CATERINA Corner (Cornaro), regina di Cipro
Del ramo di San Cassiano della nobile famiglia veneziana, nacque, secondo il Colbertaldo, suo primo biografo, il giorno di S. Caterina dell'anno 1454. Era figlia di Marco di Giorgio, discendente in linea diretta dall'omonimo doge, e di Fiorenza di Nicolò Crispo, duchessa di Nasso, nipote per parte di madre di Giovanni IV Comneno imperatore di Trebisonda e legata da vincoli di parentela alle case regnanti di Costantinopoli e di Persia. Serena la sua infanzia, trascorsa, come annota ancora il Colbertaldo, dapprima nel palazzo paterno e, dopo il compimento del decimo anno, in monastero. Quivi ella rimase presumibilmente sino al 1468, anno in cui, il 10 luglio secondo il Navagero, il 30 secondo il Malipiero, fu data in sposa per procura a Giacomo II Lusignano, re di Cipro.
Le nozze erano state proposte al giovane sovrano dallo zio paterno di C., Andrea, bandito da Venezia e in quegli anni confinato sull'isola ove aveva rinsaldato i già amichevoli rapporti dei Corner con la dinastia cipriota. Suggerendo tale matrimonio egli mirava a favorire sia la politica della Signoria, da sempre desiderosa d'estendere la propria influenza su quell'importante base commerciale e strategica, sia gli interessi della famiglia, che colà possedeva numerose piantagioni di zucchero ed era inoltre creditrice d'ingenti somme nei confronti del Tesoro regio. Giacomo II d'altro canto finì con l'accettare l'idea di quell'unione, spinto dalla necessità di rinsaldare la sua amicizia con la Repubblica in vista dei molteplici pericoli cui il trono usurpato nel 1464 alla sorellastra Carlotta grazie all'aiuto di avventurieri catalani e napoletani era allora esposto a causa dell'espansionismo turco e delle rivendicazioni della spodestata regina, cui s'andavano aggiungendo le pretese genovesi su Famagosta ch'egli aveva strappato alla Superba. La richiesta ufficiale, vista con favore dalla Serenissima, fu fatta dal Lusignano presumibilmente sul finire del 1467 tramite l'ambasciatore Filippo Mistahel, allora a Venezia per risolvere alcune controversie commerciali. Lo stesso Mistahel ebbe poi anche l'incarico di rappresentare il proprio sovrano alla fastosa cerimonia nuziale, descritta con dovizia di particolari dal Malipiero. Cospicua, del valore di 100.000 ducati la dote assegnata alla giovane patrizia: l'intero ammontare, comprensivo anche dei crediti che la famiglia vantava verso la corte cipriota, fu assicurato con decreto reale sulle rendite di Famagosta e di Cerines.
Lo sposo, però, anziché chiamare presso di sé C., trascurando l'impegno assunto sembrò accostarsi alla corte napoletana, tradizionalmente ostile alla Serenissima, e addirittura, dando ascolto al partito catalano che temeva di veder soffocato dall'ingerenza veneziana il predominio acquisito grazie ai servigi resi durante la conquista del regno, esaminare la possibilità di nuove nozze con una figlia naturale del re Ferdinando. Ma le ripetute pressioni della Signoria e più ancora i progressi del Turco lo indussero poco dopo a riavvicinarsi alla Repubblica e a concludere, nell'ottobre del 1469, un trattato d'alleanza in forza del quale, in considerazione della "vetusta et mutua amicitia" che lo legava alla Serenissima e della "affinitate nuper contracta" grazie al matrimonio con la Corner, veniva accolto sotto la protezione della Repubblica, che nel frattempo aveva dichiarato C. propria figlia adottiva. Nonostante l'accordo raggiunto, fu però soltanto nell'estate del 1472 che Giacomo II, allarmato per gli ulteriori successi degli Osmanli e per le voci di un'incombente minaccia genovese su Famagosta, ma, soprattutto, per il proposito manifestato dalla Signoria di favorire il ritorno sul trono dell'erede legittima dei Lusignano se non avesse regolarizzato la propria unione, si decise a inviare a Venezia gli ambasciatori incaricati di condurre la sposa a Cipro.
C. partì dal porto di San Nicolò di Lido, ove era stata accompagnata con gran seguito di nobili e popolo dallo stesso doge a bordo del Bucintoro e dove, nel monastero benedettino, il 26 settembre, con un testamento soffuso d'affetto per i familiari che s'apprestava a lasciare, aveva istituito il fratello Giorgio erede principale dei 15.000 ducati costituenti i beni parafernali, per il caso di propria morte senza discendenti. Giunta sull'isola, nella cattedrale di Famagosta venne unita in matrimonio al sovrano cipriota e più tardi, a Nicosia, fastosamente incoronata regina.
