CATERINA de' Medici, regina di Francia
Nata il 13 aprile 1519 a Firenze, perdeva di lì a quindici giorni la madre, Madeleine de la Tour d'Auvergne; e il 4 maggio il padre, Lorenzo de' Medici duca d'Urbino. La piccola fu posta sotto la custodia della nonna paterna, Alfonsina Orsini. Nell'ottobre di quello stesso anno era portata a Roma, presso Leone X, ma nel 1525 era ricondotta a Firenze, ove si trovava allo scoppiare dei tumulti del '27. Il governo repubblicano la toglieva dal Poggio a Caiano, ove era stata portata, la teneva quasi ostaggio in città nel monastero di Santa Lucia o in quello di Santa Caterina, infine presso le Murate. E qui la fanciulla appena decenne "messe tant'arte e confusione...." tra le compagne, pro e contro la repubblica (Busini), da dover essere ricondotta tra le mura di Santa Lucia. Gli ultimi giorni della repubblica fiorentina passarono poco lieti per lei, ché tra gli arrabbiati c'era chi voleva porla "fra merli per essere uccisa, e chi mandare al postribulo per essere violata" (Ammirato). Finito l'assedio, tornò a Roma con Clemente VII; ma nel 1532 era nuovamente a Firenze, donde partiva il 10 settembre 1533 per recarsi in Francia. Il 28 ottobre a Marsiglia sposava Enrico, allora duca d'Orleans, ma dal 1536, per la morte del fratello primogenito, erede al trono. Fu un matrimonio politico, lungamente discusso fra Roma e Parigi: e se la giovane finì con l'amare sinceramente il marito, questi, pur serbandole rispetto e stima, non la ricambiò; anzi ben presto la sua passione per Diana di Poitiers fu palese a tutti. La situazione veniva aggravata dal fatto che per i primi dieci anni la principessa non ebbe figli. Ma ella s'era saputa cattivare la simpatia di Francesco I, e seppe sopportare con dignità e accortezza la sua condizione, finché la nascita d'un prirno figlio (Francesco), nel 1544, veniva a rallietarla e, ad un tempo, a darle la sicurezza di non poter essere ripudiata dal marito. Quasi successivamente diede alla luce dieci tra figli e figlie; e durante il regno di Enrico II, sempre dominato da Diana di Poitiers, il suo compito fu quello d'una madre. Lo assolse bene: ché era in lei un'affettuosità famigliare talora commovente; sempre, sino all'ultimo di sua vita, fortissima.
Fino al 1559 era dunque vissuta nell'ombra. Nemmeno la morte tragica del marito (luglio 1559) e l'ascesa al trono del figlio quindicenne Francesco, dominato dalla moglie Maria Stuarda e, attraverso questa, dai Guisa, le permisero di divenir padrona. Ma già nella seconda metà del 1560 la sua influenza nella vita politica aumentava sensibilmente; e di colpo la morte di Francesco II (dicembre 1560) le offrì l'occasione di giocare il gran giuoco: riavvicinò a sé il connestabile di Montmorency, sempre potentissimo, costrinse i Guisa, senza bruschi incidenti, ad abbandonare il potere che di fatto avevano esercitato, Antonio di Borbone ad accettare un posto in sottordine, e ottenne dagli Stati Generali la tutela del giovane re, Carlo IX.
