CATALOGNA (A. T., 37-8. 41-2)
Il nome (spagn. Cataluña, catal. Catalunya), comincia a comparire in documenti della fine del sec. XII (basso lat. Catalonia, Catalaunia). L'etimologia tradizionale, secondo cui il nome deriverebbe da quello dei Goti e degli Alani (Got-Alania) presenta parecchie difficoltà, le quali si superano solo in parte ammettendo che il nome si sia trasformato così in bocca araba. Ma altre spiegazioni presentano difficoltà anche maggiori.
Nell'odierna accezione, la Catalogna abbraccia le quattro provincie spagnole di Lérida, Tarragona, Gerona e Barcellona, corrispondendo così, più che a una regione, a un insieme di regioni naturali, ben delimitato, come tale, dal resto della penisola. La sua estensione territoriale (32.197 kmq.) è però ora assai maggiore che in passato: il nucleo più antico, detto anche, talora, vecchia Catalogna, si riduceva alla zona chiusa fra il Llobregat e i Pirenei, varcando per breve tratto il confine francese. Alla varietà della sua costituzione geologica (tutti gli orizzonti, a cominciare dal Paleozoico, vi sono rappresentati) corrisponde, pur entro una superficie tutt'altro che estesa, un notevole frazionamento morfologico. Sull'estremità sud-orientale della fascia montuosa pirenaica (Puigmal, n. 2909; Pic d'Estats, n. 3141; Pic d'Aneto, n. 3404) si appoggiano le ultime digitazioni dei corrugamenti terziarî (Puig Sacalm, m. 1515), che isolano, verso O., l'ampia depressione interna, al centro della quale è la plana quaternaria di Lérida (146 m. s. m.); fra la cosiddetta "catena catalana" (Sierra de Montseny, m. 1741; Montserrat, n. 1240; M. Caro, a SO. dell'Ebro, m. 1413) e la costa lungo la quale si distende una serie di più bassi rilievi (400-600 m.; Sierra de Montnegre, n. 793), è un'altra depressione (sub-litoranea), meno larga e continua, che si apre a SO. nella bassura alluvionale di Tarragona, e a NE. in quella, tettonica, di Gerona, in cui divagano e mettono foce il Fluviá e il Ter.
L'alternanza di strisce a rilievo più o meno mosso e variamente disposte, con bacini fluviali e lacustri (questi ultimi ora svuotati o riempiti), pianure di affondamento, zone alluvionali, masse vulcaniche (plana d'Olot) ha fatto sì che nell'unità maggiore della Catalogna si siano distinte minuscole unità regionali, che conservano i nomi storici con cui sono conosciute sul luogo. così le valli dell'Alta Catalogna (Pallars, La Cerdaña), le concas e le planas della zona pedemontana (Conca de Tremp, Plana de Vich, La Segura), o della pianura sub-litoranea (Pla de Barges, Conca de Barbera, El Vallés), i campos del litorale (Tarragona), le spianate cerealicole della depressione centrale (Llanos de Urgel, La Noguera, Las Garrigas), le marine barcellonesi, e l'aspra cornice rocciosa (costa brava) che le continua verso NE. Ciò nonostante, rilievo, clima e vegetazione segnano ben netta l'individualità della Catalogna; il primo, perché diverso, nella sua stessa varietà, dal resto della penisola, gli altri due per i loro caratteri mediterranei poco alterati dalle condizioni topografiche anche nei distretti più interni. La piovosità supera, nella vecchia Catalogna, i 750 mm. annui (cifre eccezionali altrove, in territorio spagnolo), e la vegetazione non è ostacolata nel suo espandersi verso l'interno dai rilievi che corrono paralleli alla costa.
Dove questi sbarrano il passo alle aquile scendenti da N., i fiumi li intaccano con profonde incisioni (valli sovrimposte), che rappresentano in pari tempo (Llobregat, Francoli e, sebbene in misura meno notevole data la sua difficile transitabilità, anche Ebro) la via più agevole per risalire dalla costa all'interno. I centri abitati principali si dispongono lungo queste arterie, dove esse immettono nei bacini intermontani (Vich, Manresa, Igualada), dove attraversano il lungo solco sublitoraneo (Sabadell, Terrassa, Valls, Reus) e infine, dopo, calando al piano (Figueras, Gerona, Tortosa), sboccano sulla costa: la posizione favorevole di Barcellona e di Tarragona, oltre che in rapporto con i corsi del Llobregat e del Francoli, che adducono al medio Ebro, è connessa sostanzialmente con la mancanza d' una cimosa abbastanza ampia, almeno nella parte mediana del litorale catalano, per consentire lo sviluppo di grossi centri di popolazione.
Delle quattro provincie, le due che formano il nucleo dell'antica comarca (Gerona, Barcellona) spiccano soprattutto per il loro moderno sviluppo industriale, che le fa, sotto questo riguardo, il vero centro della vita economica spagnola; Lérida e Tarragona conservano invece più accentuato il loro carattere agricolo (agricolo-pastorale nelle ragioni prossime ai Pirenei). La Catalogna produce il 6% del grano spagnolo, il 4,5% dell'orzo, il 3,5% della segala, il 6,2% dell'avena, il 6% del mais; notevoli sono anche alcune colture arboree (p. es., il mandorlo) e soprattutto la vite, che dà un quantitativo in vino pari a circa1/3 di quello del regno. Sébbene non così fortunata come altre regioni spagnole, la Catalogna è ben fornita di ricchezze minerarie: in ordine d'importanza emergono le ligniti, i sali potassici, il piombo, il salgemma, il carbon fossile, lo zinco, la baritina, il ferro, ecc., che dànno vita a un buon numero di stabilimenti industriali. Negli ultimi anni il progresso economico della Catalogna ha ricevuto un impulso decisivo dallo sfruttamento delle risorse idriche di cui la regione dispone, e per le quali occupa di gran lunga il primo posto nel Regno: a questo sviluppo è dovuta in sostanza la relativa facilità con cui, non solo è stata superata la crisi del periodo bellico (mancanza del carbone), ma si è iniziata un'era di grande floridezza. Fra le industrie catalane dominano le tessili (laniera e cotoniera, concentrate attorno a Barcellona), ma anche le alimentari, le metallurgiche e le chimiche, per ricordare solo le maggiori, vi mostrano oggi promettente rigoglio.
La densità della popolazione, massima nella provincia di Barcellona (184 ab. per kmq.), è dovunque superiore alla media del Regno, eccetto che nelle zone montuose pirenaiche, cui è dovuta la cifra piuttosto bassa della provincia di Lérida (26,5). Con i suoi 2,5 milioni di abitanti (densità 78) la Catalogna, che è in superficie appena il 6,3% della Spagna, ne raccoglie l'11,4% della popolazione.
All'individualità geografica, che si esprime del resto anche nella originalità dei caratteri linguistici e folkloristici, corrispondono l'evoluzione storica antica e recente, il vigoroso sentimento regionale - che trova giustificazione, almeno in parte, nel primato economico raggiunto in seno allo stato spagnolo -, le tendenze separatiste che ne derivano e che sembrano essersi accentuate in questi ultimi tempi, e il temperamento del catalano, considerato il più attivo, intraprendente e tenace rampollo della grande famiglia spagnola.
Bibl.: Non si citano di proposito opere riguardanti la Spagna; e di quelle che trattano della Catalogna, solo poche di carattere assolutamente generale: L. M. Vidal, La tectónica y los ríos principales de Cataluña, Barcellona 1900; F. Carreras-Candi (in collaborzione con altri studiosi), Geografía general de Cataluña, Barcellona 1909, 5 voll.; A. Rühl, Geomorphologische Studien aus Katalonien, Berlino 1909; M. Faura i Sans, Sintesi estratigrafica dels terrenys primaris de Catalunya, Barcellona 1912; R. Patxot, Pluviometria catalana, San Feliu de Guixols 1912; O. Mengel, Études de géographie physique sur les Pyrenées catalanes, perpignano 1912; M. Chevalier, Barcelone et la Catalogne, Parigi 1912; L. M. Vidal, La faz de la tierra en Cataluña durante varias épocas geológicas, Barcellona 1917; E. Hernández Pacheco, Ensayo de una síntesis geológica del Norte de la Península Ibérica, Madrid 1917; M. Cazurro, El cuaternario en Cataluña, Barcellona 1919; N. Font i Sagué, Determinació de les comarques naturals i històriques de Catalunya, Barcellona s. a.; L. Pericot, La civilisación megalítica catalana y la cultura pirenaica, Barcellona 1925; M. Chevalier, Essai sur la physiographie de la Catal. orientale, madrid 1926; C. Pi Sunyer, L'aptitud económica de Cataluña, Barcellona 1927; M. Chevalier, El paisatge de Catalunya, Barcellona 1928; id., La tectonica de Catalunya, Barcellona 1928.
Oltre le note carte spagnole al 50.000 (Mapa militar del Ejército, e Mapa topográfico nacional, in contin.) e al 100.000, e i fogli corrispondenti del Mapa geológico de España al 400.000, la Catalogna possiede l'ottima carta topografica al 100.000, a curve di livello e a colori (in totale 43 fogli) con toponomastica catalana, che vien preparando il Servei geografic de la Mancomunitat de Catalunya. Lo stesso si dica della carta geologica edita dal Servei del Mapa geologic de Catalunya.
Arte.
Nell'architettura del periodo visigoto perdurarono le forme romane della decadenza, ma impoverite in sommo grado, e in cui gli ordini classici sono completamente degenerati, perché interpretati con quella libertà barbarica, ch'è propria del Medioevo. Nella Catalogna vi sono tre curiosi esempî di tale corrente nelle tre chiese di Terrassa, che corrisponde alla città romana di Egara, situata sopra una collina: S. Maria, d'influenza latina, S. Michele, con caratteri bizantini, e la piccola chiesa di S. Pietro, manifestamente romanica.
Anche l'arte mozarabica è rappresentata nella Catalogna dalle chiesette di S. Giuliano a Boada, S. Maria a Marquet, S. Quirze a Pedret e S. Michele a Olérdola.
