sulla struttura del complesso attivato molecola-catalizzatore e sul meccanismo di occupazione dei centri attivi.
Origine dell'attività catalitica. - Il comportamento di ogni catalizzatore solido dipende sostanzialmente da tre fattori: il suo aspetto esterno (grani, polveri, pasticche, ecc.), la morfologia delle zone superficiali (presenza di cavità, lacune ed altre imperfezioni), la struttura interna, ossia il tipo chimico e le disposizioni degli atomi (reticolo cristallino, difetti reticolari, ecc.). È quest'ultimo che mette a fuoco la natura intrinseca dell'interazione solido-fluido nel chemiadsorbimento e può render ragione della specificità del catalizzatore (nel caso che il chemiadsorbimento sia la tappa più lenta, anche della cinetica dell'intero processo), nei limiti di quelle indagini semi-empiriche che sono permesse dalle conoscenze attuali della fisica dei solidi. Sotto questo punto di vista è bene distinguere l'attività catalitica dei metalli, degli ossidi semiconduttori e degli isolanti (L. Pauling, D. A. Dowden, S. Z. Roginskii, ecc., 1949-1959).
a) Metalli. - Accettata la formazione di un legame chimico tra superficie adsorbente ed adsorbito, essa implica un trasferimento di elettroni dall'una all'altro, in un senso o nell'altro, i cui requisiti energetici sono dettati dalla particolare struttura elettronica del metallo stesso e dalla natura chimica dell'adsorbito: il chemiadsorbimento è possibile ogni volta che la somma algebrica dei contributi energetici dia come risultato un abbassamento dell'energia del sistema. Precisamente, il metallo sarà in generale donatore o accettore di elettroni, con relative ionizzazioni dell'adsorbito, quando l'energia occorrente per strappare l'elettrone dal metallo (lavoro d'estrazione) sarà rispettivamente minore o maggiore dell'energia associata all'introduzione dell'elettrone nella molecola o atomo dell'adsorbito (affinità elettronica), nel valore che essa assume ad una piccola distanza del solido. La differenza tra i due termini di energia, eventualmente corretta per tener conto dell'interazione elettrostatica ione-solido o del termine di scambio generato dal legame covalente, è il calore Q svolto nell'adsorbimento. I metalli alcalini, allora, i cui elettroni liberi di conduzione appartengono alla banda s caratterizzata da una bassa densità di livelli elettronici dN/dE, sono di preferenza donatori di elettroni: quindi essi potrebbero adsorbire chimicamente i composti accettori di elettroni, ovvero gli ossidanti, ma la nuova fase non metallica che viene in tal modo stabilmente a formarsi altera il catalizzatore sì da non renderlo utilizzabile nelle ordinarie catalisi eterogenee. Non così per i metalli di transizione (Cr, Mn, Fe, Co, Ni, ecc.) e per quelli al limite di questa serie (Cu, Ag, Au): i primi hanno la banda di elettroni d parzialmente riempita, nonostante sia avviluppata dalla banda s (vedi fig. 3), contenente gli elettroni solitari (cioè a spin non appaiato) responsabili del para o ferromagnetismo: di conseguenza essi agiscono ad un tempo come accettori e donatori di elettroni e danno luogo alla formazione di legami covalenti adsorbente-adsorbito. Tale adsorbimento, detto "associativo", si può esercitare pertanto su molecole "non sature" (etilene e omologhi, acetilene e omologhi, ossido di carbonio e composti carbonilici, altri composti organici dell'ossigeno, zolfo, azoto) aventi disponibili per il legame covalente gli elettroni dei legami multipli C − C o i doppietti non condivisi degli atomi O, S, N. Oppure può esercitarsi su molecole sature (O2, N2, H2, CH4 e omologhi, cicloparalfine) se queste si dissociano e il legame chimico impegna l'elettrone celibe del frammento di molecola ed un elettrone d non appaiato del metallo (adsorbimento "dissociativo"). Il legame è spesso polarizzato: la barriera di dipoli che si stratifica man mano che prosegue l'adsorbimento aumenta il lavoro d'estrazione e tende quindi a diminuire Q in accordo con l'esperienza (vedi sopra). La teoria di L. Pauling sulla ripartizione in elettroni di legame dsp ibridizzati e in elettroni atomici d, anche non appaiati, consente alcune generalizzazioni semiempiriche tra la costante cinetica (e tra l'energia di attivazione) e il "carattere d" del legame metallico. I metalli al limite della serie di transizione hanno la banda d completamente riempita e la banda s riempita a metà: a differenza degli alcalini, possono uscire dal metallo e ionizzare negativamente l'adsorbito anche gli elettroni della banda d accavallata dalla s (in analogia con il passaggio di valenza Cu+ → Cu++ nei composti del rame).
