CATTEDRA
Il termine c., che deriva dal lat. cathedra, indica un seggio fisso o mobile dotato di dossale e di appoggi laterali per le braccia.Solitamente si individua nella c. un'insegna del potere vescovile, tanto da essere derivato dalla sua presenza il nome di cattedrale all'edificio che la ospita. Tuttavia la c. era attribuita nel Medioevo anche agli abati e testimonianze monumentali sembrano indicare che la cosa fosse possibile anche nel caso in cui l'abbazia non avesse la prerogativa della diretta dipendenza dalla Santa Sede, che, nella sostanza, la equiparava a una diocesi. Lo provano la c. esistente nell'abbazia di S. Pudenziana a Visciano, in Umbria, risalente al sec. 11° e decorata da semplici protomi leonine al termine dei braccioli; quella, della seconda metà del sec. 12°, conservata a Filadelfia (Mus. of Art) e proveniente dall'abbazia pirenaica di Saint-Génis-des-Fontaines; la c. fatta realizzare dall'abate Benvenuto nel 1267 in S. Giovanni Evangelista a Ravenna. È possibile trovare la c. anche in una collegiata: è il caso di S. Maria Maggiore a Tuscania, che, in relazione alla vicina cattedrale di S. Pietro, riservata agli uffici dei canonici e dotata di vistosi banchi presbiteriali lungo i colonnati, fungeva da chiesa per la liturgia pubblica, con diritto a detenere anche il fonte battesimale, perpetuando, nel tardo sec. 12°, il meccanismo tipico delle cattedrali doppie.L'attribuzione della c. al vescovo è fenomeno precoce, già stabilizzato agli inizi del 4° secolo. Più che come conseguenza imitativa della intronizzazione dell'imperatore o come autonomo atto di simbologia del potere che avrebbe trovato spazio imitativo anche nella cerimonialità imperiale, il fatto sembra svilupparsi, nel corso del sec. 3°, come conseguenza di una messa in parallelo tra la funzione ammaestrante del vescovo e il tradizionale attributo della docenza superiore. A conferma della precocità di tale identificazione vi è la statua solitamente ritenuta di S. Ippolito (Roma, BAV, Mus. Sacro). In realtà si trattava del ritratto di una pensatrice epicurea realizzato nel sec. 2° sul quale, nel corso del 3°, vennero incisi il computo pasquale e la lista delle opere composte da Ippolito. L'equivoco fu reso possibile, oltre che dal probabile cattivo stato di conservazione della figura, dal fatto che essa si presentava seduta su una c. con braccioli decorati da protomi leonine, secondo un'iconografia solitamente presente nei ritratti di Epicuro e dei pensatori epicurei in genere, ma che in questo caso venne ritenuta confacente alla docenza svolta dal santo.La c. non limita la propria funzione all'essere un attributo della dignità vescovile, ma svolge anche un ruolo simbolico che spesso ne esclude un uso pratico. Tale è il caso delle c. marmoree conservate nei martyria disposti al termine della navata destra nelle chiese della Siria paleocristiana. Poste in asse con il sarcofago nel quale erano conservate le reliquie del santo al cui culto l'ambiente era destinato, esse, coperte con tendaggi e altre decorazioni, ne testimoniavano la concreta presenza. Questo stesso valore è da riconoscere al fenomeno, assai precoce, della trasformazione in reliquie delle c. apostoliche, come prova il culto di cui era oggetto a Gerusalemme la c. di s. Giacomo o quello tributato a Sinope alle c. di s. Andrea e di s. Pietro.Altra categoria, all'origine anch'essa orientale, è quella della c.-reliquiario, di cui un esemplare superstite è conservato a Venezia (Tesoro di S. Marco), dove è giunto, forse nell'828, con le reliquie dello stesso Marco, come oggetto creduto di pertinenza del santo. Le ridotte dimensioni, tali da renderne impossibile un uso pratico, e la presenza sui lati di aperture che consentono l'accesso a un vano interno, scavato al di sotto del seggio, attestano in modo inequivocabile la sua funzione di contenitore delle reliquie di un santo, forse proprio dell'evangelista, la cui presenza veniva in questo modo fisicamente evocata. A occupare sia gli spazi interni sia quelli esterni si dispone una decorazione plastica che, rendendo evidente l'uso simbolico e non pratico dell'oggetto, contribuisce a valorizzarne il significato nella chiave di un'evocazione paradisiaca confacente al santo al cui culto era destinata. La forma globale della c., con il dossale concluso da un piccolo tondo, si imparenta a quella delle c.