Aspetto più particolare ebbe l'arte romanica. In un primo tempo le costruzioni romaniche furono rozze nella struttura e povere nella decorazione, come si può vedere nel già ricordato S. Pietro di Terrassa. Ma sembra che, verso l'anno 1000, gruppi importanti di maestri lombardi venissero nella Catalogna per insegnare a costruire con blocchi squadrati, rafforzando gli edifici, che si eressero allora, con fasce decorative di pietre collocate ad angolo in modo da formare una spiga, e con lesene e arcature per fregi delle pareti. Poi fu sentita anche l'influenza provenzale. La chiesa più importante del primo genere è quella di S. Pietro a Roda; al secondo periodo, dell'influenza lombarda, appartiene la cattedrale di Urgel, e al terzo, dell'influenza provenzale, la cattedrale romanica di Barcellona, di cui non rimane altro che la porta del chiostro. Nella scultura di questo periodo primeggia nel suo complesso la facciata monumentale di Ripoll, e, fra le statue, la Madonna detta del Chiostro nella cattedrale di Solsona. Nella Catalogna si sviluppò un'importante scuola di decorazione policroma murale del periodo romanico, che lavorò principalmente nelle vallate dei Pirenei e nella cattedrale di Urgel. Le più interessanti di queste opere furono trasportate nel Museo d'arte antica a Barcellona, per impedirne il progressivo deterioramento e anche il trafugamento all'estero, che fatti precedenti facevano temere. Le pitture romaniche catalane non murali sono state raccolte soprattutto nei musei di Vich e di Barcellona; in massima parte queste tavole erano paliotti d'altare: il colore vi è applicato sopra un piano di stucco, che talora ha rilievi molto pronunziati. Accanto alle manilestazioni della pittura romanica conviene collocare il tessuto rappresentante La creazione, prezioso lavoro appartenente al tesoro della cattedrale di Gerona. Le riforme di Cluny e di Cîteaux nel sec. XI in Borgogna ebbero conseguenze sull'arte della Catalogna. La scuola romanica borgognona cominciò a usare le vòlte a crociera, che nel monastero cisterciense di Poblet si trovano nelle navate laterali, mentre la centrale è coperta in vòlta a botte. I cisterciensi in Catalogna fondarono anche i monasteri di Santes Creus e di Vallbona de les Monges ed ebbero parte nella direzione dei lavori delle cattedrali di transizione, come quelle di Tarragona e di Lérida. Nel periodo gotico le relazioni della contea di Barcellona con la Linguadoca e la Provenza determinarono il tipo dei suoi edifici durante i secoli XIII e XIV; cosicché, mentre nel centro della penisola iberica si sentiva l'influsso moresco, nella Catalogna si conservava un gotico più puro. Questa differenza si osserva molto bene se si paragona la porta dell'Ospedale della Latina a Madrid con quella del consiglio municipale di Barcellona. Quasi tutte le cattedrali catalane stanno nei limiti segnati dal goticismo. Quanto all'architettura militare, se nella Catalogna non si trovano esemplari come quelli di Avignone e di Carcassona, vi sono però le imponenti torri delle mura di cinta di Poblet. L'arte funeraria ci presenta un magnifico saggio nelle tombe di Pietro III e di Giacomo II a Santes Creus, e la statuaria policroma nella statua conosciuta col nome di "Carlomagno" a Gerona. La scuola senese del sec. XIV rifletté la sua morbidezza nelle opere di Jaume e Pere Serra, e dell'affrescante Ferrer Bassa, che decorò il monastero di Pedralbes. La pittura acquistò somma eleganza in Huguet, una rozza ricerca del particolare in Borrassà e un profondo sentimento patetico in maestro Alfonso. Infine, il pittore catalano Lluís Dalmau da un viaggio in Fiandra riportò il ricordo delle opere di Van Eyck nella sua celebre Madonna dei Consiglieri, ora nel Museo d'arte antica di Barcellona. Il Rinascimento ha nella Catalogna un architetto importantissimo, Pere Blay, che può paragonarsi al Cronaca o ai Sangallo; mentre della pittura, si feconda durante il periodo gotico, rimangono poche tracce per quest'epoca. Forse meritano d'essere ricordati alcuni pittori monaci del convento di Scala-Dei; e nel Rinascimento più inoltrato non meriterebbe d'essere nemmeno menzionato in questo riassunto il nome di Viladomat, se non fosse quello dell'unico pittore catalano che al suo tempo, sia per la fecondità sia per la relativa importanza della sua arte, possa modestamente essere messo accanto ai maestri contemporanei dell'Andalusia e della Castiglia. Bisogna arrivare fino all'epoca del Barocco perché la scultura, in momenti diversi, ci presenti le opere vive e mosse di Agustí Pujol e di Lluís Bonifàs. Neppure l'architettura barocca apportò grandi novità nella parte costruttiva; lo fece solo nei piccoli monumenti che sono numerosi e che hanno particolari ornamentali notevoli. Al punto d'innesto tra il Barocco col Neoclassicismo nascente, notevole per i contributi francesi, la Catalogna ha alcune opere squisite. Poi nel Classicismo già affermatosi le opere dell'architetto Soler y Faneca, particolarmente la "Casa Llotja" a Barcellona, mostrano una purezza e una severità mediterranea, come nel sec. XVI quelle del Blay. A fianco di quest'architettura stanno, grazie alla protezione accordata agli artisti dalla Giunta del commercio di Barcellona, la scultura, che culmina con Damià Campeny, amico di Canova, e la pittura di Vicens Rodes. Più tardi a Roma ebbero principio l'overbeckismo catalano secondo le teorie del professore Pau Milà e la sobria pittura di Benet Mercader. Questo fu l'ultimo contributo dell'Italia all'arte catalana, perché d'allora in poi tutte le influenze, sia nella pittura sia nella scultura, le verranno dalla Francia. Si può citare ancora, come scultore vivente formatosi in Italia, Josep Llimona, ma tutti i pittori catalani attuali sono sotto l'influenza francese, ricordo delle varie scuole che si sono succedute a Parigi dal Barbizon al surrealismo. Tuttavia nell'architettura è rimasto qualcosa d'autoctono, d'accordo con le preoccupazioni degli archeologi; e durante gli ultimi lustri del secolo scorso e i primi del presente vi ha avuto risalto una personalità tecnicamente e artisticamente poderosa, quella di Antoni Gaudí.
V. tavv. CXXXV-CXXXVIII.
Bibl.: Ricordiamo le opere generali: E. Castailhac, Monuments primitifs des îles Baléares, Tolosa 1892; J. Botet y Sisó, Sarcófagos romanos cristianos esculturados que se conservan en Cataluña, Barcellona 1895; B. Bassegoda, l'arquitectura gótica a Catalunya, Barcellona 1896; J. Gudiol, Nocions de arqueología sagrada catalana, Vich 1902; J. Font y Gumà, Rajolas valencianas y catalanas, Vilanova i Geltrú, 1905; C. Barraquer, las casas de religiosos en Cataluña durante el primer tercio del siglo XIX, Barcellona 1906; S. Sampere i Miquel, Los cuatrocentistas catalanes, Barcellona 1906; J. Gudiol e S. Sampere i Miquel, La pintura mig-eval catalana, Barcellona 1906-07; V. Lampérez, Historia de la arquitectura cristiana espanola en la edad media, Madrid 1908; J. Puig i Cadafalch, A. de Falguera, J. Goday i Casals, l'arquitectura romànica a Catalunya, Barcellona 1909; G. E. Street, Some accounts of Gothic Architecture in Spain, Londra e Toronto 1912; J. Junoy, Arte y artistas, Barcellona 1912; J. Pijoan, Historia del arte, Barcellona 1914-16; P. Bosch i Gimpera, Prehistòria catalana, Barcellona 1919; M. Gòmez Moreno, Iglesias Mozarabves, Madrid 1919; V. Lampérez, Arquitectura civil Española, Madrid 1922; J. Martorell, Interiors Estructuras autèntiques d'habitacions del segle XIII al XVIII, Barcellona 1923; G. Richert, La pintura medieval en España. Pinturas y tablas catalanes (traduzione castigliana), Barcellona 1926; J. F. Ràfols, Techumbres y artesonados españoles, Barcellna 1926; F. Elias, l'escultura catalana moderna, Barcellona 1926-28; J.F. Ràfols, Arquitectura del Renacimiento español, Barcellona 1929; Institut d'Estudis Catalans, Les pintures murales catalanes, Barcellona; A. Opisso, Arte y artistas catalanes, Barcellona s. a.; F. Carrerars Caudi, Geografia general de Catalunya, Barcellona s. a.; A. Calzada, Historia de la arquitectura en España, Barcellona 1928; A. Durán i Sampere, L'escultura en pedra a Catalunya, Barcellona 1929.
Storia.
1. Periodo dei Conti. - La Catalogna medievale ha le sue origini in seno all'impero carolingio. I Franchí, liberata la Settimania dal potere dei Mori, intraprendono spedizioni al NE. della penisola iberica e aiutati dai cristiani del paese ne divengono padroni. Due tappe principali sono la conquista di Gerona (785) e quella di Barcellona (801), compiuta quest'ultima da Ludovico il Pio re d'Aquitania. I territorî riconquistati furono eretti in contee: Barcellona, Gerona, Ausona, Empuries, Rossiglione, che, unite alle contee libere della Cerdagna e d'Urgel, costituirono la Marca Hispanica, ossia il territorio dell'Impero confinante con la Spagna. La Marca Hispanica, non corrispondente in tutto all'attuale Catalogna, dapprima formò con la Settimania il marchesato di Gotia; poi fu costituita in marchesato autonomo nell'864. Conte di Barcellona, marchese di Gotia fu il leggendario Bernardo, tesoriere dell'Impero sotto Ludovico il Pio. Per la parte ecclesiastica la Marca dipese un tempo dall'arcivescovo di Narbona. I rapporti intimi della Catalogna con l'impero carolingio si manifestano ancora sotto altri aspetti: in essa la scrittura franca sostituisce la visigotica, s'introduce il computo degli anni secondo i regni dei monarchi franchi, ecc.; al Rinascimento carolingio la Marca Hispanica contribuisce con figure insigni, quali il vescovo d'Orléans, Teodulfo. Ma tali relazioni diminuiscono a poco a poco: ne sono cause palesi il divenire ereditarie le cariche, dapprima elettive, e la decadenza della monarchia carolingia. Centro della Catalogna divenne la contea di Barcellona (v. barcellona, contea di), i cui conti, da Wifredo il Peloso in poi, riunirono sotto il loro scettro la maggior parte delle altre contee; e la riconquista finì sotto Raimondo Berengario IV (1131-1162), con la caduta di Tortosa (1148) e di Lérida (1149).
La Catalogna, che dovette la sua prima organizzazione all'impero carolingio, fu dapprima uno stato di carattere eminentemente aristocratico e feudale, che poi si convertì in democratico: ai suoi comuni furono concesse, dai conti-sovrani, libertà e carte statutarie. Nell'opera di riconquista del territorio influirono fortemente gli ordini monastici, che dettero grande impulso al ripopolamento delle terre. Centri importantissimi di cultura furono i monasteri, tra cui emergono: Ripoll; S. Giovanni delle abbadesse; Cuixà, dove il doge Pietro Orseolo giunse fuggitivo da Venezia; il grandioso Poblet, che fu mausoleo dei conti re. Altre scuole sono famose: quella di Vich, dove studiò Gerberto (papa Silvestro II), e quella di Barcellona, cui appartenne Ponç Bonfill Marc, compilatore principale degli Usatges di Barcellona.
2. La Catalogna nella Confederazione catalano-aragonese. - Sotto Raimondo Berengario IV, la Catalogna unisce le sue sorti a quelle dell'Aragona mediante il matrimonio di lui con Petronilla, erede del trono aragonese (1137). Cominciando dal figlio di Raimondo Berengario, i canti di Barcellona anteporranno a questo titolo quello di re d'Aragona, col quale sono generalmente conosciuti e che ha dato origine a un equivoco frequente, con la confusione del nome dell'Aragona propriamente detta con quello della confederazione catalano-aragonese, retta dai conti-re della casa di Barcellona (v. aragona). L'unione fu "un matrimonio senza amore, svantaggioso all'una parte e all'altra. Allontanò l'Aragona dalla sua antica convivenza con la Navarra e dalla sua affinità con la Spagna centrale, facendola partecipare, suo malgrado, a imprese che non l'interessavano; sviò la Catalogna dalla vecchia politica occitanica dei conti e le impedî di formare, con i nuovi territori, nel sec. XIII una nazione forte, e nel sec. XIV un impero stabile" (L. Nicolau d'Olwer).
Sotto i primi conti-re Alfonso I (1162-1196) e Pietro I (1196-1213) l'opera della riconquista procede lentamente, forse a causa della politica d'espansione oltre i Pirenei, già iniziata del resto nel periodo dei conti e che continua ora più intensamente, malgrado l'opposizione di Tolosa; dell'Impero e della Francia. Alfonso I annette la Provenza e domina su estesi territorî nel mezzodì della Francia. Ma tutti questi sforzi per mantenere la sovranità catalana, che sembrano preparare la formazione d'un grande stato occitanico, venivano frustrati dalla battaglia di Muret (1213), in cui Pietro I cadeva lottando contro i crociati di Simone di Montfort. La Catalogna perdette definitivamente il suo dominio sulla Francia meridionale; a parte il Rossiglione (catalano), Giacomo I dominò solo sulla signoria di Montpellier, ereditata da sua madre, mentre nel trattato di Corbeil (1258), firmato con Luigi IX, rinunziò ai diritti sopra i territorî oltre i Pirenei, in cambio dei diritti ipotetici che il re francese poteva allegare sulla Catalogna, quale discendente di Carlomagno. S'apriva allora alla Catalogna il Mediterraneo e s'iniziava, nei primi decennî dello stesso sec. XIII, la grande espansione marittima: Giacomo I (1213-1276) porta a termine le conquiste di Maiorca (1229), Valenza (1238) e, più tardi, quella di Murcia, che cede alla Castiglia (1266). Il suo regno, uno dei più gloriosi della storia del suo popolo, è pieno di splendore civile; i comuni hanno una vita rigogliosa; le terre conquistate sono dotate di leggi; viene confermata l'organizzazione del "Consiglio dei Cento", vera repubblica municipale barcellonese. Nei codici municipali è notevole l'influenza del diritto giustinianeo grazie alla scuola di Bologna, frequentata da parecchi catalani, tra i quali Raimondo di Pennaforte, l'autore delle Decretali. Allora pure sono compilate le leggi del Consolato del mare; s'iniziano le assemblee delle Corts Catalanes, appaiono le prime cronache in volgare e l'arte romanica raggiunge un grande sviluppo. Errore del re Giacomo fu però la divisione del regno, alla sua morte, con la separazione di Maiorca: fonte di lotte fratricide, durate finché il regno baleare venne annesso da Pietro III.
Con il figlio del Conquistatore, Pietro II il Grande (1276-1285), la Catalogna amplia la sua azione mediterranea, estendendo il suo dominio sulla Sicilia, in seguito ai moti del Vespro Siciliano (1282). Le navi catalane, al comando di grandi ammiragli, fra cui il più celebre era l'italiano Ruggero di Lauria, disperdevano gli Angioini; e la Catalogna teneva a bada la Francia alleata del Papato. La politica marittima e commerciale catalana continua anche sotto Alfonso II (1285-1291), con la conquista di Minorca (1286) e le relazioni commerciali con gli stati musulmani occidentali. E se Alfonso con la pace di Tarascona (1291) si obbliga ad abbandonare la causa della Sicilia, su cui regnava suo fratello Giacomo fin dalla morte del padre, il trattato d'Anagni (1295) e la pace di Caltabellotta (1302) per il possesso della Sicilia dànno origine a nuova espansione catalana sotto Giacomo II. Difatti, mediante il primo trattato, Bonifacio VIII, in cambio della rinunzia della casa di Barcellona alla Sicilia, le dava l'investitura della Corsica e della Sardegna. Il dominio sulla Corsica fu nominale, non così quello sulla Sardegna, la cui conquista fu iniziata nel 1323. La pace di Caltabellotta poi origina indirettamente la spedizione in Grecia degli Almogaveri, che avevano preso parte alle guerre di Sicilia. Conseguenza ne fu la fondazione dei ducati catalani di Atene e Neopatria, ove s'introdussero la lingua catalana e gli Usatges. Fu il periodo culminante nella storia della Catalogna: la marina catalana rivaleggia con quella di Genova e di Venezia, relazioni commerciali s'annodano con tutti i paesi mediterranei, i consoli di Barcellona sono sparsi dappertutto (v. Barcellona). Nel 1300 è fondata a Lerida la prima università della confederazione catalano-aragonese; la scienza catalana conta figure di fama europea, come il filosofo e poligrafo Raimondo Lullo e Arnaldo Villanova, medico di re e di papi, pseudo-teologo e riformatore.
