Cattolicesimo
di Jean Daniélou
Cattolicesimo
sommario: 1. Introduzione. 2. Il ritorno al Vangelo: a) i mistici; b) gli scrittori; c) gli esegeti. 3. I dialoghi: a) il laicismo; b) la religiosità; c) l'ecumenismo. 4. Il messaggio cristiano: a) il Dio vivente; b) ordine e libertà; c) il senso del sacro. 5. Il Cristo della fede: a) l'essenza della fede; b) il contenuto della fede. 6. Il corpo del Cristo: a) il Cristo perpetuato nella Chiesa; b) la missione della Chiesa; c) la santità; d) la speranza escatologica. 7. La Chiesa come istituzione: a) l'istituzione ecclesiale; b) il sacerdozio e i sacramenti; c) la riforma della Chiesa. 8. La Chiesa e il mondo: a) la cultura; b) la società economica e politica; c) la famiglia. 9. I problemi di domani: a) ordine e libertà; b) élite e massa; c) verità e amore. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il cristianesimo, a metà del XX secolo, resta la religione di una parte importante dell'umanità: l'Europa occidentale, le due Americhe, parte dell'Africa, dell'Oceania e dell'Asia. All'inizio del secolo era sul punto di estendersi alla totalità del globo. A. Toynbee pensava che la civiltà cristiana, soprattutto nella sua forma protestante, avrebbe fatto scomparire tutte le altre. I grandi sommovimenti intervenuti alla metà del secolo hanno un po' modificato questa immagine. Popoli presso i quali la missione cristiana penetrava a poco a poco, come in India e nei paesi arabi, le si son chiusi e son tornati a rivolgersi alle loro religioni tradizionali. Il marxismo ateo ha strappato l'Europa orientale ortodossa alla influenza cristiana e le ha chiuso completamente la Cina.
Non si tratta di fare statistiche. Si può discutere senza fine su ciò che rappresenta sociologicamente il cristianesimo nella nostra epoca. Si può osservare che non c'è necessariamente relazione tra l'aspetto qualitativo e quello quantitativo. I paesi in cui il cristianesimo è attualmente più vigoroso sono quelli in cui la Chiesa deve far fronte al marxismo o all'Islam, come nel caso della Polonia o della Nigeria. Manifesta invece sintomi di deperimento nei paesi atlantici, dove le Chiese godono di piena libertà. Bisogna dunque concludere che i dati sociologici rivestono pochissima importanza quando si voglia dare un giudizio sulle realtà cristiane del nostro tempo. Quello che conta è la loro natura interiore.
2. Il ritorno al Vangelo
I grandi rinnovamenti della Chiesa nascono nel cuore dei santi. E quando i nomi dei Pastori e dei Dottori che li hanno portati a compimento sono dimenticati, restano nella memoria - per aver dato un'impronta al loro tempo - quelli dei santi. Cosi il cristianesimo medioevale ha tratto ispirazione da Benedetto, il cristianesimo del Rinascimento da Francesco d'Assisi. Si trattava ogni volta di un ritorno al Vangelo. Ciò che caratterizza il cristianesimo del XX secolo, e che è all'origine di quanto ha suscitato e suscita di valido, non sono tanto le trasformazioni strutturali o le correnti teologiche. Queste ultime sono solo delle conseguenze. È in primo luogo una certa esperienza spirituale. Ed è apparsa nel cuore dei santi.
Ciò che caratterizza il cristianesimo del XX secolo è la sete di un ritorno alle fonti, di un ritorno al Vangelo, di un rinnovamento evangelico. Lo spirito non può agire senza esprimersi nella lettera. Ma la lettera a sua volta rischia di soffocare lo spirito. La situazione dall'inizio del secolo è quella di un cristianesimo che si piega sotto il peso dei sistemi teologici, degli apparati amministrativi, delle casistiche morali. Esso appare a molti come un insieme di dogmi complicati, di pesanti costrizioni. Anche per quelli che se ne distaccano, sono questi gli aspetti che rimangono. E, per quelli che restano fedeli, sono questi gli aspetti che dominano.
