BITONTO, CATTEDRALE DI
Nell'ambito degli studi sull'arte federiciana la fortuna critica della cattedrale di Bitonto è dovuta alla presenza di un ambone, datato e firmato, che accoglie come parapetto della scala una lastra triangolare con una serie di figure scolpite a rilievo, tra le quali figurerebbe l'imperatore Federico II. Un gran numero di studiosi ha cercato di fornire interpretazioni coerenti e circostanziate sul significato da attribuire a quest'opera, carica di fascino e di mistero. Una sostanziale concordanza di opinioni esiste circa il valore profano da attribuire alla scena e all'identificazione delle figure con personaggi della casa sveva. Se la fama, dunque, è garantita, ancora molti dubbi restano da sciogliere. L'aura speciale che da sempre accompagna le opere d'arte legate tanto alla diretta committenza dell'imperatore quanto alla sua influenza, reale o immaginaria, ha spesso relegato in secondo piano un dato molto importante relativo alla cattedrale bitontina: ovvero la presenza, come in nessun'altra chiesa di Puglia, di un numero straordinario di arredi liturgici eseguiti tutti nella prima metà del XIII sec. che, sia pure pervenutici in uno stato frammentario, ci restituiscono un quadro esaustivo della produzione scultorea ai tempi dell'imperatore svevo. Ipotizzando poi un rapporto di 'osmosi' tra cantieri imperiali ed ecclesiastici, tale dato acquista un'importanza ancora maggiore.
L'edificio per il quale queste opere furono pensate è una basilica a tre navate esemplata sul modello della vicina chiesa di S. Nicola a Bari, dotata di matronei e torri postiche, con un'ampia cripta a oratorio. Il modello barese è riprodotto con dimensioni minori ma anche con una grande coerenza e con significative varianti, tali che difficilmente si potrebbe pensare a un inizio dei lavori prima che il progetto nicolaiano fosse stato definitivamente impostato. D'altro canto, le recenti indagini archeologiche condotte nel corso dell'ultimo restauro consentono di affermare senza ombra di dubbio che l'attuale chiesa fu costruita nel corso del XII sec. in un'unica campagna di lavori. In questa prima fase, così come la critica da tempo aveva sostenuto (Belli D'Elia, 1986, pp. 223-268), l'edificio venne impostato nelle sue linee generali. Nel successivo cantiere, risalente appunto alla prima metà del Duecento, si provvide solo a completare alcune parti secondo il progetto originario e a dotare la chiesa della suppellettile liturgica necessaria.
È possibile ipotizzare che la prima opera realizzata in questa fase fosse proprio l'ambone sul quale compare la seguente iscrizione: "HOC OPUS FECIT NICOLAUS / SACERDOS ET MAGISTER ANNO MILLESIMO / DUCENTESIMO VICESIMO / NONO I[N]DICTIONIS SECUNDE". Una seconda epigrafe corre lungo il bordo inferiore della base del lettorino: "DOCTA MANUS ME FECIT AD HOC UT LECTIO VITAE HIC RECITATA FERAT FRUCTUS MENTIS".
Si tratta dello stesso autore del campanile della cattedrale di Trani, dove sul cornicione di coronamento del basamento si firma col titolo di "SACERDOS ET PROTOMAGISTER", appellativo che indicherebbe la posteriorità di quest'opera rispetto a Bitonto (Derosa, 1997, pp. 698-699).
Addossato ora al pilastro destro di sostegno dell'arco trionfale, l'ambone, realizzato quasi interamente in marmo, era in origine collocato tra le ultime due colonne sul lato sinistro della navata centrale. Smontato nel corso del sec. XVII e malamente rimontato nel 1720 su due colonnette antiche con capitelli moderni di stile classico, è composto da un lettorino scompartito a lacunari tra due lastre piane con motivi a intreccio racchiuse tra colonnine angolari. Il lettorino è sostenuto da un'aquila retta da un telamone con i fianchi avvolti da un perizoma. Sotto l'aquila compare la scritta "JOHANNES", mentre altri due simboli degli evangelisti, il toro e il leone, sono inseriti sulle due colonnine tortili (sotto il toro a destra è ancora leggibile l'iscrizione "LUCAS"). Una quantità straordinaria di frammenti di marmi, dischi di tartaruga e madreperla, vetri e mastici colorati impreziosisce la decorazione. L'aquila accoglie al centro del petto, incastonato nel piumaggio, un grosso cristallo di rocca di forma globulare. Altri frammenti applicati con la tecnica a incrostazione con largo impiego di mastici colorati, sono inseriti nell'unica scala di accesso. Piccole cornici con decorazione vegetale e geometrica lungo il parapetto mostrano chiaramente che l'opera è stata arbitrariamente modificata. Sul lato destro abbiamo due lastre con alberelli stilizzati e piccoli volatili.
