CATANIA
La storia di Catania è contrassegnata da un avvenimento capitale, vero e proprio spartiacque di grande importanza nelle vicende della città tra XII e XIII sec.: il disastroso terremoto del 4 febbraio 1169, che distrusse totalmente il centro abitato, in cui spiccava il monastero di S. Agata, e uccise migliaia di persone, compresi l'abate-vescovo-feudatario Giovanni d'Ajello e tutti i suoi monaci. La calamità sopravvenne in un momento delicato per lo sviluppo civile ed economico di Catania: la città, infatti, dominata dal suo vescovo benedettino fin dai tempi di Angerio, il 22 dicembre 1168 aveva ottenuto dal presule una concessione, presentata da Giovanni d'Ajello nella narratio del documento come volontaria e ispirata dall'amore per i sudditi, che, in effetti, sanciva alcuni diritti strappati dai catanesi dopo lunga trattativa, per esempio esenzioni varie e libertà di commercio per diversi prodotti dentro e fuori le mura. I burgenses Catinae, inoltre, insieme a milites e pellegrini, diretti a venerare le reliquie di s. Agata, ottenevano di attraversare il fiume senza pagare alcun pedaggio; il vescovo stabiliva, poi, accanto ad altri provvedimenti, che latini, greci, giudei e saraceni "unusquisque iuxta legem suam iudicetur". Alla vigilia del grande sisma del 1169, dunque, il panorama politico di Catania andava cambiando: il potere del vescovo era messo in discussione, i cittadini incominciavano ad acquistare coscienza dei propri mezzi e dei propri diritti, le attività commerciali erano in espansione e una popolazione multirazziale cercava modi soddisfacenti di convivenza. Il terremoto, però, annullò ogni attività e cancellò la città almeno per un quindicennio.
Nel 1183 la diocesi etnea fu subordinata all'arcivescovo di Monreale, ma, forse da quel periodo, incominciò la ripresa della vita di Catania, dove all'inizio degli anni Novanta si incontrarono Tancredi e Riccardo Cuor di Leone, che pregò sul sepolcro di s. Agata e donò al Normanno Excalibur, la mitica spada di re Artù. Tra il 1194 e il 1197 la città fu coinvolta nella politica di conquista di Enrico VI. Il vescovo Leone di Ravenna, fedele a Tancredi e fieramente avverso all'imperatore, fu deposto e sostituito nel 1195 da Ruggero "Orbus" che, il 23 aprile di quell'anno, ottenne da Enrico la conferma dei possedimenti e delle prerogative della Chiesa etnea. L'autorità del presule fu, però, energicamente contrastata dai cittadini e fu necessaria una repressione condotta dal conte Alberto di Spanheim. Si andava, cioè, evidenziando, fin dall'inizio della dominazione staufica, il filo rosso della storia catanese in età sveva, connotata dalla volontà della cittadinanza di sottrarsi all'autorità del vescovo per conseguire lo stato demaniale. Ruggero, nonostante fosse stato nominato da Enrico VI, nel 1197 partecipò insieme ai maggiorenti cittadini alla congiura contro l'imperatore cui, probabilmente, non fu estranea la stessa Costanza. L'esercito dei ribelli fu sconfitto presso Paternò, Catania fu conquistata dagli imperiali e data alle fiamme. Arse anche la chiesa di S. Agata con tutti coloro che vi si erano rifugiati. Ruggero, suo fratello il giustiziere Filippo, che venne accecato, e i congiurati furono catturati e deportati in Germania. Come ipotizza Gina Fasoli, è probabile che in tali circostanze la città sperimentasse alcune forme di diretto governo regio, tanto che, al ritorno di Ruggero e del fratello Filippo, dopo la morte dell'imperatore, mal sopportò la ripresa del dominio vescovile, ordendo, attraverso alcuni de maioribus terre, una congiura contro il presule. Questi, grazie all'energico intervento del giustiziere Filippo, soffocò la cospirazione, condannando a morte alcuni ribelli. I maggiorenti catanesi, tuttavia, erano riusciti a conseguire un certo potere se il capo del complotto, Ruggero de Marotta, non fu giustiziato. Ruggero "Orbus", comunque, recuperò una posizione di rilievo, partecipando, dal 1200 fino alla morte avvenuta nel 1207, alla reggenza per il minorenne Federico II in qualità di familiare. Intanto la città andava lentamente riannodando le trame della sua vita civile ed economica: a partire dal 1204 furono attivi, con base nei pressi di Aci, mercanti genovesi che si contrapponevano ai trafficanti pisani; fra gli anni Dieci e Venti risiedette spesso a Catania la moglie di Federico II, l'imperatrice Costanza, che vi morì nel 1222. Tra il 1209 e il 1210 lo stesso Federico soggiornò nella città etnea. Nel 1208 divenne vescovo il cancelliere Gualtiero di Palearia. Questi, provvisto di non comune energia, si impegnò nel recupero dell'autorità episcopale, riordinando la curia e affiancando al giustiziere un magister procurator. Entrò anche in contrasto con uno dei più potenti feudatari del circondario, Pagano de Parisio, riguardo al possesso di Calatabiano e, con il suo agire autoritario e spregiudicato, dispiacque allo stesso Federico II che, fin dal 1210, meditò di sbarazzarsi alla prima occasione dell'incomodo cancelliere.