a) I mistici
Fu allora che nacque, dapprima in qualche anima privilegiata, una sete di ritorno all'essenziale, al Vangelo nella sua purezza. La prima è Teresa di Lisieux. L'ambiente familiare e religioso in cui è vissuta nella sua provincia era tipico del cattolicesimo del XIX secolo, con tutte le sue virtù ed i suoi limiti. L'accento veniva posto su un'osservanza scrupolosa, sul timore del peccato, sullo sforzo e sul sacrificio. Tutto ciò aveva un valore, altrimenti non avrebbe prodotto tali frutti. Ma tuttavia vi restava qualcosa di soffocante. Teresa Martin l'ha pienamente avvertito. Ha avuto sete di ritrovare il Vangelo nella sua purezza. Diceva di non poter ormai leggere altro che il Vangelo. Anche questo, a quel tempo, poteva sembrare sospetto. Bisognava leggere il Vangelo, ma secondo le interpretazioni consentite, tradotto in precetti e in norme. Teresa torna all'essenza del Vangelo per un insopprimibile istinto, o meglio per una ispirazione divina.
Il Vangelo è l'Amore, l'Amore con cui siamo amati dal Padre e che ci prende nel Figlio. È questo Amore che chiama l'Amore. Non si tratta che di amare: ‟la mia vocazione è l'Amore". Non è l'Amore con un'altra cosa. Non è l'Amore per qualche cosa. È semplicemente l'Amore, perché colui che ha trovato l'Amore possiede ogni cosa nell'Amore. E questo Amore ha bisogno di un'unica cosa per invaderci: che noi ci abbandoniamo a lui senza riserva, con una fiducia e un abbandono totali. Non ha bisogno d'altro. Tutto il resto gli è di ostacolo. Ha bisogno solo della nostra povertà. Per questo è accessibile ai poveri.
Questo messaggio di Teresa è risuonato fino ai confini del mondo, nell'universo dei cuori. Ha raggiunto le anime nascoste, gli umili e i piccoli. Ha convertito sapienti e scienziati. Il cristianesimo del sec. XX non è in primo luogo quello che è iscritto nella storia, che si esprime nelle decisioni dei vescovi e negli scritti dei teologi. Ciò che ne costituisce la vera sostanza è la realtà nascosta dell'amore che vive nel cuore dei poveri. Le ascose grandezze della santità sono infinitamente più grandi di quelle del potere e del pensiero. La grandezza di Teresa è di quelle. Ed ella ha come irradiato questa grandezza nel mondo dei cuori. Urs von Balthasar (v., 1961) ha mostrato la sua importanza decisiva per il nostro tempo.
Un'altra influenza, segnata anch'essa dal ritorno al Vangelo, ma di tutt'altro stile, è quella di padre C.-E. de Foucauld. Domina qui il fascino dell'imitazione di Cristo spinta fino al dettaglio e che permette di raggiungerlo nella sua semplicità originale scavalcando venti secoli di storia. È questo fascino che porta padre de Foucauld a vivere nello stesso ambiente in cui è trascorsa la vita di Gesù, a Nazareth. La cosa essenziale è ritrovare gli atteggiamenti fondamentali di umiltà, povertà, semplicità. Questo tratto è sempre stato uno dei caratteri dei riformatori autentici. L'imitazione di Cristo è la base tanto della spiritualità di Francesco d'Assisi, che degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio. Padre de Foucauld la ritrova e vi si sprofonda.
Il suo direttore spirituale, l'abate Huvelin, l'aveva dissuaso dal fondare un ordine, ma sulla sua scia si sta sviluppando una corrente con le Piccole Sorelle di Gesù. Esse costituiscono una vera rivoluzione della vita religiosa. Piccoli gruppi contemplativi che vivono nel mondo e praticano un lavoro: ecco qualcosa di molto diverso da ciò che era la vita religiosa tradizionale. Essa ne risulterà trasformata. Buona parte dell'attuale evoluzione è dominata da questo esame critico delle strutture e dal ritorno ad una sorta di semplicità evangelica. Sfortunatamente, questa evoluzione non è sempre animata dallo spirito contemplativo che era di padre de Foucauld e che padre R. Voillaume continua mantenendo l'autenticità della sua ispirazione.
