Abstract
Vengono illustrate la disciplina e le principali questioni teoriche e applicative relative al catasto dei terreni e al catasto dei fabbricati, principalmente sotto il profilo tributario. In particolare, si esaminano le funzioni dei registri catastali e i profili sostanziali e processuali dell’accertamento catastale, evidenziando il ruolo dell’amministrazione e i diritti e gli obblighi del possessore dell’immobile.
Il Nuovo Catasto dei Terreni (nel sistema telematico dell’Agenzia delle Entrate definito Catasto Terreni) e il Nuovo Catasto Edilizio Urbano (quest’ultimo, integrato con i fabbricati rurali, originariamente da iscrivere nel catasto terreni, denominato “Catasto dei Fabbricati), sono stati istituiti allo scopo: 1) di accertare le proprietà immobili, e tenere in evidenza le mutazioni; 2) perequare l’imposta fondiaria (art. 1, R.d. 8.10.1931, n. 1572).
L’accertamento catastale ha, pertanto, innanzitutto finalità amministrative, in quanto diretto a formare un’anagrafe generale dei fabbricati e dei terreni, accertandone l’esistenza, lo stato, la qualificazione e la rendita, intesa come reddito medio ordinario ritraibile da un determinato immobile (medio, perché calcolato per una media di più anni; ordinario, perché riferito a condizioni normali).
Il conseguimento delle finalità amministrative costituisce lo strumento per la realizzazione di ulteriori funzioni che l’ordinamento attribuisce ai dati catastali. Tali ulteriori funzioni sono sia fiscali che civilistiche. La funzione di accertamento della proprietà immobiliare è rimasta inattuata, in quanto l’intestazione catastale non è stata considerata rilevante per la titolarità dei diritti reali sui beni immobili; i dati di identificazione catastale sono però richiesti nella nota di trascrizione (art. 2659 c.c.) e nell’atto di concessione dell’ipoteca (art. 2826 c.c.), e per le azioni di regolamento di confini è previsto che il giudice, in mancanza di altri elementi, si debba attenere al confine delineato dalle mappe catastali (art. 950, co. 3, c.c.). I dati catastali assumono rilevanza anche nella disciplina delle locazioni di immobili urbani (l. 27.7.1978, n. 392), nonché per l’individuazione del giudice competente nei processi di cognizione e di esecuzione, dove il codice di rito fa riferimento a tali dati per determinare il valore dei beni immobili (artt. 15, 17 e 568 c.p.c.). Infine, è disposto, a pena di nullità, che la parte alienante deve dichiarare la conformità dei dati catastali e delle planimetrie dei fabbricati allo stato di fatto dell’immobile oggetto dell’atto (art. 29, co. 1-bis, l. 27.2.1985, n. 52).
Peraltro, essendo sempre più numerosi e onerosi i tributi (imposte sui redditi, imposte sui trasferimenti, Imu) che fanno riferimento alle risultanze catastali, è divenuta principale la finalità tributaria. Ciò nonostante, il procedimento catastale non istituisce né applica alcuna imposta: sono invece le leggi che disciplinano i singoli tributi a valorizzare i dati inseriti nei registri catastali ai fini della determinazione delle rispettive imposte. Con la conseguenza, tra l’altro, che la disciplina catastale e la disciplina impositiva operano su due piani diversi, anche se tale distinzione non esclude che in uno stesso provvedimento normativo possano ritrovarsi regole relative ad entrambi gli aspetti.
Nelle sue linee essenziali l’originaria disciplina catastale pone una serie di adempimenti a carico dell’amministrazione finanziaria (ora Agenzia delle Entrate, già Agenzia del Territorio), da attuarsi attraverso atti generali e atti individuali.
