CATERINO (Catarino)
Personalità secondaria della pittura veneziana della fine del sec. XIV, menzionato per la prima volta nel 1362 (Thieme-Becker), C. è ricordato con il pittore Donato nel 1367, anno in cui riceve un compenso per la Croce (perduta) della chiesa di S. Agnese a Venezia. Nel 1372 firma e data insieme con Donato la Incoronazione della Querini-Stampalia di Venezia. Nel 1386 viene richiesto a C., a Donato e ad altri pittori e artisti veneziani di fare un crocifisso e due ancone per il convento di S. Platone a Zara (Prijateli). C. è poi ricordato da solo nel 1374 allorché esegue una grande ancona (perduta) dipinta e scolpita per S. Giorgio a Venezia. Nel 1375 data l'Incoronazione delle Gallerie dell'Accademia a Venezia. Nel 1390 è ricordato in un documento trevigiano (Bampo), secondo il quale abita a Venezia in contrada S. Luca, e sta riparando la Croce di S. Maria Maggiore a Treviso. Oltre alla Incoronazione delle Gallerie veneziane, C. firma, nella stessa raccolta, l'Incoronazione tra s. Lucia e s. Nicola da Tolentino;il polittico con Madonna dell'umiltà, santi e Crocifissione della Walters Art Gallery di Baltimora (F. Zeri, Italian painting in the Walters Art Gallery, Baltimore 1976, pp. 55 ss.); e una Madonna dell'umiltà all'Art Museum di Worcester. Questo elenco di opere è cresciuto con l'attribuzione a C. della Madonna dell'umiltà del Museo di pal. Venezia a Roma, della Madonna dell'umiltà di S. Francesco della Vigna a Venezia, della Madonna in trono con Bambino del Museo diocesano di Pennabili, della Crocifissione della parrocchiale di Cadoneghe (Padova) e della Madonna dell'umiltà della Pinacoteca comunale di Faenza.
Da questo elenco di opere, non lungo, ma sufficiente a ricostruire la personalità di un artista, C. appare come un volgarizzatore, in formule più popolari, della maniera di Lorenzo Veneziano: si nota infatti in lui una certa secchezza nella linea di contorno che tende ad indurire i lineamenti, un drappeggiare sempre eguale e monotono, che assieme ad un accenno di chiaroscuro può dare l'idea di una certa volumetria, l'uso parco delle ornamentazioni dorate sulle vesti. Questi ultimi fattori possono anche significare in C. la consuetudine con i pittori di Terraferma. Tali elementi figurativi sono molto diversi da quelli dell'unica testimonianza della attività comune di Donato e C., e cioè l'Incoronazione del 1372 della Querini-Stampalia di Venezia, legata piuttosto, anche nella scelta dei colori, più bruniti gli incarnati, più vivi e laccati i timbri delle vesti - dove tra l'altro l'oro è disposto a filamenti lunghi - alla tradizione di Paolo Veneziano. La differenza di questo dipinto dalle altre tavole di C. e la sua maggiore raffinatezza hanno fatto addirittura ipotizzare al Pallucchini la possibilità che ci fossero due pittori di nome Caterino (possibilità che peraltro era stata supposta già in Thieme-Becker). Tale ipotesi non sembra essere convincente. Ad ogni modo, secondo il Pallucchini Donato sarebbe stato maestro di C. e perciò nelle opere di collaborazione la sua personalità soverchierebbe quella del più giovane e certo meno dotato allievo. Il Dazzi invece ha notato nella stessa opera una differenza tra la parte centrale molto più raffinata ed elegante, e gli angeli, dipinti con tratto più rude e pesante, e attribuisce appunto questa parte a Caterino. Certo, se la collaborazione tra i due pittori fosse limitata entro l'anno 1372, ilproblema posto sarebbe sufficientemente risolto, ponendo dopo quest'anno i dipinti in cui C. lavora da solo. Maggiormente sconcerta la collaborazione tra Donato e C. nei lavori per il convento zaratino del 1386. Comunque dalle opere certe di C. e da quelle che a lui vengono attribuite emerge una personalità secondaria, di