In padre de Foucauld il ritorno al Vangelo si accompagna ad un ritorno all'eucaristia, alla presenza viva del Cristo glorificato. Uno dei tratti caratteristici della sua ispirazione è stato di rendere il Cristo presente anticipatamente tra i musulmani per mezzo dell'eucaristia. In ciò padre de Foucauld è debitore del grande movimento di ritorno all'eucaristia, che deve il suo impulso a san Pio X e che rappresenta una terza forma del ritorno a Cristo che ha caratterizzato l'inizio del secolo. A un cristianesimo segnato dal giansenismo, che considerava l'eucaristia con un atteggiamento di tremore, si sostituisce un cristianesimo che ha fame e sete del pane di vita. L'esortazione a somministrare l'eucaristia ai bambini, l'incremento della comunione frequente, l'accento messo sul culto eucaristico sono stati una delle grandi fonti del rinnovamento cristiano del sec. XX e restano una delle fonti più vitali.
Se con Teresa di Lisieux è il ritorno alla rivelazione dell'amore, se con padre de Foucauld è il fascino della povertà, con Pio X è il mistero della fede nel Cristo che brilla di uno splendore tanto più vivo in quanto contrasta con il mondo degli scientismi e dei positivismi ereditato dal XVIII e dal XIX secolo. L'importanza del suo messaggio è nell'aver affermato che, quali che siano i progressi scientifici, le trasformazioni sociali, le correnti filosofiche, la sostanza della fede non può esserne toccata. Questa sfida ha avuto un'eco profonda ovunque nel mondo e ha fornito il suo incrollabile sostegno dottrinale al rinnovamento spirituale.
b) Gli scrittori
Nato nel cuore dei santi, questo movimento di ritorno al Vangelo troverà un'eco straordinaria nel mondo delle lettere. Uno dei caratteri più importanti della letteratura cristiana nel XX secolo è il posto che vi occupano le Vite di Gesù. Esse costituiscono uno dei segni più notevoli del movimento di ritorno al Vangelo. Tra le prime va ricordata la Vita di Gesù di G. Papini, che suonò come annuncio del ritorno al Cristo nel mondo dell'incredulità e che ne sottolinea il carattere paradossale. Ad essa farà seguito Der Herr di R. Guardini, la più straordinaria di tutte. F. Mauriac scriverà una Vie de Jésus e avrà una grande fortuna il Jésus di D. Rops.
Questo ritorno di Gesù va oltre il mondo cristiano. Si può dire che la nostalgia del Vangelo sia uno dei tratti salienti del nostro secolo. Il mondo ebraico, invece di re- spingerlo, lo scopre come una delle più alte espressioni della sua tradizione con il Jésus vu par le juif errant di E. Fleg, Les années obscures de Jésus di R. Aron, il Jésus di D. Flusser. Dopo il socialista Barbusse, è il comunista R. Garaudy che lo saluta come la più perfetta espressione dell'aspirazione delle masse. E questa nostalgia avrà un'eco fino ai nostri giorni nell'entusiasmo dei giovani americani per Gesù, il Jesus Christ, superstar o Godspell.
A loro volta, gli esegeti e i teologi faranno riferimento alla persona di Gesù in modo particolarissimo. Ecco il Jésus-Christ di L. de Grandmaison, L'Evangile de Jésus-Christ di padre J.-M. Lagrange, La vie et les enseignements de Notre Seigneur Jésus-Christ di padre J. Lebreton, tutto pervaso di scienza esegetica ed insieme di esperienza mistica. Il meglio dell'esegesi contemporanea aiuterà a scoprire nei Vangeli ricchezze nuove e a raggiungere meglio la divinità di Gesù attraverso la sua umanità. E il peggio di questa esegesi non arriverà a svuotarli del loro contenuto di verità storica.
Ma le Vite di Gesù rappresentano solo un aspetto di questo ritorno del Cristo nella letteratura della prima metà del secolo, che ha visto una corrente spirituale profonda attraversare il mondo degli scrittori e, per loro tramite, agire profondamente sulle élites, se è vero, come ha scritto Urs von Balthasar, che la verità raggiunge i cuori solo quando è la bellezza a irradiarla. Di questo ritorno al Cristo nell'ambito di una critica del mondo moderno - e della moderna Chiesa in quanto soggiace al mondo moderno e diviene modernista - si farà promotore fra i primi lo straordinario L. Bloy all'inizio del nostro secolo. La violenza del suo messaggio scuoterà una intera generazione. È noto il ruolo che egli avrà nella vita di J. Maritain e l'influenza che, a sua volta, eserciterà Maritain. Non parlo qui della sua filosofia, ma del suo messaggio contemplativo. La primauté du spirituel desterà lunghi echi e susciterà una intera ondata di conversioni.
