SACCO (Sacchi, de Sacchis), Catone
SACCO (Sacchi, de Sacchis), Catone. – Nacque a Pavia, probabilmente tra il 1394 e il 1397, da Ruggero, appartenente a una rilevante famiglia attestata in città da alcune generazioni e componente del Consiglio dei dodici di provvisione negli anni 1378-94, e da Agnesina Fiamberti, discendente da una famiglia decurionale pavese. Si conoscono i nomi dei fratelli Azzone, Lantermo, Isolino e Roscino.
Sacco si formò presso lo Studium generale di Pavia, conseguendo, quasi certamente nella medesima università, il dottorato in diritto civile prima del novembre 1418, quando venne immatricolato nel collegio dei dottori giuristi cittadini. Forse dopo alcuni anni di insegnamento su cattedre minori, dall’anno 1417-18 la sua docenza nello Studio pavese è attestata con continuità nei rotoli dei professori e dei salari, con un progressivo incremento di stipendio. Nel 1418-19 passò dalla lettura extraordinaria Digesti Veteris al Volumen e, nell’anno successivo, all’extraordinaria ordinariorum di diritto civile. Lasciò la docenza fra il 1422 e il 1424, forse a causa della peste dilagante in Lombardia, per assumere l’incarico di vicario del podestà di Verona, facendo certamente ritorno a Pavia nel 1425, incaricato della cattedra straordinaria di diritto civile.
Negli anni successivi la crescente fama del suo insegnamento gli procurò offerte da altre università, tra cui quelle di Bologna, Padova, Perugia e Siena: quest’ultima, per il trasferimento del giurista, coinvolse anche Francesco Filelfo e i circoli di letterati milanesi, ma incontrò la ferma opposizione del Consiglio ducale di Milano. Questi interessamenti, che non sembrano avere dato luogo ad alcun cambiamento di sede universitaria di Sacco, favorirono certamente la sua salita, nel 1439-40, alla lettura ordinaria di diritto civile con lo stipendio più elevato dello Studium, primazia salariale formalizzata da una disposizione di Filippo Maria Visconti, che il giurista chiese inutilmente al successore Francesco Sforza di riconfermagli. Mantenne la cattedra ordinaria di diritto civile sino al gennaio del 1463, pochi mesi prima di morire.
Nella sua produzione scientifica, nota dalla fine degli anni Venti, ricorse allo strumentario dei generi letterari tradizionali, componendo alcune lecturae sul Codex, sul Digesto, sull’Infortiatum, oltre a diverse reportationes (Super secunda Infortiati), recollectae (D. 30, De legatis primo; D. 31, De legatis secundo) e repetitiones al Digesto. Nel 1437 redasse un breve Tractatus de praescriptionibus e, in un anno imprecisato, una Artificialis memoriae ars, stampata intorno al 1480 a Milano per i tipi di Simone Magnago. Il suo Tractatus de ultimis voluntatibus è trasmesso nel lussuoso codice Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 4589, detto Sforzeide, miniato nella bottega pavese di Iacopo da San Pietro: nel 1458 l’autore lo offrì a Francesco Sforza, che lo fece collocare nella biblioteca del castello di Pavia.
Sacco venne chiamato con frequenza a esprimere consilia e arbitrati, in particolare durante il governo di Francesco Sforza, che lo volle tra i giuristi che compilarono i consilia avallanti il falso documento di donazione con il quale, nel novembre 1446, Filippo Maria Visconti avrebbe nominato suo erede e successore su tutte le città del ducato il genero Sforza. La sua fedeltà verso i signori di Milano non pare avere avuto declinazioni in incarichi ufficiali negli organismi di governo visconteo-sforzeschi, come accadde al contrario per diversi altri professori pavesi di diritto. Venne invece impiegato nell’amministrazione della giustizia in Pavia, entrando a far parte, certamente prima del 1444, del collegio cittadino dei giudici.
Accanto agli studi giuridici Sacco coltivò profondi interessi letterari, assumendo un importante ruolo nelle principali vicende della cultura lombarda. Si legò in amicizia con i più dinamici umanisti che operarono a Pavia e presso la corte di Milano nei decenni centrali del Quattrocento, tra cui il poeta Antonio Beccadelli, Maffeo Vegio, Pier Candido Decembrio, Giovanni Marrasio, Antonio da Rho e Guarino Veronese, dalle cui lettere emergono le relazioni di Sacco con altri umanisti dell’Italia settentrionale, come Francesco Barbaro. Entrò in contatto anche con importanti esponenti dell’Ordine dei frati minori, in particolare con Bernardino da Siena e Giovanni da Capistrano, conosciuti durante le loro predicazioni in area lombarda. Fu soprattutto la frequentazione di Lorenzo Valla a fornire a Sacco gli strumenti intellettuali per intervenire nella divaricazione culturale in atto tra l’insegnamento universitario del diritto, ancorato alla tradizione scolastica, e le forti istanze di rinnovamento di metodo, d’impianto storico e filologico-grammaticale, che stavano circolando nei milieux umanistici pavesi e milanesi.