Neppure un anno dopo l'improvvisa morte di Giacomo II, avvenuta nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1473, e soprattutto le contraddittorie disposizioni ch'egli aveva dato in fin di vita, fecero sì che C., pur designata erede al trono insieme con il figlio di cui era incinta, proprio a causa dell'avanzata gravidanza si vedesse esclusa dal governo del regno affidato invece a un collegio di "commissari" scelti, ad eccezione di Andrea Corner, tra gli esponenti del partito catalano - e si sentisse inoltre insidiata dalle pretese dei tre figli naturali dello sposo cui veniva riconosciuto il diritto di successione in caso di morte sua e del nascituro. Né valse a rafforzare la posizione della sovrana il riconoscimento delle sue prerogative fatto, in danno delle rivendicazioni di Carlotta, dal sultano d'Egitto, signore feudale di Cipro, poco prima ch'ella desse alla luce (28 agosto) un bimbo, cui fu imposto il nome di Giacomo. Preoccupata per tale stato di cose, come pure per i rinnovati maneggi della Lusignano e per i contatti che alcuni governatori mantenevano con la corte napoletana, a difesa della regina intervenne allora la Repubblica, dapprima (24 agosto) ordinando al capitano generale da Mar, Pietro Mocenigo, di dirigersi sull'isola con il grosso della flotta e di occupare le posizioni strategiche più importanti, e poco dopo (31 agosto e 2 settembre) annunciando a Sisto IV, che concedeva il suo appoggio a Carlotta, e a Ferdinando di Napoli, che aveva accondisceso alle nozze del suo bastardo Alfonso con Ciarla, figlia naturale di Giacomo II, di voler difendere da qualunque pericolo quel regno conservandolo sotto l'attuale sovrana, propria figlia adottiva. Ma con il ritorno a Cipro del capo del partito catalano, l'arcivescovo di Nicosia Luigi Fabricies, che, oltre alla notizia del matrimonio da lui negoziato, recava da Napoli anche promesse d'aiuti e persino l'incitamento del papa - almeno a voler dar credito all'autenticità della lettera con cui Sisto IV, accusando Andrea Corner e il nipote Marco Bembo d'aver avvelenato il Lusignano, manifestava la propria meraviglia nel vedere ancora in tali mani il governo dell'isola - l'ostilità della maggior parte dei "commissari" verso la Serenissima si concretizzò in un complotto volto ad esautorare C., che dell'influenza veneziana a Cipro era il principale strumento.
Nella notte tra il 13 e il 14 novembre i congiurati, fatta irruzione nel palazzo reale, uccisero i più fidi consiglieri della regina e poco dopo anche il Corner e il Bembo accorsi a difenderla. Preoccupati della reazione di Venezia, nel tentativo di guadagnare tempo essi s'affrettarono ad assicurare ai rappresentanti veneziani la propria fedeltà alla Signoria e, sostenendo che il Corner era stato ucciso dai suoi stessi armati per aver negato loro il soldo, chiesero con insistenza,accampando il pretesto d'evitare ulteriori incidenti, il disarmo delle truppe veneziane, che venne prudentemente accordato; nel contempo però essi costringevano la sovrana a consegnare le fortezze, a dare l'assenso alle nozze negoziate dal Fabricies e a concedere al promesso sposo il titolo di principe di Galilea, di norma riservato all'erede al trono, giungendo persino a strapparle il figlioletto, che affidarono alla nonna paterna, e ad impadronirsi del sigillo reale e dei gioielli della Corona. Successivamente, per cercare di giustificare la loro condotta, inviarono a Venezia Filippo Podocataro con l'incarico di ribadire la loro fedeltà e di consegnare alcune lettere, estorte a C., in cui veniva accreditata la versione degli avvenimenti ch'essi avevano fornito. Nel frattempo il Mocenigo, insospettitosi alla notizia del passaggio delle navi napoletane che riportavano sull'isola il Fabricies, da Modone, ove s'era ritirato a disarmare con il grosso della flotta, aveva inviato a Cipro il provveditore Vettor Soranzo al comando di dieci galee, con l'ordine di difendere il regno da ogni pericolo. Preceduto dalla notizia - comunicata ad arte dai sopracomiti dei due navigli mandati in avanscoperta - dell'imminente arrivo dell'intera armata veneziana destinata a sventare la minaccia del sultano d'Egitto di rimettere sul trono Carlotta, il Soranzo giunse a Famagosta il 23 novembre e alle immediate profferte di fedeltà dei "commissari" rispose chiedendo fosse restituita alla regina la sua autorità, ciò che i governatori, continuando nella loro ambigua politica, mostrarono di fare. Ma il mancato invio d'aiuti da parte del sovrano napoletano, timoroso di porsi in aperto contrasto con la Repubblica, e il conseguente manifestarsi di sempre più gravi discordie tra i "commissari", alcuni dei quali, mirando ormai ad un accordo con la Serenissima, proposero addirittura il matrimonio tra una sorella di C. e il maggiore dei figli naturali di Giacomo II, indussero il Soranzo all'azione. Spronato dalla rivolta degli abitanti di Nicosia, che erano insorti acclamando la regina, il 31 dicembre egli sbarcò a Famagosta 700 uomini provocando l'immediata fuga a Rodi del Fabricies e di altri congiurati; assicuratosi quindi il possesso delle fortezze e messi a morte quanti erano compromessi con gli assassini del Corner e del Bembo, bandì dall'isola catalani, siciliani e napoletani procedendo anche alla confisca dei loro beni, sì che all'arrivo del Mocenigo con l'intera flotta (2 febbr. 1474) Cipro appariva già pacificata.