Questo requisito energetico è però necessario ma non sufficiente, in varie circostanze, a determinare l'adsorbimento: bisogna tener conto anche del fattore sterico, cioè delle condizioni geometriche imposte dalle dimensioni degli atomi del solido e dell'adsorbito e dalle loro disposizioni spaziali. Ad esempio l'adsorbimento associativo effettuato dai metalli di transizione non deve comunque portare ad una distorsione sensibile dei legami di valenza del carbonio adsorbito: la fig. 4 dimostra la possibilità dell'adattamento dell'etilene sul nichel. Così, supposto che il benzolo s'adagi con il piano dell'anello sulla faccia cristallina, si è trovato (A. A. Balandin) che per essere attivi nell'idrogenazione del benzolo i metalli devono presentare facce ottaedriche e raggi atomici compresi tra 1,2 e 1,4 ångström (Pt, Pd, Ir, Rh, Cu, Co, Ni, Os, Zn, Ru, Co).
b) Ossidî semiconduttori: sono solidi con reticolo cristallino a carattere ionico: allo stato puro ed omogeneo gli elettroni sono ripartiti in bande d'energia riempite, alternate a bande vuote: tutte al di sotto della banda di conducibilità (es. ossido di zinco ZnO: Zn++ = guscio Argo, 3 d10, 4s°; O- - = 2s22p8). Si deve la loro conducibilità elettrica alla presenza di "difetti" nel cristallo, cioè a perturbazioni locali della simmetria reticolare che fanno comparire dei livelli energetici discreti nella banda vuota compresa tra la più alta di valenza (A) e la banda di conducibilità B (fig. 5). Se questi livelli sono occupati da elettroni a bassa temperatura (vedi fig. 5 a) l'eccitazione termica li fa saltare nella banda di conducibilità (semiconducibilità normale o tipo n); se invece sono vuoti, l'eccitazione termica li riempie con elettroni della banda sottostante di valenza (fig. 5 b) che viene perciò a contenere dei siti vacanti (s. v.) elettronici: questi si spostano sotto un campo elettrico alla stessa stregua di elettroni positivi (semiconducibilità anormale o tipo p). Si comprende come questi livelli occupati o questi s. v. elettronici possano giocare nel chemiadsorbimento e quindi nella catalisi un ruolo simile rispettivamente agli elettroni s (o dsp) e ai s. v. della banda d dei metalli. Si tratta di identificare in primo luogo l'origine, la natura e il numero dei difetti che provocano la comparsa dei livelli energetici discreti, ed in secondo luogo come essi possano essere influenzati dall'atmosfera fluida e dal decorso del chemiadsorbimento e della reazione chimica in superficie. I più semplici a comprendere sono i "difetti di stechiometria" introdotti con procedimenti riducenti od ossidanti: per esempio un eccesso di Zn nel ZnO porta gli atomi di Zn ad occupare posizioni interstiziali nel reticolo (vedi fig. 6); gli elettroni di valenza dello Zn occupano i livelli discreti e, se eccitati (attivazione nel chemiadsorbimento), possono conferire allo ZnO le proprietà di catalizzatore donatore di elettroni (così per i semiconduttori n PbS, Ag2S ecc.), sempre alla condizione che si abbia nel trasferimento dell'elettrone sulla molecola o sull'atomo adsorbito un guadagno netto di energia (chemiadsorbimento di O2). Gli atomi di ossigeno in eccesso non occupano di solito posizioni interstiziali (ad es. nell'ossido di nichel); perciò si deve ammettere che restino vacanti certe posizioni Ni++ (vacanza cationica) e che per ristabilire la neutralità elettrica altri ioni Ni++ passino a Ni+++ (vedi fig. 7) con l'immediata creazione di s. v. elettronici e cioè di livelli accettori localizzati (chemiadsorbimento di CO, H2 da parte di semiconduttori p: NiO, CuO, CoO, MgO, ecc.).