In particolare, l’amministrazione finanziaria deve procedere: a) alla individuazione delle qualità dei terreni e delle categorie dei fabbricati per ciascuna zona censuaria; b) alla suddivisione in classi delle qualità e categorie individuate; c) alla formazione delle tariffe d’estimo, nelle quali indicare la rendita (per i terreni distinta in reddito dominicale e reddito agrario) attribuibile per unità di misura, a seconda della qualità, o categoria, e classe di appartenenza; d) alla suddivisione degli immobili (terreni e fabbricati) in particelle (e le particelle in subalterni); e) alla determinazione dell’estensione (dei terreni) e della consistenza (dei fabbricati); f) al classamento, cioè all’accertamento della qualità, o categoria, e classe di appartenenza delle singole particelle (o subalterni), in modo che, attraverso l’applicazione della tariffa d’estimo vigente in un determinato periodo d’imposta, si possa calcolarne la rendita. Per i fabbricati a destinazione speciale o particolare si procede alla determinazione della categoria e alla attribuzione di rendita mediante stima diretta; g) all’intestazione, cioè all’indicazione dei soggetti che vantano diritti reali sui beni.
A carico del possessore del bene immobile è posto l’obbligo di presentare una dichiarazione contenente gli elementi descrittivi del fabbricato o del terreno oggetto dell’accertamento catastale.
Inattuate sono rimaste le disposizioni destinate ad attribuire almeno parte delle funzioni catastali ai comuni; hanno trovato applicazione solo quelle norme (come i co. 335 e 336, art. 1, l. 30.12.2004, n. 311) che prevedono una più intensa collaborazione tra i comuni e l’agenzia al fine di accertare gli immobili e tenere aggiornati i relativi classamenti. È in corso di attivazione l’Anagrafe Immobiliare Integrata che integra le informazioni degli archivi catastali ed ipotecari al fine di supportare gli Enti locali nell’attività di accertamento dei relativi tributi.
Il regolamento approvato con il d.m. 19.04.1994, n. 701 (emanato in attuazione dell'art. 2, co. 1-quinquies e 1-septies, d.l. 23.1.1993, n. 16 convertito con modificazioni, nella l. 24.3.1993, n. 75), ha disposto che i possessori, nelle dichiarazioni relative alle unità immobiliari urbane di nuova costruzione e in quelle di variazione dello stato dei beni, devono anche “proporre” la categoria, la classe e la rendita da attribuire ai beni (nella prassi amministrativa “metodo DOCFA”, Documenti Catasto Fabbricati). Tale rendita è iscritta negli atti catastali come “rendita proposta”; e l'ufficio ha il potere, entro dodici mesi, di procedere alla “determinazione della rendita catastale definitiva”, avvalendosi di “mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione”. Se l’ufficio determina una rendita difforme da quella proposta, deve notificare la variazione al possessore (a carico del quale non è prevista alcuna sanzione). Se invece l’ufficio non procede alla determinazione di una rendita diversa entro il termine annuale previsto dal regolamento, la rendita proposta diventa “definitiva”, e non è prescritto per l’ufficio nessun obbligo di notifica.
Anche quando la rendita è divenuta definitiva, è ammesso espressamente che l’amministrazione possa procedere alla sua revisione, modificando “le risultanze censuarie iscritte in catasto”, a seguito della verifica dello stato dell’immobile, ovvero a seguito della presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione di variazione. Il decreto ha anche innovato i modelli per le denunce di variazione per i terreni (per i quali non è però prevista una proposta di rendita).
È discusso se possa ravvisarsi nella proposta, e nella sua iscrizione nei registri catastali, una sorta di autoclassamento, per cui il classamento da parte dell’amministrazione è diventato solo eventuale (Ghinassi, S., Catasto, in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, 243), oppure semplici adempimenti preliminari al classamento da parte dell’amministrazione, classamento che sarà configurato come classamento tacito quando la rendita proposta diventa definitiva solamente a causa del decorso del termine (Salanitro, G., Nuovi orientamenti in materia di dichiarazione catastale e classamento dei fabbricati, in Riv. dir. trib., 2000, 126 ss.).