Ristabilito l'ordine la Repubblica, anziché restituire a C. la piena autorità, prendendo a pretesto l'inesperienza e la giovane età della sovrana, il 28 marzo 1474 deliberò d'affiancarle un provveditore e due consiglieri con il formale incarico d'assisterla nel governo dell'isola, ma, in realtà, per sottoporre il regno a una più stretta tutela mediante il diretto controllo - sia pure effettuato in nome della regina - dell'esercito e dell'amministrazione con particolare riguardo all'erario che, tramite l'imposizione di drastiche economie, avrebbe dovuto esser posto in grado di provvedere al tributo dovuto al sultano, come pure alle spese per la difesa e a quelle della corte. Nel contempo vennero anche allontanati dall'isola alcuni esponenti ciprioti nei quali la sovrana aveva trovato appoggio già nei giorni della congiura e al presente riponeva la propria fiducia. L'isolamento in cui venne così a trovarsi C. si fece ben più doloroso dopo che il 26 agosto di quello stesso anno il piccolo Giacomo morì prematuramente di febbri malariche: ella ne rimase sconvolta a tal punto che, come annota in una sua lettera l'ambasciatore mantovano a Milano Zaccaria Saggi, corse addirittura voce che si fosse "impicada de disperation". Per consolarla del grave lutto la Signoria stabilì allora d'inviare presso di lei il padre, che già da tempo ne aveva fatto richiesta, con l'incarico di collaborare con i propri rappresentanti, ma soprattutto di esortare i Ciprioti a rimanere fedeli alla regina ed a non prestare orecchio alle suggestioni indipendentistiche rinvigoritesi dopo la morte dell'erede al trono, ammonendo che per nessuna ragione Venezia avrebbe rinunciato a difendere il regno. A Cipro, ove giunse agli inizi del 1475, ben presto il Corner venne però in contrasto con i consiglieri e con il provveditore a causa delle limitazioni da loro imposte ai poteri della sovrana.
Una viva eco di tali contese e discussioni è contenuta, oltre che nelle lettere dei reggitori veneziani e del Corner, anche in due missive inviate da C. al doge il 14 aprile. Nella prima, lamentandosi delle continue ingerenze dei consiglieri negli affari dello Stato e dell'umiliante condizione in cui era tenuta, essendole persino negato d'usufruire delle rendite spettantile, ella chiedeva che per l'avvenire "voiano esser nostri conseieri e non nostri superiori"; nella seconda, confidenziale, accusava il Soranzo, che le aveva proibito d'allontanarsi dall'insalubre Famagosta, d'essere stato la causa della morte del figliuolo "che era quella consolatione che nui avevemo in questo mundo" e inoltre gli rimproverava di aver per lei "mancho estimatione et reputatione che se nui fossimo stato una sua serva, non essendo stato in nostra facoltà esser stada dona de x ducati ne avendo posudo accomandare ni a homo ne a femina nostri subdeti".
Desiderando rimuovere una delle cause di dissidio, il 7 giugno di quell'anno la Repubblica assegnò a C. una lista civile di 8.000 ducati di cui ella avrebbe potuto disporre senza controllo alcuno, ma nel contempo ribadì che l'effettivo governo dell'isola spettava ai rappresentanti veneziani quali esecutori dei propri ordini, suscitando così il disappunto della regina che, nel novembre successivo, si lamentò ancora una volta con il doge per le difficoltà frapposte all'esercizio della propria autorità. Tali proteste rimasero però inascoltate e la sovrana dovette rassegnarsi ad assistere alla progressiva trasformazione di Cipro da regno indipendente a possedimento della Serenissima, la quale, di fronte ai reiterati maneggi di Ferdinando e di Carlotta - la quale per dar maggior peso alle proprie pretese aveva adottato il bastardo del re napoletano - nell'ottobre del 1476 non esitò ad ordinare la deportazione a Venezia dei figli naturali e della madre di Giacomo II. E delle sole apparenze del potere regio C. continuò a godere anche dopo che, nell'agosto del 1477, la Repubblica, per ragioni d'opportunità politica, ordinò ai propri rappresentanti di restituire alla sovrana alcune prerogative giurisdizionali e di tributarle gli onori dovuti, affidando il controllo dell'esecuzione di tali ordini - giustificati dal fatto che la stessa Signoria aveva riconosciuto che ella "non habitare honorabiliter et regie videbatur sed obsideri potius et incommodissime quodammodo custodiri" - ai due sindaci inviati sull'isola per risanare l'erario, quasi completamente esausto, e per inquisire sulla condotta degli stessi reggitori e di tutti gli altri funzionari.
Il silenzio pressoché totale delle fonti cipriote e l'essenzialità di quelle veneziane non permettono di stabilire quale atteggiamento abbia tenuto C. negli anni successivi nei confronti della Repubblica. Se infatti allo stesso Consiglio dei dieci apparvero inverosimili le accuse di connivenza formulate contro la regina nell'aprile del 1479 da Marco Venier, comandante della guarnigione di Famagosta, prima della sua esecuzione - per rancore verso la sovrana che non aveva adeguatamente ripagato l'aiuto da lui fornito in occasione del complotto del Fabricies, e per desiderio di onori e ricchezze, insieme con alcuni ciprioti egli si era fatto convincere da Ferdinando e Carlotta a progettare l'uccisione dei reggitori veneziani e di C., ma, venuto a diverbio con un complice per futili motivi, era stato da questo tradito insieme con tutti i congiurati -, non è invece dato di sapere in che modo la regina abbia accolto la proposta di un matrimonio con il bastardo del sovrano napoletano avanzata qualche tempo dopo dallo stesso Ferdinando tramite una monaca. Il fatto però che contro di lei non sia stata adottata alcuna misura permette di ritenere che non si sia lasciata indurre a tentare di sottrarsi alla rigida tutela veneziana, ma abbia invece accettato il ruolo meramente formale impostole dalla Serenissima che anche in seguito, pur rinnovando le disposizioni dirette a concederle una maggior libertà sia personale sia patrimoniale, non tralasciò d'affermare il suo effettivo dominio su Cipro istituendo ad esempio (1481) l'ufficio dei Tre provveditori sopra offizi, incaricato tra l'altro di rivedere tutti i conti dell'erario cipriota, o sostituendosi poco dopo alla sovrana nel concedere un'amnistia generale per placare la tensione nell'isola.