Da allora questa donna rivela una capacità di lavoro ed una energia formidabili. La muove, certo, un'avidità di potere grande: c'è in lei quasi il bisogno fisico di dirigere, d'intrigare, di far sentire il peso del proprio volere. Ma c'era anche in lei, italiana e accusata di favorire gl'Italiani e di voler la rovina della Francia, il senso della grandezza nazionale; ed ella pose nel difendere gl'interessi della Francia una cura gelosa, continua, che la rese assai poco accetta a Filippo II di Spagna. Le faceva tuttavia difetto il senso dei valori non politici nell'angusto senso della parola. E fu un guaio grosso che si rivelò di fronte ai contrasti di religione. C., che non poteva sentire profondamente il valore d'una fede, s'illuse che fosse sufficiente il giuoco manovrato fra i partiti: di qui le delusioni procuratele dalla sua politica. Avversa per principio ai calvinisti, C. non era. Cattolica sì ma non donna che potesse mandare al rogo gli eretici per fanatismo religioso. Quel che le premeva era invece tranquillizzare la Francia, che voleva dire anche assicurare il suo potere e quello della sua famiglia, e, ad un tempo, porre argine alle inquietanti ambizioni dei Guisa. Si ha pertanto, nel '61 e nei primi del '62, la politica di conciliazione: non solo C. ordina agli ufficiali regi di andare doucement in fatto di religione, di temporeggiare, di non inquisire troppo (cfr. Lettres, I, 192, 207-08, 217, ecc.), ma promulga l'editto del luglio 1561, che racchiude le prime concessioni ai riformati; convoca a Poissy teologi cattolici e calvinisti perché discutano e cerchino di porsi d'accordo; promulga infine l'editto del gennaio 1562 che fa sdegnare i cattolici, il papa, Filippo II di Spagna. Quanto scarsa sia in lei la preoccupazione religiosa, dimostra l'invito rivolto a Coligny e ai pastori calvinisti di farle sapere quale sarebbe la forza armata del loro partito, in caso d'una lotta aperta: evidentemente per decidere su chi appoggiarsi. Ma quando le ostilità tra i due partiti scoppiarono, il suo giuoco fu sconvolto. I più forti furono i triumviri cattolici; ed ella dovette lasciarsi rimorchiare dai Guisa e dai Montmorency. La morte di Antonio di Borbone e di Francesco di Guisa le permetteva tuttavia di riprendere nuovamente il comando; e opera sua fu l'editto di Amboise del 19 marzo 1563, che assicurava agli ugonotti libertà di coscienza e, entro limiti ristretti, libertà di culto. Poteva così credere d'aver pacificata la Francia; e dopo l'accordo con l'Inghilterra (pace di Troyes, del 12 aprile 1564), che assicurava definitivamente alla Francia Calais, andava a Bayonne per trovarvi la figlia Elisabetta moglie di Filippo II di Spagna e il duca d'Alba (14 giugno-2 luglio 1565). Ma l'entrevue de Bayonne ebbe per unico effetto di allarmare gli ugonotti, che si credettero a torto minacciati da un'alleanza franco-ispana; e fu la seconda guerra civile, e poi quasi subito la terza. Era un errore; ché C. proprio allora invece cercava di avvicinarsi all'Inghilterra e ai principi tedeschi, per evitare il predominio spagnolo. Né ancora essa si era decisa contro i calvinisti: l'editto di S. Germano (8 agosto 1570) lasciava addirittura in loro mano quattro piazzeforti di sicurezza. Ma dopo la pace di S. Germano, Coligny, riuscito a cattivarsi l'animo di Carlo IX, metteva innanzi i suoi grandi progetti di guerra contro la Spagna nei Paesi Bassi: via sulla quale C., che voleva assolutamente la pace, non poteva seguirlo. Influiva inoltre fortemente su di lei il timore di vedersi soppiantare dal capo ugonotto nella direzione effettiva del governo: e così, quando la situazione le parve perduta, e Carlo IX sembrò convinto della necessità di seguire il piano di Coligny, C. decise di agire. Trovò consenzienti i Guisa, Tavannes, il duca d'Angiò: e furono architettati prima l'assassinio del Coligny, fallito (22 agosto); poi il massacro generale, a cui il debole Carlo IX diede l'assenso. E fu la strage della notte di San Bartolomeo (24 agosto 1572), da parte di C. voluta (ma non da lungo tempo premeditata) e condotta a compimento esclusivamente per ragioni politiche, anche se poi la regina per ingraziarsi il papa e Filippo II, cercasse di presentare l'avvenimento come ispirato dalla preoccupazione di difendere il cattolicesimo in pericolo. Fu una triste notte, dalla cui foschia la figura di C. non ha più potuto liberarsi, di fronte ai contemporanei e di fronte ai posteri.