-lettorino esistenti nei pulpiti di alcune chiese siriane, per es. a Qirqbize. Si tratta di piccole c. marmoree disposte al culmine di una rampa, sulle quali veniva posato il vangelo per la lettura, per sottolinearne il carattere divino. Quest'uso, posto in atto in occasione del concilio di Efeso (431) come testimonianza della presenza simbolica di Cristo, è evocato a Roma, tra il 432 e il 440, dalla c. raffigurata a mosaico al culmine dell'allora arco absidale di S. Maria Maggiore; la c. non può essere interpretata come pontificale per via della presenza su di essa di simboli cristologici quale il rotulo con i sette sigilli, ma anche per le protomi leonine che emergono ai lati del dossale e che echeggiano una soluzione iconografica usuale nelle immagini cristologiche proposte dai sarcofagi ravennati del 5° secolo. Inoltre, i busti dei ss. Pietro e Paolo, racchiusi entro piccoli tondi anteposti al sedile, rivelano anch'essi l'acquisizione di meccanismi simbolici che solo apparentemente possono essere definiti in chiave laica: essi trovano infatti un preciso parallelo nelle immagini dei regnanti e del collega nella carica disposte sul tribunal raffigurato nei dittici consolari, ma essendo questi ultimi posteriori risulta problematico stabilire quale sia stato in effetti il rapporto tra i due ambiti.Il mosaico romano testimonia come a svolgere funzioni simboliche fossero chiamate anche c. mobili, concetto largamente ribadito dalla decorazione che nel battistero Neoniano di Ravenna occupa le edicole immediatamente al di sotto della corona degli apostoli. L'unico esempio superstite di questo tipo è la c. conservata a Ravenna (Mus. Arcivescovile), verosimilmente donata dall'imperatore Giustiniano al vescovo Massimiano in occasione della sua consacrazione nel 546. Essa ha lo schienale ricurvo, una soluzione usuale in epoca tardoantica e paleocristiana che venne successivamente abbandonata. Caratterizzata da una decorazione figurata in avorio, sia all'interno sia all'esterno, la c. rivela in questo la sua improbabile funzione pratica e piuttosto quella di seggio simbolico destinato a sottolineare il favore imperiale nei confronti del vescovo, inteso quasi come un funzionario laico, un aspetto questo di cui si può cogliere traccia nel fatto che, sui fianchi, il ciclo veterotestamentario, contrapposto a quello cristologico del dossale, è incentrato sulla figura di Giuseppe e sui suoi rapporti con il faraone. Sulla fronte del sedile le figure degli evangelisti che affiancano il Battista suggeriscono un legame con il vangelo e un uso simbolico della c. come supporto fisico per il libro. Prescindendo dagli improbabili tentativi di identificarne i resti, una c. in avorio, riferita all'evangelista Marco, veniva venerata anche nella cattedrale di Grado: la fonte più antica che la cita, il Chronicon Venetum di Giovanni Diacono (MGH. SS, VII, 1846, pp. 4-38: 5), la identifica come una reliquia presa da s. Elena ad Alessandria e donata alla cattedrale dall'imperatore bizantino Eraclio, rinnovando in questo la situazione del seggio ravennate. Il fatto che nel sec. 11° la c. venisse offerta alla venerazione dei fedeli insieme a quella di s. Ermagora, primo vescovo di Aquileia, lascia intendere che le due c. erano strumenti di rivendicazione nei confronti sia di Venezia sia di Aquileia.La sacralizzazione del seggio, al di là della sua natura funzionale, sopravvisse, come possibile concetto simbolico, nel corso del Medioevo. Alle forme della c.