cattolicesimo
Chiesa cristiana che riconosce nel Papa la suprema autorità religiosa
Nel corso della storia, la religione cristiana ha dato luogo a varie confessioni, ossia a diverse interpretazioni della medesima fede, dalle quali sono nate le Chiese cattolica, ortodossa ed evangelica. Fanno parte del cattolicesimo le Chiese che riconoscono nel vescovo di Roma (in quanto successore dell'apostolo Pietro, considerato il fondatore della Chiesa universale) la suprema autorità religiosa in materia di dottrina, di disciplina e di giurisdizione. Come tale il vescovo di Roma ‒ abitualmente denominato papa, titolo che nell'antichità cristiana era assegnato a ogni vescovo ‒ è il capo della Chiesa cattolica, detta anche apostolica e romana
Il riconoscimento di un primato onorifico al vescovo di Roma è antichissimo: ci sono attestazioni in proposito fin dal 2° secolo d.C. Ma la trasformazione di questo primato onorifico in un potere effettivo e assoluto fu un processo lento e contrastato, all'interno della cristianità occidentale; e lo divenne ancor più da quando, dopo le invasioni dei popoli germanici e la formazione dei regni romano-barbarici, venne meno l'autorità dell'imperatore romano, il quale, dai tempi di Costantino in poi, era stato il vero capo della Chiesa. Il movimento di ascesa del papato, accelerato dopo la cosiddetta riforma gregoriana (dal nome del papa Gregorio VII) dell'11° secolo, impone il primato giurisdizionale del papa su tutta la cristianità d'Occidente e la visione ierocratica (dal greco "potere dei sacerdoti") secondo cui il potere ecclesiastico è superiore al potere politico.
Questa vicenda accentuò la distanza con le Chiese dell'Oriente bizantino, che si rifacevano alle antiche tradizioni di collegialità dei vescovi e all'autorità imperiale, tanto da giungere allo scisma tra la Chiesa di Roma e le Chiese orientali (dette ortodosse) all'inizio dell'11° secolo. La reciproca scomunica del 1054 fu in sostanza un episodio di un conflitto già aperto: la rottura vera e propria si consumò con la temporanea e sanguinosa conquista crociata di Costantinopoli nel 1204 e l'unione non fu più ristabilita, nonostante gli sforzi in tal senso.
In senso confessionale l'avvio del cattolicesimo fu segnato dal conflitto religioso innescato dall'azione di Lutero (Riforma protestante). In realtà il desiderio di purificare la Chiesa con una riforma che riguardasse sia i costumi del clero sia la coscienza dei singoli si era fatto insistente in tutta la cristianità a partire dal 15° secolo. Il movimento iniziato da Lutero e sostenuto da alcuni principi tedeschi, presto considerato irreversibile dalle gerarchie romane, portò, però, al prevalere di un'ottica di contrapposizione rispetto a quella di dialogo e di eventuale recupero dei riformatori. Alla lunga, nella Chiesa di Roma, prevalsero le posizioni degli intransigenti verso i protestanti su quelle più aperte al dialogo, anche se entrambi gli schieramenti erano convinti che la Chiesa di Roma avesse bisogno di un rinnovamento. Da questo il nome di Controriforma dato alla riforma promossa dalla Chiesa romana e attuata mediante il Concilio di Trento (1545-63), che formalizzò la dottrina 'cattolica' e purificò i costumi ecclesiastici.
Il termine 'cattolico' nel cristianesimo delle origini voleva indicare il comune sentire delle varie chiese locali, l'unica fede in Cristo e la fedeltà a una dottrina condivisa da tutti. Ma dopo il Concilio di Trento arrivò progressivamente a indicare, non senza resistenze e contrasti, una sola Chiesa, la cui pretesa di universalità non è però riconosciuta dalle Chiese cristiane ortodosse ed evangeliche.