Sotto i regni successivi di Alfonso III (1327-1336) e Pietro III (1336-1387), il possesso della Sardegna, mai pacificata fino al sec. XV, dissangua il paese in lotte con i Sardi e con Genova, la forte rivale di Barcellona. Caratteristica dell'epoca di Pietro è la cosiddetta politica di reintegrazione. Se questo monarca, dopo lotte accanite con l'omonimo di Castiglia non riuscì a unire ai suoi stati il regno di Murcia, annetté brutalmente Maiorca (1349) e preparò, mediante il matrimonio di suo nipote, Martino il Giovane, con Maria di Sicilia, la riunione dell'isola alla Corona. I ducati catalani di Grecia, finora dipendenti dalla dinastia catalana di Sicilia, riconoscono la sovranità politica del conte-re. Sotto Giovanni I (1387-1396) e Martino l'Umano (1396-1410) la Catalogna, travagliata da guerre, è in via di decadenza. Tra le guerre, era ormai divenuta cronica quella di Sardegna, dove morì, dopo aver riportato vittoria contro gl'insorti, Martino il Giovane (1409). Martino l'Umano non aveva discendenza maschile diretta legittima e l'incognita della successione alla corona sorgeva davanti al paese qual presagio funesto.
Sotto i tre ultimi re catalani citati si rinforza l'autorità monarchica che trionfa definitivamente della nobiltà, specie per opera di Pietro III. Fu, questo monarca, organizzatore della casa reale e dell'amministrazione centrale dei suoi stati con le "Ordinazioni della Real Casa", deferentissimo verso le istituzioni della Catalogna (che, al contrario dell'Aragona, gli fu fedelissima). Tra esse citeremo le Corts che svolgono la loro attività e dànno origine a un diritto parlamentare sistematico. Nel loro seno nasce la Diputaciò del General o semplicemente il General, commissione delegata dalle Corts, che nella seconda metà del sec. XIV diviene un organismo permanente, in cui sono rappresentati ognuno dei tre bracos delle Corts (ecclesiastico, militare, popolare). Esso risiede a Barcellona; ha un tesoro proprio, e le sue funzioni sono finanziarie, giuridiche, politiche, e perfino militari. Nella storia della Catalogna ha una grande importanza sotto il nome di Generalitat, nei periodi di dissidi tra il re e il paese, del quale è il rappresentante supremo. L'industria è fiorente, e più il commercio, mercé la politica mediterranea. I tre re proteggono le arti e le lettere e nelle loro corti comincia ad apparire l'Umanesimo.
Dopo un interregno di due anni, in forza della sentenza di Caspe, cominciava a governare la confederazione catalano-aragonese la dinastia castigliana con Ferdinando I (1412-1416). La resistenza del pretendente Giacomo, conte d'Urgel, fu soffocata dalle armi del nuovo monarca, sotto il quale cominciano gli attriti tra il paese e il sovrano. Un ultimo periodo di splendore con Alfonso IV (V d'Aragona, I di Napoli, 1416-1458): una buona parte del suo regno l'occupano le guerre d'Italia per il possesso di Napoli, la cui conquista costò alla Catalogna ingenti quantità di danaro e di uomini. Nel suo sogno di fondare un nuovo impero mediterraneo, questo principe è secondato prodigamente dalla Catalogna che fornisce ambasciatori, viceré, soldati e navi: sembrano rivivere i tempi della dominazione catalana in Oriente. Però il beneficio riportato dalla Catalogna nella conquista di Napoli è solo d'ordine morale, in quanto riceve pienamente l'influenza del Rinascimento.
Contro Giovanni II (1458-1479) s'alza in armi il paese devono al principe Carlo di Viana, figlio del re, caduto in disgrazia del padre. Questo fatto, e le offese continue del re allo spirito della nazione, fanno sì che per la prima volta la Catalogna neghi l'obbedienza al suo sovrano e lo dichiari deposto dal trono. Tre principi stranieri sono eletti successivamente: Enrico IV di Castiglia, Pietro connestabile di Portogallo, e Renato d'Angiò. Ma Barcellona capitola nel 1472. Pochi anni prima, nel 1469, era stato celebrato il matrimonio dell'infante Ferdinando d'Aragona con Isabella di Castiglia, con i quali ha luogo l'unità spagnola.
Abbiamo accennato alla decadenza politica ed economica con l'insediamento della nuova dinastia. Il suo spirito assolutista cozza contro quello del paese, che vede invaso il territorio da soldati castigliani e le pubbliche cariche in mano ai forestieri. Nelle Corts catalane di questo periodo è palese l'antagonismo con il re. Altri problemi aggravano la crisi economica nel sec. XV; la scarsezza dei lavoratori e la questione degli Homines de redemptione (pagesos de remenca), cioè campagnoli ascritti ereditariamente alla terra che coltivavano e che non potevano abbandonare senza permesso del padrone e un prezzo di riscatto. Erano soggetti a determinati balzelli e vessazioni, i "cattivi usi". Ciò era cosa antica, ma ora più che mai essi anelavano a uscire dal loro servaggio sociale e giuridico. Già re, fin da Giovanni I, procurarono di estirpare queste cattive costumanze; ma soltanto nel 1486, sotto Ferdinando il Cattolico, mediante la sentenza arbitrale di Guadalupe, si risolse del tutto la questione nel senso dell'emancipazione dei contadini. La civiltà catalana conserva ancora l'impronta della civiltà ricevuta sotto i re della casa di Barcellona e ora si avvale delle intime relazioni con l'Italia. La letteratura catalana passa per un ultimo periodo di splendore effimero, che però ha per centro Valenza.
3. La Catalogna nell'unità spagnola. - All'inizio del nuovo periodo storico, la Catalogna si trova nella più grande decadenza. La caduta dell'Impero d'Oriente in mano dei Turchi pregiudica gravemente il suo commercio mediterraneo, un compenso vi sarebbe nel traffico con l'America, ma questo ai Catalani è vietato dai re cattolici che ne dànno il monopolio ai castigliani. L'espulsione degli ebrei decretata da Ferdinando, l'introduzione nella Catalogna dell'Inquisizione castigliana, accolta con vive proteste, sono altrettante cause d'indebolimento e malumore. La stampa giunge troppo tardi a salvare la lingua e la civiltà catalana, vinta dalla Castiglia, dove era il centro di gravità politico ed economico della penisola. D'altra parte le idee dell'epoca erano propizie all'esaltamento dell'autorità del re, di un re, come Ferdinando, che svolgeva la sua abile politica tutt'altro che a beneficio della Catalogna. Sotto la casa d'Austria la Catalogna ha momenti di relativa prosperità con Carlo V; ma dopo di lui la decadenza diviene sempre più prof0nda. I territorî dell'antica corona d'Aragona sussistono ancora politicamente con personalità propria; nella Catalogna funziona sempre la Generalitat e le Corts catalane si riuniscono ancora: ma la depressione alla quale è giunta la Catalogna contrasta con il movimento culturale di tutta la Spagna. È un fatto singolare che la Catalogna nei secoli XVII e XVIII non apportò nessuna figura rilevante nel movimento intellettuale spagnolo, né scrittore di vaglia alle lettere castigliane. Né i tempi erano per essa tranquilli: basti ricordare che sostenne una guerra separatista (1640-1652) contro Filippo IV, sotto il quale perdette il Rossiglione, ceduto alla Francia (1659); e, mezzo secolo dopo, portò tutto il peso dell'opposizione contro Filippo V nella guerra di successione di Spagna. Conseguenza della lotta col Borbone fu la soppressione di tutte le istituzioni catalane, meno il diritto civile, mediante il decreto di Nueva Planta. Da allora la Catalogna diviene una delle tante provincie spagnole e come buona spagnola si comporta nelle guerre contro la repubblica francese e contro l'impero napoleonico. Nel sec. XIX prende anche parte attiva nelle lotte civili spagnole.
4. Il Risorgimento catalano. - Ma intanto, e già dalla seconda metà del sec. XVIII, si era iniziato il risorgimento. Da una parte progresso economico, iniziatosi sotto Carlo III che aveva tolto ai Catalani il divieto secolare di commerciare con l'America e fomentato dalla Giunta di commercio di Barcellona (1758); dall'altra culturale. La vita intellettuale si fa più intensa (la Giunta ne fu anche promotrice indefessa); la Catalogna vanta chiare figure d'investigatori, di storici (Capmany. Caresmar, ecc.) e vi si disegna un vago movimento culturale particolarista. La guerra dell'indipendenza spagnola è una pausa di quella marcia progressiva; ma col romanticismo essa riprende più vigorosamente. Si ebbe allora il grande rifiorire della letteratura catalana (v.).
Dal movimento letterario, parallelo a quello economico (che è andato progredendo ad onta della perdita delle colonie e di torbidi anarchici) si è originato fatalmente quello politico. La letteratura dei primi volumi dei Giochi floreali fa capire che nell'ambiente politico catalano fluttuavano già idee particolariste (da rilevare che i vecchi partiti catalani, che rappresentarono una vera forza, furono quello carlista, difensore dei privilegi e delle libertà regionali, e il repubblicano, propugnatore del sistema federativo). Il catalanismo politico attraversa un primo, lungo periodo di esitanze durante il quale l'ideale nazionalista non riesce a definirsi (è federalismo con Pi i Margall, particolarismo con V. Almirall, tradizionalismo col vescovo Torras i Bages): quando incominciano le battaglie contro il centralismo dello stato, con il Memorial de greuges (addebiti) o Memoria in difesa degl'interessi morali e materiali di Catalogna presentata ad Alfonso XII (1885), il Messaggio alla Regina reggente (1888), la campagna a favore del diritto civile minacciato (1889), l'assemblea dell'Unió Catalanista, tenuta a Manresa (1892). Segretario di questa assemblea fu Prat de la Riba (1870-1917), autore della Nacionalitat Catalana e dell'affermazione categorica della Catalogna-nazione, al quale principalmente si deve la formazione della prima forza politica che ebbe il catalanismo, la Lliga regionalista. Essa lottò con successo nei comizî, s'impadronì delle associazioni culturali ed economiche. Tutti i partiti catalani, anche quelli che non si affermavano catalanisti, uniti momentaneamente (1906) si sollevarono (Solidaritat Catalana), come protesta-contro la Ler de Jurisdicciones, promulgata per reprimere il catalanismo. La volontà della Catalogna si manifestò di nuovo nel conseguire dal governo spagnolo, dopo lotta accanita, la costituzione della Mancomunitat de Catalunya (organismo amministrativo super-provinciale), primo passo verso l'autonomia (1914); la quale Mancomunitat redasse un progetto di statuto che, sottoposto a un referendum municipale, venne votato dal 99% della popolazione. D'altronde, e malgrado la ristrettezza delle risorse economiche e degli ostacoli politici che dovette vincere, la sua opera fu feconda nel campo della cultura, dei lavori pubblici, della beneficenza, ecc. Ma il successo negativo per la crociata dell'autonomia, insieme con altre cause, fece sì che nel nazionalismo catalano si accentuasse la nota radicale; e così nel 1922 apparve una nuova forza, staccata dalla Lliga regionalista: l'Acció catalana (1922). La dittatura di Primo de Rivera (salito al potere con la simpatia di una parte del catalanismo conservatore, dietro promesse in senso regionalista) ha ottenuto risultati del tutto diversi da quelli che il dittatore s'illudeva di ottenere: la Mancomunitat fu abolita, ma il nazionalismo catalano si è rinvigorito, sia nel riguardo culturale (dimensione più che raddoppiata della produzione scritta, ecc.), sia in quello politico. Tra i partiti politici, che fissano oggi chiaramente le proprie posizioni, spiccano: a destra la Lliga regionalista, partito dell'ex-ministro Cambó, con indirizzo conservatore monarchico; nel centro l'Accio catalana che si dichiara apertamente repubblicana; a sinistra si schierano coloro che, raccogliendo la bandiera del capo separatista Maciá, sono in contatto con le masse operaie. La formula che oggi avrebbe la maggioranza di suffragi catalani è quella proclamata in atti recenti di fratellanza tra intellettuali spagnoli, invitati dai colleghi barcellonesi: né assimilazione da parte della Spagna, né separazione da parte dei catalani.
