CATERINA da Siena, Santa
Nata a Siena il 25 marzo 1347, ventiquattresima figlia di Iacopo di Benincasa e di Lapa di Puccio di Piagente, C. entrò a far parte dell'Ordine della penitenza di s. Domenico nel 1363. Inizialmente condusse una vita di rigoroso ascetismo, ma in seguito si dedicò attivamente all'apostolato, anche attraverso una fitta corrispondenza epistolare con mistici, teologi e letterati. Con la sua influenza contribuì a sollecitare il ritorno del pontefice alla sede romana, abbandonata all'inizio del secolo in favore di quella avignonese. C. morì a Roma il 29 aprile 1380 e fu canonizzata da Pio II il 29 giugno 1461.Una prima nota distintiva della più antica iconografia cateriniana è data dall'immediatezza cronologica, essendo essa stata promossa già dagli stessi suoi diretti discepoli. Una seconda nota, non meno rilevante, consiste nella perspicua adozione di attributi e temi figurativi che, assunti nella fedeltà ai canoni tradizionali dell'iconografia sacra, si adeguano efficacemente alla specifica complessità della vita mistica di C. e della singolare sua missione dottrinale, ecclesiale, sociale e caritativa. Secondo le fonti (Tommaso Caffarini, Libellus de Supplemento Legende Prolixe) le prime immagini di C. furono ritratti - uno dei quali eseguito mentre C. era ancora vivente - purtroppo non pervenuti; i contemporanei ne rilevarono comunque la somiglianza, certo favorita dall'ambiente culturale senese dove, con Simone Martini, l'arte del ritratto era riapparsa.Ai primordi della testimonianza cultuale e artistica in onore di C. (Giunta, 1988) va ricordata l'iniziativa di Raimondo da Capua (1330-1399), figlio spirituale e confessore di C., autore della prima biografia, la Legenda Maior, scritta tra il 1385 e il 1395, mentre era maestro generale dell'Ordine dei Frati Predicatori. Questi ebbe cura (Tommaso Caffarini, Libellus de Supplemento Legende Prolixe) di farne dipingere l'immagine in vari luoghi e forse anche sulla parete accanto al sepolcro eretto nella chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma (Il processo Castellano). La scultura raffigurante C. attualmente esistente sul sarcofago è posteriore (ca. 1430), ma risale alla primitiva tomba raimondiana il marmo superstite con un angelo a mezzo busto, ad ali spiegate, scolpito negli stilemi della tarda tradizione arnolfiana romana, reggente un cartiglio con l'iscrizione funeraria, verosimilmente dettata dallo stesso Raimondo. Il dipinto raimondiano, sulla parete del sepolcro (Bianchi, 1988), rappresentava un episodio miracoloso: l'Apparizione a C. di Cristo rivestito della tunica, che ella aveva donato a un povero, adornata di pietre preziose, a significare la ricchezza spirituale della carità. Perduto quell'affresco, si può a esso avvicinare per derivata ispirazione quello di soggetto analogo, tuttora esistente ma deteriorato, nella primitiva abside della chiesa dell'antico monastero domenicano di S. Sisto Vecchio in Roma. I caratteri tardogotici seneseggianti dell'affresco ne potrebbero far risalire la datazione entro il primo ventennio del sec. 15° (Ronci, 1951). A Giovannino de Grassi è stato di recente attribuito (Gatti Perer, 1988) l'affresco, parzialmente riapparso nell'abside della chiesa domenicana di S. Eustorgio a Milano, che raffigura l'Estasi di C. (e non la Comunione mistica), databile all'epoca del passaggio del beato Raimondo per Milano (1391-1392).Il più antico documento iconografico felicemente conservato è l'affresco in S. Domenico a Siena, raffigurante C. e una devota (forse Giovanna Piccolomini) in atto di baciarle la mano, ormai universalmente attribuito al discepolo senese Andrea di Vanni d'Andrea (documentato tra il 1353 e il 1413), uomo di governo, diplomatico e pittore, al quale sono indirizzate tre lettere di Caterina. È presumibilmente corretta la datazione dell'affresco proposta agli anni 1380-1381 (Giunta, in Bianchi, Giunta, 1988, nr. 1), insieme con la possibile committenza del domenicano Tommaso della Fonte (m. nel 1390), congiunto di C. e suo primo confessore. Posto originariamente sulla parete destra della navata, l'affresco fu trasferito (1667) nell'adiacente cappella delle Volte, dove, fin dai tempi di C., le Mantellate si riunivano a pregare.Se il tema ispiratore dell'immagine di Andrea di Vanni è la soprannaturale maternità di C., una componente non meno determinante del volitivo carattere della santa, la virile fortezza, emerge dai tratti, sia pure idealizzati, del busto-reliquiario del capo, che con ragionevole ipotesi si può far risalire al 1385. Modellato in rame a sbalzo, originariamente dorato, dalla chiesa di S. Domenico, dove è rimasta la reliquia tuttora venerata nella cappella della santa, fu trasferito (1785) nella Bibl. Com. degli Intronati di Siena; è stato recentemente restaurato e destinato al Palazzo Pubblico della stessa città. Il reliquiario, finora considerato quattrocentesco, è stato retrodatato da Puglisi (in Bianchi, Giunta, 1988, nr. 205) tra la fine del sec. 14° e gli inizi del 15°, e ulteriormente al 1385 da Carli (1989), il quale lo ha identificato con il reliquiario portato in solenne processione per le vie di Siena nel settembreottobre 1385, quando i primi caterinati (così erano ironicamente chiamati dai Senesi i discepoli di C.), con a capo Raimondo da Capua, vollero celebrare in forma pubblica la memoria della concittadina onorando la preziosa reliquia che Raimondo stesso aveva voluto assicurare a Siena (Giunta, 1986; 1988, p. 65), e ne ha proposto l'ipotetica attribuzione all'orafo Pietro d'Angelo Guarnieri, padre di Jacopo della Quercia (Bianchi, 1991).Oltre a questi due capolavori, sono da ricordare in ambito senese due statue lignee dipinte, senza dubbio più tarde. La prima (Firenze, Mus. Bardini) è forse ascrivibile alla fine del sec. 14° o agli inizi del 15° (Puglisi, in Bianchi, Giunta, 1988, nr. 206; Carli, 1989); la seconda, già in un'edicola della fonte Branda di Siena, restaurata (Lenzini, 1968) e attualmente nell'oratorio della contrada dell'Oca nel santuario cateriniano, è stata riferita a prima del secondo o terzo decennio del sec. 15° (Giammarioli, in Bianchi, Giunta, 1988, nr. 207; Carli, 1989); da notare in quest'ultima, oltre all'attributo del libro, il simbolo del cuore. Fatta eccezione per un suggestivo dipinto su tavola con lo Sposalizio mistico di C. (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), della fine del sec. 14° o degli inizi del 15°, attribuito alla scuola di Francesco Traini o al Maestro di S. Orsola (Carli, 1974), e per un modesto affresco tardogotico con l'immagine di C. sul sepolcro delle Mantellate nel chiostro di S. Domenico, ora nel Mus. di Pittura murale a Prato (Bassan, in Bianchi, Giunta, 1988, nr. 182), tutte le opere d'arte di soggetto cateriniano pervenute e finora accertate, non soltanto in Toscana, ma anche nelle altre regioni d'Italia, travalicano il limite cronologico del sec. 15° inoltrato.Una cospicua documentazione iconografica è tuttavia offerta dalle miniature di due serie di codici, relativi sia alla vita sia agli scritti di C., che possono essere datati tra la fine del sec. 14° e il primo ventennio del 15° o poco oltre. Tale prezioso apporto si deve all'iniziativa di due discepoli di C., ambedue senesi di nascita e attivi l'uno a Venezia e l'altro in Lombardia e in Austria: Tommaso Caffarini e Stefano Maconi.Il domenicano Tommaso Caffarini (Siena, 1350 ca.