CATTANEO DELLA VOLTA, Cristoforo
Nobile genovese di parte ghibellina, nacque nel terzo o quarto decennio del sec. XV, secondogenito, dopo Simone, di Filippo fu Pietro. Ricoprì le prime cariche pubbliche sotto il dogato di Battista Fregoso, appoggiato in quegli anni dai Fieschi: nel 1479 fece parte dell’ufficio di Gazarie, che presiedeva agli ordinamenti navali, e l’anno successivo di quello dei Sindicatores, assai importante per le sue funzioni di controllo sulle massime magistrature dello Stato. Durante il dogato (1483-1488) del cardinale Paolo Fregoso, che aveva deposto il nipote Battista, la carriera del C. sembra interrotta: la sua attività politica riprende, intensa e senza sosta, solo dopo la definitiva cacciata del cardinale e il ritorno di Genova sotto la signoria del duca di Milano. Nello stesso 1488 il C. figura infatti tra i Protettori dell’ospedale di Pammatone, carica cui sarà rieletto nel 1494 (e che poi manterrà ininterrottamente dal 1500 al 1508). Nel 1489 venne impegnato nella prima importante missione fuori Genova, quale inviato straordinario, con Antonio Sauli, al duca di Milano, per esporgli le ragioni della ostilità del governo genovese alla conclusione di una tregua con i Fiorentini.
Nelle istruzioni, datate 2 apr. 1489 (dopo che il precedente 30 marzo il Banco di S. Giorgio aveva ricevuto l’ordine di pagamento di lire 150 ai due inviati), le motivazioni del rifiuto al progetto di Ludovico il Moro (che, con la firma di una tregua tra Genova e Firenze, sperava nella più rapida conclusione della pace in Italia), sono chiare e circostanziate. Il C. e il Sauli dovevano insistere col Moro sui danni morali subiti da Genova in occasione della violazione operata dai Fiorentini della pace conclusa nel 1486 per intervento del papa, e solo accennare ai danni economici, che erano quelli veramente temuti: lo stato di non belligeranza avrebbe favorito infatti la ripresa del commercio fiorentino in Oriente, specie quello di esportazione dei panni di lana, appunto in concorrenza con i Genovesi. Ma la missione del C. e del Sauli non conseguì il risultato desiderato: l’abilità del Moro fu tale che il successivo 30 aprile veniva firmato l’atto con cui era dato incarico al duca di Bari di contrattare e firmare la tregua.
Nel 1490, per incarico del Banco di S. Giorgio, il C. venne inviato quale governatore in Corsica, ufficio cui adempì con particolare energia.
Le coste ed il mare dell’isola erano in quegli anni infestate dai pirati, che spesso godevano della compiacente copertura dei sovrani aragonesi, catalani e francesi e dell’impunità quasi totale, grazie all’abitudine diffusasi tra i governatori genovesi di accettare, in caso di cattura, riscatti in denaro. Ma il C. rifiutò di accettare una simile politica di debolezza e di compromesso. Naufragata la nave del temuto corsaro Intorile, caduto questo in sua mano con 21 membri dell’equipaggio, tra cui il nipote del pirata e molti ribelli della nobiltà corsa, il C. ordinò che fossero tutti giustiziati.
Tornato a Genova, il C. fu nuovamente inviato a Milano: nell’invemo tra il 1494 e il 1495, mentre Carlo VIII compiva il trionfale cammino attraverso l’Italia, il C. e Pietro Sauli furono alla corte di Ludovico il Moro, ormai libero dell’incomoda presenza di Gian Galeazzo, per confermare al nuovo duca la sudditanza genovese e concordare una comune linea di condotta nei confronti del sovrano francese. Nello stesso 1495 il C. fu anche ufficiale di armata. L’anno successivo, con Francesco Lomellini, Pietro di Persio e Giovanni di Maiolo, il C. fece parte di una apposita commissione incaricata del recupero della sovranità su Sarzana e Pietrasanta, incarico cui arrise un successo parziale, proprio a causa di una discutibile decisione presa dal C. e dagli altri commissari.
Le terre di Sarzana e Pietrasanta erano state cedute a Genova dai Lucchesi nel 1480, come saldo di un debito di 15.000 fiorini; conquistate nel 1484 dai Fiorentini, erano state da questi cedute a Carlo VIII per ingraziarselo; il re le aveva distribuite ai suoi capitani che, dopo la ritirata francese e la battaglia di Fornovo, si erano dimostrati desiderosi di disfarsene dietro pagamento. Perciò il C. e i colleghi partirono, all’inizio del 1496, per Sarzana, e concordarono col castellano, Antonio figlio del duca Filippo di Borgogna, il riacquisto immediato della città per 25.000 scudi d’oro. Le trattative erano state condotte con grande speditezza per il timore che il governatore francese mutasse parere e che i Fiorentini potessero intervenire offrendo una cifra più alta. Ma forse la stessa facilità con cui erano rientrati in possesso di Sarzana indusse il C. e i colleghi a una inesatta valutazione della situazione. Trasferitisi nel marzo a Pietrasanta per concludere lo stesso tipo di contratto con quel governatore, signore di Entraigues, non si accordarono sul prezzo e ripartirono per Genova, ritenendo che l’Entraigues avrebbe ridotto le proprie pretese. Invece i Lucchesi furono pronti a offrirgli 15.000 ducati d’oro coi quali, il 28 marzo, ebbero il possesso di Pietrasanta.
