CATTANI DA DIACCETO, Francesco, detto il Pagonazzo
CATTANI DA DIACCETO (Ghiacceto), Francesco (Franciscus Cataneus Diacetius o Diacetus), detto il Pagonazzo. - Figlio di Zanobi e di Leonora Venturi, nacque a Firenze il 16 nov. 1466 e ivi morì il 10 apr. 1522.
Fu soprannominato il Pagonazzo per distinguerlo da un parente omonimo. Appartenne a famiglia patrizia; di suo nonno Paolo scrisse una biografia Bartolomeo Fonzio. Sposò all’età di diciotto anni Lucrezia Capponi (morta nel 1518), da cui ebbe sette figli e sei figlie. Il nipote Francesco da Diacceto il Giovane (vescovo di Fiesole dal 1570 e morto nel 595) si occupò della pubblicazione postuma dei suoi scritti. Il C. fu seguace dei Medici e appare nel 1491 come compagno di studi a Pisa del futuro Leone X; il 4 luglio 1498 fu eletto degli “octoviri... pro illis scrutinandis in consilio”; fu degli Octo Custodie il 1º maggio 1510, dei Capitanei partis Guelfe il 1º sett. 1515, eletto per la Balia del 30 ag. 1519, ma non confermato, ambasciatore all’imperatore il 9 nov. 1512 e gonfaloniere di Giustizia in gennaio e febbraio 1520.
Ebbe una buona educazione umanistica, e nel 1483 il giovane Giovanni Ridolfi gli rivolse due lettere latine piene di ammirazione. Nel gennaio del 1499 deteneva in prestito dalla Biblioteca di S. Marco quattro codici greci di Platone, Plotino, Aristotele e Dionigi l’Areopagita, come si apprende da una lettera di Zanobi Acciaiuoli a Roberto Ubaldini, e nello stesso anno deteneva in prestito un altro codice greco di Platone come appare dal testamento di Marsilio Ficino. Studiò filosofia a Pisa sotto Oliviero Arduini nel 1491 e 1492, ma non si laureò (“non obstante quod non sit doctor et disputationem publicam non fecerit”, come si legge in un documento universitario). Una sua lettera da Pisa a cui il Ficino rispose il 27 sett. 1492 lo mise in rapporto col Ficino di cui diventò discepolo fedele dal 1493 fino alla morte del maestro nel 1499. Il Ficino lo menziona nell’elenco dei suoi scolari, ma in un passo aggiunto più tardi gli rivolge un’altra lettera l’11 luglio 1493 e lo menziona nel suo commento al Parmenide di Platone pubblicato nel 1496.
Nel 1501 gli fu offerta una cattedra di filosofia allo Studio fiorentino, ma non la accettò. Nel 1502 fu sollecitato da una remunerazione più alta e accettò “lecturam philosophiae ordinariam de mane sine concurrente, scilicet De coelo et mundo aut Ethicam vel aliam lecturam philosophiae moralis”; insegnò di nuovo nel 1503-04 e dal 1516 al 1521. Apprendiamo da alcune sue orazioni e lettere che tenne lezioni anche sulla Fisica e il De anima d’Aristotele. Probabilmente tenne anche lezioni in casa, ove poté svolgersi il suo insegnamento platonico. La notizia d’una sua chiamata a Padova non viene confermata dai documenti, ma Gasparo Contarini scriveva il 19 apr. 1518 a Paolo Giustiniani come segue: “Spesse volte con Messer Marino [Marino Zorzi, uno dei riformatori dello Studio di Padova] havemo ragionato di condur el Diaceto, / ma non troviamo ben il modo di poterlo fare et di poter persuadere a questi nostri Padri ch’el si faci”. Visitò Roma nel 1513 e 1518 essendovi bene accolto da Leone X.