Bibl.: Oltre alle cronache catalane medievali (Giacomo I, Desclot, Muntaner, Pietro III, ecc.), cfr.: Zurita, Anales de la Corona de Aragón, Saragozza 1562-1580; A. de Bofarull, Historia crítica (civil y eclesiástica) de Cataluña, voll. 9, Barcellona 1876-1878; F. Valls-Taberner e F. Soldevila, Historia de Catalunya: curs superior, voll. 2, Barcellona 1922-23; A. Rovira i Virgili, Historia nacional de Catalunya, voll. 4, Barcellona 1922-26.
Per determinati aspetti della storia della Catalogna: A. de Campany y de Montpalau, Memorias históricas sobre la marina, comercio y artes de la antigua ciudad de Barcelona, voll. 4, Madrid 1779-92; J. Balari y Jovany, Orígenes históricos de Cataluña, Barcellona 1899; J. Pella y Forgas, Llibertas y antich govern de Cataluña, Barcellona 1905; A. Rubió y Lluch, Documents per l'història de la cultura catalana mig-eval, voll. 2, Barcllona 1908-21; H. Finke, Acta Aragonensia, Berlino e Lipsia 1908-1922, voll. 3; K. Schwarz, Aragonische Hofordnungen im 13. und 14. Jahrhundert, Berlino 1912; L. Nicolau d'Olwer, L'expansió de Catalunya en la Mediterrània oriental, Barcellona 1926. Cfr. inoltre B. Sánchez Alonso, Fuentes de la historia española e hispano-americana, 2ª ed., Madrid 1927, e la bibl. sotto le v. aragona e barcellona.
Per la questione catalana, v. Prat de la Riba, La nacionalitat catalana (vers. ital. di C. Giardini), Milano 1924; G. Graell, La cuestión catalana, Barcellona 1902; A. Rovira y Virgili, El nacionalismo catalán, Barcellona s. a.; A. Nancy, La Catalogne et sa lutte pour la liberté, Parigi 1924; G. Dwelshauvers, La Catalogne et le problème catalan, Parigi 1926.
Lingua e dialetti.
Il territorio catalano si estende a occidente del Mediterraneo da Salces. sullo stagno di Leucate in Francia (dipartimento dei Pirenei orientali) sino a Santa Pola a Cruardamar (Valenza). Esso comprende inoltre le Isole Baleari, le Pitiuse e la città di Alghero in Sardegna. La sua superficie è di kmq. 60.856, con una popolazione di 5.053.846 abitanti.
La posizione peculiare del catalano, che per molti tratti si accosta al provenzale e si scosta dallo spagnolo, si spiega col fatto che, al tempo della formazione delle lingue romanze, la Marca Hispanica era tributaria dei re di Francia. Prove dell'influsso della Francia meridionale sulla regione catalana sono:1. la fondazione di abbazie benedettine, i cui monaci erano di origine provenzale; 2. la colonizzazione, attestata dai nomi di luogo; 3. l'abbondanza di santi patroni e titolari di chiese catalane provenienti dalla Francia meridionale; 4. l'abbondanza di vocaboli catalani derivati dal provenzale letterario durante i secoli XIII e XIV.
Tratto caratteristico del catalano è la dittongazione delle vocali e e o toniche aperte; fenomeno che si riscontra in alcuni nomi di luogo e in certe parole isolate dei più antichi documenti catalani, e poi è scomparso affatto per l'influsso del provenzale. L'inversione delle e toniche del catalano orientale e il suono dell'e maiorchina, proveniente dall'e lunga, confermano tale dittongazione. Oltre a questa caratteristica si può notare la caduta delle vocali finali tranne l'a, la monottongazione dei dittonghi formati da vocale tonica seguita da palatale: git, llit, fet, plet, nit, quit. Assai caratteristici del consonantismo catalano sono la palatalizzazione di l iniziale a partire dal sec. XV, passaggio di r iniziale uvulare a r linguo-alveolare, frequenti vocalizzazioni finali: beu (da bibit), nau (da navem), peu (da pedem), cantau (da cantatis), preu (da pretium), veu (da vocem).
Nella morfologia notiamo la conservazione dell'articolo ipse nei documenti catalani più antichi, sostituito poi dall'articolo lo d'origine provenzale, e l'assenza quasi totale della declinazione. Nella coniugazione va notata la desinenza in -i della prima persona dei perfetti deboli: cantí, portí, perfetti scomparsi nel catalano moderno, il futuro composto romanzo, che compare sin nei primi documenti: tobrei, venrei, seré; conservazione sporadica del participio in -urus con significato passivo: festa celebradora, missa cantadora. Notevole nella composizione delle parole l'abbondanza dei composti con re-, in apparenza intensivo, ma in fatto distintivo.
Il catalano ha molte parole che gli dànno un posto speciale tra spagnolo e provenzale: queix "commessura", cama "gamba", masia "casa rustica", tardor "autunno", demati "mattino".
I dialetti catalani sono due: l'orientale e l'occidentale. Il rossiglionese, il balearico e l'algherese appartengono al catalano orientale; le parlate di Lérida e di Valenza all'occidentale. Le condizioni storiche di questa differenziazione dialettale vanno cercate nelle fasi della riconquista della zona orientale della Penisola Iberica sui Musulmani: i paesi della casa di Barcellona, con le Baleari, spettano al catalano orientale, mentre l'Urgel con Pallars e Ribagorça con Valenza formano il territorio del catalano occidentale.
I lineamenti caratteristici del catalano orientale sono i seguenti: l'e aperta si muta in chiusa e, viceversa, l'e tonica chiusa in aperta; a ed e atone si confondono in un suono intermedio; l'o atona passa ad u; il maiorchino e i villaggi di Blanes, Tossa, San Feliu de Guixols e Cadaqués sulla Costa Brava (Gerona) hanno quasi regolarmente gli articoli es, sa provenienti da ipse, ipsa; nella regione dei Pirenei la 1ª persona singolare dell'indicativo finisce in i e in u nel resto del territorio del catalano orientale.
Le caratteristiche principali del catalano occidentale sono: le vocali toniche aperte e chiuse e ed o sono conservate; le atone a, e, o, u, restano perfettamente distinte; i dialetti delle vallate di Aneu, Ferrera e Andorra hanno adottato un numero notevole di parole guasconi; l'aragonese e il catalano di Ribagorça, Lérida e Valenza presentano un fondo lessicologico comune; mentre si riscontra una grandissima abbondanza di nomi di luogo d'origine araba da un canto e di nomi di luogo d'origine catalana occidentale dall'altro, ciò che costituisce il miglior documento circa la provenienza dei colonizzatori. Nel catalano occidentale di Valenza si notano tre varietà: quella di Alicante, molto vicina al catalano orientale, quella di Valenza (parlar apitxat) che risente l'influsso aragonese e quella della diocesi di Tortosa, che ci fa pensare al territorio di una tribù preromana.
Bibl.: Butlletí de la dialectologia catalana, 1913 segg.; Biblioteca filologica de l'Institut de la llengua catalana, 1913 segg.; Diccionari Aguiló, Barcellona 1915, voll. 5; b. Schädel, in Kritischer Jahresbericht über die Fortschitte der romanischen Philologie, VII, VIII, IX e X; Morel Fatio e J. Saroïhandy, Das Catalanische, in Grundriss der rom. Philologie, I (1904-06), pp. 841-877; M. Niepage, Laut- und Formenlehre der mallorkinischen Urkunden, in Revue de dialectol. romane, I, pp. 301-85; II, pp. 1-51; P. Fouché, Phonétique historique du Roussillonais; Morphologie historique du Roussillonais, Tolosa 1924; W. Meyer-Lübke, Das Katalinische, Heidelberg 1925; F. Krüger, Sprachgeographischen Untersuchungen in Languedoc und Rouissillon, Amburgo 1913; K. Salow, Sprachgeographische Untersuchungen über den östlichen Teil des katalanischlanguedokischen Grenzgebietes, Amburgo 1912; P. Guarnerio, Il dialetto catalano d'Alghero, in Arch. glottologico ital., IX (1895); A. Griera, Contribució a una dialectologia catalana, Barcellona 1921; id., Le domaine catalan: compterendu rétrospectif jusqu'en 1924, in Revue ling. rom., I (1925).
Letteratura.
Origini e periodo trovadorico (secoli XI-XIII). - Nelle sue origini la letteratura catalana può considerarsi come un'appendice della letteratura provenzale. La poesia d'arte che la inizia, poiché di un'anteriore poesia popolare mancano documenti diretti, è quella stessa dei trovatori. Sorge nel Rossiglione con Berenguer de Palol o Palasol, che a mezzo il sec. XII sembra fosse in relazione col conte di Barcellona; tramonta con l'esigua schiera di poeti che, attorno a Giacomo II (1291-1327), echeggiano gli estremi accenti d'una letteratura defunta. Nella sfera della sua eleganza formale essa poesia linguisticamente si contrappone, con coloriture e screziature locali, alla parladura catalana, che nelle carte notarili del sec. XI s'era progressivamente liberata dagl'involucri latini e nella prosa aveva fatto le sue prove. Gli accordi tra Guitart Isarn, signore di Caboet, e Guillem e Mir Arnal (1080-95); il giuramento di Pere Ramon, conte di Pallars, e dei suoi baroni, prestato al vescovo di Urgel (1110-23), sono documenti redatti in catalano. Le Homelies d'Organyà, degli ultimi anni del sec. XII o del principio del secolo seguente, costituiscono il più antico testo letterario in prosa. Ma la letteratura come diletto dello spirito, fuori dall'ambito d'interessi pratici o estramondani, è solo quella che si scrive in provenzale. La vicinanza geografica e la stretta affinità linguistica, ma più ancora le cause politiche per cui i conti di Barcellona, rivali di Castiglia e nemici dei Mori, furono principi più francesi che spagnoli, favorirono in Catalogna la propagazione della lirica trovadorica. Raimondo Berengario III, conte di Barcellona (1093-1131), sposa in seconde nozze (1112) Dolcia, erede della contea di Provenza. Raimondo Berengario IV (1131-62), unendosi in matrimonio con Petronilla (1137), erede del regno d'Aragona, assicura il trionfo della dinastia. Procedendo nel suo programma di dominio sui due versante pirenaici, egli s'avanza verso il mezzogiomo contro il dominio musulmano. Nel celebre canto di crociata di Marcabru, Berengario IV, oggetto di lode interessata da parte di Peire d'Alvernhe, già rappresenta, nella Spagna che combatte per Cristo, gl'interessi spirituali di Provenza (1137). Sul fondamento d'una stabile organizzazione feudale si forma nell'alta società uno spirito aristocratico e cavalleresco che s'ispira agl'ideali cortesi cantati dalla musa provenzale. Alfonso I (II) (1162-96), il re dalle torbide avventure narrate con suggestivi accenni da Peire Vidal e da Raimon de Miraval, è il trovatore ostile alle oziose lambiccature e strane puerilità del trobar clus. Poeta "che si loda cantando", contro di lui s'appuntano, per interessi personali, i serventesi di Bertram de Born e di Rambaut de Vaqueiras. Pietro I (II) (1196-1213), che sa comporre elegantemente in lingua francese, combatte contro i baroni di Francia massacratori degli eretici albigesi e per la causa provenzale muore nella pianura di Muret. Nella loro corte, "porto di allegria dove dimorano il pregio e il valore", sono accolti i vaganti cantori d'oltremonte. Sull'arte di Arnaut de Mareuil, del Monaco di Montaudon, di Giraut de Bornelh e di Peire Vidal i trovatori catalani, che sorgono di corte in corte, si foggiano la propria arte e si conquistano una loro individualità. Escluso il nobile Guerau de Cabrera (m. 1198-99), che sa perfettamente l'arte giullaresca e l'insegna al giullare Cabra (1170), essi appartengono quasi tutti alla splendida e cavalleresca generazione che finì sui campi de Las Navas contro í Mori e a Muret per gli Albigesi. Sono: Guillem, visconte di Berguedà, compagno di Aimeric de Peguilhan nelle sue peregrinazioni in Castiglia (circa 1195); Uc, marchese di Mataplana, signore della cortesia e giudice in questioni d'amore, verseggiatore facile e chiaro; Guillem de Cabestany, che ricanta con ansia di purezza l'amore cortese. Il più noto fra tutti è Raimon Vidal di Besalú, autore di alcune eleganti novelle e de Las razos de trobar: introduzione grammaticale alla poetica trovadorica nel suo naturale lenguatge lemosí. Las razos nascono in Catalogna per un bisogno di purismo linguistico, perché il catalanesch penetra inavvertitamente nella poesia, incrina le rigide norme della prosodia e i catalani sono tacciati, dirà Cerverí de Gerona, di non sapere scrivere "con eleganza di parole e perfezione di rime". Gli ultimi profughi trovatori che odiano in patria la dominazione francese: Aimeric de Peguilhan, Bernart Sicart de Marvejols, Peire Basc e l'errante Sordello da Goito, frequentano la corte di Giacomo I (1213-76). Ma il re conquistatore si disinteressa della Provenza, che tenta invano di riavere la sua libertà (1242); ond'egli ha i biasimi di Guilhem de Montanhagol, di Duran de Paernas e di Bonifacio III della Castelhana. Giacomo I fissa le sue aspirazioni di qua dai Pirenei (trattato di Corbeil, 1258). Mirando alla patria catalana, che è per lui lo meylor regne d'Espanya el pus honrat e l pus noble (1264), egli ne estende il dominio nelle Baleari (1230), a Valenza (1238) e a Murcia (1268). Sotto di lui la letteratura si stringe più da presso alla vita nazionale e asseconda l'impeto d'espansione politica e religiosa che in ogni parte di Spagna caratterizza la reconquista. Ne è esempio il Llibre dels feyts d'En Jacme lo Conqueridor: la magnifica cronaca ispirata da lui e figlia del suo pensiero. A fondare l'unità politica sull'unità religiosa concorre l'Ordine domenicano con Ramon de Penyafort (m. 1275), il decretalista rappresentante in Catalogna la scienza giuridica bolognese, e Ramon Martí (1230-84), conoscitore profondo dell'erudizione rabbinica e talmudica. Si combattono gli errori degli ebrei e dei musulmani e si espone apologeticamente il dogma. Nel Pugio Fidei e nell'Explanatio Symboli il Martí pone a contribuzione della sua tesi gli argomenti di al-Ghazālī, di al-Fārābī, di Avicenna e di Averroè; si serve dell'opera del filosofo musulmano e mostra larghe conoscenze del Corano. Per suggerimento del Penyafort, Giacomo I introduce nei suoi stati l'Inquisizione, e nella costituzione di Tarragona (1233) ordina che si abbrucino i libri sacri in volgare. In tale ambiente morale e religioso sfioriscono e muoiono i motivi cortesi della lirica occitanica. La poesia, con Guillem de Cervera e Cerverí de Gerona, piega ad argomenti didattici e morali, si chiude nella paremiologia e si conforma agli indirizzi pratici e positivi dello spirito catalano. L'amore della gloria militare e dei premî che si conseguono difendendo la Croce contro i Mori, anima Guillem de Mur nelle sue tenzoni con Guiraut Riquier, il trovatore che cercò invano appoggio in Giacomo I. Tuttavia la morte del re fu compianta da Cerverí e da Mathieu di Quercy. Qualche speranza diede ai trovatori Pietro II (III) (1276-85), che tenzonò con Pere Salvatge in rime vibranti d'ardore guerriero. Egli s'ebbe gli omaggi di Guilhem Anelier, di Guiraut Riquier e di At di Mons, e tenne Cerverí come suo poeta ufficiale; ma l'invito di Paulet di Marsiglia, che l'esortava a far valere gli antichi diritti sulla Provenza, non trovò echi nell'animo suo. La politica catalana pesava ormai sui destini del Mediterraneo.