Giunto a Pavia probabilmente nell’estate del 1431, Valla affidò all’Epistola contra Bartolum, inviata in prima redazione allo stesso Sacco, un appassionato attacco alla scienza giuridica medievale, di cui criticava la lingua dei suoi commentatori e l’abuso dei formalismi della dialettica teorica e della logica aristotelica. Le dure reazioni della facoltà giuridica pavese al libellus valliano costrinsero l’umanista, nel febbraio 1433, a lasciare la cattedra di retorica che teneva nella locale università e ad abbandonare la città.
Sacco assunse posizioni vicine a quelle di Valla nella sua polemica contro la dialettica scolastica, espressa nel trattato Originum libri, composto tra il 1435 e il 1440. In quest’opera, di cui è noto solo il primo dei tre libri che la costituivano, Sacco si contrappose all’immobilità metafisica dell’aeternitas aristotelica, fondando principalmente il suo pensiero su basi storiche. Tra i primi anni Trenta e la fine del decennio successivo Sacco compose il dialogo Semideus, nel quale, impiegando un procedimento analitico di matrice filologico-retorica, affrontò il tema della formazione dell’uomo di Stato. L’opera venne organizzata in tre libri, dedicati rispettivamente all’optimus princeps, all’assetto politico in tempo di pace e alle tecniche dell’arte militare, attraverso cui mantenere ed espandere, nel nome dell’ordine cristiano, il principato. La teorizzazione dell’istituto monarchico come suprema forma di governo colloca il Semideus all’interno del pensiero politico lombardo elaborato negli anni centrali del governo di Filippo Maria Visconti a sostegno dell’autocrazia milanese, al quale non furono estranei i giuristi attivi nello Studio pavese. Il trattato non si distingue per l’originalità del processo argomentativo intorno all’institutio principis, condotto principalmente mediante il costante richiamo ad auctoritates classiche, molte delle quali note a Sacco attraverso il De regimine principum di Egidio Romano.
I contatti con il movimento umanistico si ravvisano in alcune opere extragiuridiche di Sacco, rappresentate da carmi di genere epigrammatico e da alcune orazioni universitarie e di natura politica. L’adesione ai principi umanistici non incise in modo significativo sulla sua più tarda produzione giuridica e letteraria, né condusse il suo metodo di insegnamento fuori dal solco della giurisprudenza medievale di orientamento bartolistico, sebbene le sue posizioni si siano spesso mantenute indipendenti da quelle di altri autorevoli maestri e dalle opiniones communes.
Sofferente da tempo di podagra, Sacco morì nell’aprile 1463 e venne tumulato nella cappella da lui fondata nella chiesa di S. Maria del Carmine, in Pavia.
La morte venne commemorata in versi da noti docenti dello Studio, tra cui Giasone del Maino, che si formò alla sua scuola, come altri importanti docenti pavesi del tardo Quattrocento. Biondo Flavio, nella sua Italia illustrata, lo ricordò tra i maggiori professori di diritto dello Studium generale di Pavia. Il monumento funerario fu trasferito, nel 1787, nel cortile voltiano dell’Università di Pavia, ove si trova attualmente.
Alla fine degli anni Trenta aveva sposato Caterina di Antonio Bassi, vedova del giurista Pietro Besozzi, dalla quale non ebbe figli. Nel suo testamento, dettato nell’aprile 1458, dispose che, alla morte della moglie, i suoi possedimenti terrieri in Branduzzo, nell’Oltrepò, e le due abitazioni site nella parrocchia pavese di S. Giovanni in Borgo andassero all’ospedale cittadino di S. Matteo, con il vincolo di fondare un collegio per studenti ultramontani in teologia o in diritto. I contrasti sorti tra la vedova Caterina e i nipoti di Sacco sull’applicazione delle disposizioni testamentarie ritardarono l’apertura del collegio, che iniziò a essere attivo solo nel 1480; l’istituzione non era più in funzione già alla fine degli anni Venti del Cinquecento.
Non sono noti inventari della biblioteca di Sacco. I suoi libri vennero alienati dalla vedova, che dovette attendere a lungo la restituzione di diversi volumi, certamente quelli della sezione giuridica della biblioteca, rimasti nelle mani di studenti del professore, di cui probabilmente frequentavano l’abitazione. Nella biblioteca di Sacco trovarono certamente posto anche autori classici, patristici e opere di umanisti italiani, citati con frequenza nelle sue opere.
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