un divulgatore della cultura pittorica veneziana. Nell'Incoronazione realizzata nel 1375,l'artista appare molto legato alla tradizione iconografica paolesca, certamente mediata da Donato, come nel tipico trono ricoperto dalla stoffa ricamata e negli angeli musicanti dietro ad esso: tuttavia l'interpretazione è estremamente popolaresca, soprattutto nella espressività dei volti, mentre la durezza della linea di contorno raggela le forme al di là delle ornamentazioni dorate. Apparentemente più vivace è il polittico di Baltimora, dove la Madonna seduta su un prato fiorito ci richiama piuttosto una tipologia derivata da Lorenzo; nelle figure laterali e nella Crocifissione della cimasa un tentativo di abbozzare i volumi per mezzo di un incerto chiaroscuro (si veda il s. Giovanni nella Crocifissione) fa pensare che C. fosse in contatto con la cultura figurativa dell'entroterra padano, 0 almeno egli era legato a tutta una cerchia di pittori, tra cui Giovanni da Bologna - di cui pare ricopiare il S. Cristoforo ora al Museo di Padova -,che cercavano una mediazione tra il linguaggio gotico "alla veneziana" di Lorenzo e quello dei pittori della Terraferma, aperti da un lato alle istanze della cultura "occidentale",e dall'altro invece molto legati, specialmente nella scelta dei temi iconografici, al mondo figurativo e di Paolo e di Lorenzo.
Un tentativo di definizione cronologica dell'opera di C. è stato compiuto dal Pallucchini, che vede appunto dall'Incoronazione del 1375 alpolittico di Baltimora, all'Incoronazione tra s. Lucia e s. Nicola da Tolentino un progressivo distaccarsi dal "bizantinismo" di Paolo e una sempre maggiore accentuazione di modi laurenziani. L'ipotesi del Pallucchini appare convincente, ma va integrata con quella di un sempre maggiore contatto con i pittori dell'entroterra lagunare. Ché se ad esempio nell'ultima Incoronazione la s. Lucia appare chiaramente esemplata su figure di Lorenzo, anche se tradotta in rustico dialetto, la rude espressività di s. Nicola da Tolentino ci richiama nella scavata fisionomia, ottenuta con una accentuazione chiaroscurale altrimenti ignota a Venezia, l'ambiente padovano. Più difficile è tentare una collocazione cronologica per il gruppo delle Madonne dell'umiltà, che ripetono lo stesso motivo con variazioni appena percettibili, e che appaiono comunque legate alla "maniera" di Lorenzo, tradotta e volgarizzata. È tuttavia una tradizione stanca e senza via d'uscita che isterilizza la cultura pittorica veneziana prima della ventata nuova del gotico internazionale.
Fonti e Bibl.: Treviso, Bibl. com., ms. 1410: G. Bampo, I pittori fioriti a Treviso e nel territorio, documenti inediti dal sec. XIII al sec. XVII, I, p. 35;L. Testi, Storia della pittura veneziana, I, Bergamo 1909, pp. 236-246;P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 712 e n. 237;V. Lazareff, Maestro Paolo e la pittura venez. del suo tempo, in Arte veneta, VIII(1954), pp. 84, 89;K.Prijateli, Un documento zaratino su C. e Donato, ibid., XVI (1962), pp. 145 ss.; R. Pallucchini, La pittura venez. del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 195-200;M. Dazzi, L'"Incoronaz. della Vergine" di Donato e C.,in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lett. e arti, classe di scienze morali e lettere, CXXIII (1964-65), pp. 515-25;V. Scassellati Riccardi, Una "Madonna" di C.,in Arte antica e moderna, XXVII (1964), pp. 195 s.; I. Petricioli, Jedno Catarinovo dielo u Zadru? (Un'opera di C. a Zara?), in Peristil, VII-IX (1965-66), pp. 57-61; F. D'Arcais, Per il catal. di C., in Arte veneta, XXVII (1965), pp. 142-44;L. Grossato, in Da Giotto a Montegna (catal.), Venezia 1974, scheda 49;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 185(s. v. Catarino).