Le notizie su Catania durante l'assenza di Federico dal Regno non sono molte: è, comunque, probabile che, fino al 1220, i rapporti tra il presule e la cittadinanza divenissero sempre più tesi, tanto che, al ritorno dell'imperatore, gli homines Catanie mandarono a Federico quandam quantitatem pecunie affinché allontanasse Gualtiero. Era il pretesto atteso dallo Svevo, che si liberò del vescovo inviandolo nel 1221 alla conquista di Damietta. Gualtiero non rientrò più a Catania fino alla sua morte, avvenuta nel 1229, ma continuò ad amministrare la diocesi attraverso procuratori che, comunque, allentarono il dominio episcopale sulla città, avviatasi, gradualmente, a entrare sotto il controllo del demanio, attivo, con ogni probabilità, verso la fine degli anni Trenta. Tra il 1222 e il 1227 Federico soggiornò saltuariamente a Catania, facendole sentire il peso della sua autorità. Nel 1231-1232 l'imperatore si impegnò a dare un successore a Gualtiero nella persona del magister Enrico di Bilversheim ma, ben presto, costui fu destinato ad altri incarichi e, dal 1233 fino alla caduta sveva del 1266, la sede episcopale rimase vacante. La città ne approfittò per recuperare spazi di autonomia, ma la sua laicizzazione dovette misurarsi con la perdita di quel rilievo che era stato compromesso dal sisma del 1169. Come attesta il geografo arabo al-Dimašqī, Federico guardò con più interesse ad Augusta, costruita a partire dal 1222-1225; nel corso degli anni Trenta l'imperatore limitò sempre di più le prerogative della Chiesa etnea. La coscienza antivescovile dei nuovi ceti urbani di Catania continuò, dunque, ad arricchirsi, anche se non sappiamo come fossero recepite le novità amministrative introdotte da Federico fino alle Costituzioni di Melfi del 1231: se, cioè, nonostante il dominio ecclesiastico, la città gradualmente ricevesse il baiulo, i giudici e i giurati di nomina regia. Il primo baiulo sicuramente documentato è nel 1247 Maccarone. Catania, comunque, rientrò attivamente nella politica siciliana nel 1232, partecipando alla grande rivolta che coinvolse Messina, Siracusa, Centuripe, Nicosia, Troina, Montalbano e Capizzi. Le fonti non dicono nulla su Catania e sui motivi della sua adesione al moto: se cioè fosse ispirata dal desiderio di maggiori libertà civili, contro i deliberati di Federico dell'anno precedente, o se, invece, rappresentasse il definitivo rifiuto del dominio episcopale. L'imperatore, durante la sua azione repressiva del 1233, risiedette anche a Catania, dove furono sicuramente presi dei provvedimenti, che, però, non sono riferiti dalle fonti. Una tarda attestazione di Tommaso Fazello assicura la distruzione di Catania a opera di Federico, che avrebbe concesso soltanto l'erezione di squallide case di legno e fango, ma non è confermata da nessun dato di fatto e contrasta con le notizie sulla ripresa urbana della città verso la fine del decennio. Pure l'esilio dei capi della rivolta non appare del tutto confermato dalla documentazione, che si riduce a una lettera di risposta dello Svevo del febbraio 1240, inviata da Viterbo al giustiziere della Sicilia citra, con la quale si consente che alcuni catanesi dimoranti ad Augusta si rechino a Catania per riparare le proprie case e curare le proprie vigne, con l'obbligo, però, del ritorno ad Augusta dopo la conclusione di tali affari. È pur vero che l'ordine precede immediatamente misure restrittive per gli abitanti di Centuripe e Capizzi, sicché l'intero brano pare riferirsi all'esilio dei ribelli del 1232, ma, in definitiva, l'imposizione di rientro ad Augusta potrebbe annoverarsi tra le iniziative connesse al popolamento del sito e al radicamento della nuova cittadinanza, senza specifici nessi con gli avvenimenti di otto anni prima. Anche perché non risultano particolari azioni punitive contro Catania, ma, dalla seconda metà degli anni Trenta, importanti iniziative per limitare sempre più le prerogative del vescovado e per inserire i catanesi nel rinnovato sistema politico-amministrativo del Regno, fino all'invio dei rappresentanti della città al parlamento di Foggia del 1240, che dimostra come Catania facesse ormai parte integrante del demanio. Tale