-reliquiario si ispira, nella sua assoluta semplicità, il trono di Carlo Magno nella Cappella Palatina di Aquisgrana, per via del vano aperto al di sotto del sedile. La stessa soluzione poteva essere presente anche nel trono bronzeo, risalente al sec. 11° e utilizzato nelle incoronazioni regie, il cui dossale è conservato nella cattedrale di Goslar, se è giusta l'ipotesi che ha riconosciuto il suo seggio nell'altare di Kodro (Goslar, Goslarer Mus.), la cui cassa, retta da quattro telamoni, era destinata a contenere una reliquia. Su un analogo meccanismo simbolico si basa il trono, conservato nella cattedrale di Westminster, utilizzato dal 1308 per le incoronazioni dei sovrani inglesi, in quanto esso ingloba al suo interno, al di sotto del sedile, la Stone of Destiny, sottratta alla città scozzese di Scone da Edoardo I nel 1297. In situazioni di questo genere, legate a un ambito laico, la presenza della reliquia doveva recitare un ruolo di primo piano nel configurare un'origine soprannaturale del potere e una funzione di interprete della volontà divina da parte del suo detentore. Ciò che non è possibile stabilire è se tale simbolismo si spingesse fino a un'identificazione del sovrano con l'entità soprannaturale la cui reliquia era conservata all'interno del trono oppure se ci si limitasse a ribadire una sorta di vicariato in terra nei suoi confronti.Alle ragioni del seggio capace di evocare la persona alla quale si riteneva che fosse appartenuto si ispira invece la vicenda della c. lignea con ricca decorazione eburnea donata al pontefice Giovanni VIII da Carlo il Calvo nell'875, in occasione della sua incoronazione (Roma, S. Pietro). Trono imperiale di squisita fattura, la cui offerta ripete il gesto costantiniano falsamente evocato dal Constitutum Constantini di cessione al pontefice delle insegne come simbolica consegna del potere sulla metà occidentale dell'impero, il seggio ha trovato un non risolto nodo problematico nelle formelle malamente addossate alla fronte del sedile e raffiguranti le imprese di Ercole insieme ad animali mostruosi e fantastici: all'opinione di chi ha ritenuto di poter cogliere in questa parte i resti di un trono imperiale ceduto da Costantino a papa Melchiade si è contrapposto il parere di chi l'ha trovata pienamente coerente con la fattura carolingia del trono e ne ha giustificato l'inserimento nell'ideologia politica di quel tempo, situazione che peraltro non è in contrasto con la probabile maggiore antichità delle formelle rispetto al trono carolingio, testimoniata dal dato stilistico. I riferimenti laici, tra cui lo stesso ritratto dell'imperatore Carlo al centro della traversa del dossale, non hanno impedito alla c. di trasformarsi nel tempo in quella creduta dell'apostolo Pietro, fino a divenire, con il sec. 13°, una reliquia, perpetuando nel Medioevo romano l'uso tipicamente orientale del culto tributato al seggio vuoto come simbolo della presenza del personaggio al quale era appartenuto. È questo lo stesso criterio in base al quale si può giustificare a Roma la presenza, nelle chiese di S. Gregorio al Celio e di S. Stefano Rotondo, di seggi marmorei di età classica offerti alla venerazione dei fedeli come c. di papa Gregorio Magno.Rispetto alle c. simboliche, quelle destinate a svolgere funzioni liturgiche appaiono, sia per il periodo paleocristiano sia per quello altomedievale, assai più sobriamente contenute sul piano della decorazione. Riferibile alla metà del sec. 6°, la c. della basilica eufrasiana di Parenzo, connessa a un sýnthronon perfettamente conservato, testimonia della diffusione nell'area adriatica di quella soluzione costantinopolitana, in termini caratterizzati da un senso di austera e sobria eleganza e ancora presente a chi, nel sec. 13°, compose la c. della cattedrale di Aquileia, riutilizzando i gradini di una struttura analoga già presente nell'edificio fatto costruire, agli inizi del sec. 11°, dall'arcivescovo Poppone. Non lontana nel gusto, anche se molto più antica, doveva essere la c. i cui frammenti si conservano nella cripta della chiesa dei Ss. Luca e Martina a Roma, anche se non è sicuro che essi facessero davvero parte fin dall'origine di un tale arredo. Diversa è la qualità nella resa formale ma non il repertorio decorativo in una c., riferibile al sec. 9°, che si conserva nel lato meridionale del quadriportico della cattedrale di Parenzo, forse proveniente dalla chiesa benedettina di S. Cassio, e dunque probabile arredo abbaziale: priva di dossale, è decorata sulla fronte dei braccioli da due croci e lungo il bordo del sedile da un nastro a tre bande, mentre sui fianchi presenta un inconsueto ornato a gattoni, unito, a destra, a un decoro vegetale. Simile per gusto e cronologia è una c. dispersa sul mercato antiquario e nota solo attraverso una riproduzione fotografica (Roma, Deutsches Archäologisches Inst., nr. 74. 