-Venezia, 1434) fu infaticabile promotore della divulgazione della santità di Caterina. Alla notizia della convocazione del concilio di Costanza (1414-1418), Caffarini si affrettò a provvedere il convento di S. Domenico di Siena di oltre quattordici manoscritti, alcuni ornati di miniature e in parte da tempo già pronti, con le leggende e gli scritti di C. (dal 1785 conservati alla Bibl. Com. degli Intronati di Siena) e trasmise alcune leggende, le Lettere, il volume del Processo e una quantità di immagini xilografiche di C. ai rappresentanti dell'Ordine domenicano al concilio di Costanza.L'intento di Caffarini era di affrettare la canonizzazione di C., ma l'esame degli atti fu rinviato a tempo indeterminato a causa dello scisma conseguente al ritorno del papa da Avignone alla legittima sede romana. Una nuova forma di divulgazione era stata adottata da Caffarini sin dal tempo (1396) in cui si cominciò a celebrare in Venezia la commemorazione annuale di C.: "ordinatum fuit per quendam devotum eiusdem precipuum, ut ymago ipsius virginis etiam ystorialiter de facili multiplicabilis depingeretur in cartis [...] plura millia facta sunt et quotidie fiunt" (Il processo Castellano). Palese è l'interesse offerto da tale dato in rapporto alla storia dell'incisione: esso infatti consente di anticipare di alcuni decenni gli esordi della stampa figurativa in Italia, finora ritenuta ritardataria rispetto ad altri paesi europei (Bianchi, 1981, pp. 570, 584-595). Purtroppo non si è conservato nessun esemplare di tali xilografie.Caffarini testimonia la diffusione europea delle immagini di C. "in tabulis, aut in muris, sive cartis, sive in pannis, ac etiam libris" (Il processo Castellano). Se si deve rimpiangere la perdita di tale vasto patrimonio iconografico, se ne può ritrovare un'eco non trascurabile nei codici, alcuni dei quali con iniziali miniate o disegni a penna, salvatisi grazie alla secolare custodia delle biblioteche conventuali. A Caffarini risale inoltre il merito della creazione dello storico scriptorium in Venezia, formato da un nutrito numero di amanuensi secolari e da alcuni miniatori, tra cui la suora Franceschina, del collegio domenicano del Corpus Christi (Gilbert, 1984, pp. 112-113; Sorelli, 1984, p. 32), e diretto dallo stesso Caffarini con evidente omogeneità di risultati editoriali e iconografici. Motivo ispiratore del programma divulgativo fu l'affermazione della santità e del magistero dottrinale di Caterina. Nasce infatti alla soglia del sec. 15° una tipologia dell'immagine cateriniana che si distingue per la specifica valenza degli elementi simbolici e gestuali, desunti dalla tradizione iconografica medievale propria dei Dottori della Chiesa. C. è raffigurata nell'abito delle Mantellate; il nimbo è a raggi o polilobato more beatarum, secondo le norme canoniche che riservano l'aureola ai santi proclamati tali dalla Chiesa (Volpato, 1984a). In questa iconografia caffariniana tra le mani di C. è immancabile, oltre al giglio, il crocifisso (o la croce, talora di tipo bizantino, a bracci uguali e gemmata), che ne costituisce pertanto una nota distintiva, dato che nell'iconografia senese e toscana di C. non appare se non nella seconda metà del 15° secolo. Non sono invece indicate le stimmate, presenti nel citato affresco senese di Andrea di Vanni. Nell'iconografia cateriniana è inoltre sempre presente il libro (Legenda Maior latina, Roma, Arch. Generale dell'Ordine dei Predicatori, XIV.24, c. 20r, ante 1398; Libellus de Supplemento Legende Prolixe, Siena, Bibl. Com. degli Intronati, T I 2, c. 4, del 1417-1418), con particolare riferimento al Dialogo della Divina Provvidenza, dettato dalla santa in estasi, redatto tra l'autunno 1377 e l'ottobre 1378 e divenuto nella famiglia cateriniana il libro per antonomasia. Al libro si aggiungono non di rado lunghi cartigli o banderuole, o un pacchetto di plichi, tutti motivi intesi a visualizzare l'intensa attività epistolare che singolarmente distingue l'apostolato di C. (Processo Castellano, Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. IX.14, c. 2r; Legenda Maior, Parigi, BN, ital. 2178, c. 25r; tavola con C. e quattro beate domenicane, Murano, Mus. Vetrario). Relativamente frequente è anche un altro attributo proprio dei Dottori della Chiesa e allusivo allo Spirito Santo, la colomba librata sul capo, da collegarsi forse anche a una specifica visione giovanile di C. (Dialogo, Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. IX.192, c. 50r). Inoltre in alcune miniature nella mano della santa appare un simbolico modellino di