Ma l'influenza di Bloy è solo una delle tante. Ci sarà in Inghilterra la corrente di G. K. Chesterton e di H. Belloc. Uno dei più grandi geni del nostro tempo, Ch. Péguy, opererà il superamento del socialismo nel cristianesimo, dopo aver vissuto l'esperienza dell'impotenza dei mezzi temporali a vincere il male essenziale. Rifiutando il mondo moderno, contestando il modernismo di certi cristiani, egli si accosta dapprima alla cristianità medioevale, al cristianesimo popolare della stirpe. Ma, al di là di questo, trova nel mistero dell'Incarnazione la risposta al suo interrogativo fondamentale e scrive Mystère de la charité de Jeanne d'Arc ed Eve, con brani ammirevoli sulla Natività e la Passione.
Altri verranno a continuare questa straordinaria riscoperta. P. Claudel esprimerà nella Messe là-bas l'importanza dell'eucaristia come assunzione carnale dell'assoluto: ‟Raggiungo finalmente la sostanza attraverso l'accidente". L. Massignon continuerà la tradizione di padre de Foucauld. Poi verrà, dopo la guerra del 1914 - e sempre sulla stessa linea di ritorno alle fonti - l'attaccamento appassionato di F. Mauriac alla persona di Gesù, l'immagine evangelica del prete, ispirata dal curato d'Ars, nel Journal d'un curé de campagne di G. Bernanos, G. Greene con The power and the glory e, ai giorni nostri, nel momento in cui l'ispirazione sembra inaridita nei nostri paesi atlantici, la sua rinascita nel mondo slavo con Solženicyn e Sinjavskij.
Ciò che caratterizza la quasi totalità di questa letteratura è il fatto di essere una letteratura di convertiti. Viene da uomini che hanno conosciuto il vuoto del mondo moderno, la cui anima ha avuto fame, che hanno trovato nel Cristo ciò che finalmente li sfamava, che lo hanno abbracciato con una fede totale. Essi non hanno accettato di vedere dei cristiani ipnotizzati dagli idoli che essi stessi avevano infranto, affascinati da un mondo moderno di cui avevano conosciuto il vuoto. È questo prostrarsi davanti al mondo moderno che J. Maritain ha denunciato nel Paysan de la Garonne. Con testi di Bloy, Péguy, Claudel, Bernanos, Chesterton, si potrebbe fare un'antologia straordinaria di denuncia del modernismo dei cristiani tiepidi.
Ritroviamo qui veramente l'eco dei santi. La fiducia totale nell'amore misericordioso è l'essenza del messaggio ultimo di Péguy, di Bernanos, di Greene. La nostalgia del Vangelo, come l'aveva espressa padre de Foucauld, percorre l'opera di Mauriac e si è espressa nel suo discepolo, L. Massignon. E Pio X è proprio il papa di questa generazione, il papa dell'‛anti-moderno', del quale Apollinaire scriveva paradossalmente: ‟L'uomo più moderno è lei, papa Pio X", moderno per il suo rifiuto del modernismo e per la sua contestazione delle ideologie del tempo.
c) Gli esegeti
Nato nel cuore dei santi, riecheggiante nell'opera degli scrittori, questo ritorno al Vangelo penetrerà nelle strutture del pensiero e della vita della Chiesa. Ciò è vero soprattutto per la teologia a tutti i livelli. La parola di Dio tornerà ad occuparvi il posto centrale. La tradizione cattolica del sec. XIX e dell'inizio del XX tendeva a dissociare un'esegesi scientifica, rivolta soprattutto a ricollocare gli scritti del Nuovo Testamento nel loro contesto storico e letterario, e una teologia sistematica che corrispondeva all'organizzazione del dogma nella sintesi scolastica. La teologia biblica supererà contemporaneamente sia l'esegesi scientifica, in una ricerca del contenuto stesso della Scrittura, che il dogmatismo scolastico, tornando ad un contatto immediato con la parola di Dio. Essa assumerà un posto centrale nella formazione del clero, nella catechesi, nella predicazione.
