CATARSI (dal gr. κάϑαρσις "purificazione")
Il concetto greco di catarsi è di grande importanza per la connessione in cui Aristotele lo pose col problema dell'arte, dopo che esso aveva servito a designare, specialmente nell'orfismo e nel pitagorismo, particolari metodi o periodi di purgazione spirituale. Aristotele (e cfr. per ciò s. v. aristolele, pp. 357-58), nella sua giustificazione della mimesi artistica dalla condanna platonica, osservò come l'adeguazione passionale che si realizza nello spettatore rispetto alle vicende del dramma non fosse semplicemente passiva e negativa (come l'aveva considerata, e perciò respinta, il suo maestro), ma rappresentasse anzi quasi uno sfogo, una liberazione di quel che nell'anima corrispondeva a tale pathos: e vedendo così nella tragedia un'azione che "con la compassione e col terrore compie la purificazione di simili sentimenti" (Poetica, 6, 1449 b 25-26), pose per la prima volta, sia pure in una formulazione ancora assai compenetrata di fisiologismo, quel concetto dell'arte come liberazione dalla passione, che è poi rimasto tema fondamentale di tutta la storia dell'estetica: Nella quale quindi sarà da trovare inquadrata (v. estetica) anche quella storia particolare del concetto di catarsi, quale si manifestò p. es. nelle trattazioni del Goethe e del Lessing.
Bibl.: Per le origini del concetto di catarsi v. l'introduzione di A. Rostagni alla Poetica aristotelica, Torino 1928, che contiene anche una scelta bibliografia. Per tutto il resto, v. la bibliografia s. v. estetica.