Sforza, Caterina
Nata a Milano nel 1463 e morta a Firenze nel 1509. Figlia naturale, legittimata, di Galeazzo Maria, sposò nel 1477 il conte Girolamo Riario (→), signore di Imola e anche, dal 1480, di Forlì. Quando il marito fu assassinato da congiurati (1488), riuscì a resistere, chiudendosi nella fortezza di Ravaldino, fino all’arrivo dei soccorsi inviatile da Milano e Bologna. Governò quindi, come reggente per il figlio Ottaviano (→); nel 1496 o 1497, sposò in segreto Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, da cui ebbe un figlio, Giovanni dalle Bande Nere (→ Medici, Giovanni de’). Nel 1499-1500 dovette cedere alle armi del Valentino. Dopo una breve prigionia a Roma, riparò in Toscana.
M. conobbe personalmente la contessa, in occasione della legazione a Forlì (1499) per trattare la riconferma della condotta a Ottaviano Riario (LCSG, 1° t., pp. 268-98). Ne scrisse, poi, in diverse occasioni, e secondo diverse prospettive. Nel primo Decennale (1506), S. viene evocata come vittima di Cesare Borgia, «el qual, sotto la insegna de’ tre gigli, / d’Imola e di Furlì si fe’ signore, / e cavonne una donna co’ suo’ figli» (vv. 241-43). È oggetto di riflessione nel capitolo xx del Principe (An arces et multa alia, quae quottidie a principibus fiunt utilia an inutilia sint); nel capitolo vi del III libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (qui l’episodio dell’anàsyrma, ‘denudamento’, che, come vedremo, può assurgere a emblema dell’intera vita di S.; cfr. Verrier 2010); nel VII libro dell’Arte della guerra (1521), e infine è ricordata nei libri VII-VIII delle Istorie fiorentine (1525).
Due momenti critici della vita di Caterina vengono privilegiati da M.: la congiura del 1488, narrata e discussa nei Discorsi e nelle Istorie fiorentine, da lei vittoriosamente superata; la sconfitta subita a opera di Cesare Borgia tra il 1499 e il 1500, evocata nei Decennali, nel Principe e nell’Arte della guerra.
Caterina appare come una «vincitrice» nel 1488; addirittura, è la personificazione di un principe modello, per la capacità di riconquistare il potere, avendo saputo usare la «volpe» e il «leone». Risulta portavoce di M. nel passo dei Discorsi ove impartisce una lezione a congiurati ingenui e creduli, che non seppero spegnere, insieme al principe, la moglie e la discendenza. I capitoli dedicati a S. nelle Istorie fiorentine (VII xxii, VIII xxxiv) appaiono complementari della sequenza dei Discorsi. Vengono ricostruite la cronologia dei fatti e le cause della congiura: le ambizioni del primo papa nepotista, Sisto IV, già evidenti nella scelta di una S. come moglie di quel Girolamo Riario che esplicitamente M. presenta come figlio del papa; l’impopolarità dei Riario dovuta a vessazioni fiscali, ma soprattutto all’aver spogliato gli Ordelaffi della signoria forlivese.