Periodo nazionale (sec. XIV). - Con Giacomo II (1291-1327) la letteratura, nella molteplicità delle sue tendenze si fa espressione genuina della vita storica della Catalogna. Nella persona del re s'ineentra il movimento artistico, scientifico e letterario, e tutto si colora di quel cosmopolitismo che è il riflesso della sua politica internazionale. Il catalano, già usato come lingua diplomatica, in Sicilia (1282), si estende in Grecia (1311) e in Sardegna (1323). Negli atti della cancelleria reale, redatti secondo le norme delle italiane Artes dictandi, esso si nobilita e si raffina, e serve all'eloquenza patriottica del re nel famoso discorso di Potfangós. La cultura orientale di carattere scientifico o pseudo-scientifico (astrologia e alchimia) comincia a contendere alla latino-ecclesiastica il suo predominio. A Lleida (Lérida) si fonda (1300) un'università il cui sistema di studî è foggiato su quello di Bologna. Gli ultimi poeti provenzali e provenzaleggianti: Armanieu de Sescas, Jofré de Foixà, autore delle Regles de trobar (1291), rielaborazione delle Razos di R. Vidal, e Federigo III si stringono attorno a Giacomo II. Egli en trobar pensa e s'adelita grantment e scrive poesie religiose. Scrittori di tutte le lingue gli dedicano le proprie opere. Oltre il Foixà, l'ebreo Jafuda Bonsenyor gli consacra, circa. il 1298, il Llibre de paraules e dits de saris e filosofs e per lui traduce dall'arabo un trattato di medicina; il domenicano Pere Marsili gli presenta (1314) la versione latina della Cronaca di Giacomo il Conquistatore; Arnau de Vilanova, l'Alphabetum catholicum, lo Speculum medicinae, il Flos -florum e il Regimen sanitatus; Ramon Lull, la Filosofia d'am0r, il Dictat de Ramon (1299) e il Llibre dels proverbis (1299); Ramon-Muntaner, il suo provenzale Sermó pel passatje de Sardenya (1323). Questi tre ultimi scrittori dànno il carattere all'epoca Arnau de Vilanova (1240-1312), il visionario convinto della prossima venuta dell'Anticristo, percorre l'Europa occidentale esponendo con febbrile propaganda le profezie attinte alle fonti mistiche di Gioacchino da Fiore. Ad Avignone dinnanzi a Clemente V tiene il suo famoso Rahonament tutto pervaso da spiriti apocalittici (1309). Medico di grido, egli traduce dall'arabo gli scritti di Galeno e inizia una copiosa letteratura scientifica, ai margini della quale sono coltivate la magia e l'astrologia. Ramon Lull (1235-1315), il dottore illuminato, è in relazione con i varî sovrani della casa d'Aragona, con Filippo il Bello, con Carlo d'Angiò, col doge Gradenigo, con i papi Celestino V, Bonifacio VIII e Clemente V. Nelle università di Parigi e di Montpellier e al Concilio di Vienna (1311) egli propugna le sue dottrine. Tra gl'infedeli, a Cipro, in Armenia e a Tunisi, è missionario con fede coronata dal martirio. Il Lull è il patriarca della prosa dottrinale e narrativa in lingua volgare. L'ansia di proselitismo lo spinse a scrivere in arabo, in latino e soprattutto in catalano. Se in latino, e con profonde differenze stilistiche, ci è giunta parte della sua opera immensa, è ormai opinione corrente che si tratti per lo più di versioni fatte dai suoi discepoli, per dare alle sue dottrine la più ampia diffusione nel mondo cattolico. È quanto avvenne per gli scritti apologetici contro i Musulmani e gli Ebrei del valenziano Pere Pasqual, vescovo di Jaén, martirizzato a Granada (1300). Stesi in catalano, si diffusero in castigliano e in latino. Col Lull la filosofia, la teologia, la scienza contemporanea, alcuni peculiari atteggiamenti della mistica musulmana (sūfīs), le forme dell'apologo orientale, prese dal Kalilah e Dimnah, entrano nella prosa volgare. Primo nel mondo latino, egli solleva il linguaggio parlato alle altezze del pensiero speculativo, e con anima di sognante profeta per cui l'amore è mezzo tra l'intelletto e Dio (Llibre de contemplació, 1272), lo chiude entro un alone di poesia nelle grandi composizioni romanzesche (Blanquerna, 1283; Fèlix de les Maravelles del món, 1288) e dottrinali (Liibre del orde de Cavayleria, 1276). Il pensiero del Lull, alla cui base sta senza dubbio il misticismo francescano, si è nutrito di speculazione araba, e ne rispecchia il tecnicismo nel simbolismo delle lettere per esprimere idee metafisiche o categorie ontologiche, nell'uso degli schemi geometrici e degli alberi per dar ragione dell'unità della scienza nelle sue molteplici diramazioni. La poesia volgare, nelle forme epiche francesi e nelle forme liriche trovadonche, egli la catalanizza: la fa espressione del suo sentimento mistico (El Desconhort, 1295; Lo cant de Ramon, 1299) e organo trasparente di una fede vissuta con entusiasmo militante (Lo dictat de Ramon, 1299; Aplicació de l'art general, 1300; Medicina de pecat, 1300). Il Lull è l'errante cavaliere di Dio; ma il cavaliere della patria catalana, che a honor e a laus del Casal d'Aragó ne esalta nel suo bell ca alanesch l'epopea marinara e guerresca, è Ramon Muntaner (1285-1336). Fu compagno di Ruggero de Flor nella spedizione d'Oriente e assisté alla difesa di Gallipoli. La sua Crònica dels fets e hazanyes del Rey En Jacme I e de ses descendents (1204-1327), il Llibre dels feyts di Giacomo I e la Crònica del rey Pere III di Bernat Desclot (circa 1300), sono le gemme di questo periodo glorioso della storia catalana. Con l'accento della poesia materiata di fatti, esse dànno pieno svolgimento alla prosa narrativa, che si era già affermata con la versione e rielaborazione della Historia Gothica di Rodrigo Jiménez de Rada per opera di Pere Ribera di Parpejà (1266) e, nel genere didattico, con la traduzione del Fur de Valencia (1261). L'ambiente storico e il quadro geografico in cui si chiuderà il romanzo cavalleresco in Catalogna sono ormai fissati in queste cronache. Desclot, che esalta Pietro II (III) come il secondo Alessandro per cavalleria e per conquiste, rivive nel Curial y Güelfa; Muntaner, con l'idea d'un impero catalano universale, preannunzia il Tirant lo Blanch. Durante il regno di Pietro III (IV) (1335-87) si ha nella lirica, che linguisticamente già tendeva a farsi sempre più catalana, una recrudescenza di provenzalismo dovuta agl'influssi del Consistori de la gaya sciencia di Tolosa (1323). Le sue pedantesche regole di prosodia, di grammatica e di retorica (Flors del gay saber), scritte da Guillem Molinier col consiglio del catalano Bartolomeo March, penetrano in Catalogna per incitamento dell'infante Pietro (1304-80) e del visconte Dalmau de Rocaberti. Ne dà un Compendi Joan de Castellnou, autore del Glosari (1341) al Doctrinal de trobar di Ramon de Cornet (1324); e ne è un'applicazione il Llibre de Concordances (1371) di Jacme March. L'influenza tolosana è visibile nei poeti che frequentano la corte di Pietro III (IV), ma non è tale da trionfare sulla poesia narrativa di stampo francese (le noves rimades, a coppie rimate di ottosillabi) come la Vesió di Bernat de So (1315-85), quadro politico dell'Europa contemporanea, La Joyota Garda, Lo debat entre Honor e Delit, Lo rauser de vida gaya di Jacme March, Lo mal d'amor, Lo compte final, L'arnès del cavaller di Pere March e La faula di Guillem Torroella. È un periodo di transizione in cui elementi diversi cozzano insieme senza armonizzarsi in una formula superiore. Al calore d'una cultura aristocratica e galante si temperano le tradizioni belligere d'una nobiltà, che accoglie con entusiasmo gli spiriti d'avventura e di cavalleria informanti la produzione romanzesca e allegorica francese. Si scrive il poemetto Frare de Joy e Sor de Plaser; si rimaneggia dal francese il Roman dels sept savis e il Facet; si traducono dal francese le storie di Frondino e Brisona, di Roberi lo diable, di Paris e Viana e, se non è dal castigliano, il Partinoples de Bles. L'arte, la musica, le consuetudini francesi, che entrano in Catalogna quanto più ci avviciniamo alla fine del secolo, vi diffondono un senso della vita più aperto e gioioso e vi preparano il Rinascimento. Gl'impulsi alle innovazioni vengono sempre dalla corte. Gl'interessi culturali sono vivissimi in Pietro III (IV). Egli fonda l'università di Perpignano; arricchisce la sua biblioteca privata a Poblet; ricerca le opere storiche riguardanti i varî paesi d'Europa. Insieme con il figlio Giovanni promuove inchieste per possedere Livio, Plutarco, Trogo Pompeo, Suetonio, la versione catalana della Història Troyana di Guido delle Colonne fatta da Jacme Conesa. Fa scolpire in alabastro da maestro Aloy (1342) le statue dei re d'Aragona e conti di Barcellona; e di essi inizia e quindi dirige una Crònica affidata a Bernat de Torre e a Tomàs de Canyelles (redazione latina del 1359, tradotta poi in volgare). Abbozza la Crònica del suo regno e incarica Bernat Dezcoll di continuarla (1374-75), intervenendo direttamente nella redazione di essa e conducendola innanzi (1385). Promuove la compilazione delle Cròniques de Sicilia e s'interessa del Compendi Historial cominciato (1360) da Jacme Domènech, inquisitore di Maiorca, e continuato alla sua morte (1386) da Antoni de Ginebreda, il traduttore della Consolació di Boezio. Il Rinascimento è prossimo. Francesc Eximènis (1340-1409) con ì suoi numerosi trattati di teologia, di filosofia e di morale (El Crestià, 1381-86; Llibre dels angels, 1392; Llibre de les dones, ecc.) è l'ultimo scrittore enciclopedico medievale, che senza spirito critico tenta di comporre in unità, nel quadro della fede tradizionale, gli elementi della cultura contemporanea.