Ma quando si passa ad esaminare il decorso cinetico dell'adsorbimento e quindi della reazione, le manifestazioni catalitiche dei semiconduttori appaiono ben più complicate di quelle dei metalli, in quanto essi sembrano adattare la loro struttura (numero di difetti, dislivelli energetici) alle condizioni stesse in cui avviene la catalisi ed in ispecie alla natura ossidante e riducente dell'ambiente. Anche l'influenza di aggiunte di altri ossidi non è univoca ma varia con la concentrazione; ad es. l'aggiunta fino al o,2% di Li2O a NiO nell'ossidazione catalitica di CO a CO2 fa diminuire la conducibilità e parallelamente l'azione catalitica, allorquando Li+ va presumibilmente ad occupare i s. v. cationici ed elimina un corrispondente Ni+++: dopo di che l'effetto s'inverte poiché, riempiti i s. v. cationici accessibili, il Li2O s'incorpora nel reticolo e ad ogni due Li+ aggiunti assieme ad un O- - provvede a ristabilire la neutralità un doppio passaggio Ni++ S-107??? Ni+++. Si è infine constatato che elementi accettori d'elettroni come O2, vengono adsorbiti anche da semiconduttori del tipo p, ed elementi donatori, come CO e H2, da semiconduttori del tipo n, in contraddizione con lo schema elementare suaccennato. T. Volkenstein (1957) ha proposto un modello più generale che prevede una mescolanza di tre tipi di legame con l'adsorbito: un certo numero di atomi N° (ad esempio monovalenti) si associano ciascuno ad un catione superficiale del semiconduttore per mezzo di un legame debole ad un solo elettrone analogo a quello previsto dalle teorie quantomeccaniche per la molecola H+2 ; tali N° possono catturare un elettrone libero, comportandosi da accettori e formando un legame forte a due elettroni, come per la molecola H2, che corrisponde, entro la massa, ad un carica negativa (N-); oppure si comportano come donatori di elettroni se captano un s. v. elettronico e restano caricati positivamente (N+). Ma soltanto gli atomi residui No, che equivalgono a nuovi difetti di struttura del solido, sono reattivi nel successivo processo catalitico.
L'esperienza mostra, in definitiva, che sono attivi nelle corrispondenti catalisi i seguenti ossidi semiconduttori: per l'idrogenazione, NiO, WO3(− C = C − + H2); ZnO (CO + 2H2 → CH3OH); per la deidrociclizzazione, Cr2O3 e MoO2 (cicloesano → benzolo, n-eptano → toluolo); per la deidrogenazione, ZnO, MnO e MnO2 (alcole → aldeide); per l'ossidazione, V2O5 (benzolo e naftalina ad anidride maleica e ftalica SO2 → SO3), MnO2 (CO → CO2), Fe2O3(CO + H2O → CO2 + H2) ed altri come CuO, NiO, CoO, Cr2O3, UO2.