671): al centro del dossale si accampa una grande croce decorata all'interno da un intreccio di nastro vimineo e circondata da rosette e da altri motivi tipici nei plutei delle recinzioni presbiterali romane del periodo, mentre ai fianchi i pavoni che si abbeverano a un vaso ricordano gli archetti dei cibori. Manca dunque, fino a questo momento, una specificità di programma decorativo rivolta alla c. che ne faccia un punto privilegiato all'interno della più generale organizzazione dell'arredo liturgico.Agli inizi del sec. 9°, l'adozione in Gallia della liturgia romana e il contemporaneo diffondersi dell'uso di orientare gli edifici crearono un'incongruenza nella cerimonialità episcopale, come risulta da una delle formelle della coperta d'avorio del Sacramentario di Drogone (Parigi, BN, lat. 9428), in cui il vescovo, con alle spalle i diaconi e i suddiaconi, per rispettare la prescrizione romana di pregare versus ad orientem, è costretto a stare in piedi davanti alla c., rivolto verso il fondo dell'abside. A questa situazione si pose rimedio spostando la posizione della c. di fianco all'altare, in modo tale che fosse possibile rispettare la norma liturgica senza assumere una posizione così poco decorosa. Tale disposizione ebbe come conseguenza una maggiore diffusione delle c. mobili rispetto alle fisse, decisamente ingombranti al di fuori della loro tradizionale disposizione al fondo dell'abside. Pertanto, si è conservato nel tempo un maggior numero di c. di epoca medievale là dove, come a Roma e in genere in Italia, non venne adottata la liturgia gallicana. Come ricorda il Lib. Pont. (II, p. 60), al tempo di papa Pasquale I (817-824) risale il primo interessamento di un pontefice per la forma della c. a lui destinata. L'intervento promosso a questo scopo in S. Maria Maggiore, per quanto mal definibile nei dettagli, segna l'avvio di una tendenza che in seguito contribuì, a partire dalla fine del sec. 11°, a fare delle c. romane, in quanto papali, una tipologia a sé stante, nettamente distinta rispetto a quella delle c. vescovili; infatti gli Ordines stabilirono che nelle basiliche stazionali, qualora il pontefice non assistesse alla celebrazione, il cardinale vicario non potesse sedere nella c. posta nell'abside, ma dovesse utilizzare un seggio mobile di fianco all'altare (Andrieu, 1938, p. 250).A questo dovette contribuire il diffondersi, nel corso del sec. 11°, dell'uso di attribuire alle c. vescovili caratteri tradizionalmente tipici del potere laico, abbandonando il repertorio decorativo cristiano del periodo altomedievale. Il fenomeno si focalizza bene nell'Italia meridionale, ma non dovette essere estraneo alla Spagna, almeno in base alle testimonianze offerte dalle miniature, e il fatto potrebbe confortare la tesi che vuole queste scelte in relazione con un'iconografia del potere propria del mondo orientale, mutuata attraverso i rapporti con la cultura islamica.L'esempio più antico di questa concezione è offerto dalla c. sorretta da un massiccio leone fatta realizzare dal vescovo di Siponto Leone nel corso della prima metà del sec. 11° (già in S. Maria di Siponto). A questa vanno accostate la c. nella cattedrale di Canosa di Puglia, che un'iscrizione dice essere stata realizzata dallo scultore Romualdo per Ursone, vescovo della città negli anni ottanta dello stesso secolo, e quella, non molto lontana nel tempo, conservata nella cattedrale di Calvi Vecchia. Di una c. di questo stesso tipo, riferibile all'avanzato sec. 12°, potevano fare parte anche i due elefanti conservati presso la cattedrale di Mazara del Vallo, caratterizzati da una decorazione compiuta su un solo lato e quindi destinati a essere sistemati affiancati. La caratteristica comune a queste c. è l'impiego come supporti di coppie di elefanti e quindi