Periodo classico (sec. XV). - Sotto gli ultimi re nazionali, Giovanni I (1387-95) e Martino I (1395-1410), il Rinascimento s'inizia con l'opera passiva delle traduzioni, che diffondono una conoscenza più profonda e un'intelligenza meno inesatta dell'antichità. Sono traduzioni integre o parziali, come le Tragedie di Seneca, di Antoni Vilaregut, il De officiis di Cicerone, di Nicolau Quils, il De Providentia di Seneca e il Valerio Massimo di Antoni Canals, il Sumari de Sèneca, di Pere Mollà, le Heroides di Ovidio, di Guillem Nicolau, la Guerra Yugurtina di Sallustio, ecc. Vengono fatte direttamente sugli originali, come la versione aragonese delle Vite parallele di Plutarco (1384-89) dovuta all'impulso culturale promosso da Joan Fernàndez de Heredia (1310-90), o indirettamente su redazioni francesi, come le Epístoles de Sèneca abreviades e il Tito Livio di Pierre Bersuire, o su rimaneggiamenti italiani, come la Taula per alphabet de tot els libres de Sèneca, che è il commentario latino di Luca Mannelli. Il Rinascimento classico sfiora solo superficialmente la produzione indigena catalana che, mantenendosi medievale per i suoi fini pratici, didattici e morali, non giunge al sentimento della forma, affermazione dell'elemento individuale sull'universalità astratta del contenuto. Tuttavia esso favorisce attraverso l'opera latina del Petrarca e del Boccaccio il trionfo dell'influenza italiana. Dall'Africa del Petrarca deriva Antoni Canals (m. 1429) gran parte del Rahonament fet entre Scipió Africà y Aníbal. Bernat Metge, segretario di re Giovanni, traduce nella redazione petrarchesca l'Ystoria de Valter e de Griselda (1388), e nella prosa limpida del suo Somni (1397-99) inserisce larghe citazioni del Corbaccio e del De claris mulieribus del Boccaccio accanto a brani di Cicerone e di Gregorio Magno. Su fonti classiche e su fonti medievali messe allo stesso livello Pax di Maiorca compila la sua Doctrina moral. Si cerca cioè nella letteratura un accordo della vita morale con la vita intellettuale, mentre si diffonde nella società, favorito dallo scisma, uno spirito scettico e razionalista combattuto dall'eloquenza dell'Eximènis e di Vicent Ferrer (1355-1419). L'avventuriero spirituale dell'epoca è il maiorchino Anselm Turmeda, che fu a Bologna e a Padova in ambienti di tendenze averroistiche e andò a Tunisi, dove apostatò e morì (1420) santo tra i Mori. La Dottrina dello schiavo di Bari in lui, che si profonde in lodi a diversi religiosi nelle Cobles de la divisió del regne de Mallorques, si trasforma in satira piena d'ironia nel Llibre de bons amonestaments (1398). Anticlericale nella Disputació del Ase (1417), desunta da fonti arabe, anzi in alcune parti traduzione letterale della Disputa degli animali contro l'uomo che si trova nell'enciclopedia dei "Fratelli della purezza" redatta a Bassora nel sec. X, il Turmeda prepara spiritualmente la via alla bella traduzione, non priva di adattamenti locali, del Decamerone (1429). Ivi la prosa, scaltrita dalla consuetudine dei modelli italiani e latini (la versione del Corbaccio per opera di Narcís Franch è del 1420, cui seguono le anonime versioni Les clares dones e La Fiameta, 1436-39), riesce a quella pienezza di stile che appare nelle opere romanzesche. Il sentimentalismo cavalleresco del Lançalot, del Tristany e della Taula rodona (già tradotti da tempo) si mesce col realismo italiano, in una fusione perfettamente catalana di spiriti, nelle storie di Jacob Xalabín, della Filla del emperador Constantí, ma soprattutto nel romanzo Curial y Güelfa (1450 circa) e nell'altro romanzo, ammirato dal Cervantes, il Tirant lo Blanch di Joannot Martorell. Per altra via si giunge all'italianismo nella lirica. La fondazione a Barcellona di un Consistori del gay saber (1393) sul tipo di quello di Tolosa, perpetuò la degenerata tradizione provenzale in linguaggio arcaico. Le nuove poetiche, fra le tante per cui i catalani e i valenziani erano pregiati dal marchese di Santillana, sono il Torcimany di Lluís d'Aversó e il Mirall de trobar di Berenguer de Noya. Questa tradizione accademica ha i suoi rappresentanti in Pere e Jacme March, Pau de Bellviure, Arnau d'Erill, Pere de Queralt, Joan Berenguer e Pere Joan de Masdovelles, Francesc Ferrer, Antoni de Vallmanya, ed è temperata, nel genere della ballata, da Andreu Febrer, da Lluis de Vilarasa e da Pere Torroella, che imitano Alain Chartier, Guillaume de Machaut e Oton de Granson. Sotto Alfonso il Magnanimo (1416-1458), che in terra italiana, a Napoli, è promotore del più puro umanesimo, l'influsso italiano è visibile in poeti che frequentano la sua corte: Andreu Febrer, che traduce con ammirevole fedeltà la Divina Commedia (1429), e Jordi de Sant Jordi (morto nel 1454), che si ispira al Monaco di Montaudon, a Peire Cardinal e al Petraroa. Il più profondo e il più originale dei poeti catalani del tempo è il valenziano Auziàs March (1397?-1459), che nei Cants d'amor e Cants de mort, dedicati a Teresa Bou, e nei canti morali e religiosi riassorbe in sé, entro lo spirito della Scolastica, tutta la tradizione lirica dai trovatori al Petrarca. E il mistico di un amore profano, teorizzato nel suo dualismo di spirito e di senso. L'influsso italiano ha ancora i suoi rappresentanti nella dantesca e petrarchesca Comedia de la gloria de amor di Uc Bernat de Rocaberti (1461) e nelle Sentencies cathòliques del diví poeta Dant Florentí del cosmografo Jacme Ferrer de Blanes; ma ne sta del tutto fuori Jacme Roig, nato a Valenza e ivi morto nel 1478. Il suo poema Spill o Libre de les dones (1460), autobiografia fittizia sul genere di quello che sarà il romanzo picaresco nel verso delle noves rimades e della codolada, è una piccante satira delle donne, con spunti realistici e scorci rappresentativi che ritraggono l'ambiente e i costumi contemporanei. A Valenza, nella seconda metà del secolo, s'è ormai ritratta la vita letteraria di Catalogna. La scuola che vi fiorisce è la risultante dell'umanesimo catalano, impersonale e astratto, inteso formalmente a conciliare l'imitazione dell'antico con la tradizione monastica medievale. Da Martino I, la cui biblioteca ha carattere essenzialmente religioso, per tutto il sec. XV l'attività letteraria degli ordini monastici, con opere originali o con versioni, si muove entro la cerchia d'interessi pratici e didattici: da Antoni Canals, che volgarizza il Modus bene vivendi di S. Bernardo e il De arrha animae di Ugo da S. Vittore, a Pere Busquets che traduce lo Spill de la Creu e De la paciencia di Domenico Cavalca, dal Memorial del peccador remut di Felip de Malla al Memorial de la fe cathòlica di Francesc de Pertusa (1440). È la tradizione medievale che continua la serie delle sue versioni da Brunetto Latini e da Albertano da Brescia, e ci dà in catalano il Bestiario toscano, il Fiore di virtù e il Flors de ramey de cascuna fortuna del Petrarca. La scuola valenziana si sforza di armonizzare l'umanesimo, che suscitava entusiasmi areligiosi in Ferrant Valentí, traduttore dei Paradoxa di Cicerone (circa 1450), con la dottrina cristiana; e ne cerca l'armonia moraleggiando e allegorizzando, con uno stile di maniera, aspro e stentato, costellato di latinismi. Franceso Alegre traduce La primera guerra púnica del Bruni (1470) e scrive Les transformacions del poeta Ovidi (1494) unendo insieme Boccaccio (Degenealogiis deorum), Lattanzio e S. Agostino. Joan Roiç de Corella (1430-1500), attingendo a Ovidio, al Petrarca e al Boccaccio, traveste medievalmente gli eroi antichi (Leander y Ero, Parlament en casa Mercader, ecc.) con uno stile contorto, che differisce da quello delle narrazioni bibliche e religiose e dalla trasparente semplicità dei suoi versi (Oracio a la Senyora Nostra) e dell'autobiografia Tragèdia de Caldesa. Contemporaneamente a più pure fonti classiche si volgeva Jeroni Pau, il primo ellenista catalano. La condanna della poesia catalana è nei certami letterarî di Valenza, sotto la direzione di Bernat de Fenollar che compone, insieme con Joan Moreno, il Procés de les Olivess (1497): poesia falsa, accademica, esaurita nei suoi motivi tradizionali. L'ultimo dilettantismo d'un vagabondaggio letterario è nella varietà linguistica delle composizioni di Romeu Lull (morto nel 1484) e nel realismo grossolano e contadinesco di Jaume Gaçul (Somni de Joan Joan; Brama dels llauradors). Solo la prosa storica è ancora viva, ma lo spirito nazionale che informa il Llibre dels feyts d'armes de Catalunya (1420) di Bernat Boades, già tende a dissolversi nel Recort (1476) di Gabriel Turell, nelle Històries e conquestes del reyalme d'Aragó di Pere Tomich, e si fa spagnolo nelle Cròniques de Espanya di Pere Miquel Carbonell (1434-1517). Il teatro non giunge a superare i limiti popolari in cui si sono tenuti il Misteri de Sant Esteve di Gerona (1380), la Asumpció de Madona Santa Maria e il Misteri d'Elx (sec. XV). Nei secoli seguenti, esclusi gli entremesos allegorici delle feste civili, predomina l'imitazione del teatro spagnolo.
Decadenza (secoli XVI-XVIII). - L'unione della corona d'Aragona con quella di Castiglia (1479), in seguito al matrimonio di Ferdinando con Isabella (1469), segna l'inizio della decadenza politica della Catalogna. Pur conservando intatte le sue autonomie, essa entra nell'orbita della politica castigliana unificatrice e accentratrice. I Catalani sono esclusi dal movimento mercantile e marittimo che sfocia sull'Atlantico, mentre la grande vita mediterranea tramonta. Il prestigio del castigliano si nota già nelle poesie castigliane di autore catalano (Pere Torroella, Romeu Lull) che entrano nel Cancionero de Stulñiga, adunato a Napoli dopo la morte di Alfonso V (1458), nel Jardinet d'orats (Valenza 1486) e nel Cancionero general di Hernando del Castillo (Valenza 1511). È la crisi di espatriazione, tanto più facile quanto più la letteratura catalana s'esaurisce nei moduli provenzali e nel cerebralismo tormentato e incomprensibile della scuola valenziana. Benedetto Garret (Cariteo, 1445-1515) è italiano come poeta e introduce in Italia lo studio dell'antica lirica provenzale; Joan Boscà Almogàver (Boscán, 1500-1542) rinnova la metrica castigliana su quella del Petrarca. Aperta a tutte le influenze, senza profonda originalità di pensiero che rielabori in forme proprie le contrastanti correnti spirituali che la dominano di volta in volta, la letteratura catalana, per i suoi caratteri scientifici, artistici e religiosi, resta chiusa nel Medioevo. Il mecenatismo regio l'ha favorita. Perduta la sua propria corte, essa rapidamente decade. La lingua tende sempre più a castiglianizzarsi, nonostante le generose proteste di Cristòfol Despuig da Tortosa (1557). La lirica ha un nuovo codice con l'Art de trobar di Francesc d'Olesa (1538); ma si strema e si spagnolizza in Pere Serafi di Barcellona (1561) e si circoscrive nella paremiologia con Francesc Calsa (Seiltencias de versos catalans, 1601). L'ultimo trovatore di qualche merito è Joan-Pujol di Mataró, che s'ispira ai grandi avvenimenti contemporanei nel poemetto La batalla de Lepant (I580) e scrive la Vesió en somni in onore di Auziàs March. La storia si fa regionale con Los colloquis de Tortosa (1557) del Despuig; notiziario col Cerimonial dels maqnifichs Consellers e la Relació sumaria (1600 circa) di Esteve Gilabert Bruniquer (1561-1641) da Barcellona; cronaca con Antoni Viladamor (Crònica de Catalunya, 1558) e Francesc Tarafa (Crònica de cavallers catalans, 1552 circa) Oppure s'inizia in lingua catalana e si rifà e si continua in castigliano: a Valenza con Antoni Beuter (1538), a Maiorca col Binimelis (1606), a Barcellona con Jeronim Pujades (1009). Produzioni sporadiche nel campo narrativo sono la versione di Pierres y Magalona (1616 circa) e il Viatge de Pere Portes a l'infern (1608). Per tutto il sec. XVII e oltre, nel dominio della lirica si contrastano due tendenze: quella popolare e volgare in romances, sonetti o redondillas, concettista e gongorista, di Vincent Garcia (1582-1631), Rector di Vallfogona, Ie cui poesie (La armonia de Parnàs, Barcellona 1700) costituiscono il modello cui s'ispira la letteratura posteriore; e quella accademica e compassata di Francesc Fontanella, continuata da Josep Fontaner e da Josep Romaguera. Le loro composizioni per il tono, per il pubblico cui si volgono, per la materialità della vita che ritraggono, si mantengono nella sfera dialettale Ormai la lingua catalana sempre più imbarbarita di castiglianismi non ha più carattere ufficiale nel Rossiglione (1700), a Valenza (1707), nelle Baleari (1715) e in Catalogna (1716). Nel 1707 Filippo V annulla i privilegi di Aragona e di Valenza; nel 1716 sopprime le università catalane di Lleida (Lérida), Barcellona, Gerona, Tarragona e Vich; nel 1717 crea l'università di Cervera col compito di snazionalizzare i Catalani. Come lingua della cultura e della nazione domina il castigliano. A scopi catechistici la chiesa mantiene ancora in vita l'idioma regionale. Pere Bonaura traduce la Imitació de Cristo y menyspreu del mon (1739), Jaume Aixala scrive la Vida y miracles de San Benet de Palermo (1757) e Benito Laplasa y Casa il Compendi de la vida de Santa Margarida (1770). Continua pure la tradizione popolare di "cobles" religiose, soprattutto quelle dei Goigs per le varie solennità ecclesiastiche. Ma sono da ricordare piuttosto, per l'apologia dell'antica lingua letteraria, gli scritti di Carles Ros (Tractat d'adages y' refranys valencians, 1733; Epitome del origen y grandezas del idioma valenciano, 1734) e quelli di Antoni de Bastero (morto nel 1737) che ricordano le antiche glorie del catalano e ne esaltano la perfezione. Notevoli le Instruccions per la ensenyança de minyons (1748) di Baldiri Reixach, che propugna l'uso della lingua materna per adeguarsi prontamente all'intelligenza dei ragazzi. È un interessante riflesso di Port-Royal.