Nella parte retrostante è invece inserito il noto rilievo con l'imperatore svevo. Racchiusa da una cornice ornata con la stessa tecnica delle incrostazioni, su un fondo decorato a racemi, riempiti in origine di paste vitree o di pietre colorate, la lastra raffigura quattro personaggi, di cui uno seduto con uno scettro gigliato nella mano sinistra, gli altri in piedi inquadrati sotto una fila di archetti ciechi a ghiere multiple, disposti a seguire l'inclinazione del parapetto. Una piccola aquila occupa lo spazio in corrispondenza dell'angolo retto.
È probabile che in origine l'ambone avesse due scale di accesso, secondo il modello campano ampiamente diffuso in Puglia, come mostrano le numerose raffigurazioni nei rotuli degli Exultet, e che quindi alla lastra in esame ne fosse abbinata un'altra gemella. Lo confermerebbe un piccolo frammento raffigurante un'aquila su un fondo a racemi del tutto identica alla nostra, che si conserva in una collezione privata bitontina (Federico II. Immagine e potere, 1995, p. 503).
La presenza di inserti colorati doveva in origine dare maggiore rilievo alle figure, che oggi appaiono quasi soffocate dall'esuberanza dell'ornato. Si tratta, comunque, di figure dall'aspetto goffo e rigido, prive di espressione, a cui neanche la fitta trama di pieghe delle vesti riesce a dare spessore e movimento e che giustifica assai poco, sul piano della qualità, il successo dell'opera.
Quanto ai singoli personaggi la figura in trono rappresenterebbe Federico II per Schubring (1900) e Bertaux (1903), Enrico VI per Avena (1902). Non sono mancati suggerimenti a favore di un'interpretazione sacra della scena. Schulz (1860) vi vede un'Adorazione dei Magi, con la Vergine seduta, senza però il Bambino, mentre Venturi (1904) parla di Salomone che riceve la regina di Saba. Letture più interessanti sono state proposte negli ultimi decenni da alcuni studiosi di scuola tedesca, in particolare da Hans Martin Schaller (1960, pp. 40-60).
Riallacciandosi al testo di una predica di un diacono di nome Nicola (ma si tratta di un semplice caso di omonimia con l'autore del pulpito), pronunciata in occasione dell'ingresso a Bitonto di Federico II reduce dalla crociata, attraverso un puntuale riscontro delle metafore in essa contenute, Schaller identifica i personaggi con Federico I Barbarossa, seduto in trono, la Virga Aaron in tabernaculo del testo e, a seguire, Enrico VI che prende dalle mani lo scettro, Federico II, la Virga de radice Jesse, e Corrado IV. Nel volatile ci sarebbe il richiamo al simbolo araldico svevo, mentre la presenza di due sole corone ricorderebbe il passo della predica in cui si afferma che nel tabernacolo dell'alleanza si trovano due sole corone auree, ma delle due superiore è la seconda, così come la grandezza e dignità di Federico II superano quella del suo avo. Il rilievo rappresenterebbe, dunque, un "albero di Jesse secolarizzato", in cui troverebbe voce la concezione dell'unità e continuità del potere svevo enfatizzata, per gli aspetti simbolici, dall'identità del rex et sacerdos. L'idea dell'imperatore quale vicarius Christi, ovvero successor Christi in regnum, renderebbe il rilievo bitontino quasi un manifesto in pietra di quella visione federiciana del mondo che si andava elaborando proprio negli anni segnati dalla conquista della città santa di Gerusalemme. Si tratta di un'interpretazione coerente e affascinante contraddetta, però, dall'analisi di Heinrich Thelen (1980), che, sulla scia di alcune osservazioni di Roswitha Neu-Kock (1978), vede nelle tre figure in piedi personaggi maschili mentre nella figura seduta in trono, per il tipo di corona e la pettinatura, scorge una figura femminile, identificata con la Tyche di Bitonto. Il rilievo esalterebbe lo stato di città regia, soggetta all'autorità dell'imperatore. Il mistero, dunque, è destinato a rimanere tale.