l'intento di evidenziare i valori di circoscrizione laica del potere vescovile. Nel caso di Canosa l'enfasi monumentale e il fatto che siano state utilizzate per il dossale e per i fianchi le parti superstiti di una c. precedente, riferibile alla bottega dello scultore Accetto, attivo nella cattedrale entro la prima metà del secolo, rendono credibile che la c. non dovesse avere una funzione pratica, ma piuttosto quella di testimoniare la presenza dell'autorità in un momento in cui la diocesi era unita a quella di Bari, dove risiedeva il vescovo.Il chiamare la c. quale testimone di una situazione giuridica, vera o pretesa che fosse, è un altro procedimento tipico della mentalità medievale, a sua volta collegata alla tradizione paleocristiana che attribuiva alla c. la capacità di evocare la presenza del personaggio al quale era appartenuta. In Puglia è esemplare di questa situazione la c. conservata nel santuario di Monte Sant'Angelo, che, pur essendo stata realizzata in un'epoca che non può essere anteriore alla fine del sec. 12°, pretendeva, attraverso un'epigrafe oggi perduta, di risalire al tempo del vescovo Leone, quando la località era diocesi, unita a quella di Siponto, nell'evidente tentativo di testimoniare il diritto a conservare tale prerogativa. La c. detta del vescovo Elia, conservata in S. Nicola a Bari, con il suo vistoso decoro plastico, del quale ancora sfuggono i sottili contenuti, che ne fa un monumento da ammirare più che da utilizzare, pur essendo stata realizzata nella seconda metà del sec. 12°, pretendeva di risalire agli inizi dello stesso secolo e di testimoniare, attraverso l'appartenenza al vescovo che era stato contemporaneamente abate della abbazia benedettina di S. Nicola, il diritto, preteso da quest'ultima, di svolgere una funzione di concattedrale.Il rapporto tra abbazie e cattedrali diviene un ambito rivendicativo dove spesso alla c., con la sua capacità evocativa sul piano storico o documentario, venne fatto giocare un ruolo non secondario. In S. Ambrogio a Milano la c., posta epigraficamente in relazione al santo vescovo titolare, in un'epoca che non può essere anteriore alla fine del sec. 12°, implicitamente rivendica in suo nome la dignità di cattedrale all'abbazia. La stessa aspirazione, data falsamente come certezza, è proclamata dalla c. realizzata nel 1184 per l'abbazia abruzzese di S. Maria di Bominaco, sul cui fianco compare la raffigurazione dell'abate committente Giovanni nella pompa delle vesti pontificali che dovevano attestare la sua indipendenza dal vescovo di Valva, situazione giuridica che non aveva mai ricevuto il benestare della Santa Sede, se non nel 1168, in occasione dell'elezione di Giovanni, quando, per un errore della cancelleria apostolica, si era accettato che la scelta effettuata dai monaci non passasse al vaglio della ratifica del Capitolo dei canonici.La c. barese di Elia, con le possenti figure di telamoni che ne reggono il seggio, malgrado la sua pretesa retrodatazione, è la prima testimonianza di un gusto compositivo che, abbandonando il tradizionale repertorio animalistico, introduce nuove valenze simboliche nella circoscrizione visiva del potere vescovile, muovendosi lungo parametri saldamente laici, le cui motivazioni sono verosimilmente legate, volta a volta, a situazioni particolari di politica locale. Questo spiega anche i supporti erratici di una c. conservati nel cortile del palazzo Arcivescovile di Taranto, che mostrano due figure umane accovacciate in una posa che ne deforma i tratti verso una condizione animalesca. La complicazione del programma decorativo tocca il suo culmine nella c., i cui fianchi si conservano nella cattedrale di Parma, che è stata talvolta riferita all'Antelami, anche se è verosimile che si tratti dell'opera di un seguace, visti i legami con il ritratto equestre di Oldrado da Tresseno del 1233 posto sulla facciata del palazzo della Ragione a Milano. In essa è nuovo il fatto che siano dei cani a reggere i braccioli, mentre i leoni vi sono posati sopra, ma soprattutto è inconsueta l'ambiguità delle due figurazioni poste all'esterno, solitamente interpretate come