In alcune di queste catalisi il fattore sterico ha un ruolo preminente: ad es. la deidrociclizzazione delle paraffine e olefine ad aromatici avviene a condizione che l'adsorbimento impegni due atomi di carbonio vicini della molecola, mentre l'anello aromatico si chiude in seguito tra un carbonio adsorbito ed uno non adsorbito.
c) Isolanti: gli isolanti generalmente utilizzati nella catalisi sono ossidi di metalli a valenza stabile, cioè difficilmente riducibili, preparati sotto forma di fasi amorfe (geli) o microcristalline prive di cariche elettriche (elettroni o s. v. elettronici) mobili nella massa, e fisicamente stabili a temperatura elevata (400 °C). Il meccanismo cinetico fa leva sugli stessi principî della catalisi omogenea acido-base, ossia sulle proprietà di alcuni atomi dello strato solido superficiale di funzionare come sorgenti di protoni (J. N. Brönsted) o come accettori di doppietti elettronici (G. N. Lewis).
Nei silico-alluminati, ad esempio, la sostituzione di un atomo di silicio con un atomo di alluminio fa prendere a quest'ultimo una carica negativa, capace di associare un protone (C. L. Thomas, a bassa temperatura) e agire nella catalisi come "acido":
altrimenti lo fa passare, per azione dello stesso adsorbito, dalla forma tricoordinata alla tetracoordinata capace di ionizzare il carbonio dei carburi sottoposti al cracking (A. G. Oblad, ecc., a temperatura più alta):
Similmente si comportano le miscele SiO2 − MgO; SiO2 − ZrO2, TiO2 − B2O3, Al2O3 − B2O3; ed anche l'azione catalitica dell'allumina gamma nella disidratazione degli alcoli trova spiegazione nel passaggio dalla forma tetracoordinata dell'atomo di Al, caratteristica dell'Al2O3 gamma, alla forma esacoordinata, caratteristica dell'Al2O3 alfa, di per sé stabile sopra i 400 °C.
Degli isolanti si fa uso diretto in molte importanti reazioni industriali catalitiche come l'idratazione e la disidratazione, il cracking, l'alchilazione, l'isomerizzazione, nonché come supporti di catalizzatori conduttori e semiconduttori.
Alla catalisi cationico-anionica si ricollegano pure i processi di catalisi stereospecifica per la fabbricazione di polimeri isotattici cristallini (film trasparenti, fibre tessili, oggetti stampati) e atattici (gomme elastiche): la particolare disposizione ordinata dalle catene polimeriche isotattiche delle a-olefine, ad es., è ottenuta con complessi catalitici contenenti composti a bassa valenza di metalli di transizione e composti metallorganici di metalli aventi minor diametro ionico, come TiCl3 − Al(C2H5)3 (G. Natta, 1954).
Morjologia del catalizzatore e tecnologia della catalisi. - L'aspetto morfologico globale e superficiale del catalizzatore da cui pure dipende, come si è detto, la sua attività specifica, è strettamente connesso con i metodi di preparazione. Il problema è molteplice: realizzare il metodo industriale più opportuno in vista del futuro impiego e più conveniente dal lato economico, disporre di sicuri metodi analitici per l'identificazione ed il controllo delle proprietà superficiali, studiare l'influenza dei promotori, dei veleni e dei supporti sulla caduta dell'attività, ossia sulle trasformazioni chimico-fisiche che il catalizzatore subisce inevitabilmente, in misura più o meno lenta, durante l'uso (invecchiamento, cokizzazione, ecc.). Gli idrossidi, i solfuri, i carbonati e i solfati si preparano in genere per precipitazione da sali solubili in acqua, gli ossidi per decomposizione termica di idrossidi o di carbonati allo stato solido, i metalli per riduzione con idrogeno degli ossidi, per dissoluzione dell'altro costituente di una lega binaria, per precipitazione elettrolitica, ecc. All'esaltazione o al ripristino periodico della funzione catalitica provvedono particolari processi d' "attivazione", destinati a cacciar via i veleni o, viceversa, ad introdurre quei difetti, quelle impurezze, quelle irregolarità superficiali che si presume localizzino, caso per caso, la funzione medesima (centri attivi).