La prima tesi è soluzione che appare difficilmente compatibile con la riserva legislativa dell’attività di classamento a favore dell’amministrazione. Si avrebbe, infatti, un classamento ad opera del contribuente, destinato a consolidarsi in caso di decorso del termine, e con esclusione di ogni attività dell’amministrazione, fatta salva la mera iscrizione in catasto della “rendita definitiva”. Una simile interpretazione dovrebbe tuttavia condurre a considerare illegittimo e disapplicabile il regolamento, in quanto in contrasto con la legge.
Se invece si accoglie la seconda interpretazione, è idonea a superare tali perplessità la precisazione che la proposta del contribuente costituisce solo una fase del procedimento di classamento, e che pertanto l’immobile, fintantoché non sia decorso il termine, deve seguitare a considerarsi non censito (o, meglio, censito con rendita proposta). In tale seconda prospettiva, non si avrebbe, infatti, un classamento ad opera del contribuente, ma solo una sua più rilevante partecipazione al procedimento amministrativo. Resta così ferma una caratteristica correntemente riconosciuta all’accertamento catastale che è quella dell’officiosità (La Rosa, S., Principi di diritto tributario, Torino, 2012, 322).
In mancanza di presentazione delle dichiarazioni catastali, l’art. 19, d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla l. 30.7.2010, n. 122, ha disposto che l’Agenzia del Territorio attribuisce, con oneri a carico dell’interessato, una rendita presunta, in quanto il classamento è effettuato in base ad un sopralluogo esterno, senza planimetria e con modalità semplificate.
Poiché l’assenza della planimetria rende difficoltosa l’applicazione del tributo comunale sui rifiuti e servizi, è prevista, dal co.2, art. 6, d.l. 2.3.2012, n. 16, convertito dalla l. 26.4.2012, n. 44, la determinazione di una superficie convenzionale, sulla base degli elementi in possesso dell’Agenzia delle Entrate. Per agevolare il passaggio dalla rendita presunta alla rendita determinata in base alla planimetria effettiva, il co. 7, art. 11, d.l. n. 16/2012 dispone che i soggetti obbligati devono provvedere alla presentazione degli atti di aggiornamento entro 120 giorni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del comunicato relativo all’affissione all’albo dei comuni dell’attribuzione della rendita presunta; in mancanza è prevista l’applicazione delle sanzioni amministrative per l’inadempimento degli obblighi di presentazione delle dichiarazioni catastali.
Secondo l’originaria disciplina posta negli artt. 14 ss. del d.P.R. 1.12.1949, n. 1142, le rendite dei fabbricati dovevano essere determinate in base a due criteri di calcolo. Un primo criterio, di generale applicazione, faceva riferimento al canone locativo. Un secondo criterio, applicabile in caso di assenza di contratti di locazione delle unità immobiliari rientranti in una determinata categoria e classe, ancorava la rendita all’interesse sul valore venale.
Con un successivo decreto del 20.1.1990 il Ministero delle finanze ha invece autorizzato l’amministrazione a procedere alla revisione delle tariffe d’estimo senza tenere conto dei canoni di locazione, ma solo sulla base del valore unitario di mercato, ordinariamente ritraibile dalla vendita dell’immobile. In attuazione del suddetto decreto, è stato emanato il d.m. 27.11.1991, che fissa per l’intero territorio nazionale le tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane.
Successivamente, l’art. 3, co. 154, della l. 23.12.1996, n. 662, ha disposto la revisione generale della tariffe d’estimo sulla base di criteri che, al fine di determinare la redditività media ordinariamente ritraibile dalle unità immobiliari, debbono fare riferimento ai valori e ai redditi medi espressi dal mercato immobiliare. In esecuzione di tale norma è stato emanato il d.P.R. 23.3.1998, n. 138, a tenore del quale la revisione delle tariffe d’estimo deve avvenire con riferimento ai valori (di compravendita) e ai redditi medi (da locazione) espressi dal mercato immobiliare. Il sistema normativo così delineato è rimasto però inattuato.
