GIANFIGLIAZZI, Catello (Castello)
Nacque a Firenze nel primo ventennio del secolo XIII da Rosso di Adimaro.
I Gianfigliazzi traevano il cognome da un certo Giovanni, figlio di Azzo, che nel 1201, come sindaco del Comune di Firenze, svolse trattative con quello di Siena. Erano un'antichissima e potente famiglia fiorentina dedita all'attività bancaria su scala internazionale; a differenza di altre grosse compagnie fiorentine operanti all'estero, come quelle dei Bardi e dei Peruzzi, per i quali l'attività creditizia era comprimaria del commercio e della manifattura, quelle dei Gianfigliazzi vi si dedicavano in maniera esclusiva, e anzi essi erano andati specializzandosi nei grossi prestiti concessi a signori feudali e grandi personalità. Nel 1227 figuravano tra quei finanzieri fiorentini che avevano ridotto in miseria attraverso prestiti a interesse altissimo, il vescovo di Fiesole, costretto a dare in garanzia dei mutui da lui contratti perfino il palazzo vescovile. Negli anni successivi avevano cominciato a investire le ingenti somme così guadagnate in attività all'estero, soprattutto dopo il 1260, quando l'effimera vittoria della fazione ghibellina a Montaperti li costrinse, in quanto guelfi, ad abbandonare Firenze. I Gianfigliazzi impiantarono filiali della loro compagnia bancaria nella Francia meridionale, soprattutto ad Avignone, ove divennero i finanziatori privilegiati dei frequentatori dello Studio; a favore di questi ultimi praticavano anche il prestito su pegno. Un'altra zona di influenza fu il Delfinato, ove divennero i banchieri preferiti dei signori locali, appartenenti alla famiglia La Tour du Pin. I Gianfigliazzi furono anche i finanziatori delle imprese militari di Carlo II d'Angiò, signore di Provenza e re di Napoli, cui fornirono anche armi, procurandosele a Firenze, e con il quale ebbero rapporti documentati dal 1290. Un ruolo analogo svolsero più tardi anche con Giacomo II re d'Aragona.
Per questa attività i Gianfigliazzi si unirono tra loro in piccole società composte da due o tre membri, cui talvolta associavano anche persone estranee alla famiglia; anche per questo aspetto si differenziarono dalle altre grandi compagnie fiorentine, costituite da un grande numero di soci. Praticavano sulle somme concesse in prestito un interesse medio del 36%, in un'epoca e in una società ove qualsiasi interesse superiore al 5% era considerato illecito e gravemente condannato dalla Chiesa. Erano comunemente ritenuti usurai, ma questo non impediva loro di godere di grande considerazione, sia nella città di Firenze sia fuori. Nei loro testamenti provvedevano poi "pro malis ablatis" a generose elargizioni e a fondazioni di cappelle e monasteri.
Per la sua attività creditizia su vasto raggio, per la familiarità con Carlo II d'Angiò e per l'affiliazione politica che lo legava alla fazione dei guelfi neri, responsabili della rovina della sua parte politica, Dante assunse il G. a simbolo dell'usuraio e lo collocò, insieme con Ciappo degli Embriachi e con il padovano Rinaldo degli Scrovegni, nel settimo cerchio dell'inferno; qui, seduto sulla sabbia ardente, è reso irriconoscibile dal fuoco che gli avvolge il viso, e ha come segno distintivo lo stemma con il leone azzurro rampante in campo d'oro sulla scarsella delle monete che tiene gelosamente appesa al collo (Inferno, XVII, vv. 59 s.).