Ma già l'ambiziosa donna era presa da nuove preoccupazioni, e tramava per far salire al trono di Polonia il figlio Enrico, duca d'Angiò, il suo prediletto. Lo scopo fu raggiunto (1573), ma solo un anno dopo, morto Carlo IX, il beniamino tornava in Francia, come re (Enrico III). Gran gioia per la madre, che, certa ugualmente di continuare a reggere il governo, si vedeva d'accanto, trionfante, la pupilla dei suoi occhi. Ma fu breve letizia: scoppiano le baruffe in famiglia, l'intrigante e ambiziosissimo Francesco, duca d'Alençon, si pone in urto aperto col fratello, si mette a capo dei politiques e degli stessi ugonotti in rivolta, fugge dalla corte a Dreux. Nuove ansie per C., che deve far da intermediaria; rinnovate di lì a poco, quando nuovamente Francesco si rifugia in Angeri. Sono anni di fatiche, anche fisiche, enormi: nel '78 e nel '79 C., ormai sessantenne, percorre nondimeno la Francia, per fare opera di pace. E intanto cerca di tessere altra tela: riprende i progetti di matrimonio d'uno dei figli - questa volta il duca d'Alençon - con Elisabetta d'Inghilterra; di più, essa, che ha ordinato il massacro di S. Bartolomeo per timore della guerra con la Spagna, ora di fronte alla azione dei Guisa, capeggiatori della Ligue cattolica e appoggiati da Filippo II, pensa alla rottura con la Spagna. E interviene nella questione della successione di Portogallo, sia reclamando i diritti della sua famiglia, sia appoggiando il pretendente Antonio da Crato; e nell''83-84 invia truppe francesi in aiuto al figlio, duca d'Alençon, che opera contro gli Spagnoli nei Paesi Bassi. Ma rapidamente il suo influsso sulla vita politica francese decresceva. Ancora una volta ella tentava di salvare la dinastia con una politica di equilibrio; ma il duca di Guisa non piegava; la guerra riprendeva; a Parigi avveniva la journée des barricades. E C. de' Medici moriva, il 5 gennaio 1589, esecrata dagli uni e dagli altri. (V. tav. CXLIII).
Fonti. La fonte di gran lunga più importante è la raccolta delle Lettres de Catherine de Médicis, pubbl. da H. De La Ferrière e da Baguenault de Puchesse, dal 1880 al 1909 (voll. 10). Per le altre fonti v. Les sources de l'histoire de France, p. II; H. Hauser, Le XVIe siècle, III, Parigi 1912.
Bibl.: A. von Reumont, Die Jugend Caterina's de' Medici, Berlino 1854; H. De La Ferrière, Introd. all'ed. delle Lettres sopra citata; H. Mariéjol, Catherine de Médicis, 3ª ed., Parigi 1922; P. van Dyke, Catherine des Médicis, voll. 2, New York 1922. Per l'inizio del regno e le direttive politiche della regina, fondamentali gli studî di L. Romier, Le royaume de Catherine de Médicis, voll. 2, Parigi 1922; La conjuration d'Amboise, Parigi 1923; Catholiques et huguenots à la cour de Charles IX, Parigi 1924. Su momenti e questioni particolari v. E. Marcks, Die Zusammenkunft von Bayonne, Strasburgo 1889; E. Delfrance, Catherine de Médicis, ses astrologues et ses magiciens envoûteurs, Parigi 1911; G. Dodu, Le drame conjugal de Cathérine de Médicis, in Revue des études historiques, 1930. Per la notte di S. Bartolomeo, v. H. Baumgarten, Vor der Bartholomäusnacht, Strasburgo 1882; W. Platzhoff, Die Bartholomäusnacht, in Preussische Jahrbücher, 1912; anche L. Romier, in Revue du seizième siècle, I (1913).