Attualmente si prospetta un disegno di riforma imperniato sui seguenti elementi: la costituzione di un sistema catastale che contempli, assieme alla rendita, il valore patrimoniale del bene, al fine di assicurare una base imponibile adeguata da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione; la rideterminazione della classificazione dei beni immobiliari; il superamento del sistema vigente per categorie e classi in relazione agli immobili ordinari, attraverso un sistema di funzioni statistiche che correlino il valore del bene o il reddito dello stesso alla localizzazione e alle caratteristiche edilizie; il superamento, per abitazioni e uffici, del “vano” come unità di misura della consistenza a fini fiscali, sostituendolo con la “superficie” espressa in metri quadrati (conteggiati secondo criteri da determinarsi nella legge e nei relativi regolamenti, soprattutto con riferimento ai vani accessori, terrazze, aree scoperte e corti); la riqualificazione dei metodi di stima diretta per gli immobili speciali.
L’accertamento catastale, se corretto, individua le caratteristiche rilevanti dei beni in un determinato momento. Nel corso del tempo, peraltro, si possono verificare sia variazioni del mercato (delle locazioni e delle compravendite), sia mutamenti delle caratteristiche materiali (per es., unificazione o divisione di un appartamento) ovvero giuridiche (per es., trasferimento dei diritti sul bene) degli immobili, ed occorre pertanto procedere all’allineamento delle risultanze catastali alla nuova situazione dei beni.
La disciplina dell’aggiornamento riguarda anzitutto gli atti catastali generali – su cui incidono principalmente le variazioni del mercato – ed in particolare prevede, “quando se ne manifesti l’esigenza per sopravvenute variazioni di carattere permanente nella capacità di reddito delle unità immobiliari e comunque ogni dieci anni”, la revisione periodica delle tariffe d’estimo (cfr. art. 34, co. 2, d.P.R. n. 917/1986). Per tenere conto degli effetti dell’inflazione è anche prevista l’applicazione di periodici coefficienti di aggiornamento. Per gli immobili a destinazione speciale si procede ad una revisione della rendita attribuita con la stima diretta..
A loro volta, per gli accertamenti individuali sono previste domande di voltura per l’aggiornamento della titolarità degli immobili e dichiarazioni di variazione dello stato dei beni per i mutamenti oggettivi. In tal caso il possessore è obbligato a presentare una dichiarazione di variazione dello stato dell’immobile, non solo se dal nuovo classamento deriva una rendita maggiore, ma anche se la rendita risulta inferiore. Anche tali dichiarazioni debbono contenere una proposta di attribuzione di categoria, classe e rendita: e il nuovo classamento proposto diventa definitivo se entro un anno non si ha una diversa determinazione dell’amministrazione.
Il regolamento ministeriale n. 701/1994 riconosce, peraltro, all’amministrazione la «facoltà ... di verificare, ai sensi dell’art. 4, comma 21, del d. l. n. 853/1984, le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni» ed «eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto» (art. 1, co. 3).
La facoltà di verifica consiste nella possibilità dell’effettuazione di una “visita sopralluogo” per accertare le reali condizioni del bene. La facoltà di verifica può essere anzitutto esercitata nei dodici mesi successivi alla presentazione della dichiarazione. Ma essa si può esercitare anche con riguardo alla rendita definitiva, come si desume dal riferimento regolamentare alle risultanze censuarie iscritte in catasto e dalla considerazione che la verifica, nei d.d.l.l. 19.12.1984, n. 853 e 14.3.1988, n. 70 era prevista proprio per il periodo successivo al classamento. La “visita sopralluogo”, infatti, nel nuovo sistema legislativo e regolamentare, in cui la dichiarazione deve contenere dati sufficienti per procedere all’accertamento catastale senza accedere alle proprietà private, è principalmente diretta a controllare la correttezza dei dati forniti dal possessore anche successivamente al classamento.