Un mutamento della politica della Repubblica nei confronti del regno di Cipro e del ruolo sostenuto da C. si ebbe a partire dal gennaio del 1487 quando, fattasi precaria la situazione dell'isola contesa tra il sultano di Costantinopoli e quello del Cairo-Bāyazīd II l'aveva infatti richiesta già nella primavera precedente come base per le progettate operazioni contro l'Egitto mentre Qā'it bey aveva ordinato alla regina di porre Cipro in stato di difesa condonandole a tal fine due annualità di tributi - la Signoria incaricò l'oratore inviato a sondare le vere intenzioni della Porta di far sapere che "dictam... insulam iam multos annos esse nostram nosque habere dominium illius... atque demum nos libere in omnibus et per omnia regere, gubernare et custodire ipsam insulam tamquam propriam nostram...", senza accennare in alcun modo alla sovrana. Dato poi che gli accordi di pace stipulati con il Turco nel 1482 consentivano a Venezia d'esercitare la propria sovranità su tutti i luoghi che anche in futuro fossero venuti in suo possesso, il 21 febbraio di quello stesso anno la Repubblica decise l'annessione dell'isola rimandandone però l'attuazione a un momento più favorevole. Quasi contemporaneamente al maturare di tale importante decisione, forse confidando sulla probabile insoddisfazione di C., Ferdinando tentò ancora una volta d'estendere la propria influenza su Cipro, dando incarico a Rizzo di Marino, uno dei superstiti capi della congiura del 1473, e a Tristano Giblet, fratello d'una dama di corte molto cara alla regina, di recare alla sovrana una nuova proposta di nozze con il proprio bastardo. Ma i messaggeri del re napoletano non passarono inosservati e il capitano generale da Mar Francesco Priuli, che con alcune navi incrociava nei pressi dell'isola, riuscì a catturarli nel momento in cui s'apprestavano a lasciare Cipro, presumibilmente dopo aver avuto un abboccamento con la regina. Avuta notizia di tale intrigo la Serenissima, intuito ch'era ormai giunto il momento d'attuare l'annessione, il 28 ott. 1488 ordinò al Priuli di recarsi sull'isola con il grosso della flotta e "dulcis, humanibus, placabilibus et gratis verbis" persuadere C. a tornare in patria, assicurandole che anche là avrebbe continuato a godere delle prerogative reali e dell'appannaggio di 8.000 ducati; se non avesse acconsentito egli avrebbe dovuto comunicarle che la Repubblica la considerava una ribelle e imbarcarla sulla propria galera anche con la forza. Avrebbe dovuto inoltre convincere la sovrana a inviare al Cairo lettere che attestassero la sua spontanea volontà di ritirarsi a Venezia e assicurassero che l'intervento della Signoria mirava solo a proteggere Cipro dalle minacce di Bāyazīd, comune nemico. Per indurre C. ad accettare più facilmente tali imposizioni, comunicatele anche per lettera, la Signoria stabilì che il Priuli avrebbe dovuto essere accompagnato dal fratello della regina, che a tal fine fu fatto partire da Venezia il 7 novembre. Poiché però il giorno dopo arrivò la notizia che la sovrana, forse allettata dall'idea del nuovo matrimonio, avrebbe avuto in animo di raggiungere Vera Giblet rifugiatasi a Rodi dopo l'arresto del fratello, la Serenissima ordinò al Priuli e al Corner di recarsi colà e, nel caso vi avessero trovato C., di persuaderla ad obbedire agli ordini della Repubblica. Ma avuta conferma che la regina era a Cipro, i due inviati veneziani vi sbarcarono direttamente il 24 gennaio del 1489 e il Corner, facendo appello, secondo quanto ricorda il Bembo, soprattutto agli affetti familiari, riuscì a convincere la sorella dell'inutilità d'opporsi ai voleri della Signoria e della necessità d'acconsentire al trapasso dei poteri, che venne suggellato il 26 febbraio successivo con l'innalzamento del vessillo di S. Marco in tutta l'isola. Poco dopo, il 14 marzo, tra la commozione dei Ciprioti la sovrana insieme con il fratello s'imbarcò a Famagosta sulla galera comandata dal cugino Nicolò Corner, lasciando per sempre Cipro. Al termine d'una travagliata navigazione il 5 giugno giunse a Venezia, ove le furono tributate accoglienze degne della sua condizione regale.