Romanticismo e rinascita (sec. XIX). - La preistoria del rinascimento catalano va ricercata nel movimento regionalista che, insieme con la vita economica, risorge nella Spagna dell'ultimo Settecento e si contrappone alle vecchie forme di accentramento statale. La caratterizza l'opera di Antonio de Capmany (1742-1813). Liberatosi dall'universalismo della cultura francese con un ritorno al medioevo, egli esalta la tradizione storica di Catalogna quale elemento costitutivo dello spirito unitario spagnolo (Memorias históricas sobre la marina, comercio y artes de la antigua ciudad de Barcelona, Madrid 1779-92). Il suo regionalismo nazionalista prelude alle forme locali del Romanticismo. Con caratteri generali e cosmopoliti questo si afferma in El Europeo (1823-24), la rivista fondata a Barcellona da Bonaventura Carles Aribau (1798-1802) e da Ramon López Soler (morto nel 1836) con la collaborazione dell'inglese C.E. Cook e di due esuli italiani, Luigi Monteggia e Fiorenzo Galli. Al cessare della reazione politica, quando gli esuli ritornano in Spagna ricchi d'esperienze nel campo della filosofia, della scienza, delle arti e delle letterature straniere, il Romanticismo s'impregna in Catalogna di spiriti tradizionali e di sentimenti nazionali. È la generazione dei poeti e degli studiosi raccolti attorno al giornale El Vapor (1833-37) diretto dal López Soler. Dopo circa tre secoli, dal Boscán e dal Setantí, la cooperazione poetica della Catalogna alla letteratura di Castiglia, iniziatasi con gli Ensayos poéticos (1817) dell'Aribau e con i Preludios de mi lira (1833) di Manuel de Cabanyes (1808-33), si fa viva con Pau Piferrer (1818-1848), Josep Semís i Mensa (1818-49), Joan Francesc Carbó (1822-46), Manuel Milà i Fontanals (1818-84) e Joaquim Rubió i Ors (1818-99). Tutti poeti che romanticamente ascoltano le voci della terra e dell'anima popolare e nel ritmo delle ballate trattano argomenti storici locali. In lingua di Castiglia essi cantano a gloria di Catalogna. Il primo inno catalano alla terra e al cielo della piccola patria, alla sua lingua appresa dalle labbra materne e sonante nella preghiera a Dio, alla virtù dei suoi eroi e alle tradizioni del focolare è l'Oda dell'Aribau apparsa nel Vapor (24 agosto 1833). Espressione di sentimenti che il poeta aveva vagheggiati a lungo, piangendo la decadenza del patrio idioma (1817), essa già conchiude tutti i motivi romantici della Rinascenza. Nello stesso anno Joan Cortada (1805-68) pubblicava la versione dialettale della Fuggitiva di Tommaso Grossi (La noya fugitiva, 1833). Tentativi isolati e preannunzî di ulteriori svolgimenti romantici, essi sorpassano artisticamente l'importanza dei Salms (1806) nella versione di Mercé y Santaló, dei Càntichs de Sant Sulpici (1826) d'autore anonimo e dei poemetti Lo temple de la glòria di Ignasi Puig i Blanch, e Las comunitats de Castella di Antoni Puig i Blanch (1775-1840), che non ebbero diffusione. Anche la Gramàtica y apologia de la llengua cathalana (1814) di Josep Pau Ballot i Torres (morto nel 1821) non conseguì risultati pratici. Il Romanticismo catalano fu, nei suoi primi poeti, ansiosa ricerca di perfezione formale. Fu un tentativo di cooperazione letteraria con la Castiglia, mentre la storia locale, studiata nel paesaggio, nei monumenti e nel folklore, riusciva alla rivendicazione del Medioevo e quindi al ritrovamento della personalità della Catalogna nella storia di Spagna. La regione s'individuava entro la compagine dello stato con Los condes de Barcelona vindicados (1836) di Pròsper de Bofarull (1777-1859), col Diccionario crítico de los escritores catalanes (1836) di Félix Torres Amat (1772-1847), con gli Usajes y demás derechos de Cataluna (1832-38) di Pere Vives i Cebrià (1794-1874), col primo volume dei Recuerdos y Bellezas de España (1838) del Piferrer, e col Diccionari de la llengua catalaña (1839) di Pere Labernia i Esteller (1802-1860). La tradizione storica, letteraria, giuridica, artistica e linguistica della Catalogna si rinnovava attraverso l'ideale romantico, che fondeva insieme, lo spiritualismo estetico degli Schlegel, lo spirito archeologico e cavalleresco dello Scott, il realismo e la morale cristiana del Manzoni. Il lirismo individuale si confuse immediatamente col lirismo della terra e della sua storia. In quegli stessi anni Miquel Anton Martí (morto nel 1864) pubblicava le Llàgrimas de la viudesa (1839): effusioni liriche, ingenue nel prosaismo dei particolari, ma piene di candido abbandono. Joaquim Rubió i Ors iniziava nel Diario de Barcelona (1839) le sue poesie catalane, radunate tosto in un volume (Lo gayter del Llobregat, 1841). Ciò che era differenziazione regionale diventò aspirazione verso l'indipendenza letteraria di Catalogna; primo passo verso il catalanismo politico. D'un tratto da ogni parte a fargli eco sorsero i nuovi poeti. La loro rassegna è nelle due antologie: Los trobadors nous (1858) di Antoni de Bofarull e Los trobadors moderns (1859) di Víctor Balaguer. Il movimento avviato verso la sua meta culmina con la restaurazione dei Jocs Florals (1859). Il rinascimento si è ormai esteso a Maiorca con Josep María Quadrado (1819-96), Tomàs Aguiló, (1812-84) e Marian Aguiló (1825-97), e a Valenza, con Vincents Boix (1813-80) e Tomàs Villaroya (1812-56). Fuori delle tendenze innovatrici, entro l'antica corrente popolare, permane ancora il teatro coi "sainets" di attualità: Lo Jayo de Reus, El sarao de la Patacada, Lo Alcalde sabater, ecc. di Josep Robreño (1780-1838); La casa de despesas, La Layeta de Sant . yust, ecc. di Francesc Renart y Aru̇s (1783-1853); e lo Rei Micomicó (1838), antimonarchica commedia di Abdon Terradas. Il catalanismo letterario promosso audacemente dal Rubió i Ors produceva intanto i suoi frutti. Ma la generazione romantica e conservatrice, che assicurò l'esito dei Jocs Florals e diede alla vita letteraria di Catalogna i titoli della sua esistenza e del suo posto nel mondo, fu quella di Manuel Milà i Fontanals e di Marian Aguiló. Il primo inseriva il rinascimento catalano nel movimento filologico europeo e stringeva i legami letterarî tra il presente e il passato con Los trovadores en España (1861), con la Ressenya històrica crítica dels antics poetes catalans (1854) e col volume De la poesía heroico-popular castellana (1874). Quivi la teoria evoluzionista tende a cogliere alle sue origini la poesia popolare castigliana e catalana, facendosi complemento della raccolta dei canti iradizionali iniziata col Romancerillo catalán (1853). L'Aguiló divulgava in eleganti edizioni l'antica letteratura (Biblioteca catalana, 1872-1905); restaurava la purezza del linguaggio parlato accertandola nella tradizione classica (Inventari de la llengua, fonte dell'odierno Diccionari Aguiló) e nel canto popolare (Romancer popular de la terra catalana, 1893). Accanto a loro e dopo di loro si ponevano con appassionato studio del folklore: Francesc Pelay Briz (Canons de la terra, 1866-77), Pau Bertran i Bros (Cançons y follies populars, 1885), Pere Vidal (Cançoner català de Rosselló y de Cerdanya, 1885-88) e Aureli Capmany (Cançoner popular, 1901-13). La poesia popolare fece impeto alla retorica erudita, all'accademismo impersonale e ai motivi comuni di nostalgico rimpianto che trionfarono nei Jocs Florals, e che pur diedero giusta fama ad Antoni de Bofarull (1821-92), a Víctor Balaguer (1824-1901), a Adolf Blanch (1832-87), al Pelay Briz (1839-89) e a Damàs Calvet (1836-1891). Essa portò freschezza nativa di lingua e d'immagini con Tomàs Aguiló (Balades fantàstiques), con Marian Aguiló (Llibre de la Mort) e col Milà (La cançó del pros Bernat, 1867; La complanta d'en Guillem, 1872). In tale ambiente saturo di sentimenti archeologici, il romanzo storico di tipo scottiano, passato attraverso l'influsso francese, prendeva vita con l'Orfaneta de Menàrgues (1862) di Antoni de Bofarull e si continuava con leggende e novelle cavalleresche e feudali. Vi faceva riscontro, nella lirica, la fioritura di romances entro i moduli retorici del vecchio romanticismo. In questo genere Ramon Picó i Campamar creava drammaticamente tipi e figure (La mort d'en Ramon Lull, Visca Arago!, Joan Crespí, ecc.) Che preannunziano l'arte del Guimerà. Il teatro s'instaurava con Frederic Soler (1839-75), che sotto il nome di Serafí Pitarra faceva la parodia del sainet bilingue (L'Esquella de la Torratxa, 1864). Corifeo del català que ara es parla nei suoi lirici Singlots poetichs, egli passava al teatro serio (Les joies de la Roser, 1866; La rosa blanca, 1867; Les papallones, 1869, ecc.). Per la stessa via s'era già messo Eduard Vidal i Valenciano (Tal faràs tal trobaràs, 1865; Tans caps tans barrets, 1865; Paraula es paraula, 1875, ecc.). La tragedia eroica, ancora involta in paludamenti retorici, sorgeva con Víctor Balaguer (La mort d'Anibal, La mort de Neron, La tragèdia de Llivia, 1878) e il dramma con Joaquim Riera i Bertran (Caritat, 1871; Corona de espines, 1882; Gent de mar, 1887). L'atmosfera si andava facendo sempre più agitata e più viva. L'ottimismo poetico e l'ingenuità popolareggiante dei Jocs florals venivano scossi dalla gioventù che vi portava l'esacerbato romanticismo di Heine e del De Musset. Joaquim Bartrina, Francesc Matheu, Apelles Mestre, allargando gli orizzonti artistici, schiudevano il cammino a più larghe esperienze umane (1874-76). La prosa si scioglieva a poco a poco nelle sue movenze sintattiche, si stringeva alla complessa e tumultuosa vita regionale, aderiva alle inquietudini dello spirito contemporaneo: giornalistica nel Calendari Català (1865-82) e in Lo Gay Saber (1868-69; 1878-82) del Pelay Briz, polemica militante nel Diari català (1878-81) di Valentí Almirall, vivace critica d'arte con Joan Sadà, Josep Ixart e Sampere i Miquel. Il naturalismo zoliano irrompeva nel romanzo con Narcís Oller (La papallona, 1880) e con Josep Pin i Soler (Niobe, 1888); il realismo avvivava la nitida rappresentazione di costumanze campagnole nei racconti di Gabriel Maura e di Carles Bosch de la Trinxeria (Lluyias de la vida, L'hereu Noradell, 1889); la vecchia Barcellona simpaticamente risorgeva nei quadri di Emili Vilanova; l'anima complessa delle moltitudini si dispiegava nella prosa artistica di Raimond Casellas (Les multituds, Els sots feréstecs). Il catalanismo trionfante, con una fede, con una dottrina politica, con una letteratura, con aspirazioni che andavano molto più in là di quelle del contemporaneo rinascimento provenzale, con l'attualità di problemi che miravano a instaurare un ordine nuovo nella Spagna unitaria, trascinava nel suo movimento espansivo oltre che le Baleari anche Valenza. La fusione delle due correnti regionalistiche, la catalana e la valenziana, si operava nella lirica di Teodor Llorente (1836-1911) e nelle Rimes catalanes (1877) di Vincent W. Querol. Dalla restaurazione dei Jocs florals (1859) la rinascenza catalana era stata progressiva conquista d'una nuova coscienza storica, che aveva portato alla rigenerazione dell'idioma. La letteratura si era reintegrata in tutti i suoi generi e aveva inverato in sé le principali esperienze culturali europee. Due figure predominano sul movimento generale: Jacint Verdaguer (1845-1902) e Angel Guimerà (1847-1924). Nei grandi poemi epici: Atlàntida del 1877, e Canigó (la montagna madre della Catalogna storica), del 1886, il Verdaguer trasfuse l'impeto d'un lirismo istintivo e febbrile, coloristico e immaginoso, incapace di raggiungere il suo equilibrio espressivo. Nelle poesie patriottiche e religiose (Idilis i Cants místics, Montserrat, Lo somni de Sant Joan, ecc.) la sincerità del sentimento che sgorga da sorgenti profonde trascorre in ritmi squisitamente modulati e si riconosce in forme di nativa immediatezza. Per lui la parola del popolo sale dalla concretezza materiale del dialetto al tono d'una tradizione letteraria che ha ormai una personalità nazionale. Il Guimerà, rivelatosi nei Jocs Florals (1875), fuse insieme nella sua lirica solenne e declamatoria l'irruenza vittorughiana, che aveva trovato la sua espressione nella poesia religiosa di Anicet Pagès de Puig, con l'emozione violenta e drammatica che si espanse nei romances storici (El comte de Gers, Poblet, Los camps catalàunics) e nelle tragedie (Gala Placídia, 1879; Judith de Welp, 1884; Lo fill del Rey, 1886; Mar y cel, 1888). Superando l'esperienza romantica entro un naturalismo che svela il sentimento nelle sue asprezze e nella sua nudità elementare, egli giunse alla commedia (La Baldirona, La sala d'espera) e al dramma moderno (Maria Rosa, 1894), creando i tipi rusticani catalani in La boja (1890), Terra baixa (1896) e La festa del blat (1896). Il Guimerà si scioglie definitivamente dalla tradizione teatrale anteriore. Vicino a lui Feliu i Codina dava principio al teatro in prosa (El gra de mesc, 1882), che portava sulla scena la farsa di costume di Llanas e Vilanova e la commedia cittadina di Pin i Soler (1890). Era un nuovo aspetto della tradizione catalana, contemplata nella universalità della forma artistica. Dopo d'essere stata oggetto di studio costumista da parte di Josep Coroleu é Inglada (Memorias de un menestral, 1889) e di Francesc Maspons i Labrós (Lep bodes catalanes, 1887), essa veniva giustificata nel suo valore etico e razionale da Josep Torras i Bages (La tradició catalana, 1892).