avvenimento, in sé poco rilevante, giacché i delegati, lungi dal partecipare attivamente ai lavori, si limitavano a ricevere gli ordini imperiali, dovette sanzionare nell'immaginario dei cittadini il sorgere di un nuovo e promettente ciclo politico-sociale, con il definitivo abbattimento del dominio episcopale, celebrato nel 1241 nell'architrave della chiesa del Sacro Carcere mediante la figura di donna, simboleggiante Catania, che esprime riconoscenza a Federico per averla sottratta al suo feudatario. La rinascita civile della città, che, per l'introduzione dei nuovi uffici amministrativi, vide il rafforzarsi di un ceto burocratico fornito di una profonda consapevolezza di sé, è poi attestata anche dalla costruzione di Castel Ursino, importante tassello del sistema difensivo fridericiano basato sull'edificazione contemporanea di numerose fortificazioni in Sicilia. Per il suo innalzamento gli universi homines Catanie parteciparono con una contribuzione di 200 onze, dimostrando, con ciò, una certa disponibilità di denaro, indizio di ripresa economica della città. Nelle strutture del castello si riconoscono elementi comuni con Castel del Monte e Castel Maniace a Siracusa, influssi borgognoni, orientali e musulmani. L'arrivo nel centro etneo dell''ufficio tecnico' agli ordini di Riccardo da Lentini e l'afflusso di architetti e lavoratori di cultura ed esperienze diversificate contribuirono, senza dubbio, alla definitiva ripresa civile e culturale della città, che, non a caso, diede all'isola fra il 1246 e il 1249 due maestri camerari, Filippo e Gualtiero.
Durante l'età di Manfredi il rafforzamento del ceto dirigente fu costante, con la presenza di numerosi individui non molto ricchi, ma intraprendenti, in grado di impossessarsi dei casali vicino alla città e di intervenire nell'amministrazione dei beni della diocesi, che l'ultimo Svevo impedì ai legittimi vescovi (Oddone "Capocius", 1254-1256, e Angelo Boccamazza, 1257-1289) di reggere. Nonostante alcuni maggiorenti cittadini tentassero di contrastare l'autorità di Manfredi, come il notaio Filippo di Catania, il quale, nel 1261-1262, fu coinvolto nelle vicende di Giovanni di Cocleria che si presentava come Federico II redivivo, il centro etneo rimase fedele agli Svevi, tanto da aderire nel 1267 alla sollevazione di Corrado Capece, suscitata per sostenere, contro Carlo d'Angiò, l'impresa di Corradino. Il fallimento della ribellione non ebbe, comunque, particolari effetti negativi per Catania, che, in epoca angioina, continuò ad ampliare la sfera delle competenze cittadine.
Fonti e Bibl.: per gli antecedenti normanni: G. Fasoli, Tre secoli di vita cittadina catanese (1092-1392), "Archivio Storico per la Sicilia Orientale", ser. IV, 7, 1954, pp. 378-381 (ora in Ead., Scritti di storia medievale, a cura di F. Bocchi-A. Carile-A.I. Pini, Bologna 1974, pp. 371-378); E. Pispisa, Catania normanna, in Id., Medioevo fridericiano e altri scritti, Messina 1999, pp. 285-304. Per l'età sveva, oltre a G. Fasoli, Tre secoli di vita cittadina catanese; H. Niese, Il vescovado di Catania e gli Hohenstaufen in Sicilia, "Archivio Storico per la Sicilia Orientale", 12, 1915, pp. 74-104; W. Cohn, L'età degli Hohenstaufen in Sicilia, Catania 1932, passim; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, 1-4, München 1973-1982, pp. 1203-1232; C. Biondi, Costanza d'Aragona reggente del regno di Sicilia, "Incontri Meridionali", ser. III, 10, 1990, nr. 2, pp. 85-112; E. Pispisa, Messina e Catania. Relazioni e rapporti con il mondo mediterraneo e l'Europa continentale nelle età normanna e sveva, in Id., Medioevo meridionale. Studi e ricerche, Messina 1994, pp. 323-375; B. Saitta, Catania, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 235-245; C. Terranova-D. Aprile-P. Fasanaro, Castello Ursino, in Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona, I, Archeologia e architettura, a cura di C.A. Di Stefano-A. Cadei, Siracusa-Palermo 2000, pp. 465-485 (con tutta la bibl. precedente); La fortezza perfetta, a cura di C. Terranova, "Kalós - Luoghi di Sicilia", suppl. al nr. 3, 2002. Da tali opere è possibile trarre un elenco di fonti e una bibliografia pressoché completi.