chiesa insieme alla palma del martirio (Processo Castellano, Bologna, Bibl. Univ., 1542, c. 1r). Strettamente connesse al concetto del magistero dottrinale sono infine le miniature rappresentanti C. nell'atto di dettare il Dialogo o le Lettere che ornano alcuni dei relativi codici (Dialogo, Siena, Bibl. Com. degli Intronati, T II 4, c. 6v; Lettere, Modena, Arch. Capitolare, c. lr). Tale soggetto figurativo, derivato da analoghe e note rappresentazioni medievali che ritraggono il santo dottore nel gesto di scrivere o di dettare, aderisce al dato biografico cateriniano per l'inserimento della figura di una mantellata e il variare del numero degli scrivani, cui C. dettava simultaneamente più lettere, indirizzate a vari destinatari (Roma, BAV, Barb. lat. 4063, c. 6r).Le illustrazioni più tarde della silloge caffariniana delle Lettere (in origine venti; Siena, Bibl. Com. degli Intronati, T II 2; T II 3) sostituiscono l'unico schema d'ispirazione medievale (Lettere, Modena, Arch. Capitolare) con una pluralità di testate corrispondenti alle varie categorie di destinatari evocati nei loro tipici abiti. Purtroppo non poche pagine sono state pesantemente ripassate a colori, mentre il tratto originale dei disegni a penna con trasparenti acquarellature potrebbe giustificare il richiamo ai modi di Cristoforo Cortese (Huter, 1980).Le leggende dello scriptorium caffariniano, oltre all'immagine dottorale, presentano alcune scene della vita mistica di Caterina. Gli esordi iconografici risalgono ai due codici gemelli di Roma (Arch. Generale dell'Ordine dei Predicatori, XIV.24) e di Napoli (Bibl. Naz., XIV B.40). Il primo è databile tra il 1396 e il 1398 (data apposta in una nota di Caffarini) e il secondo, per stretta affinità stilistica, può considerarsi coevo. I temi privilegiati sono: C., ancora in abiti secolari, ha la visione di Cristo benedicente; C. riceve le stimmate; il Transito dell'anima, in aspetto di infante, accolta da Cristo. I medesimi soggetti si ripetono nelle miniature del più tardo codice di Norimberga (Stadtbibl., Cent.IV.75), ove la scena delle Stimmate è sviluppata in una composizione che rimane sostanzialmente costante per tutto il secolo; alla figurazione del Transito dell'anima si sostituisce il Compianto dei discepoli intorno alla salma di Caterina. Analoga versione iconografica offre il codice di Parigi (BN, ital. 2178), particolarmente felice nella soluzione compositiva nella scena delle Stimmate. Nella Legenda Minor latina (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. IX.192) e nei codici della Legenda Maior latina e italiana di Siena (Bibl. Com. degli Intronati, T I 1; T II 1) il tema delle Stimmate è sostituito dalla Comunione che C. riceve dalle mani di Cristo.La sostituzione della scena delle Stimmate con quella della Comunione miracolosa può essere stata suggerita dall'opportunità di evitare diatribe con quei Frati Minori che, per riservarne l'esclusività a s. Francesco, non intendevano ammettere l'autenticità delle stimmate di C., riconosciuta poi da un decreto di Urbano VIII. Caffarini, come aveva introdotto l'attributo distintivo del crocifisso nella raffigurazione dell'immagine, così, a partire dai primi episodi sopracitati, aveva programmaticamente puntato sull'evento delle sacre stimmate. Esemplare in questo senso è l'inclusione della scena delle Stimmate nella predella della piccola pala delle beate domenicane (Murano, Mus. Vetrario). Pubblicata (Kaftal, 1949, p. 23) come opera di scuola senese di ascendenza lorenzettiana del 1400 ca., è stata ricondotta (Bianchi, 1981) alla cerchia dei miniaturisti veneziani dello scriptorium e alla diretta ispirazione iconografica di Caffarini, il quale anche in precedenza aveva fatto eseguire in Pisa due dipinti, oggi perduti, rappresentanti C. con altre beate domenicane (Tommaso Caffarini, Libellus de Supplemento Legende Prolixe). La piccola pala, di ridotte dimensioni (m. 0,611,03), era evidentemente destinata a devozione privata, presumibilmente