Ligety, catapulta della neve
Il 29enne statunitense trionfatore nel gigante alle Olimpiadi di Soči, oltre che atleta formidabile, è un ricercatore-sperimentatore che sugli sci sfida le leggi della fisica.
Ai Giochi olimpici invernali 2014 di Soˇci, Ted Ligety non ha solo conquistato la seconda medaglia d’oro olimpica della carriera. Con il titolo dello slalom gigante, seguito a quello vinto a Torino nel 2006 nella supercombinata, lo sciatore di Park City, che è pure un imprenditore di successo (ha una linea di caschi, guanti e occhiali per gli sport della neve), ha chiuso il cerchio di un dominio che, tra le porte larghe, dura ormai da varie stagioni. Il suo palmarès definisce il perimetro di una superiorità schiacciante: l’americano fino a ora ha conquistato per 5 volte la Coppa del mondo della specialità, superando campioni quali Tomba, Maier e von Grünigen, preceduto dal solo Ingemar Stenmark (8 vittorie). In più, in gigante, ci sono anche 22 vittorie nella Coppa del mondo – il 23° primo posto l’ha ottenuto in supercombinata –, due titoli e un bronzo iridati.
Dopo il trionfo a 5 cerchi in Russia, Ligety ha ammesso che si è trattato dell’impresa più desiderata della sua vita da atleta. Nello studiare la tecnica della conduzione dello sci è diventato anche una specie di ricercatore-sperimentatore.
È il gigantista che sfida le leggi della fisica. È l’uomo che nel 2012 si è adattato come nessun altro alla decisione della Federazione internazionale – ufficialmente per motivi di sicurezza, in realtà per assecondare gli interessi commerciali di un’azienda austriaca – di tornare a sci che consentono raggi di curvatura inferiori. Il re del carving, che già dominava nell’età delle sciancrature estreme, si è riciclato nella nuova realtà e si è abituato ad attrezzi che per altri sono ‘travi’ difficili da manovrare.
Effetto catapulta, ecco il segreto che Ted ha coltivato in ore e ore di allenamento, usando anche videocamere per riprendere le discese e studiare poi i filmati al rallentatore. Lo scacco matto avviene in 4 mosse: attacco alle porte dando l’impressione di sedersi, con le lamine che quasi formano un angolo di 90° con il terreno; ricerca di linee armoniche e morbide; preparazione della curva successiva già mentre chiude quella che sta effettuando; flessione dello sci in maniera tale che, rialzandosi, è scagliato verso la porta seguente. Per farla breve: lasciategli spazio fra le porte del gigante e lui massacrerà il mondo.
Ligety sa infatti far funzionare questa generazione nuova/vecchia di sci come nessun altro collega e avversario: quando ha davanti a sé i metri sufficienti per ‘carvare’, trova la spinta in uscita dalla curva grazie alla risposta elastica del materiale. Semplice a dirsi, molto meno a farsi, anche perché è necessaria una notevole forza di gambe: la supremazia di Ligety è dunque un mix di tecnica e di qualità fisiche, un meccanismo perfetto che ha come unico nemico le piste strette (rare nell’attuale circuito dello sci), come per esempio quella della Face de Bellevarde in Val d’Isère.
Viceversa, su tracciati come quello di Beaver Creek o come quello dell’Alta Badia, l’americano è in grado di scavare divari enormi, tant’è che qualcuno ha anche avanzato la proposta, forse non solo a mo’ di battuta, di farlo correre a handicap.
Ted era partito slalomista – e ai tempi rivaleggiava con Giorgio Rocca – però in breve è diventato gigantista: curvare in modo estremo è sempre stato il suo sogno e oggi è un marchio di fabbrica. La vittoria a Soˇci era attesa, anche alla luce dello strepitoso Mondiale del 2013 (oro in supergigante, supercombinata e gigante). Ma Ligety è stato doppiamente bravo perché ha resistito alla pressione che ha reso tutt’altro che agevole la conquista di una medaglia ampiamente annunciata. Grazie a lui gli Stati Uniti hanno colmato una lacuna storica: non avevano mai centrato il titolo olimpico nel gigante. Adesso agli USA, alla voce «primo posto», rimane un solo vuoto nella bacheca a 5 cerchi: manca il successo nel supergigante.
Dal 2018 comincerà la caccia e magari sarà proprio il ragazzo di Park City, che a 29 anni è il primo bi-olimpionico yankee maschile (tra le donne l’impresa era invece riuscita ad Andrea Mead-Lawrence nel 1952), a mettere l’ultima tessera del mosaico.
La tecnica dello slalom in due parole
- Sciancratura. I lati dello sci da slalom non sono paralleli ma hanno una forma che ricorda quella di una clessidra con la spatola (la parte anteriore dello sci) e la coda più larghe della parte centrale. Dalle misure dello sci (spatola-centro-coda) e attraverso una serie di calcoli si ottiene la determinazione del cosiddetto raggio di curvatura statico dello sci, ovvero il raggio della circonferenza che contiene uno degli archi della clessidra. Dal momento che la sciancratura più è marcata più favorisce la velocità in curva, dalla stagione 2013-14 la Federazione internazionale dello sci, al fine di limitare le velocità degli atleti e dunque i possibili rischi di cadute, ha inteso modificare i raggi di curvatura minimi degli sci da slalom gigante facendoli passare da 27 a 35 metri per gli uomini e da 23 a 30 per le donne.
- Carving. È la tecnica di discesa che sfrutta la sciancratura per ‘intagliare’ (ingl. to carve) nella neve la traiettoria curva. Da un punto di vista tecnico, inclinando lateralmente lo sci sulla lamina durante la curva, esso si àncora alla neve solo in punta e in coda. L’azione congiunta del peso dello sciatore e della forza centrifuga provoca una flessione dello sci, facendolo incurvare fino a quando anche la parte centrale della lamina arriva a toccare il manto nevoso. A questo punto lo sci, aderendo alla neve per tutta la sua lunghezza lungo un arco di circonferenza il cui raggio di curvatura (dinamico) dipende dalla lunghezza dello sci e da quanto è pronunciata la sciancratura, si comporta come una rotaia di un treno permettendo allo sciatore di curvare senza spostamenti laterali e perciò con minori attriti e maggiore velocità.