I contemporanei. - Nell'ultimo suo periodo, sulla fine del secolo decorso e ai primordî del Novecento, la letteratura catalana ruppe stilisticamente e spiritualmente gli schemi archeologici della sua rinascita. L'ansia di rinnovamento, accompagnata da torbida irrequietezza in arte, in filosofia, in politica, aprì le barriere a tutti i valori mondiali. In pittura dominò l'impressionismo e il cezannismo, in letteratura il simbolismo e il parnassianesimo; s'alternarono influenze nordiche e influenze inglesi dei poeti della rinascenza; le traduzioni da tutte le lingue si susseguirono col più tipico eclettismo. Nel teatro Ignasi Iglésias (1871-1928) scioglieva la nota sentimentale della sua lirica nella commedia Girasol; s'ispirava a Gerhardt Hauptmann in Els Vells e al Maeterlinck in Focfollet e Cendres d'amor; il pittore Santiago Rusiñol (Rusinyol) passava dalla satira caricaturale al dramma di sentimento (L'alegria que passa, con commenti musicali di Enric Morera, L'Héroe, El Místic, El Indiano, ecc.); Adriá Gual fondava il Teatre intim (1898), dove si esperimentavano tutte le tendenze più moderne. Nella lirica il poeta rappresentativo di quel periodo è Joan Maragall (1860-1911), l'ultimo romantico per temperamento e per arte, per squisita sensibilità ed elevatezza morale. La sua poesia generata da un'anima fervidamente entusiastica, s'irradia sulle cose e sul paesaggio e ne fa elementi essenziali di completezza lirica (Visions i Cants, Les disperses, ecc.). Pur traducendo da Omero, da Pindaro, da Goethe e da Nietzsche, egli ritornava all'estetica del Novalis meglio rispondente alla sua personalità, e voleva la poesia puro sentimento. Dissolveva la retorica in nome della "parola viva": quella che è imperiosa volontà di dire e non sa altri limiti fuori della commozione che la investe e la potenzia (Elogis). Ma artisticamente egli seppe chiudere in linee precise il suo sogno e dominare il suo sentimento in forme semplici e serene. Teorizzando il proprio fiducioso abbandono all'impeto della creazione, il Maragall schiuse nuovi orizzonti alla gioventù che lo riconobbe maestro. Emili Guanyabens (nato nel 1860), felice traduttore di poeti francesi (Trasplantades, 1911), ha fermato in linee dimesse d'una intimità tutta personale la sofferenza muta e il desiderio della bellezza dinnanzi all'opera dell'uomo e allo spettacolo della natura (Alades, 1897; Voliaines, 1903); Jeroni Zanné (nȧto nel 1873) ha diffuso con versioni e con saggi la conoscenza dell'opera lirica del Wagner e, ansioso di armonie verbali, ha cesellato in forme lucide e precise, pensando all'Heredia e al D'Annunzio, le sue visioni e le sue evocazioni (Imatges i melodies, 1906; Ritmes, Elegies australs, 1912); Josep Lleonart (nato nel 1880) si è confessato sentimentalmente nella piena libertà del verso (Elegies germàniques, 1910); Josep Pijoan. (nato nel 1880) ci ha dato sfumature di luce e di paesaggio con la sincerità di chi aderisce al bene che trova sulla sua via (El Cançoner, 1905). Un senso vigile della forma accompagnato da sapiente abilità costruttiva è nei poeti della scuola maiorchina. Rinnovandosi col classicismo (Horacianes, 1906) di Miquel Costa i Llobera (1854-1922), essa ha raggiunto la sua piena nota elegiaca e coloristica nelle solide costruzioni (Poesies, 1911) di Joan Alcover (nato nel 1854). Spirito irrequieto che s'è foggiata l'estetica della verità trascendente ritrovata nell'immagine pura (El futurisme, 1903; De poetització, 1908), Gabriel Alomar (nato nel 1873), frena e limita la sua istintiva esaltazione romantica con un'attenta volontà di grazia elegante e di chiarezza espressiva (La columna de foc); mentre Llorenç Riber (nato nel 1882) nelle forme del linguaggio affettivo e iperbolico asseconda la gioiosa espansione del suo sentimento religioso. Ondeggiante dapprima tra vari indirizzi, partendo dall'estetica maragalliana e passando attraverso il simbolismo e il parnassianesimo, Josep Carner (nato nel 1884) è riuscito a dare alla lirica catalana voci nuove e originali. Egli ha immerso nella pura tradizione nazionale le opposte tendenze letterarie che confluiscono nell'opera sua, sì che gli elementi esotici non intorbidano la purezza della sua poesia che dall'ironia sfumata scende ai canti dell'umiltà e della rinunzia (Verger de le galanies, 1911; Monjoies, 1912; L'inutil ofrena, Les bonomies, ecc.). Il Carner ha dominato il movimento letterario contemporaneo; ma oggi all'avanguardia delle innovazioni sta Josep Maria López-Picó (nato nel 1886), il più scheletrico ed epigrammatico dei poeti moderni. Egli coglie i motivi lirici nella loro nudità elementare e nelle loro improvvise fulgurazioni e li esprime in formule suggestive, che spesso però tendono più al concetto che alla rappresentazione plastica (Poesies, I, 1910-15; II, 1915-19; El retorn, 1921; La nova ofrena, 1922; Les enyorances del mon, 1923; ecc.). Nel López-Picó sembrano colti i frutti di quell'arbitrarismo o volontarismo estetico fiorito ai margini di larghe esperienze culturali e messo di moda da Eugeni d'Ors (nato nel 1882) con il Glosari (1906) e La ben plantada (1912): arbitrarismo, che è dominio dell'ispirazione e libera elezione dei mezzi espressivi per crearsi un proprio mondo di bellezza. Esso infrena il canto pieno e fa statuario il verso di Guerau de Liost, pseudonimo di Jaume Bofill i Matas (nato nel 1878). Prezioso ne La montanya d'ametistes (1908), egli ha trovato accenti di popolaresca semplicità in Salvatana amor (1920). L'alito fresco e rugiadoso della terra catalana passa nell'opera prima di Josep Maria de Sagarra (nato nel 1894); ma l'ispirazione iniziale di fede e d amore (Primer llibre de poemes, 1914), nonostante il maggiore perfezionamento formale, sembra essersi velata d'un decadentismo scettico e malato (Canfons de taverna i d'oblit). È ritornato però ai motivi della terra e del mare con le Canfons de mar i de vela, e le Canfons de totes les hores. Il Sagarra è ancora in piena produzione. Senza scendere alle esagerazioni cerebrali del futurismo di Josep M. Junoy, del grafismo di Josep V. Foix e del surrealismo di Josep Salvat Papasseit (1894-1924), altri si raccolgono attenti e serî a meditare più salde e armoniche possibilità d'arte; come Carles Soldevila, Josep Massó i Ventós, Carles Riba, Clementina Arderiu e Ferran Soldevila. Nella prosa, escluso ormai Eugeni d'Ors passato al castiglianesimo, rappresentano il nuovo indirizzo modernista: con un contributo loro proprio di pensiero teorico e filosofico, il Pujol e l'Alomar; con un realismo fermo e oggettivo, Joaquim Ruyra (nato nel 1858) specialmente in Marines i boscatges; con vigorosa rappresentazione della vita semplice paesana, Catarina Albert i-Paradís (Víctor Català in Solitud e il Sagarra in Paulina Buxareu i Buxareu; con ideali sociali e patriottici entro un palpito d'umanità profonda, Pere Corominas (nato nel 1870) în Les presons imaginàries (1899), Les gràcies de l'Empurdá (1919), La vida austera (1924), A recés dels tamarius (1925); con influenze esotiche, dove Flaubert e Anatole France si alternano in lontane ricostruzioni storiche e in analisi di problemi attuali, Alfons Maseras (nato nel 1884) nei suoi romanzi Ildaribal, L'adolescent, ecc. Ma in genere nella produzione ultima si nota un po' di sbandamento e qualche compiacenza d'avventure estetiche. Il teatro non ha ancora superato la crisi in cui è caduto dopo il Guimerà, pur se lodevoli sono gli sforzi compiuti per rinnovarlo da Pompeu Crehuet e nobili i tentativi di Pous i Pagés, Puig i Ferrater e Juli Vallmitjana. La critica letteraria si muove tra indirizzi diversi, in grande parte formalista e contenutista, ma procede verso la disinteressata analisi dell'opera d'arte con Manuel de Montoliu, con Carles Riba, con Ferran i Mayoral, con Josep Pla e col compianto Joaquim Folguera (1893-1919). Notazioni acute e personali sono in Joan Estelrich, sempre fine ricercatore d'anime nei suoi saggi (Entre la vida i els llibres), nel López-Picó (Entre la crítica i l'ideal), e in Alexandre Plana (Antologia de poetes catalans moderns). L'azione svolta da E. Prat de la Riba con la fondazione dell'Instiiut d'Estudis Catalans (1907) e con l'istituzione di numerose scuole per ogni ramo del sapere, ha concorso a creare una cultura catalana che si va affermando, in patria e fuori, con importanti opere storiche, artistiche, scientifiche e musicali. Ogni sezione dell'Institut si fregia del nome di valenti studiosi: Pompeu Fabra e Antoni Griera per la filologia: Joaquim Miret i Sans, J. Rubió i Balaguer, Ramon d'Alós, Lluís Nicolau i d'Olwer per la storia e la letteratura; F. Valls i Taberner per la storia delle istituzioni giuridiche; J. Puig i Cadafalch e G. Bosch i Gimpera per l'arte e l'archeologia; il compianto maestro F. Pedrell per la musica. La romanistica è degnamente rappresentata da Jaume Massó i Torrents. Maestro di tutti per larghezza di conoscenze, sicurezza di metodo e senso d'arte è Antoni Rubió i Lluch (nato nel 1856), discepolo e continuatore, dalla cattedra e nella vita, dell'opera del Milà i Fontanals nell'illustrare la storia di Catalogna e la sua cultura medievale e moderna e l'espansione della sua gente nelle spedizioni di Grecia e dell'Asia Minore.
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