Seconda una parte della giurisprudenza, troverebbe attuazione il principio generale della necessità del contraddittorio anticipato, desumibile dall’art. 12 dello statuto del contribuente, con conseguente annullamento del classamento in caso di sua violazione. Soluzione criticabile sia per l’assenza di una disposizione specifica, sia perché appare insoddisfacente una tutela di mero annullamento.
Da ultimo, il co. 13 dell'art. 19 del d.l. n. 78 del 31.5.2010, convertito dalla l. 30.7.2010, n. 122, ha previsto che gli uffici dell'Agenzia delle Entrate, per lo svolgimento delle attività istruttorie connesse all'accertamento catastale, si possono avvalere dei poteri di cui agli artt. 51 e 52 del d.P.R. 26.10.1972, n. 633.
Alla verifica deve seguire un nuovo classamento, più o meno oneroso del precedente, quando risulta una divergenza rilevante fra gli elementi denunciati e quelli riscontrati (differenze che potrebbero essere già esistenti al tempo della denuncia o sopravvenute), ovvero un’erronea valutazione degli elementi già denunciati.
L’art. 38 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 dispone che se per un triennio il reddito lordo effettivo di una unità immobiliare differisce dalla rendita catastale per almeno il 50 per cento di questa, l’Ute, su segnalazione dell’ufficio delle imposte o del comune o del contribuente, deve procedere a verifica ai fini del diverso classamento. Il reddito lordo effettivo è costituito dai canoni di locazione relativi all’immobile, e in loro mancanza, dai canoni di locazione di unità immobiliari similari. Se la verifica interessa un numero elevato di unità immobiliari di una stessa zona censuaria, il Ministero delle finanze dispone la revisione per l’intera zona. La variazione del reddito risultante dalla revisione ha effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo in cui si sono verificati i presupposti per la revisione. L’amministrazione è obbligata ad effettuare la verifica, ma non a procedere ad un diverso classamento, se non ne emergono le condizioni. Poiché però, in base ai principi generali ed all’art. 2, l. 7.8.1990, 241, il procedimento deve concludersi con un atto finale, il risultato della verifica deve comunque condurre ad un nuovo classamento, che confermi, oppure modifichi i risultati del precedente accertamento. Tale nuovo classamento, in entrambi i casi, è impugnabile dal possessore.
Resta da esaminare se il contribuente, al di fuori del campo di applicazione della norma in esame, abbia ugualmente diritto ad un nuovo classamento, quando quello originario è illegittimo e non è stato impugnato nei termini.
Al riguardo, secondo l’opinione prevalente la soluzione dovrebbe essere negativa, in quanto non si ritrovano norme di legge le quali espressamente lo consentono e che vi è un termine di impugnazione comunemente ritenuto di natura perentoria (cfr. Min. delle Fin., Circolare n. 15/3/2949 del 3.8.1979).
Sorge peraltro il dubbio se il contribuente abbia il diritto di ottenere, attraverso la presentazione di un’apposita istanza di revisione, una nuova valutazione degli elementi già considerati, in rettifica del precedente classamento, ma sempre con effetto ex nunc (cioè dal momento della presentazione dell’istanza). Istanza che non può essere presentata qualora vi sia stata una sentenza passata in giudicato, con la precisazione che anche in questo caso, il giudicato impedisce il riesame o la deduzione di questioni preesistenti al provvedimento di rendita impugnato, ma non preclude l’allegazione o la cognizione di elementi sopravvenuti al provvedimento medesimo (Cass., 3.8.2012, n. 13999).
L’art. 19, lett. f), del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, ammette il ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, co. 2. Questo, a sua volta, indica le operazioni di intestazione, delimitazione, figura, estensione, classamento dei terreni, le ripartizioni dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le operazioni di determinazione della consistenza e del classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale.
Il ricorso è presentato, entro sessanta giorni dalla notificazione, dal possessore (da intendersi come titolare del diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento sul bene) presso le commissioni tributarie.