Ma l'ambone bitontino, in virtù della datazione certa, rappresenta, a prescindere dalla problematica identificazione delle figure, "un raro punto fermo per un'organica sistemazione della produzione scultorea duecentesca pugliese" (Belli D'Elia, 2003, p. 164). La cultura espressa in quest'opera è indicativa di un modo di concepire la scultura da parte degli operatori pugliesi che in pieno XIII sec. reinventano temi e motivi ispirati alla tradizione scultorea dei secc. XI e XII con un gusto che esalta e accentua i valori decorativi e ornamentali. La stessa tecnica a incrostazione, di antica origine bizantina e islamica, già ampiamente diffusa in Puglia, è utilizzata per rendere nelle forme durevoli della scultura effetti e modelli ispirati alle arti suntuarie. Gli stessi elementi plastici, come l'aquila che sostiene il lettorino, oltre alla funzione liturgica, paiono pensati, per il virtuosismo ornamentale che li caratterizza, come forme decorative che esaltano le abilità tecniche degli esecutori. Diverso il caso del telamone e dei simboli degli evangelisti che, rifacendosi a una lunga tradizione plastica che fa capo al Maestro della cattedra di Elia, presentano caratteristiche di maggiore vigore espressivo, giustamente interpretato come segno dell'attività di una bottega in cui al "magister Nicolaus" era probabilmente affidato il ruolo di progettista dei lavori piuttosto che di esecutore (Belli D'Elia, 1986, pp. 223-268). Si giustifica meglio, in tal caso, l'attribuzione a "Nicolaus" (Calò Mariani, 1978, pp. 654-655) del completamento dell'ultimo tratto dell'esaforato sud dove, a partire dalla terza arcata, nella serie di capitelli a stampella decorati a motivi vegetali ritorna quel gusto per l'ornamentazione fortemente arcaicizzante, caratteristico dello stile di questa bottega.
Un dato finora sfuggito alla critica, e che aggiunge nuovi elementi alla comprensione della cultura del Maestro, è il rapporto, innegabile, tra la cassa dell'ambone bitontino e l'ambone di Enrico II ad Aquisgrana. Sorprendentemente affine, in particolare, è il motivo della decorazione a lacunari, dei fondi smaltati con una fitta trama a racemi, del ricorso a pietre preziose, avori, cristalli fatimidi, la cui preziosità a Bitonto è resa con il ricorso a pietre, marmi, mastici colorati, cristalli e vetri che danno il senso di estrema preziosità e raffinatezza di un lavoro di oreficeria. L'opera di "Nicolaus" potrebbe essere stata ispirata direttamente dall'ambone di Enrico II, non sapremo mai se attraverso una conoscenza diretta o una pura suggestione o ricordo da parte della committenza. Riaffiora, ancora una volta, il legame tra l'opera bitontina e l'imperatore svevo, solennemente incoronato appena dieci anni prima presso la tomba di Carlomagno, lì dove aveva dato nuova sepoltura alle spoglie del fondatore del Sacro Romano Impero nel grande e prezioso scrigno-reliquiario d'oro e d'argento.
Nell'ambone bitontino potrebbe così celarsi il riferimento a un luogo simbolico: un omaggio all'imperatore che nulla toglie ai valori più strettamente religiosi e liturgici dell'arredo stesso, sottolineati dai simboli del tetramorfo e dal tema del giardino paradisiaco sulle lastre che fanno da supporto alla scala.
Alla stessa équipe di scultori potrebbero essere assegnati i frammenti di un pulpito di recente smontato per restauro, formato da una semplice cassa a forma di parallelepipedo sorretta da quattro pilastrini con capitelli decorati. I due raffinatissimi plutei che costituiscono la fronte della cassa, si riallacciano coerentemente alla cultura espressa nell'ambone, con l'adozione di motivi a intreccio arricchiti di incrostazioni di vetri colorati, decorati da elementi floreali e da una piccola aquila. Secondo alcuni autori locali tale opera sarebbe solo frutto di un assemblaggio di pezzi ricavati dalla demolizione dell'altare maggiore e dell'ambone (Sylos, 1933, pp. 7-8). Le colonnine che sorreggono la cassa richiamano le colonnine angolari del chiostro di Monreale, a riprova dell'intervento di maestranze pugliesi nel cantiere siciliano (Belli D'Elia, 1986, p. 263). In realtà l'esperienza dei cantieri romanici siciliani costituisce uno degli elementi della cultura di "Nicolaus", riconoscibile nella scelta di alcuni temi iconografici, quali alberi popolati da uccelli, nella tecnica e nella ripetizione di alcuni temi decorativi che traducono suggestioni derivate da cofanetti eburnei, stoffe e metalli.