il S. Giorgio che lotta con il drago e la Conversione di s. Paolo, che, per la mancanza di qualsiasi riferimento attributivo alla santità, potrebbero anche essere intese l'una come l'esaltazione, in chiave laica, della virtù cavalleresca, attraverso il motivo glorificatorio, di origine sasanide, della caccia come vittoria sull'animale feroce, l'altra, in contrapposto, come l'orgoglio punito, sulla base di una simile allegoria morale illustrata nel taccuino di Villard de Honnecourt (Album de Villard, 1858, tav. V).Analoghe ragioni cavalleresche entrano in gioco nella c. lignea duecentesca conservata nella abbazia di Montevergine in Campania. In questa c., oltre a motivi puramente decorativi, come la bella stoffa che si finge appoggiata a coprire il dossale, quali simboli destinati a configurare in chiave laica il potere di un abate che, oltre a essere a capo di un'abbazia direttamente dipendente dalla Santa Sede, svolgeva anche le funzioni di conte di Mercogliano, compaiono, all'interno dei braccioli, due scene di caccia; sulla fronte del sedile sono due pantere costrette da pesanti catene a frenare la loro ferocia, mentre al di sopra dei braccioli si trovano due leoni accovacciati; sul dossale due figure a mezzo busto echeggiano i ritratti della coppia imperiale e del collega nel consolato disposti al di sopra del tribunal che, nei dittici eburnei tardoantichi, accoglie la c. del console.Caratteri così complessi sembrano essere, ancora nel sec. 13°, una prerogativa italiana e questo indica come vi debba essere stata una specificità delle vicende storiche a motivare il fenomeno. Salvo casi sporadici di imitazione di modelli italiani, come la c. del duomo di Augusta in Germania, altrove le poche testimonianze superstiti parlano di un fare sobriamente trattenuto su temi squisitamente pastorali. Tale è l'uso dei simboli degli evangelisti, delicatamente disposti entro tondi, ai capi di un racemo, sulla fronte dei braccioli della c. della cattedrale di Gerona e, con più vistosa apparenza, sui fianchi di quella della cattedrale di Avignone (ma in questo caso il vistoso restauro ottocentesco potrebbe avere travisato i resti di un ambone).La c. realizzata nella cattedrale di Salerno, nell'anno, tra il 1084 e il 1085, in cui Gregorio VII risiedette nella città prima della morte, è l'esempio più antico di un arredo non solo specificamente destinato a un pontefice, ma pensato in rapporto all'espressione di concetti che trovano il loro fondamento all'interno della temperie ideologica della lotta per le investiture. I suoi caratteri si giustificano solo con una destinazione alla liturgia papale, in quanto sono paragonabili con quelli della c. romana di S. Maria in Cosmedin, realizzata nel 1123 per la consacrazione della chiesa da parte di papa Callisto II, all'indomani della stipula del concordato di Worms che di quella lotta aveva segnato, per il papato, la vittoriosa conclusione. Il dossale che termina con un vero e proprio clipeo, abbracciandone la testa, sottolinea la sanctitas del sedente, un attributo specificamente rivendicato da Gregorio VII nel Dictatus Papae (MGH. Epist. sel., II, 1, 1920, p. 207), così come allo stesso contesto ideologico può essere riferita la presenza delle protomi leonine, ricavate utilizzando pezzi classici, un voluto riferimento al diritto del pontefice a usare le insegne imperiali in virtù del lascito costantiniano. Tali elementi simbolici restarono caratteristici delle c. papali e non entrarono mai nel repertorio di quelle vescovili dove, al massimo, come nel caso della c. conservata nella cattedrale di Terracina, si può trovare una conclusione del dossale a semicerchio.Come nel caso della biga vaticana (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano), la cui cassa era usata come c. nella chiesa di S. Marco, per tutta la prima metà del sec. 12° il reimpiego dei marmi antichi fu prerogativa delle c. papali anche in quei casi, come a S. Clemente o a S. Lorenzo in Lucina, in cui la committenza da parte dell'antipapa Anacleto II lascia spazio a una diversa interpretazione dell'operazione, non più intrisa di imitatio imperii, ma