Nel trattare il secondo momento, la perdita della signoria per mano di Cesare Borgia, sia nel Principe sia nell’Arte della guerra, M. sposta l’attenzione del lettore sul ruolo delle fortezze. In entrambe le ‘guerre’ combattute dalla contessa, la difesa fu imperniata sulle fortezze (quasi a conferma della battuta riferita nei Discorsi: «sendo domandato uno Spartano da uno Ateniese, se le mura di Atene gli parevano belle, gli rispose: – Sì, s’elle fussono abitate da donne», II xxiv 50). Nell’Arte della guerra M. privilegia l’approccio tecnico: concepita male la fortezza, «piena di luoghi da ritirarsi dall’uno nell’altro» ma inadatti a controllare i rispettivi accessi e inadeguata la tattica difensiva scelta dal castellano, Giovanni da Casale. Il paragrafo del Principe (xx 30) ha invece un approccio politico, che chiarisce inequivocabilmente la qualità tirannica di un signore che non può fidarsi né dei suoi sudditi né di «armi proprie». In questo passo M. evoca sia l’episodio del 1488, in cui la fortezza di Ravaldino aveva giovato alla contessa, sia quello del 1499, in cui la stessa era risultata inutile. Il dato contraddittorio non viene però neutralizzato: l’evento positivo del 1488 è infatti un’eccezione che, confermando la regola della scarsa utilità militare delle fortezze, tradisce la natura tirannica di chi, odiato dal proprio popolo, punta su di esse. Il passo è fondamentale in quanto racchiude, sia pur sotto forma di ipotetica litote – «sarebbe suto più sicuro a lei non essere odiata dal populo» –, un giudizio politico su Caterina, eluso nei Discorsi e nell’Arte della guerra, approfondito e motivato nelle Istorie fiorentine.
Nei Discorsi (III vi) M. racconta come, ai congiurati che tenevano in ostaggio i suoi figliuoli, Caterina dicesse di non temerne la soppressione perché «aveva ancora il modo a rifarne»; e accompagnasse alle parole l’esibizione delle «membra genitali». Sul gesto prestato da M. alla contessa di Forlì molto si è scritto. Fonti locali e documenti fiorentini (cfr. Graziani, Venturelli 1987; Hairston 2000) attestano che la contessa, per sfidare i nemici, fece ricorso a gesti o parole allusivi alla sfera sessuale. Attestato da tutte le fonti disponibili, ma taciuto da M., è il fatto che S. proclamasse ai congiurati di essere già incinta di Girolamo. La rimozione della gravidanza e soprattutto l’innesto di un gesto classico come l’anàsyrma nel contesto forlivese, ci allontanano dalla storia e ci avvicinano alla letteratura. All’articolo di Francesco Bausi (1991) che identificò dietro la frase proferita da Caterina quella pronunciata da un faraone, nelle Storie erodotiane, sono seguiti diversi interventi (Viroli, in Caterina Sforza una donna del Cinquecento, 2000; Hairston 2000) che hanno consentito di individuare come punto di riferimento di M. l’anàsyrma delle donne persiane e licie, quale stratagemma risolutivo di una situazione critica, registrato nell’opuscolo plutarchiano Gunaikòn aretài (Le virtù delle donne), disponibile in latino alla fine del Quattrocento. È stata pure indagata la polisemia dell’anàsyrma che innerva il gesto sforzesco, un gesto apotropaico e profilattico, suscettibile di una lettura pluridisciplinare (psicoanalitica, antropologica, religiosa, militare). La sua ‘machiavellizzazione’ risiede nell’angolatura strettamente politica e nell’iscrizione in un trattatello sulle congiure, a illustrazione «de’ pericoli che si corrono dopo la esecuzione, i quali sono solamente uno, e questo è quando e’ rimane alcuno che vendichi il principe morto». La duplice S. dei Discorsi – sessuale e cerebrale, aulica e plebea, greca e forlivese, vitale e mortifera, tragica e comica – è stata candidata allo statuto di «grande immagine» del machiavellismo, equivalente femminile del centauro, non solo per l’ibridismo che rimanderebbe alla varietas antropologica, ma perché l’episodio concentrerebbe con eccezionale densità diverse opzioni machiavelliane (Verrier 2010).
Nell’Arte della guerra M. elogia la «magnanima impresa» della contessa, «la quale aveva avuto animo ad aspettare uno esercito, il quale né il re di Napoli né il duca di Milano aveva aspettato». La resistenza di S. viene esaltata a prescindere dal fallimento effettuale e dagli strascichi umilianti (fatta prigioniera, fu trasportata trionfalmente a Castel Sant’Angelo da Cesare Borgia). Tutti i resoconti della lotta di S. con il Valentino variano il topos della donna virile in mezzo a uomini effeminati. Se M. ha «inventato» l’anàsyrma forlivese, diventando l’autore di una fortunata e contagiosa leggenda, non ha però né il primato né l’esclusiva della ‘viragine’ e dell’inversione delle parti tra maschi e femmine.