Nei due anni successivi il C. si occupò di amministrazione civica e di opere pubbliche, nel 1497 come membro del magistrato dei Padri del Comune e nel 1498 di quello dei Conservatori del porto. In quest’ultima carica ebbe modo di distinguersi quale relatore di una importantissima proposta innovativa che, approvata e trasformata in decreto il 29 ag. 1498, modificava tutto l’armamento navale della Repubblica: seguendo l’esempio straniero, l’artiglieria in ferro venne sostituita con quella in bronzo.
Alla competenza del C. sul problema non dovette essere estranea la sua precedente esperienza come ufficiale di Gazaria, ma soprattutto quella di governatore in Corsica: infatti nella sua relazione indica come esemplari per manovrabilità ed efficienza di artiglieria i vascelli corsari francesi.
Il 9 genn. 1498, il C. era stato eletto, insieme ad altri membri delle più nobili famiglie genovesi, a formare un comitato di accoglienza per Ludovico il Moro, che giungeva in visita ufficiale a Genova anche per rafforzarvi il suo prestigio, un po’ scosso dagli accordi da lui conclusi con Firenze. Le accoglienze furono comunque fastose; lo stesso ufficio di S. Giorgio si caricò di un prestito di 25.000 lire che consegnò al C. e ai compagni per le spese di rappresentanza. Ma l’anno dopo era al nuovo signore di Milano, Luigi XII, che con apparato eccezionalmente splendido Genova faceva atto di omaggio e obbedienza. La grande ambasceria fu eletta il 20 sett. 1499: il C., che ne faceva parte insieme con altri 23 nobili genovesi, consegnò al re le chiavi della città. Negli anni immediatamente successivi, durante la luogotenenza di Filippo di Clèves, l’attività politica del C. si mantenne ininterrotta: fu nel 1501 tra i procuratori del Banco di S. Giorgio, nel 1502 tra gli Anziani e gli Ufficiali addetti alle vettovaglie, nel 1503 tra i Clavigeri. Il 23 giugno 1503, poiché un diffuso orientamento antifrancese (motivato dai danni riportati dal commercio genovese con la Spagna, con ripercussioni su tutte le classi sociali) faceva temere qualche reazione interna, si radunò un Gran Consiglio per studiare provvedimenti atti a rafforzare il governo. Accettata la proposta di Melchiorre di Negrone, dal luogotenente francese e dagli Anziani fu eletta una Balia straordinaria di 12 cittadini, di cui il C. fece parte. Dotati di ampi poteri, riuscirono a mantenere la pace interna nella città per oltre un anno. Nel 1504 il C. fu eletto anche all’ufficio dell’Armamento e a quello delle Monache; nel 1505, in una situazione di estrema tensione politica, venne inviato commissario a Pisa.
Pisa, che era da dieci anni in guerra con Firenze nel quadro del conflitto franco-spagnolo, decimata da una epidemia di peste, aveva chiesto la protezione di Genova. Da un documento del 31 genn. 1505 risulta che ben quattro commissari (il C., Manfredo de Fornari, Paolo Lercari e Andrea de Ferrari) vi si erano recati con l’autorizzazione di assoldare fino a 300 fanti per rafforzare le difese della città; ma nel febbraio il divieto imposto a Genova dal re di Francia di accettare la signoria su Pisa costrinse i commissari al rientro, anche se gli aiuti, soprattutto economici, continuarono per tutto l’anno.
Ignoriamo la data di morte del C., ma egli è citato ancora come vivo e, tra l’altro, proprietario di una nave, in due documenti, uno del 28 genn. 1508, l’altro addirittura del 1519.
Nel primo Giannotto de Sopranis, debitore verso Quilico di Nigro di 408 scudi a seguito di una operazione di cambio fatta a Lione, gli trasferisce, a titolo di garanzia, un credito di 700 lire che ha sul C., in ragione della proprietà di 1 carato su una sua nave. Nel documento del 1519 sono segnalati viaggi della nave del C. a Tunisi, dove carica prodotti del suolo e dell'allevamento e soprattutto l’oro africano, che arrivava alla costa attraverso le piste carovaniere del Sahara.
Il C. si sposò due volte: dopo la morte della prima, una non meglio definita Marietta, prese in moglie una ricca cugina, Ginevra di Giusto Cattaneo, dalla quale ebbe almeno quattro figli maschi, Giacomo, Pietro Francesco, Filippo e Tommaso, tutti attivi protagonisti della vita politica ed economica della Repubblica.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, mss. 10, cc. 86, 115, 240, 332, 348; 495, c. 281; Genova, Civ. Bibl. Berio, ms. m.r. X, 2, 167: L. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 671; Genova, Bibl. Franzoniana, ms. 126: F. Federici, Alberi genealogici, c. 10; L. Pelissier, Documents pour l’hist. de l’établissement de la domination française à Gênes, in Atti d. Soc. lig. di st. patria, XXIV (1892), pp. 459 ss.; B. Senarega, De rebus Genuensibus comment., in Rer. Ital. Scr., 2 ed., XXIV, 8, a cura di E. Pandini, pp. 13, 20, ss, 61, 64, 75, 76, 92, 98; E. A. D’Albertis, Le costruz. navali, in Raccolta di documenti e studi colombiani, Roma 1893, 1, 4, p. 2, 32; L. A. Cervetto, Famiglie liguri, in Il Cittadino (Genova), 1897, n. 20; L. Volpicella, La questione di Pietrasanta nel 1496, in Atti d. Soc. lig. di storia patria, LIV (1926), pp. 8 s.; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Rep. di Genova, ibid., LXIII (1934), pp. 48, 132; D. Gioffré, Gênes et les foires de change, Paris 1960, p. 144, doc. 109; Id., Il commercio di importaz. genovese, in Studi in onore di A. Fanfani, Milano 1962, V, pp. 200, 204.