preoccupata di esaltare il senso di una ritrovata continuità con i valori 'democratici' della Chiesa delle origini; lo provano, nel primo caso, il riuso di un tratto di epigrafe con la parola martyr, frammento dell'iscrizione monumentale posta sulla basilica del sec. 4° e, nel secondo, il riutilizzo di marmi adrianei con eroti vendemmianti, la cui cristianizzazione ripete il tema conduttore del mosaico absidale di S. Clemente, la Chiesa-vite che nutre i fedeli.Rispetto a una prima presenza nel contesto cerimoniale, già segnalata sul finire del sec. 11°, sono questi gli anni in cui, nella presa di possesso del Laterano da parte del pontefice neoeletto, si precisa l'uso della sedes stercoraria, una c. di età classica assai consunta, posta allora nell'atrio della basilica e attualmente conservata nel chiostro, destinata a simboleggiare il sollevarsi dalle bassezze della vita umana alla gloria della nuova funzione, e delle due sedes porphyreticae, una coppia di sedie da parto di età imperiale poste all'ingresso della cappella di S. Silvestro (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano; Parigi, Louvre), sulle quali egli doveva sedere come se fosse sdraiato, evocando il loro uso originario e sottolineando con questo il legame del pontefice con la figura della Mater Ecclesia, un altro tema esaltato dal mosaico di S. Clemente.La c. di Salerno è priva di seggio e dunque, per essere utilizzata, necessitava di un mobile posto al suo interno; di esso si ha notizia, ancora sul finire del sec. 12°, come sedes romana. La tipologia non è isolata ma ricorre anche nelle c. realizzate in Sicilia durante il regno normanno e destinate a ospitare il sovrano. Gli esempi integri sono quello addossato alla controfacciata della Cappella Palatina a Palermo, che risale al tempo di Guglielmo I (1154-1166), e quello della cattedrale di Monreale, di contro al pilastro che, sulla sinistra, separa il transetto dall'antititulus. Un arredo simile doveva esistere anche nella cattedrale di Palermo, ma ne rimangono labili tracce, mentre erano solo il frutto di una falsificazione del tardo Cinquecento quelli nella cattedrale di Cefalù cui, prima di un'improvvida rimozione, alludevano le iscrizioni poste al di sopra di plutei medievali sistemati all'ingresso del presbiterio. Nei due casi integri, al di sopra della c., se è possibile usare questo termine per definire quello che è, più propriamente, un tribunal, si dispone una figurazione a mosaico di Cristo in trono con la precisa funzione di caratterizzare l'origine divina del potere conferito al sedente. È possibile che in Sicilia tale tipologia si sia rifatta a quella della c. di Salerno, ma non si può escludere, visto che con essa si intendeva anche ribadire la funzione di legati pontifici svolta dai sovrani normanni, che la fonte, in entrambi i casi, sia stata la sconosciuta sistemazione romana della c. di S. Pietro, al tempo in cui, non ancora reliquia dell'apostolo, era il seggio utilizzato per la consacrazione dei pontefici.Traccia di questa ipotetica sistemazione è fornita dalla c. conservata a Venezia nell'antica cattedrale di S. Pietro di Castello, testimoniata fin dal sec. 13° come una reliquia dell'apostolo, proveniente dalla diocesi antiochena che egli aveva occupato prima del trasferimento a Roma. L'aspetto singolare della c., che per valore evocativo equivale a quella romana, è che il suo dossale venne realizzato reimpiegando una stele sepolcrale selgiuqide riferibile alla metà dell'11° secolo. Il trasferimento a Venezia della supposta c. di S. Pietro dovette avvenire in occasione di una delle prime crociate e la scelta del riuso di un marmo tanto esoticamente inconsueto dovette essere condizionata, più che dalla volontà di rivaleggiare con la veneziana c. di S. Marco, dalle tangenze 'romane' che esso mostra ancora oggi e che vanno colte nel clipeo che lo sormonta, simile a quello delle c. papali, e nelle stelle a sei punte, incatenate l'una all'altra, che lo decorano. Questa somma di motivi coincide con quella che anima il dossale, insolitamente dipinto ad affresco sulla parete retrostante e inequivocabilmente