Ricevuto l'omaggio dei più influenti patrizi prima ancora di sbarcare, C. prese alloggio nelle stanze fatte allestire per lei nel monastero di S. Nicolò di Lido, ed il giorno successivo venne condotta con gran seguito dallo stesso doge fino a S. Marco a bordo del Bucintoro. Seduta, come annota il Sanuto, "di sora dil doxe... vestida di veludo negro, con vello in testa, con zoie alla cipriota" ella apparve allo stesso austero diarista ancora "bella donna". Dopo aver solennemente rinnovato la donazione dell'isola la regina fu accompagnata al palazzo del duca di Ferrara, ove era consuetudine ospitare a spese della Repubblica i più illustri personaggi; durante il tragitto, giunta davanti al palazzo avito, ebbe la gioia di veder conferire al fratello la più alta onorificenza della Serenissima, il cavalierato di Stola d'oro.
Quindici giorni più tardi, il 20 giugno, in cambio della rinuncia a Cipro, C. ottenne in dono dalla Signoria la terra e il castello di Asolo di cui divenne "Domina",conservando però anche il titolo di "rejna de Jerusalem Cypri et Armeniae" e l'annuale rendita di 8.000 ducati.
Accompagnata da una piccola corte in cui spiccavano il medico tedesco Giovanni Sigismondo (poi sostituito da Francesco Tiraboschi), il segretario veneziano Francesco Timideo soprannominato Hurzio, a detta del Colbertaldo "eccellente poeta e non mediocre filosofo", e il cappellano cipriota Davide Lamberti, C. fece il solenne ingresso nel suo nuovo dominio l'11 ottobre successivo, scortata da oltre 4.000 persone accorse a riverirla dai territori vicini e accolta con esultanza dai nuovi sudditi. L'indomani, sotto la loggia, ricevette il benvenuto ufficiale dal giureconsulto e letterato asolano Taddeo Bovolini, che le indirizzò una forbita orazione.
Nei due anni che seguirono, pur soggiornando per lunghi periodi nel borgo asolano - vi rimase infatti presumibilmente sino al marzo del 1490 ospitandovi tra l'altro (dicembre 1489) una rappresentanza di nobili ciprioti venuti a renderle omaggio e vi ritornò poi in agosto per ascoltare la predicazione di Bernardino da Feltre su esortazione del quale istituirà più tardi l'annuale processione del 15 agosto - C. più che da Asolo sembrò essere attratta dal mondo di affetti familiari e di amicizie di cui poteva godere a Venezia, ospite sia della madre sia del fratello, presso il quale, ad esempio, è ricordata aver assistito, nell'inverno del 1491, a una giostra corsa da stradioti sul Canal Grande gelato. Soltanto a partire dal 1492 la regina, assumendo un concreto ruolo di mecenate, iniziò a privilegiare il suo nuovo dominio, sia arricchendolo di opere d'arte, quali il fonte battesimale scolpito nel duomo da Francesco Grazioli, la pala della chiesa di S. Marttino commissionata ad Andrea da Murano o la fontana fatta scavare nella roccia a Crespignaga, sia promuovendovi tutta una serie di restauri e di nuove costruzioni tra cui il suo palazzo estivo di Altivole, il "Barco",progettato ancora dal Grazioli, ma realizzato da un asolano, Pietro Lugato, e affrescato forse da un giovanissimo Giorgione e da Gerolamo da Treviso. E proprio nel borgo asolano che andava trasformandosi in una piccola corte rinascimentale, come anche a Venezia nel palazzo di San Cassiano o nella villa muranese, negli anni successivi la sovrana accolse con grande sfarzo e generosa ospitalità alcuni dei personaggi più noti del mondo culturale e politico dell'epoca quali l'assiduo Pandolfo Malatesta, Guidobaldo ed Elisabetta d'Urbino, Eleonora d'Aragona, Isabella d'Este e Beatrice Sforza che con la loro presenza contribuirono a dare della corte di C. quell'immagine di raffinatezza e di splendore che indurrà il Bembo ad ambientare nella cornice delle sontuose nozze, celebrate secondo la tradizione nell'autunno del 1495 tra una damigella, Luigia, e Floriano de' Floriani, quegli Asolani la cui estrema fortuna segnò, pur dopo la scomparsa della sovrana, la trasformazione della sua corte in uno dei luoghi ideali del Rinascimento italiano.
Al fasto esteriore che circondava C. non faceva certo riscontro un suo effettivo ruolo politico, dato che la Signoria, temendone forse ancora le aspirazioni al trono dei Lusignano, aveva concesso ben poco spazio alla sua attività di governo cercando invece d'appagarla con onori degni più della regina di Cipro che della signora di Asolo.