Il problema del riconoscimento della natura e del numero dei centri attivi alla superficie o in uno strato superficiale del catalizzatore non è stato del resto completamente risolto: nei metalli sembrano identificasi con le stesse "dislocazioni" entro l'edificio atomico esistenti comunque in ogni cristallo ad una certa temperatura, e pure con le crepe, le punte e in genere le asperità di superficie sulle quali il potenziale elettronico è più alto che non entro la massa; nei semiconduttori, con i difetti di struttura a seconda del loro stato di ionizzazione e della stessa interazione con il sistema reagente; negli isolanti, con gli anioni-cationi del reticolo o del gelo. Perciò la condotta dei processi di attivazione è ancora in gran parte affidata all'empirismo.
Più sicura è invece la determinazione del parametro che caratterizza lo stato poroso o granulare della massa, la già ricordata area specifica (ovvero la superficie realmente esposta al fluido per unità di massa del catalizzatore), cui è grosso modo proporzionale l'attività specifica e che può raggiungere valori molto elevati: carbone attivo 500-1500 m2/grammo di catalizzatore, gel di SiO2 200-600 m2/g, argilla attiva 200-500 m2/g, Cr2O3 225 m2/g; MoO3 250 m2/g, NiO 18 m2/g, Al2O3 att. 175 m2/g, Fe 4-11 m2/g), grazie al metodo ormai standardizzato di S. Brunauer, P. H. Emmett e E. Teller (1935-1940); così pure l'effetto della resistenza alla diffusione dei gas reagenti lungo i pori del catalizzatore sull'abbassamento della velocità di reazione è stato quantitativamente definito da A. Wheeler (1955).
Particolare interesse teorico e grande importanza pratica ha lo studio dei promotori e dei veleni. I primi sono sostanze che, aggiunte in piccola quantità (qualche unità per cento), favoriscono il processo catalitico in uno dei seguenti modi: a) stabilizzano la fase attiva in una forma microcristallina che altrimenti tenderebbe, nelle condizioni d'esercizio, a ingrossare il grano o a sinterizzare; b) se la fase attiva accelera specificatamente uno solo dei due possibili processi consecutivi attraverso cui s'articola la reazione globale, i promotori accelerano l'altro; c) s'introducono nella massa cristallina del catalizzatore provocando quelle distorsioni reticolari che agiscono come centri attivi; d) possono inibire quella porzione di superficie catalitica che è attiva verso una reazione secondaria indesiderabile. I veleni sono in generale adsorbiti dalla superficie solida durante la reazione determinandone la perdita d'attività: possono bloccare i pori o distruggere i centri attivi o sinterizzare la superficie o occupare quella parte di superficie che è attiva verso la reazione desiderata.
Va ricordato infine che sovente il catalizzatore è sostenuto da supporti (alundum, silicati, kieselguhr, carboni attivi, gel di silice, allumina, ecc.) sui quali viene depositato all'atto della preparazione. Se originariamente la loro funzione era di accrescere la resistenza meccanica del catalizzatore nonché l'area specifica e la stabilità termica, si sono via via accertate interazioni col catalizzatore tali da modificare la sua attività intrinseca e la sua selettività: ad es. i metalli depositati su supporti isolanti formano cristalli di dimensioni inferiori al centinaio di ångström e aventi proprietà non conformi alla teoria delle bande ma piuttosto alla teoria dei semiconduttori; in caso di estrema diluizione sembra doversi supporre l'esistenza di gruppi di pochi atomi metallici liberi di migrare entro definiti dominî ricavati nella tessitura atomica del supporto.
Se la pratica offre una grande varietà di combinazioni di catalizzatori-promotori-supporti, pochi sono i criterî di scelta assicurati su basi scientifiche; è ovvio che lo studio dei catalizzatori chimicamente e fisicamente eterogenei è legato in gran parte alla distribuzione dei centri attivi e alla loro evoluzione durante il processo. Per la descrizione dei singoli catalizzatori e dei relativi processi industriali omogenei ed eterogenei, che uscirebbe dai limiti di questa breve enunciazione dei principî generali, si rimanda alle voci particolari di questa Enciclopedia (ammoniaca, acido solforico, ecc.).