Con riguardo alle controversie concernenti l’intestazione, va precisato che la competenza delle commissioni tributarie non si estende all’accertamento del diritto di proprietà, o di altri diritti reali, per cui è competente solo l’autorità giudiziaria ordinaria. La commissione tributaria, piuttosto, deve verificare il rispetto delle norme concernenti l’intestazione iniziale e le successive volture.
Con riguardo alle controversie in tema di categoria e classe, va sottolineato che si tratta di controversie tipiche degli immobili a destinazione ordinaria, per i quali è prevista la determinazione della categoria e della classe. La categoria è individuata anche per gli immobili a destinazione speciale: un’attribuzione di rendita in senso proprio si ha soltanto per gli immobili a destinazione speciale e straordinaria.
Nel relativo giudizio rileva il difetto di motivazione, non ai fini della legittimità dell’atto, ma ai fini della verifica della sua fondatezza e correttezza. Non sembra, invece, più applicabile l’art. 75, d.P.R. 1.12.1949, n. 1142, che obbliga ad indicare altre unità immobiliari aventi medesime caratteristiche, ma diversamente classate, in quanto lesivo del diritto di difesa e relativo alla fase di formazione del catasto, nella quale era prevista la pubblicazione dei classamenti, e non alla fase di aggiornamento, nella quale è prevista la notificazione individuale.
Con il co. 3 dell’art. 12, d.l. n. 16/2012, è stato inserito, nel Capo IV del d.lgs. n. 546/1992, l’art. 69 bis, con la rubrica “Aggiornamento degli atti catastali”. La norma dispone che se la Commissione tributaria accoglie totalmente o parzialmente il ricorso proposto avverso gli atti relativi alle operazioni catastali e la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria ne rilascia copia munita dell’attestazione di passaggio in giudicato, sulla base della quale l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate provvede all’aggiornamento degli atti catastali.
Il co. 4 dell’art. 12 dispone che le sentenze non costituenti titolo esecutivo sono comunque annotate negli atti catastali.
Le norme concernono la messa in atti del classamento accertato dalla sentenza, particolarmente rilevante perché le norme impositive, ai fini della base imponibile, fanno riferimento alle rendite risultanti in catasto.
Poiché però la sentenza del giudice sostituisce il classamento illegittimo, è da ritenersi che ad essa l’Amministrazione sia tenuta a conformarsi, anche prima della messa in atti.
La norma richiede l’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza, e non la copia spedita in forma esecutiva, trattandosi di giudizio di accertamento e non di condanna.
L’annotamento delle sentenze non passate in giudicato, definite non costituenti titolo esecutivo, sembra avere solo la finalità di assicurare la conoscibilità dell’iter giurisdizionale, senza che venga sostituita la rendita determinata dall’amministrazione.
Una diversa lettura potrebbe avere effetti dirompenti sulla ricostruzione complessiva delle norme relative all’esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie, poiché sia l’art. 69 che l’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 presuppongono il passaggio in giudicato della sentenza (cfr. Randazzo, F., Art. 69, 69 bis e 70, in Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo, C.–Glendi, C., Padova, 2012).
Il classamento è sempre riferibile all’amministrazione, sia quando è operato in assenza di una “rendita proposta”, sia quando la determinazione dell’ufficio avviene a seguito della prescritta dichiarazione del possessore. Il fatto che il classamento proviene sempre dall’amministrazione induce a qualificarlo atto amministrativo: poiché accerta lo stato dei beni con conseguente attribuzione di una corrispondente qualificazione giuridica, lo si può inquadrare tra gli atti dichiarativi e, più precisamente, tra gli atti di certazione (cfr. Parlato, A., Il catasto dei terreni, Palermo, 1967; Salanitro, G., Profili sostanziali e processuali dell’accertamento catastale, Milano, 2003; La Rosa, S., Principi di diritto tributario, Torino, 2009, 326. Nel senso di una ricostruzione dichiarativa degli atti e delle operazioni catastali Uricchio, A., Il contenzioso catastale: la difficile convivenza di più giurisdizioni, in Rass. trib., 2005, n.5, 1403 ss.; contra Buccico, C., Il catasto. Profili procedimentali e processuali, Napoli, 2008,179).