Una significativa testimonianza a tale riguardo è data dalle solenni accoglienze tributate a C., anche per volere della Repubblica, nell'estate del 1497, a Brescia, ove ella si recò a visitare il fratello elettovi podestà, e in tutte le città che attraversò durante il viaggio. Partita dal borgo asolano alla fine d'agosto accompagnata da un piccolo seguito di parenti, la regina sostò dapprima a Bassano, poi a Vicenza, quindi a Verona, ovunque ricevendo l'omaggio dei rettori veneziani e delle Comunità. Giunta in territorio bresciano, a Desenzano trovò ad attenderla, come testimonia il Sanuto, il fratello "con decente compagnia",a Ponte San Marco "40 zoveni cittadini a cavalo vestidi de zuponi rasi cremisini... con un fameio per uno",a Rezzato il conte di Pitigliano con varie squadre d'armati e Francesco Mocenigo, capitano di Brescia, con numerosa scorta, a Santa Eufemia "la capetania con più di 60 donne a cavalo". Preceduta da un fastoso corteo formato da uomini d'arme, dal clero, dai cittadini più ragguardevoli e da nobili in sontuose vesti ella entrò in città lunedì 4 settembre dalla porta di S. Nazzaro sotto un baldacchino di raso bianco e, attraverso le strade ricoperte di tappeti ed addobbate con sfarzo - ricorda ancora il Sanuto che i Bresciani avevano stanziato per i festeggiamenti ben 10.000 ducati e che l'oratore della Comunità presso la Signoria scrisse che "se'l fosse sta el serenissimo principe de Venecia ne lo imperatore non so se più se li potesse esser fatto et più ordinatamente" - la sovrana, dopo aver ricevuto il saluto augurale d'una mitica Diana che, circondata dalle Ninfe e da Cupido, l'attendeva su un carro trionfale, raggiunse la chiesa di S. Maria dei Miracoli, ove sostò in preghiera, e quindi palazzo Martinengo, ove le erano stati preparati superbi alloggi. Dopo aver riposato per un giorno, il mercoledì C. prese parte a una grande festa durante la quale il letterato Giovan Battista Appiani le rivolse una dotta allocuzione; la domenica successiva presenziò a una giostra corsa in suo onore dai più celebri campioni alla quale assistettero, richiamati dall'importanza dell'avvenimento, numerose personalità tra le quali, in incognito, lo stesso duca di Mantova.
Ma pur all'interno dei limiti impostile, l'azione di C. appare prevalentemente rivolta a tutelare gli interessi dei nuovi sudditi a favore dei quali, oltre ad avere istituito un Monte di Pietà, apportò anche alcune riforme all'amministrazione della giustizia e fece ampie concessioni di terreni da coltivare, provvedendo persino a far giungere da Cipro, in occasione della grande carestia del 1505, granaglie per il loro sostentamento. Quando poi, in seguito ai gravi avvenimenti verificatisi dopo la conclusione della lega di Cambrai, nel febbraio del 1509 l'incalzare delle truppe di Massimiliano mise in pericolo Asolo e costrinse la regina a riparare a Venezia, nel tentativo di sottrarre il proprio donunio a danni e vessazioni ella s'affrettò a sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà e poco dopo, avuta notizia che il borgo asolano era caduto sotto la giurisdizione del commissario cesareo Leonardo Trissino, inviò loro una lettera esortandoli a non perdersi d'animo perché "non siamo fuora de speranza di aver bona intelligenza con el ditto magnifico commissario". E i frutti d'una tale politica improntata a generosità si videro anche nel novembre di quello stesso anno quando, respinti gli Imperiali, la Comunità s'affrettò a mandare a Venezia quattro ambasciatori incaricati di fare nuovamente "atto di sudditanza vera e devota" alla sovrana, che ne provò viva soddisfazione. Stupisce quindi venire a conoscere da una deliberazione del Consiglio dei dieci del 3 apr. 1510 che C., forse mai rassegnatasi alla perdita del regno cipriota, pur prendendo in tal modo a cuore la sorte di Asolo, aveva avuto parte qualche tempo prima in alcuni intrighi orditi a Cipro da un tal Antonio Rossi e che per questo doveva venire ammonita ad astenersi da ulteriori maneggi, pena l'adozione nei suoi confronti di opportuni provvedimenti. Il rigoroso silenzio imposto alla regina e l'incarico di metterla sull'avviso dato anche a Giorgio Corner dimostrano però quale gravità la Serenissima attribuisse all'intera questione.
Molto probabilmente a seguito della deliberazione presa dai Dieci la sovrana si ritirò allora nel suo dominio dove ancora una volta fu accolta con entusiasmo e ricevette l'omaggio d'una composizione in versi del poeta Adamo Colbertaldo. Ma appena un mese più tardi la notizia che truppe tedesche erano ricomparse al "Barco" la indusse a riparare a Venezia dove nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1510 morì, annota il Sanuto, "de doja de stomecho" - già nel maggio del 1508 era infatti stata colpita da un "gravissimo mal di colico" - "dopo esser stata ammalata zorni 3"; lo stesso Sanuto ricorda inoltre di aver proposto, non appena la notizia fu portata in Collegio, di "far sonar dopio" a S. Marco in onore di C. e della sua famiglia, ricevendo l'approvazione del doge.