Le masse catalitiche dei principali processi industriali sono fabbricate sotto brevetto da ditte specializzate e appaiono sul mercato munite di precisa campionatura: ad es. la massa NR.2 della American Cyanamid Company per il reforming del metano con vapore: 20% NiO, 0,15% Na2O, 0,5% SO3 su supporto, 18 m2/g; cilindri 1/2 × 1/2 pollici; vita 4-5 anni; velocità spaziale oraria 200 (volume orario di gas da convertire per volume di catalizzatore) a 1540 °F, 1 atm.
Quanto alle tecniche d'impiego, esse convergono, come per tutti i processi chimici, nei due tipi fondamentali: continua e discontinua. In ogni caso si cerca di realizzare il contatto più intimo tra il catalizzatore e la fase fluida ed uno stato di moto relativo tra le due fasi allo scopo di limitare al più possibile la resistenza alla diffusione verso la superficie catalitica. L'operazione discontinua o semicontinua è fatta in autoclavi, per lo più, quando è in gioco una fase liquida: il catalizzatore in polvere è tenuto in continuo mescolamento entro la massa introdotta nel recipiente una tantum e convenientemente agitata. Per produzioni in grande scala ed in ispecie per le reazioni inorganiche è più usata la marcia continua su letti fissi: nel recipiente (o reattore) viene sistemato il catalizzatore a strati o entro tubi e vi si fa affluire da un capo, con continuità, il gas reagente ed allo stesso regime stazionario esce dall'altro capo la miscela allo stato di conversione voluta (vedi fig. 8). Mentre nei sistemi discontinui le temperature e le concentrazioni sono approssimativamente uniformi in tutta la massa e variano nel tempo per effetto della reazione, nei sistemi continui dette grandezze variano lungo il reattore mantenendosi in ogni punto costanti nel tempo, con una legge di distribuzione assiale e traversale che dipende caso per caso dalla velocità di reazione, dall'effetto termico e dalle modalità con cui viene effettuato lo scambio termico con l'esterno. Pertanto l'integrazione delle equazioni cinetiche del tipo delle [22] e [25] lungo il reattore al fine di calcolare la conversione all'uscita o alternativamente il volume utile del reattore (ovvero della massa catalitica) in base ad una conversione assegnata, è connessa alla conoscenza delle leggi del trasporto di massa e di calore da punto a punto entro il sistema eterogeneo. Il progetto del reattore chimico catalitico continuo si presenta quindi spesso con tale complessità da richiedere l'uso dei metodi più fini dell'ingegneria chimica. Per un dimensionamento di massima è utile comunque disporre del dato effettivo di prestazione del catalizzatore nelle previste condizioni medie di temperatura e di conversione, espresso di norma dal rapporto del volume orario del fluido introdotto nel recipiente in condizioni standard sul volume del catalizzatore e detto "velocità spaziale": esso equivale all'inverso di un apparente tempo di contatto tra le due fasi o "tempo di soggiorno", omologo col tempo di reazione dei sistemi statici o discontinui. Problemi del genere sollevano il progetto e la conduzione delle apparecchiature per la catalisi omogenea, continua o discontinua, pur concesse tutte le semplificazioni che comporta l'assenza di un catalizzatore di diversa fase. In questi ultimi anni si è notevolmente sviluppata l'operazione eterogenea con letti fluidizzati (cracking di idrocarburi, idroforming, anidride ftalica da naftalina, ecc.) che consiste nel sospendere il catalizzatore polverizzato sulla corrente fluida in moto ascendente lungo il reattore. La distribuzione e lo stato di moto delle particelle solide variano con la velocità della corrente fluida: all'aumentare di questa si passa da una quasi-staticità del solido alla formazione di "bolle" che salgono lungo il letto simili alle bolle di vapore in un liquido in ebollizione, fino al trasporto turbolento del solido assieme al fluido. I reattori a letto fluidizzato assicurano una maggior uniformità delle temperature e delle concentrazioni e un più facile ricambio o addirittura la rigenerazione simultanea del catalizzatore.
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