Essendo un atto di natura dichiarativa, anche il relativo giudizio va configurato come giudizio di accertamento (cfr. Uricchio, A., Il contenzioso catastale: la difficile convivenza di più giurisdizioni, cit., il quale però ammette anche che il giudizio possa sfociare in una pronuncia di annullamento dell’atto, nel caso di illegittimità formali dell’atto, senza che si possa escludere la possibilità che l’agenzia si attivi nuovamente adottando un nuovo classamento immune da vizi; v. anche Fransoni, G., Giudicato tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2001, 588 ss.) anche se non mancano ricostruzioni del giudizio catastale come giudizio di annullamento (v. Glendi, C., L’oggetto del processo tributario, Padova, Cedam, 1984, 38).
E’ discussa anche la natura giuridica delle tariffe d’estimo, e degli atti che ne determinano i coefficienti di aggiornamento. Parte della dottrina vi riconosce natura normativa, sostenendo che avrebbero efficacia innovativa dell’ordinamento giuridico (Di Pietro, A., I regolamenti, le circolari e le altre norme amministrative per l’applicazione della legge tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, I, tomo II, Padova, 1994, p. 636), ovvero affermando che rientrerebbero tra gli atti espressione di una potestà discrezionale normativa avente ad oggetto una valutazione tecnica (Bafile, C., Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, p. 112). Appare preferibile ravvisare la natura di atto amministrativo generale in quanto con l’emanazione dell’atto determinativo delle tariffe l’amministrazione non innova l’ordinamento giuridico ma si limita a determinare le tariffe d’estimo, nelle forme ed entro i limiti previsti dalla legge. L’atto, pertanto, è espressione del potere di accertamento valutativo attribuito dalla legge all’amministrazione con riferimento all’entità della rendita nei confronti di una indeterminata pluralità di soggetti (i possessori degli immobili).
La tutela nei confronti delle tariffe d’estimo si ritrova nella disciplina posta nell’art. 7, co. 5, del d.lgs. n. 546/1992, a tenore del quale le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente. Pertanto, da un lato, è possibile impugnare direttamente l’atto, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, per un eventuale annullamento con effetti erga omnes, dinanzi al giudice amministrativo. Dall’altro lato, il contribuente può chiedere al giudice tributario la disapplicazione della tariffa d’estimo, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, e quindi in occasione dell’impugnazione di uno degli atti indicati nell’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992. In tale ipotesi, il giudice tributario non annulla la tariffa con effetti erga omnes, ma piuttosto non la applica al caso concreto oggetto del proprio giudizio.
Le tariffe d’estimo possono essere impugnate anche con il ricorso straordinario al capo dello Stato, previsto dall’art. 8, co. 1, d.P.R. 24.11.1971, n. 1199.
Infine, non sembra possibile riconoscere l’ammissibilità di un’adesione, in quanto il classamento non determina un tributo, ma una rendita che costituisce la base per l’applicazione di svariati tributi. Non vi è pertanto un’imponibile e un’imposta periodica o una tantum sulla quale aderire, né una riduzione delle sanzioni.
Non sembra inoltre applicabile l’istituto della mediazione, in quanto di valore indeterminabile, mentre è discusso se sia possibile la conciliazione giudiziale. In senso positivo si ritiene irrilevante l’impossibilità del versamento dell’imposta a seguito della conciliazione (Buccico, C., Il catasto. Profili procedimentali e processuali, Napoli, 2008, 179, 262 ss.); l’impossibilità del versamento non è tuttavia una mera questione di fatto, ma discende proprio dalla natura giuridica e dall’oggetto del classamento.
R.d. 8.10.1931, n. 1572; R.d.l. 13.4.1939, n. 652; d.P.R. 1.12. 1949, n. 1142; d.P.R. 22.12. 1986, n. 917; d.lgs. 31.12. 1992, n. 546; d.m. 19.4. 1994, n. 701.
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