L'identificazione con il G. dell'usuraio dantesco si deve essenzialmente a Luiso (p. 34) il quale, oltre a scoprirne il nome di battesimo, grazie alle chiose di Jacopo Alighieri, poté aggiungere sulla base dell'Expositio di Guido da Pisa altre informazioni ("Iste fuit unus florentinus de Gianfiliaçis qui toto tempore vite sue prestitit in partibus gallicis ad usuram; et cum esset annorum fere LXXX reversus est Florentiam et factus est miles […]"); poi, con minuziose ricerche d'archivio, riuscì a trovare un riscontro documentario dell'esistenza di una sua compagnia bancaria: si trattava di una società formata, oltre che dal G., dal fratello Gianfigliazzo e dal cugino Rosso di Cafaggio. Questa società aveva sede a Vienne, nel Delfinato, e annoverava tra i principali clienti gli stessi La Tour du Pin, signori del luogo: il loro crescente indebitamento con i Gianfigliazzi fu una delle cause che aprirono la strada all'annessione del Delfinato al Regno di Francia.
Il documento rintracciato dal Luiso (Arch. di Stato di Firenze, Dipl. S. Croce, Not. Ricco di Oderigo da Grignano: cfr. Luiso, pp. 42 s.) consiste in un lodo arbitrale pronunciato in seguito alla cessazione dell'attività della compagnia suddetta il 31 ott. 1283 e diretto a chiarire la posizione di ciascun socio nei confronti degli altri. In quell'occasione si stabilì che il G. dovesse dare al fratello 100 lire viennesi, mentre i titoli di credito nei confronti della famiglia La Tour du Pin ammontanti a 4000 lire viennesi venivano consegnati a persone di comune fiducia: a conclusione di queste operazioni il G. e il fratello si sarebbero rilasciati reciproca quietanza di tutte le pendenze derivanti "ratione societatis olim contracte inter eos et mercationis facte per eos in partibus ultramontanis". Si apprende inoltre da questo documento che il G. e il cugino detenevano i 3/4 del capitale sociale, e il fratello del G., Gianfigliazzo, un altro quarto.
La data del documento dovette coincidere approssimativamente con quella del ritorno definitivo del G. a Firenze, che, stando a Guido da Pisa, avvenne quando egli aveva circa ottanta anni. Poco dopo egli fu insignito della dignità cavalleresca: per questo motivo gli spettava il titolo di "dominus" che gli viene attribuito in alcuni documenti postumi. La dignità cavalleresca fu uno dei requisiti scelti dalla classe politica fiorentina salita al potere intorno agli anni Ottanta del Duecento per distinguere le famiglie dei magnati da quelle dei popolani: alle prime furono imposte con gli ordinamenti di giustizia del 1293 misure restrittive della libertà e l'esclusione dalle massime cariche del Comune; anche la famiglia Gianfigliazzi fu tra queste e benché taluni dei suoi membri siano stati consiglieri o sindaci della Parte guelfa, essa rimase esclusa dalla Signoria e dagli altri uffici maggiori del Comune per buona parte del secolo XIV.
Il G. oltre a Gianfigliazzo, suo socio nella compagnia bancaria, ebbe almeno un altro fratello di nome Cafaggio. Sposò Aldobrandesca, detta Decca, di Morando ed ebbe almeno tre figli: Giovanni, frate minore, che nel 1302 aveva rinunciato all'eredità paterna e che era già morto nel 1306; Dionigi, notaio; Giovanna, sposa di Monte di Guccio Ricuperi.
Morì a Firenze prima del 1300.
Alla sua morte la moglie si fece pinzochera del "vestito di Santa Croce", dell'Ordine francescano e si ritirò in una casa nei pressi dell'omonimo convento fiorentino, ove aveva preso gli ordini il figlio Giovanni.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 15525, cc. 13r, 14v, 48v; F.P. Luiso, Sulle tracce di un usuraio fiorentino, in Arch. stor. ital., s. 5, XLII (1908), pp. 19-40; A. Sapori, Le compagnie bancarie dei Gianfigliazzi, in Id., Studi di storia economica, II, Firenze 1955, pp. 931-933, 943-945, 948; Enc. Dantesca, III, p. 153.