Il topos riscosse notevole successo, come documentano attestazioni anteriori, contemporanee e posteriori: da Filippo Foresti, che aveva messo in scena la metamorfosi di Caterina da donna in uomo durante la congiura (muliebres lachrymas pro virili sua e se rejecit..., «respinse le lacrime muliebri per quanto le toccava»), al motto riferito da Piero Parenti («quando crederono e’ Franzesi avere a fare con uomini trovorono donna, quando ebbono a fare con donne trovorono uomini»). Il fatto che i francesi fossero alleati del Valentino contribuì all’‘internazionalizzazione’ della viragine forlivese (Jean d’Auton, Philippe de Commynes, Pierre De Bourdeille, signore di Brantôme) – mentre scritture posteriori e storicamente autorevoli come quelle di Francesco Guicciardini e Paolo Giovio risultano evidentemente tributarie della versione machiavelliana (Graziani, Venturelli 1987; Verrier 2010).
I numerosi passi dedicati a S., la notorietà e la diffusione dell’opera machiavelliana, l’indubbia positività e originalità del trattamento della contessa di Forlì, fecero di M. lo storiografo di S. in parallelo con Foresti, autore di una biografia latina pubblicata in vita della contessa (1497), l’unica fonte a poter competere per consistenza e diffusione con M. (Collina, in Caterina Sforza una donna del Cinquecento, 2000). Ma, a saldare un legame postumo tra S. (morta nel 1509) e M. (morto nel 1527) fu nel 1537 l’ascesa al ducato di Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e nipote di Caterina. In virtù di questa imprevedibile concatenazione, M. diventò il panegirista ante litteram della nonna del duca di Firenze. Le «membra genitali», scandalosamente esibite dalle mura di un fortilizio, diventarono il «luogo donde era uscito il famoso campione» che avrebbe a sua volta generato il duca di Firenze, come scriverà un malizioso Traiano Boccalini nei suoi Ragguagli del Parnaso (1613). Caterina divenne quindi oggetto di strategie di recupero, sia iconografiche sia letterarie, nel ducato di Firenze, poi granducato di Toscana (de Vries 2010). D’altra parte, in tempi in cui l’opera di M. viene messa all’Indice (1559) ed è probito fare il suo nome, il nome di Caterina e qualsiasi allusione al memorabile gesto equivale a una citazione indiretta dei Discorsi. Caterina funge così anche da maschera a M., dal quale è diventata ormai indissociabile.
Con la Lucrezia mandragolesca, S. è sicuramente la figura femminile machiavelliana più corteggiata dalla critica. Oltre il monumentale omaggio di Pier Desiderio Pasolini alla fine dell’Ottocento, il gesto e le gesta della contessa affascinarono nel primo Novecento personalità collocate agli antipodi dello scacchiere ideologico: Gabriele D’Annunzio e la futurista Valentine de Saint-Point, da un lato, Antonio Gramsci, dall’altro, a conferma della notevole ambiguità del personaggio ricreato da Machiavelli. La contessa ha riscosso poi un indubbio successo critico negli ultimi vent’anni, in quanto il gesto prestatole da M. e più globalmente la sua ‘androginia’ la rendono particolarmente interessante per la critica d’impronta psicoanalitica e femminista.