Solenni anche le estreme onoranze tributate dalla Repubblica alla propria figlia adottiva: testimonia ancora il Sanuto che la "bara coperta di restagno d'oro con una corona di quele di le zoie di San Marco di sopra in segno è rejna" fu portata dalla chiesa di S. Cassiano a quella dei SS. Apostoli attraverso un ponte di barche fatto appositamente gettare sul Canal Grande. Del mesto corteo, sfilato tra due fitte ali di popolo raccoltosi sin dall'alba, facevano parte la corte ducale, numerosi senatori, i parenti e "tutta la chieresia di Venexia, frati e scuole et il patriarca et cetera con grandi luminarie"; ai SS. Apostoli Andrea Navagero recitò l'orazione funebre - purtroppo da lui stesso poi distrutta assieme a molte delle sue opere - e quindi C. fu sepolta nella cappella di famiglia, accanto al padre, ove i suoi resti rimasero sino alla fine del '500 quando, in occasione del rifacimento del tempio, furono traslati nella chiesa del S. Salvatore. Quivi sono tuttora visibili il monumento funebre, opera di Bernardino Contino, e la lapide che la ricordano.Con il testamento autografo redatto nel palazzo di San Cassiano il 1º maggio 1508 C. aveva istituito unico erede di tutto il suo cospicuo patrimonio il fratello Giorgio a favore del quale, dimostrando di non fargli certamente carico della parte avuta nella sua rinuncia a Cipro, sin dal 1500 aveva redatto, per mezzo del segretario Hursio, un atto di donazione mortis causa del "Barco" e di tutti i suoi beni. Nello stesso testamento ella raccomandava però al fratello di "beneficiar nostre sorele, nepoti et servitori et damisele" come anche da viva era stata solita fare - data ad esempio al 1492 una donazione di 3.000 ducati, da ricavarsi sulle rendite cipriote, in favore della "beneamata cusina et damesela nostra cordialissima" Lucrezia Zen - soprattutto nei momenti più lieti della loro vita che aveva rallegrato con doni e festeggiamenti, come nel 1500 quando, secondo la tradizione, avrebbe donato alla damigella cipriota Fiammetta Buccari, unitasi in matrimonio con Rambaldo Avogadro degli Azzoni, un proprio ritratto e una Vergine dipinta da Antonello da Messina, o nel 1507 quando, per le nozze del nipote, Filippo Cappello con Andriana Marcello, fece recitare nel palazzo di San Cassiano una commedia, tra le prime rappresentate a Venezia.
Numerosi i componimenti d'occasione dedicati a C. dai contemporanei: oltre alle già menzionate orazioni del Bovolini e dell'Appiani e alla "pastorella" del Colbertaldo si ricordano l'elegia scritta da Bartolomeo Pagello per solennizzare il matrimonio della regina, il panegirico di Pietro Lazzaroni d'incerta data, ma sicuramente anteriore al 1489, che ne canta le doti, proprie d'una perfetta regina, il poemetto in terza rima dedicatole nel 1494 da Filenio Gallo in cui vien tessuto l'elogio della famiglia Corner e delle qualità fisiche e morali della sovrana, e ancora il poemetto dato alle stampe nel 1507 da Giovan Battista Liliani celebrante lo splendore di Asolo sotto il dominio di Caterina. Da tutte queste opere, pur entro i limiti derivanti dal loro carattere encomiastico, la figura della regina emerge con una ben definita tipologia di bellezza, facondia e pudicizia, ripresa, e meglio delineata, alla fine del '500, dal biografo Antonio Colbertaldo che sottolinea com'ella fosse "nel parlar molto eloquente","fedele nell'osservar le sue promesse","stabile nei proponimenti","devotissima oltre modo" e modesta al punto di non "cercar con nuove arti d'accrescer la bellezza che Dio gli diede". Ma già a partire dal secolo XVII l'ampia produzione - letteraria ispiratasi alle vicende della sovrana (dall'opera comica del Medici alle tragedie del Formalconi e dell'Emo, dai romanzi storici del Fiorio del Born e del Turnbull ai drammi lirici del Sacchero e dello Scribe) seppe cogliere solo gli aspetti più melodrammatici della sua vita, dando di C. quell'immagine ora di vittima della ragion di Stato, ora di fragile donna travolta dagli avvenimenti, che è giunta sino ai giorni nostri. Meno rilevante invece l'evoluzione subita dall'immagine di C. nell'ambito figurativo: sia nella rappresentazione degli artisti a lei più vicini sia in quella dei pittori tardo ottocenteschi ispiratisi al suo personaggio dopo secolare oblio, regalità bellezza e fascino caratterizzano infatti sempre la raffigurazione della regina, come nel più fedele ritratto dovuto a Gentile Bellini - che l'effigiò poi anche in un particolare de Il miracolo della Croce - o in quelli tradizionalmente attribuiti a Veronese ed a Tiziano, o nella scena corale dell'Arrivodi Caterina Cornaro a Venezia opera dell'Aliense, o infine, trascurando i numerosi quadri di non sicura attribuzione e datazione conservati in varie raccolte italiane tedesche e inglesi, nelle più recenti tele del Makart, Venedig huldigt der Catharina Cornaro, e del Wagrez, che la ritrae nell'atto di rimettere nelle mani del Priuli la corona di Cipro.