Certamente su questo punto si farà sentire l'influenza della tradizione protestante. Già nel sec. XVI la Riforma protestante era stata una riforma ‛evangelica', che ripudiava la Scolastica per tornare al Vangelo puro e semplice. La Controriforma cattolica vi si era opposta, ma sotto certi aspetti il movimento cattolico contemporaneo recupera alcuni valori della Riforma. Esso si caratterizza del resto per un incontro ecumenico tra protestanti e cattolici. La teologia biblica cattolica recherà l'impronta profonda del movimento evangelico protestante. Sul cattolicesimo del XX secolo sarà grande l'influenza di K. Barth che mostra l'attualità permanente della parola di Dio, e quella di O. Cullmann, che sottolinea la realtà obiettiva degli eventi divini nella storia della salvezza.
Questo concentrarsi dell'attenzione sulla teologia del Nuovo Testamento comporta dei pericoli. Da una parte, la preoccupazione di reinterpretare il messaggio evangelico affinché l'uomo moderno lo comprenda porta, con R. Bultmann, a porre in dubbio delle affermazioni fondamentali della fede, considerate come residui di concezioni superate. Si torna ad un'esegesi naturalista, ad un'immagine di Gesù visto semplicemente come una grande figura religiosa e non come il gesto salvatore di Dio. Il modernismo di Bultmann non fa che perpetuare, con un'intonazione filosofica diversa, quello di A. von Harnack o di A. Loisy.
D'altra parte, anche là dove questa ermeneutica del Nuovo Testamento conserva il suo valore dogmatico, favorisce a tal punto il momento della Scrittura che finisce per considerare trascurabili gli sviluppi ulteriori del dogma. Si arriva così, col pretesto del ritorno al Vangelo, a una sorta di arcaismo che disconosce i progressi compiuti sotto l'azione dello Spirito nell'intelligenza della parola di Dio. Una teologia puramente biblica ricade perciò nelle incertezze che i grandi concili avevano dissipato. Se è vero che il dogma non deve mai staccarsi dalle sue fonti bibliche, è vero anche che la Bibbia non può essere separata dalla interpretazione che ne dà la Tradizione vivente.
Ma se questo ritorno della teologia alla parola di Dio può presentare degli abusi, ciò non toglie che esso abbia aspetti molto positivi. Concentra un'attenzione, che si perdeva talvolta in cavilli e aporie, sul nucleo essenziale della fede, quale la proclamava la predicazione degli Apostoli e come la testimoniano le confessioni di fede. Mette in risalto le azioni divine compiute nel mistero del Cristo. Riporta così la fede alla sua sorgente, al suo oggetto essenziale, che è il mistero pasquale, e fornisce alla catechesi e alla predicazione la loro sostanza.
3. I dialoghi
Il proposito centrale del cristianesimo contemporaneo è questo ritorno a ciò che costituisce l'essenza del cristianesimo, cioè Gesù Cristo. La missione della Chiesa è proclamare Gesù Cristo al mondo contemporaneo. Su questo punto si realizzerà l'unanimità dei cristiani, di ogni confessione e di ogni orientamento. Il problema del cristianesimo contemporaneo sarà, dunque, innanzitutto di sapere chi è Gesù Cristo. Sarà questo l'interrogativo fondamentale della fede. Esso è tema centrale nel cristianesimo d'oggi. Si tratterà in seguito di sapere a chi proclamare Gesù Cristo: è l'accostamento del messaggio cristiano a quei nuovi mondi sociali rappresentati dalla civiltà industriale e dalla società pluralista. Si tratterà infine di sapere in qual modo proclamare Gesù Cristo. Viene qui chiamato in causa il complesso dei problemi del linguaggio, della struttura, del comportamento, sui quali vertono le ricerche contemporanee.
a) Il laicismo
L'essenza del messaggio cristiano è la fede nella divinità del Cristo. Ora questa fede si trova, nel mondo contemporaneo, innanzitutto in contrasto con una negazione della religione in quanto tale. È chiaro che, se Dio non esiste, il Cristo non è Dio. Questa negazione della religione presenta parecchie forme. La prima è legata al progresso scientifico. La scienza è una delle grandi realtà del mondo contemporaneo. Realizza progressi mirabili. In se stessa non si oppone alla religione. Ma il suo sviluppo ha portato molti a pensare che essa potrebbe arrivare a spiegare tutta la realtà e a risolvere tutti i problemi. La religione corrisponderebbe quindi ad un mondo culturale superato.