L'esuberante decorazione policroma che impronta queste opere ritorna in altri frammenti conservati in un locale del vicino episcopio. Ricordiamo alcune lastre eseguite a sottosquadro e in origine decorate con incrostazioni di mastici colorati, che presentano motivi a losanghe con figure zoomorfe, quali ritroviamo nella recinzione presbiteriale di Pellegrino da Salerno nella cattedrale di Bari. O, ancora, una bellissima lastra, eseguita da uno scultore di nome Pollice, in origine anch'essa impreziosita da incrostazioni, che accoglie nel centro una palma e sui lati, disposti a coppie, una serie di ghepardi e pantere, che riproducono modelli presenti sulle stoffe seriche islamiche o siciliane, come il celebre manto della collegiata di Saint-Meme a Saint-Étienne de Chinon.
In tutte queste opere prevale la stessa esuberanza decorativa che si ritrova in altri edifici sacri della regione dove, nella prima metà del sec. XIII, si rinnova l'austero arredo liturgico dell'XI secolo. Si pensi a Bari o a Troia, ma anche, sia pure documentato da scarsissimi resti, a Trani e Bisceglie (dove si trovano alcuni resti di lastre decorate a sottosquadro attribuite allo stesso "Nicolaus"). Ovunque l'effetto ricercato è lo stesso e un'aria di mondanità e di effimero investe in particolare la zona dell'area presbiteriale.
Di questo fenomeno a Bitonto si possono cogliere anche gli esiti successivi. Nella stessa chiesa si conservano, infatti, i resti di un'ultima opera realizzata in epoca federiciana, un ciborio, di cui rimangono numerosi frammenti di travi, cornici e colonnine, oltre a un meraviglioso capitello che costituisce uno dei più alti raggiungimenti della plastica scultorea duecentesca pugliese. L'opera, come si evince dall'iscrizione incisa sull'architrave dello stesso (D'Itollo, 1989, pp. 213-226), fu eseguita nel 1240 da uno scultore di Foggia identificato dalla critica in Gualtieri, figlio di Riccardo da Foggia, citato in un documento del 1262. L'unico capitello superstite è caratterizzato da una raffinata decorazione in cui draghi intrecciati si annodano a rigogliosi cespi inframmezzati da rosette. Vicina, come impostazione, a uno dei capitelli di Alfano per il ciborio della cattedrale di Bari e più ancora a quelli dei pulpiti delle cattedrali di Spalato e Traù (Belli D'Elia, Il Maestro dei capitelli, 1992, pp. 249-266), quest'opera si distacca dal gusto ornamentale, pregno di accenti islamici, dell'opera di "Nicolaus"; ma di questo maestro accoglie, con grande libertà e straordinaria capacità espressiva, il senso della raffinatezza e della preziosità della scultura.
Fonti e bibliografia
H.W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittel-alters in Unteritalien, Dresden 1860, pp. 76-77.
S. Simone, La cattedrale di Bitonto e il suo restauro, Bari 1884-1888.
P. Schubring, Bischofsstühle und Ambonen in Apulien, "Zeitschrift für Christliche Kunst", 13, 1900, pp. 194-214.
G. Valente, La cattedrale di Bitonto descritta e documentata, Bitonto 1901.
A. Avena, I monumenti dell'Italia meridionale, Roma 1902, p. 87.
É. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, II, Paris 1903, pp. 634, 655-659.
A. Venturi, Storia dell'arte italiana, III, Milano 1904, pp. 655-666.
L. Sylos, Il restauro del duomo di Bitonto. Relazione sulle opere d'arte, Bitonto 1933.
V. Acquafredda, Bitonto attraverso i secoli, ivi 1934 (rist. 1996).
H.M. Schaller, Il rilievo dell'ambone della cattedrale di Bitonto. Un documento dell'idea imperiale di Federico II, "Archivio Storico Pugliese", 13, 1960, fascc. 1-4, pp. 40-60.