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. naz. Marciana, cod. Lat. XII,142 (= 4510): B. Pagello, Carmina, cc. 28v-30v; Ibid., cod. It. VII,9 (= 8182): A. Colbertaldo, Historia di d.d. C. C. ...; Ibid., cod. It. VII, 2471 (= 10415): A. Pivetta, Storia di Asolo..., cap. III [cc. n. n.]; Ibid., cod. It. VI,410 (= 5971): Cod. miscell., alle cc. 98r-157r notizie raccolte da vari autori su C.; Venezia, Bibl. del Civ.Museo Correr, cod. Correr 410 (= 370): P. Lazzaroni, [Poemetto in lode di C. C.]; Ibid., cod. P.D.C. 252/V: G. Priuli, Diarii, c. 176r; Ibid., misc. Correr LXXXIV/2734: G. Lugato, Breve trattato et compendio della vita della serenissima C. C. ...; Ibid., cod. Cicogna 2889 ( = 3781): G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, cc. 202r-204r; Bologna, Bibl. universitaria, cod. 1121 (= 1838): [F. Galli], Il sogno [Poemetto dedicato a C. C.]; Asolo, Arch. del Museo civico, Liber Rubeus, passim. La più vasta ed importante raccolta di fonti è stata edita in M. L. de Mas Latrie, Histoire de l'île de Chypre..., III, Paris 1855, pp. 348-451, 814-824, 840-843; Id., Documents nouveaux servant preuves à l'histoire de l'île de Chypre..., Paris 1882, pp. 409-521, 583-586; si vedano anche G. B. Appiani, Oratio ad C. Cyprorum reginam..., [Brescia, Angelo e Iacopo de' Britannici, non prima del 6 sett. 1497] (cfr. Indice Generale Incunaboli 7838); P. Bembo, Della historia viniziana...,Venezia 1552, cc.7v-gr, 184v; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum…, Basileae 1570, pp. 576 s., 581-585; C. Cippico, Delle cose fatte da m. Pietro Mocenigo..., Venezia 1570, cc. 31v, 34r-42r; F. Pollicini, I fasti gloriosi dell'ecc.ma casa Cornara..., Padova 1698, pp. 11-15; M. Sanuto, Vitae ducum..., in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 1185, 1197 ss.; A. Navagero, Historia veneta…, ibid., XXIII, ibid. 1733, coll. 1127, 1131, 1137-1141, 1146, 1149 ss., 1156 s., 1160 s., 1196-1199; G. Trieste, Brevi notizie spettanti alla vita della regina C. C. …, in Miscell. di varia letter., VII, Lucca 1767, pp. 317-347; G. Galliccioli, Delle memorie venete antiche..., VI, Venezia 1795, pp. 142-146; D. Malipiero, Annali veneti…, a cura di F. Longo-A. Sagredo, in Archivio storico italiano, VII(1844), 2, pp. 597-612; G. Barbaro, Lettere al Senato veneto..., a cura di E. Cornet, Vienna 1852, passim; G. Bustrone, Χρονικόν Κύπρου, in K. Sathas, Μεσαιωνικὴ βιβλιοϑήκη, II, Venezia 1873, pp. 413-543 passim (nella trad. inglese di R. Dawkins, Melbourne 1964, ad Indicem); M. Sanuto, Diarii, I, II, I, IV, VI-XI,Venezia 1879-1884, ad Indices; F. Bustrone, Chronique de l'île de Chypre…, a cura di L. de Mas Latrie, in Collection de documents inédits sur l'histoire de France, Mélanges historiques, V, Paris 1886, pp. 10-459 passim;tra le varie compilaz. di storia veneziana le più ampie notizie su C. in P. Morosini, Dell'historia della città e repubblica di Venetia..., Venezia 1637, pp. 569 s., 576 s.,579-583, 589; V. Sandi, Principi dell'istoria della Repubblica di Venezia…, II, 2, Venezia 1756, pp. 848-861; M. A. Lugier, Storia della Repubblica di Venezia..., VII, Venezia 1768, pp. 233 s., 242-249, 275-277, 303-306, 313-316, 413-416; C. Tentori, Saggio sulla storia politica, civile, ecclesiastica... della Repubblica di Venezia..., VII, Venezia 1786, pp. 298-307; F. Mutinelli, Annali urbani di Venezia..., Venezia 1841, pp. 318-323, 373; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia. 1855, pp. 357-364, 432-439. I più completi profili biogr. moderni, ricchi di copiosa ma non sempre precisa bibliogr., sono A. Centelli, C. C. ed il suo regno, Venezia 1892; Loredana [A. Zacchia Rondinini], C. C. regina di Cipro, Roma 1938; M. Brion, C. C. regina di Cipro, Milano 1938. Vasti cenni biografici anche in L. Carrer, Anello di sette gemme, Venezia 1838, pp. 99-239; K.Herquet, Charlotta von Lusignan und C. C. …, Regensburg 1870, pp. 149-238; H. Brown, C. C. queen of Cyprus, in Studies in the history of Venice, I, London 1907, pp. 252-292; L. Fietta, C. C. del dottor Enrico Simonsfeld, in Arch. veneto, XXI(1881), pp. 40-81. Tra i meno noti contributi minori si segnalano D. Sacchi, C. C. regina di Cipro, in Vite e ritratti delle donne celebri, IV, Milano 1838, pp. 265-274; C. Hare, The most illustrious ladies of the Italian Renaissance, London 1904, pp. 185-203; O. F. Tencajoli, Principesse italiane nella storia d'altri paesi, Roma 1933, pp. 169-176; A. Berruti, Patriziato veneto. I Cornaro, Torino 1952, pp. 44-60. Sul periodo cipriota molto analitici G. Magnante, L'acquisto dell'isola di Cipro da parte della Repubblica di Venezia, in Archivio veneto, s. 5,LIX (1929), vol. 5, pp. 78-133; vol. 6, pp. 1-82; G. Hill, A history of Cyprus, III, Cambridge 1972, pp. 621-764 che, oltre ad un'ottima sintesi delle fonti e dell'intera produz. precedente, fornisce anche la più accurata bibliografia. Sul periodo asolano L. Comacchio, Splendore di Asolo ai tempi della regina Cornaro..., Castelfranco Veneto 1969, con ricca ma talora inesatta bibliografia. Per la fortuna letteraria di C. confronta E. A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 284, 292, 794; G. Soranzo, Bibliografia veneziana... in aggiunta e contin. del Saggio di E. A. Cicogna, Venezia 1855, pp. 226 s., 772. Sull'icon. E. Schaeffer, Bildnisse der C. C., in Monatsheftefür Kunstwissenschaft, IV(1911), pp. 25-34.