Un altro aspetto della crisi della religione è il laicismo, espresso in modo particolare da H. Cox in The secular city. Qui non si tratta più del campo intellettuale, ma di quello sociale. Lo sviluppo della civiltà industriale tende a creare un mondo in cui gli uomini sono concentrati nella organizzazione della loro vita materiale e in cui Dio non ha più posto. Non rimarrebbe che rassegnarsi. Dio si troverebbe così estromesso dalla vita sociale. Non ci sarebbe più posto per edifici, feste, riti religiosi. Con questo non si vuoi dire che Dio sparirebbe, ma che si rifugerebbe nel santuario del cuore di qualche mistico. E la massa immensa degli uomini gli diverrebbe estranea. In un mondo totalmente desacralizzato, emergerebbero soltanto poche isole monastiche.
Infine, in una versione più aggressiva, l'ateismo è legato alle correnti più attive della filosofia contemporanea, quelle di Marx, di Nietzsche, di Freud. Dio è qui contestato come un ostacolo alla realizzazione dell'uomo. La religione corrisponderebbe ad uno stadio infantile dell'umanità, che chiederebbe soccorso a forze soprannaturali immaginarie. Ma oggi l'uomo, divenuto adulto, sarebbe in grado di prendere in mano egli stesso il proprio destino. La religione a questo punto diventerebbe un'alienazione, un'estraniazione. Essa proietterebbe in un mondo irreale le energie di cui l'uomo ha bisogno per realizzare da solo la sua salvezza.
Queste diverse correnti hanno agito sullo stesso cristianesimo. La domanda è stata posta. Che cosa diventa il cristianesimo in un mondo ateo? Nasce la tesi del cristianesimo ‛post-religioso'. Si ammette che il cristianesimo possa avere ancora un avvenire, ma sbarazzandosi di Dio ed esprimendosi solo a livello dell'amore per gli altri. Certo, sul piano teorico pochi hanno portato a rigorose conseguenze questo cristianesimo ateo. Ma praticamente esso si esprime nel cristianesimo contemporaneo col distacco dalla preghiera, dai sacramenti, dalla vita interiore, e col mettere l'accento esclusivamente sull'azione temporale dei cristiani sul piano civile, sociale, politico.
Di conseguenza il Cristo viene presentato unicamente come un modello di pietà umana, nel suo amore per i poveri e per i piccoli. Alcuni vanno più lontano e vedono in lui un militante politico che contesta i poteri stabiliti e impersona già la lotta di classe. Le virtù evangeliche sono interpretate in senso sociale: l'amore per i poveri diventa la vocazione rivoluzionaria del proletariato, la carità è l'espressione del carattere sociale dell'uomo che può realizzarsi pienamente soltanto nel socialismo, l'umiltà è la contestazione di tutte le disuguaglianze per un livellamento generale delle condizioni.
b) La religiosità
La fede in Cristo si trova di fronte a una seconda conte- stazione, quella delle religioni. In questa prospettiva il Cristo appare come una delle più alte figure religiose dell'umanità, come la più alta, forse, ma solo come una figura tra altre. La religione è certamente una dimensione costitutiva dell'essere umano. Il grande errore dell'ateismo è di averne minimizzato l'importanza. Si può dire che la natura umana comprenda tre livelli: c'è innanzitutto il dominio sulla natura, che si esprime oggi nella tecnica; c'è poi l'aspirazione alla comunità che ne costituisce la dimensione sociale; c'è infine la religione che è l'aprirsi dell'uomo a ciò che lo trascende.
Questa dimensione religiosa si esprime a sua volta in molti modi. Essa implica innanzitutto le rappresentazioni che l'uomo si fa di Dio, rappresentazioni che egli si forma partendo dall'universo e dalla coscienza. Esse hanno sempre un carattere barcollante e incerto, ma nello stesso tempo esprimono una realtà certa. L'uomo coglie l'esistenza di Dio ma non afferra la sua essenza, tanto questo mistero è costitutivo della trascendenza di Dio. Ma l'uomo avverte molto bene che la bellezza del mondo risveglia in lui la sete di un assoluto della bellezza che nessuna bellezza particolare realizza. Attraverso l'amore di un essere particolare egli scopre un assoluto dell'amore che supera ogni essere particolare. Attraverso la coscienza morale coglie un assoluto del Bene che non è questo o quel bene.