segnato con il monogramma di Cristo al centro del clipeo, che costituisce la sola parte originaria della c. realizzata da Vassalletto per il vescovo di Anagni Lando intorno al 1260. La possibilità che in entrambi i casi ci si sia rifatti a motivi presenti nella sistemazione della c. romana di S. Pietro è confermata dal fatto che anche ad Anagni si aveva interesse a ribadire quel referente, poiché si intendeva sottolineare come acquisite in maniera permanente le prerogative dettate dalla c. di tipo papale che era stata realizzata nella cripta, negli anni tra il 1227 e il 1231, in relazione con la residenza nella città di papa Gregorio IX e con la realizzazione dell'imponente ciclo di affreschi, strettamente relato alla sua politica.È agli inizi del Duecento, con il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) e con la nuova impostazione della politica papale sulla base della teoria della plenitudo potestatis, che avvenne un radicale cambiamento nella tipologia delle c. romane. Ne è testimone non tanto la c. di S. Maria in Travestere, dalla travagliata vicenda ricompositiva, quanto quella della chiesa di S. Saba, realizzata nel 1205 da Iacopo di Lorenzo, nel cui dossale venne introdotta una croce palmata a occupare il clipeo, per ribadire il valore del pontefice come vicarius Christi, il titolo papale attualizzato da Innocenzo III proprio in quella nuova ottica politica. Lo stesso pontefice, in occasione del rifacimento della soprastante decorazione musiva, dovette far realizzare anche la nuova c. della basilica di S. Pietro. Di essa si conserva solo un labile ricordo visivo in un'incisione del 1581 (Wymann, 1925, p. 53), sufficiente tuttavia per constatare la presenza di una coppia di leoni ai lati del sedile e di una terminazione triangolare del dossale che interrompeva la ormai secolare tradizione del clipeo, per ispirarsi alle forme della cathedra Petri, che proprio in quegli anni si avviava a divenire una reliquia apostolica, all'interno del processo, favorito dal pontefice, di rivendicare alla basilica vaticana il titolo primaziale nei confronti del Laterano.È da queste premesse che mossero le forme della c. realizzata, nella seconda metà del Duecento, nella chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi, per sottolinearne le prerogative di cappella papale e di basilica patriarcale. A sua volta, essa condizionò quella realizzata in S. Giovanni in Laterano intorno al 1294, di cui rimane il suppedaneo, mentre le può essere solo ipoteticamente riferita la coppia di leoni fatta inserire, tra il 1596 e il 1597, dal cardinale Cesare Baronio nella c. della chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo. Rispetto alla tradizione precedente, il tratto distintivo è dato, oltre che dall'abbandono del riuso simbolico dei marmi antichi, dalla raffigurazione, nel suppedaneo, dei quattro animali demoniaci ricordati in Sal. 90,13, il versetto che, fin dalle origini del cristianesimo, era stato alla base della formulazione iconografica del Christus victor, un modo per confermare al sedente la dignità di vicarius Christi. Quanto al baldacchino che sormonta la c. assisiate, esso aveva già fatto la sua comparsa, almeno a livello concettuale, nelle due c. romane di S. Lorenzo f.l.m. e di S. Balbina, che, intorno alla metà del Duecento, costituiscono la più vistosa applicazione, allo specifico dell'arredo, delle possibilità ornamentali consentite dalla tecnica cosmatesca. Prive di qualunque riferimento figurativo, le due c. traducono nel marmo le forme di quella dipinta nella cripta della cattedrale di Anagni, per via del clipeo chiuso da una cornice quadrata. Di nuovo aggiungono l'archetto bidimensionale, che, impostandosi al di sopra di due pilastrini, sormonta il tutto come un baldacchino introducendo una nota di delicata civetteria decorativa nell'austera vicenda delle c. medievali romane, sempre attente a tradurre nel marmo le ragioni simboliche legate all'attualità della politica papale e per questo nettamente circoscritte all'interno della più ampia vicenda di tale arredo liturgico.
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