Bibliografia: Fonti: Plutarchus, De claris mulieribus, trad. Alamanus Rinutinus, Brescia 1485; J.F. Foresti, De plurimis claris selectisque mulieribus, Ferrara 1497; J.F. Foresti, Sopplimento delle croniche universali del mondo, di F. Jacopo Filippo da Bergamo, tradotto nuovamente da M. Francesco Sansovino [...] con un ritratto delle più nobili città d’Italia, Venezia 1575; O. Fabio, La Vita di Caterina Sforza signora di Forlì scritta da Fabio Oliva forlivese, Forlì 1821; L. Cobelli, Cronache Forlivesi di Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’anno 1498, a cura di G. Carducci, E. Frati, con notizie e note di F. Guarini, Bologna 1874; A. Bernardi, Cronache Forlivesi di Andrea Bernardi (Novacula) dal 1476 al 1517, a cura di G. Mazzatinti, 1° vol., parte I e parte II, Bologna 1895-1896, 2° vol., Bologna 1897.
Per gli studi critici si vedano: V. Cian, Caterina Sforza. A proposito della Caterina Sforza di P.D. Pasolini, «Rivista storica italiana», 1893, 10, 4, pp. 577-610; P.D. Pasolini, Caterina Sforza, 3 voll., Roma 1893; P.D. Pasolini, Nuovi documenti su Caterina Sforza, Bologna 1897; A. Gramsci, La matrice, in Id., Sotto la mole (1916-1920), Torino 1960; Atti del Convegno di studi per il V centenario della nascita di Caterina Sforza (Imola 29 giugno - Forlì 24 ottobre 1964), Bologna 1965; A.M. Di Nola, Riso e oscenità, in Antropologia religiosa. Introduzione al problema e campioni di ricerca, Firenze 1974, pp. 15-90; N. Graziani, G. Venturelli, Caterina Sforza, Milano 1987; F. Bausi, Machiavelli e Caterina Sforza, «Archivio storico italiano», 1991, 149, pp. 887-92; J.F. Freccero, Medusa and the Madonna of Forlì. Political sexuality, in Machiavelli and the discourse of literature, ed. A.R. Ascoli, V. Kahn, Ithaca 1993, pp. 161-78; J. Schiesari, Libidinal economies: Machiavelli and fortune’s rape, in Desire in the Renaissance. Psychoanalysis and literature, ed. V. Finucci, R. Schwartz, Princeton 1994; J.L. Hairston, Skirting the issue: Machiavelli’s Caterina Sforza, «Renaissance quarterly», 2000, 53, pp. 687-712; Caterina Sforza una donna del Cinquecento: storia e arte tra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Novielli, Imola 2000 (in partic. B. Collina, Virago e guerriera. La «signora di Forlì» nella cultura umanistico-rinascimentale, pp. 77-84; M. Viroli, Niccolò Machiavelli e Caterina Sforza, pp. 85-91); M. Pellegrini, Congiure di Romagna. Lorenzo de’ Medici e il duplice tirannicidio a Forlì e a Faenza nel 1488, Firenze 2004; V. de Saint-Point, Manifesto della Donna futurista, trad. A. Lo Monaco, Genova 2006; B. Spackman, Machiavelli and gender, in The Cambridge companion to Machiavelli, ed. J.M. Najemy, Cambridge 2010, pp. 223-38; F. Verrier, Machiavel, Caterina Sforza ou l’origine d’un monde, Manziana 2010; F. Verrier Dubard de Gaillarbois, Caterina Sforza ovvero l’Anti-Lucrezia, in Giulio II. La cultura non classicistica, Sessione finale del Convegno Metafore di un pontificato. Giulio II, 1503-1513, a cura di P. Procaccioli con la collab. di M. Chiabò, A. Modigliani, Viterbo 2010; J. de Vries, Caterina Sforza and the art of appearances: gender, art and culture in early modern Italy, Farnham 2010; F. Verrier Dubard de Gaillarbois, Machiavelli in gonnella, Giornata di studi dedicata a Caterina Sforza in occasione del cinquecentenario della morte, Atti del Convegno di studi e della tavola rotonda internazionale, 16 maggio 2009, a cura di S. Arfelli, G. Giorgetti, Forlì 2011, pp. 55-65.