La formazione di Chiese dotate di un apparato dottrinale e liturgico ben definito fu un lungo processo, che comportò atteggiamenti di difesa verso l'esterno e di repressione verso i dissensi interni. E tuttavia, accanto a fenomeni comuni (si pensi alla caccia alle streghe), le varie Chiese ebbero percorsi storici diversi. Nel caso della Chiesa cattolica prevalse, per esempio, una struttura fortemente gerarchica. Prendiamo la soluzione cattolica del dilemma ereditato dall'età precedente la Riforma: cioè se l'autorità del concilio dovesse o no prevalere su quella del papa. Molte istanze di riforma si erano coagulate intorno all'idea che l'autorità del concilio fosse superiore a quella del papa (conciliarismo). Ebbene, a partire dalla bolla di conferma da parte di Pio IV degli atti del Concilio di Trento, che riservava alla Santa Sede il giudizio finale sull'applicazione dei decreti nella cattolicità, fino alla proclamazione dell'infallibilità pontificia in materia di fede e di morale nel Concilio Vaticano I (1869-71), il processo di centralizzazione voluto dalla sede romana non conobbe soste, benché contrastato dall'interno stesso della cattolicità a ogni crisi storica del papato.
Un'inversione di tendenza si è avuta solo con il Concilio Vaticano II (1962-65), che ha riconosciuto la Chiesa come popolo di Dio e ha rivalutato la funzione episcopale reintegrando la collegialità dei vescovi nel governo della Chiesa, ma sempre in una posizione subordinata rispetto all'autorità del papa.
Il Concilio di Trento ha definito la struttura della dottrina cattolica, operando non solo nel senso della condanna delle tesi della Riforma, ma anche in quello di una chiarificazione in positivo delle tesi cattoliche. Le fonti della rivelazione di Dio all'uomo furono individuate in primo luogo nelle Sacre Scritture ‒ composte dall'Antico Testamento (secondo un canone più ampio di quello accettato dai protestanti) e dal Nuovo Testamento ‒ e nella Tradizione, cioè nell'insieme delle tradizioni orali su fede e costumi derivanti da Cristo e "trasmesse ininterrottamente nella Chiesa cattolica". Questo secondo punto si opponeva chiaramente al principio luterano della Scrittura come unico punto di riferimento del credente.
Sul peccato originale si affermò la sua trasmissione a tutta la natura umana e la sua completa remissione con il battesimo. Lutero aveva insistito sul carattere gratuito della grazia e sul fatto che la fede stessa ‒ l'unica realtà che può rendere giusto un uomo ‒ è dono di Dio. Il Concilio affermò che la fede, dono gratuito di Dio, è il punto di partenza della giustificazione (cioè del divenire giusti agli occhi di Dio); ma quest'ultima è un processo che comprende una serie di momenti successivi, sempre gratuitamente guidati dalla grazia di Dio, ma che implicano anche la volontaria risposta dell'uomo con una vita conforme alla chiamata di Dio, operosa nella carità e rinnovata dai sacramenti.
I sacramenti, stabiliti da Cristo in numero di sette (battesimo, cresima, eucaristia, confessione, estrema unzione, ordine, matrimonio) sono segni efficaci della grazia, che viene da essi conferita per il fatto stesso di venire amministrati. In particolare, la penitenza ripristina la giustificazione perduta con il peccato, mediante la confessione verbale dei peccati a un sacerdote e la conseguente assoluzione. Sull'eucaristia si era sviluppato un ampio dibattito fra gli stessi protestanti. Il Concilio stabilì la dottrina della transustanziazione, secondo la quale il pane e il vino nell'eucaristia divengono il corpo e il sangue di Cristo. Il matrimonio, considerato istituzione divina al pari degli altri sacramenti, è considerato indissolubile e quindi il divorzio ‒ a differenza di quanto avviene in altre confessioni cristiane ‒ è inammissibile.
Ai decreti di carattere dottrinale si alternarono quelli propriamente di riforma ecclesiastica, il più importante dei quali impose ai vescovi la residenza nella propria diocesi e un rapporto stretto con i fedeli. La devozione verso la Madonna costituisce un'altra specificità del cattolicesimo, rafforzata da due dogmi specifici promulgati in età moderna: l'immacolata concezione (1854), cioè la dottrina per cui Maria è l'unica creatura umana a essere stata concepita senza peccato originale, e l'assunzione al cielo di Maria in corpo e anima (1950).