Abbiamo due biografie antiche del C., una di Benedetto Varchi pubblicata con i Tre libri d’amore (Venezia 1561) e una di Frosino Lapini pubblicata negli Opera (Basilea 1563). I biografi ci danno gli elenchi dei suoi allievi, tra i quali notiamo Luigi Alamanni, Antonio Brucioli, Zanobi Buondelmonti, Giovanni Corsi, Iacopo da Diacceto, Ficino Ficini, Donato Giannotti, Alessandro de’ Pazzi, Pierfrancesco Portinari, Luca Della Robbia, Cosimo, Giovanni e Palla Rucellai, Filippo e Lorenzo Strozzi e Pier Vettori. Il C. fu pure attivo nelle discussioni degli Orti Oricellari sia nel primo sia nel secondo periodo (1502-06 e 1512-22). Dei suoi rapporti con il Machiavelli non si sa niente, ma ebbero parecchi amici in comune e devono essersi conosciuti in occasione di tali riunioni. Il C. fu pure socio della Sacra Accademia Medicea, attiva tra il 1515 e il 1519, e firmò insieme con Girolamo Benivieni e con Michelangelo la famosa richiesta a Leone X di restituire a Firenze le ossa di Dante. Dedicò le sue opere e indirizzò lettere a destinatari di prestigio, quali Leone X e il card Giulio de’ Medici, Bernardo, Giovanni Palla e Piero Rucellai, Bindaccio Ricasoli, Giovanni Corsi, Giovanvittorio Soderini, Miguel de Silva, Vincenzo Quirini, Germain de Ganay, Cristoforo Marcello, il card. Domenico Grimani, Tommaso Giustiniani, Bernardo da Bibbiena e Scipione Carteromaco. Vi sono lettere al C. di Giovanni Ridolfi, di Bernardo Rucellai, del card. Domenico Grimani, di Cristoforo Marcello, di Stefano Sterponi detto Philoponus e del Ficino. Giov. Corsi gli dedicò la traduzione di Plutarco, Abbreviatio eorum quae in Timaeo continentur de animae generatione (databile al 1512-13) e Laurentius Romuleus l’edizione giuntina delle opere retoriche di Cicerone (1508). Lorenzo Lorenzi scrisse un commento a una canzone del Cattani. Di lui parlano con rispetto Cosimo Pazzi, Baldassar Castiglione, Giovanni Corsi, Mario Equicola, Paolo Cortesi e Francesco Vettori; apprendiamo da una lettera di Margherita Cantelmo che fu amico anche del Trissino. Risulta da tutti questi rapporti letterari e personali che il C. occupò nell’ambiente fiorentino del primo Cinquecento un posto di rilievo.
Le opere del C. ebbero durante la sua vita una diffusione discreta nei codici manoscritti, e una parte importante fu stampata dopo la sua morte. Il Panegirico allo Amore nella sua redazione italiana fu stampato da Ludovico Arrighi Vicentino a Roma nel 1526. I Tre libri d’amore, pure nella redazione italiana, furono stampati da Gabriel Giolito de’ Ferrari a Venezia nel 1561, con l’aggiunta del Panegirico e della vita del C. composta da Benedetto Varchi. Una raccolta delle opere latine fu stampata come Opera omnia da Henricus Petri e Pietro Perna a Basilea nel 1563 (alcune copie portano la data del 1564), con la biografia del Lapini dedicata al card. Bernardo Salviati.
L’edizione comincia col De pulchro in tre libri (pp. 1-90), la prima e forse la maggiore opera del Cattani. Ne esiste una prima redazione composta tra il 1496 e il 1499 e dedicata a Giovanvittorio Soderini, mentre la redazione finale fu terminata dopo la morte di Bernardo Rucellai (7 ott. 1514). Segue il De amore, pure in tre libri, composto nel 1508 (Opera, pp. 90-129); la redazione italiana fu compiuta prima dell’8 ag. 1511. Il Panegyricus in Amorem fu composto prima del 1508 (Opera, pp. 130-138), e la sua redazione italiana risale press’a poco allo stesso tempo. Segue una breve parafrasi del Politico di Platone, dedicata nei manoscritti a Miguel de Silva e quindi composta dopo il 1513 (Opera, pp. 139-144), e un commento frammentario al Simposio interrotto, come pare, nel 1519 (Opera, pp. 145-179). Agli ultimi anni sembra che appartengano anche le brevi parafrasi degli Amatores e del Teage attribuiti a Platone (Opera, pp. 361-363 e 364-367). La parafrasi del De coelo di Aristotele fu cominciata prima del 1508 e dedicata a Leone X dopo il 1513 (Opera, pp. 179-281). La parafrasi della Meteorologia d’Aristotele fu composta successivamente e rimase incompiuta (Opera, pp. 281-318). Abbiamo poi la prolusione a un corso sull’Etica Nicomachea (Opera, pp. 319-323) e il discorso funebre scritto a richiesta del cardinale Giulio per Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino nel 1519 (Opera, pp. 368-371).