nel collegio del Corpus Christi di Terziarie Domenicane dell'Ordine della penitenza, fondato in Venezia (1394) da un altro devoto di C., il beato Giovanni Dominici (1355/1356-1419; Sorelli, 1984). Il dipinto è stato recentemente attribuito al senese Andrea di Bartolo con datazione al 1393-1394 (Gilbert, 1984) e al 1394-1398 (Freuler, 1987; Humfrey, 1990).Una rara tavoletta votiva (m. 0,560,32), già nella certosa di Pavia (New York, Metropolitan Mus. of Art), ritrae un monaco certosino, identificabile con Stefano Maconi, nell'atto di essere presentato da C. a Gesù bambino e alla Madonna (Laurent, in Il processo Castellano, 1942, pp. 221-226). Il finissimo dipinto potrebbe risalire al primo decennio del sec. 15°, al tempo in cui Maconi era priore generale dell'Ordine (1398-1410) e risiedeva a Žiče (Seitz), anche se finora esso è stato ritenuto posteriore (Laurent, in Il processo Castellano, 1942: 1411-1421; Albertini Ottolenghi, 1987: 1426-1434, attribuito a Giorgio da Mangano; Gatti Perer, 1988; Ghidoli, in Bianchi, Giunta, 1988, nr. 106).Stefano Maconi (Siena 1350 ca.-Pavia 1424) era stato affezionatissimo figlio spirituale di C., che aveva seguita ad Avignone, quando essa vi si era recata per ottenere la pace tra Firenze e il papa. L'aveva poi seguita a Roma, quando C. era stata chiamata da Urbano VI per fronteggiare l'insorgere dello scisma (1378) e qui fu presente al di lei transito (1380). In fraterna amicizia con Caffarini, fu anch'egli, prima ancora dell'inizio del sec. 15°, un attivo divulgatore delle opere e dello spirito di C., avvalendosi degli amanuensi e miniatori certosini e redigendo personalmente la traduzione in italiano della Legenda di Raimondo da Capua e quella in latino del Dialogo. Considerata l'intensità di scambi e l'unità di intenti intercorsi tra i due caterinati, è tanto più rilevante l'indipendenza iconografica dei codici maconiani dallo scriptorium caffariniano. Non soltanto essi se ne differenziano stilisticamente, essendo prodotti in ambienti artistici diversi, e cioè in Lombardia e in Austria, ma offrono anche una versione iconografica autonoma. A parte qualche variante dell'abito (talvolta il velo bianco del capo scende oltre le spalle: Legenda Maior, Milano, Bibl. Naz. Braidense, AD.IX.38), è quasi sempre presente l'attributo del libro, mentre il giglio è sostituito da un simbolo del tutto nuovo, che rimase esclusivo dell'iconografia maconiana: due rose, una bianca e una rossa, poste nella mano di C. a ricordare la "rosa odorifera della perfetta purità" (Lettere, 44; 351) e l'"ardentissima rosa vermiglia del sangue di Cristo" che ha redento l'umanità peccatrice (Lettere, 362), in testuale riferimento a un'appassionata espressione raccolta dalla viva voce di C. dal discepolo Stefano Maconi e tramandata da Raimondo da Capua (Giunta, 1988). Esemplificative del duplice simbolo sono le miniature della Legenda Maior di Vienna (Öst. Nat. Bibl., 470) e del Processo Castellano di Mantova (Bibl. Com., 104, c. 12). È inoltre importante segnalare la precoce datazione di vari codici, come la Legenda Maior di Milano (Bibl. Naz. Braidense, AD.IX.38), che risale alla fine del sec. 14°, e quella di Lubiana (Narodna i Univerzitetna Knjižica, 12), datata 1401.La Legenda Maior (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 470) con le sue venticinque iniziali costituisce la prima 'vita illustrata', miniata (forse da un artista di scuola lombarda) prima del 1404. Maconi ne fece dono ad Alberto IV d'Asburgo (m. nel 1404), guadagnato alla causa per il riconoscimento canonico della santità di Caterina. Considerata l'espansione divulgativa in Fiandra, in Prussia, a Treviri, a Praga, dovuta sempre a Maconi, non è assurda l'ipotesi che una seconda biografia in lingua tedesca, illustrata da ben novantasette disegni acquarellati a colori (Parigi, BN, allem. 34) risalga alla sua iniziativa e probabilmente agli anni del suo generalato a Žiče (Seitz).
Bibl.:
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