H.M. Schaller-E. Paratore-R.M. Kloos, L'ambone della cattedrale di Bitonto e l'idea imperiale di Federico II, Bari 1970.
P. Belli D'Elia, La lastra di Pollice e altri fatti bitontini e non, "Studi Bitontini", 6, 1971, pp. 3-27.
H. Schäfer-Schuchardt, Die Kanzeln des 11. bis 13. Jahrhunderts in Apulien, Würzburg 1972, pp. 35-45, 81-100.
S. Schwedhelm, Die Kathedrale San Nicola Pellegrino in Trani und ihre Vorgängerkirchen, Tübingen 1972.
M.S. Calò Mariani, in L'art dans l'Italie méridionale. Aggiornamento dell'opera di Émile Bertaux, sotto la direzione di A. Prandi, V, Rome 1978, pp. 654-655, 797-798.
S. Schwedhelm, ibid., pp. 801-809.
R. Neu-Kock, Das Kanzelrelief in der Kathedrale von Bitonto, "Archiv für Kulturgeschichte", 60, 1978, pp. 253-267.
H. Thelen, Ancora una volta per il rilievo del pulpito di Bitonto, in Federico II e l'arte del Duecento italiano. Atti della III settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma, 15-20 maggio 1978, a cura di A.M. Romanini, I, Galatina 1980, pp. 217-225.
A. Castellano, La bottega di Nicolaus e il pulpito della cattedrale di Bisceglie, "Archivio Storico Pugliese", 35, 1982, pp. 415-420.
M.S. Calò Mariani, L'arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, pp. 148-152.
P. Belli D'Elia, La Puglia, Milano 1986, pp. 223-268.
C. Gattagrisi, L'iscrizione sul capitello del ciborio della cattedrale di Bitonto, in Cultura e società in Puglia in età sveva e angioina. Atti del Convegno di studi (Bitonto, 11-12 dicembre 1987), a cura di F. Moretti, Bitonto 1989, pp. 199-211.
A. D'Itollo, L'iscrizione sull'architrave del ciborio della cattedrale di Bitonto, ibid., pp. 213-226.
N. Pice, Il dictamen di Nicolaus, uno scritto encomiastico dell'età federiciana, ibid., pp. 283-310.
G. Bertelli, La produzione vetraria in Puglia nel XIII secolo, in Studi di storia pugliese in memoria di Maria Marangelli, a cura di F. Tateo, Fasano 1990, pp. 143-161.
P. Belli D'Elia, Presenze pugliesi nel cantiere della cattedrale di Traù, "Vetera Christianorum", 28, 1991, pp. 387-421.
Ead., Il Maestro dei capitelli. Un ignoto scultore dell'Italia meridionale nella cattedrale di Traù, "Prilozi Povijesti Umjetnosti u Dalmaciji", 32, 1992 (Studi in onore di Kruno Prijateli), pp. 249-266.
Ead., Bitonto, in Enciclopedia dell'Arte Medievale, III, Roma 1992, pp. 513-517.
P.C. Claussen, Bitonto und Capua. Unterschiedliche Paradigmen in der Darstellung Friedrichs II., in Staufisches Apulien, Göppingen 1993, pp. 74-124 (in partic. pp. 77-85).
S. Ciampi, I vetri di pregio in Puglia e Toscana nella prima metà del XIII secolo. Il ruolo scelto da Federico II, "Bollettino della Accademia degli Euleti della Città di San Miniato", 61, 1994, pp. 93-103.
Federico II. Immagine e potere, catalogo della mostra, a cura di M.S. Calò Mariani-R. Cassano, Venezia 1995.
L. Derosa, Nicolaus, in Enciclopedia dell'Arte Medievale, VIII, Roma 1997, pp. 698-699.
Bitonto e la Puglia tra Tardoantico e Regno normanno. Atti del Convegno (Bitonto, 15-17 ottobre 1998), a cura di C.S. Fioriello, Bari 1999.
V. Cascione-G. Fallacara, Ipotesi ricostruttiva del Ciborio della Cattedrale di Bitonto, "Studi Bitontini", 72, 2002, pp. 79-97.
P. Belli D'Elia, Patrimonio Artistico Italiano. Puglia romanica, Milano 2003, pp. 151-169.