Finalmente l’edizione contiene un gruppo di lettere filosofiche importanti: una lettera scritta a Bernardo Rucellai prima del 1506 su un passo di Boezio; una lettera del 1503 a Vincenzo Quirini; una lettera a Germain de Ganay scritta prima del 1509 e intitolata nei manoscritti Apologia contra Parisienses philosophos pro Platone; una lettera a Giovanni Rucellai in cui nota certe incoerenze nel Ficino; una a Bindaccio Ricasoli; una lettera scritta a Bernardo Rucellai dopo il 1506; una lettera anepigrafa indirizzata nei manoscritti a Germain de Ganay; due lettere scritte tra il 1505 e il 1514 a Cristoforo Marcello e un’altra a Pietro Quirini scritta tra il 1512 e il 1514.
Dai manoscritti si possono aggiungere le opere seguenti: un epigramma in lode di Antonio Squarcialupi; una canzone; una dedica e un'altra lettera al card. Giulio de’ Medici; quattro lettere al card. Domenico Grimani del 1505; due prolusioni universitarie in lode della filosofia; una lettera a Pietro Quirini e un’altra prolusione per un corso sul libro secondo del De anima. Un’edizione critica di questi testi, promessa invano molti anni fa, viene adesso preparata da Sylvain Matton. La dottrina filosofica del C. non ha ancora ricevuto un'interpretazione definitiva; si aspetta una monografia dello stesso Matton, presentata recentemente come tesi a Parigi. Si è parlato spesso dell’ortodossia platonica e ficiniana del C., ma il Garin nota nella tendenza ad armonizzare Platone e Aristotele l’influsso di Pico. Molti studiosi si sono limitati al solo De amore, che appartiene infatti alla trattatistica d’amore, sebbene (col Ficino, Pico e Leone Ebreo) ne metta in evidenza l’aspetto filosofico piuttosto che quello letterario. Considerando l’insieme della sua opera il C. si presenta come filosofo e metafisico di tendenza platonica che segue per molti aspetti il suo maestro Ficino. Ma, a parte certe critiche rivolte al Ficino, vi sono delle differenze più o meno significative. Anzitutto il C. su molti punti, e specialmente sul concetto della gerarchia universale, segue più direttamente Plotino, trascurando certe modifiche apportate dal Ficino. Nel solco, poi, della cosiddetta tradizione pitagorica, il C. conferisce maggiore importanza alle matematiche e ai loro oggetti di quanto non avesse fatto il Ficino. Inoltre, diversamente dal Ficino e dal Pico, mostra scarsa conoscenza degli autori scolastici e poco interesse per i problemi schiettamente teologici. Cita spesso la Bibbia e lo Pseudo-Dionisio. Non cerca di stabilire un’armonia perfetta tra il platonismo e il cristianesimo, bensì è disposto a riconoscere il loro disaccordo. Il suo compito è di spiegare la dottrina di Platone e dei platonici e, quando nota un contrasto tra la dottrina platonica e cristiana, è pronto ad accettare la dottrina cristiana come vera, citando, a sostegno della sua scelta, l’atteggiamento di molti filosofi aristotelici del suo tempo. Il C. si distacca dal Ficino anche per il suo atteggiamento verso Aristotele e la sua scuola. Come professore universitario era obbligato a studiare gli scritti aristotelici molto più da vicino. Poi doveva prendere una posizione circa il tentativo di Pico di armonizzare Platone e Aristotele.
Nel De pulchro e altrove critica apertamente il De ente et uno di Pico, ed ebbe l’intenzione di stabilire la concordia tra Platone e Aristotele, sulla base della filosofia platonica. Egli non riuscì mai a realizzare questo progetto, ma il tentativo si scorge in tutti i suoi scritti conservati. Cerca sempre di difendere Platone contro Aristotele allorché Aristotele si stacca apertamente dal suo maestro, e, viceversa, cerca di interpretare Aristotele, quando è possibile e spesso con grande sforzo, per armonizzarlo non soltanto con Platone ma anche con i neoplatonici. Seguendo questo metodo il C. mostra un grande rispetto per Aristotele e i peripatetici antichi, ma non per gli aristotelici moderni. È questo atteggiamento verso Aristotele e gli aristotelici che segna il punto di massima divergenza dal Ficino e caratterizza il contributo del C. nella storia del platonismo del Rinascimento.
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