La religione è costituita, in secondo luogo, da riti che sono l'espressione collettiva e concreta dell'esperienza del sacro. Nessun bisogno umano è più profondo di quello della sacralizzazione dei momenti essenziali della vita della natura e della vita sociale. Così è per le feste stagionali che segnano i grandi momenti della vita dell'anno: il suo inizio e la sua fine, la mietitura e la vendemmia, i solstizi. Così è anche per i momenti essenziali della vita umana: la nascita, l'adolescenza, l'amore e la morte. Essi sono un incontro col sacro. La secolarizzazione appare insopportabile all'uomo d'oggi che torna alla necessità della festa.
Infine la religione è fatta di esperienza religiosa. È il regno della preghiera. Anche qui si tratta di un elemento costitutivo dell'esistenza umana in quanto tale. La preghiera è riconoscimento dello splendore divino, adorazione; è pentimento del peccato e conversione; è coscienza di una dipendenza intima in rapporto a Dio e domanda. Tocca i suoi più alti vertici nella mistica, che è la sete dell'unione con la divinità. Si esprime, allora, in quelle altissime individualità che tutte le religioni conoscono e che costituiscono l'eredità più alta delle civiltà, i grandi ispirati di cui parlava Bergson.
Questo fatto religioso esiste oggi innanzitutto nelle grandi religioni tradizionali che sono l'espressione storica della dimensione religiosa dell'uomo. Esse sono normalmente diverse nelle loro espressioni, sebbene identiche nel loro intento, perché, se Dio è unico, lo spirito religioso delle stirpi è diverso. Le religioni esprimono il modo in cui gli uomini hanno cercato Dio. Tali sono oggi le religioni dell'India, il buddhismo e l'induismo, il cui fascino rimane grande. Tali le antiche religioni della Cina e le religioni africane. Bisogna considerare a parte il giudaismo e l'islamismo, che non sono religioni cosmiche, ma sono legate ad una rivelazione positiva.
Ma la religiosità non si esprime soltanto attraverso le grandi religioni storiche. La ricerca di Dio è anche un fatto contemporaneo. Uno dei fenomeni più importanti del nostro tempo è l'esistenza di una folla di uomini e donne che non appartengono a nessuna religione senza tuttavia essere atei. C'è una esperienza religiosa propria dell'uomo contemporaneo, una dimensione religiosa della civilità industriale. Questa dimensione appare oggi nella forma di quei movimenti che raccolgono i giovani alla ricerca di un'esperienza religiosa collettiva. È questa religiosità selvaggia, più che l'ateismo, che il cristianesimo incontrerà domani.
Molti uomini del nostro tempo vedono nel cristianesimo una religione tra le religioni e il Cristo come una grande figura religiosa. Questa è stata la tentazione del cristianesimo liberale, che vedeva in lui il grande profeta dell'Amore di Dio. Questa è oggi la realtà di molti cristiani ai quali il cristianesimo appare come la religione dell'Occidente, a fianco delle religioni africane e orientali. Lo spirito missionario sembra loro una forma di intolleranza. Considerano il cristianesimo come una strada, parallela all'induismo o all'islamismo. Gli riconoscono forse un'essenza più alta. Immaginano, con A. J. Toynbee, una sorta di progressiva unificazione religiosa dell'umanità intorno ad esso. Ma si tratta sempre e soltanto della creazione di un grande spirito religioso, la cui influenza resta affascinante e che continua a suscitare entusiasmi. Tuttavia questa influenza può forse esaurirsi. Potrebbe nascere in avvenire una nuova religione che lo superi, come esso ha superato gli antichi paganesimi.
c) L'ecumenismo
Un ultimo interrogativo su ciò che è il Cristo si pone all'interno stesso del cristianesimo e divide i cristiani nel dialogo ecumenico. Può esserci una forma di ecumenismo che comporti l'accettazione di un pluralismo dottrinale. Non parlo qui dei pluralismi legittimi. C'è un pluralismo culturale che è quello dell'espressione dell'unica fede in culture differenti. Il riconoscimento di questo pluralismo è un acquisizione attuale, di fronte ad un certo imperialismo del cristianesimo latino. C'è stato nel passato un cristianesimo aramaico, un cristianesimo bizantino, un cristianesimo latino. Deve esserci un cristianesimo africano, un cristianesimo indiano, un cristianesimo cinese.
C'è anche un pluralismo legittimo delle teologie. Sintesi diverse sono possibili. Possono derivare da prospettive diverse. La Chiesa ha sempre ammesso una teologia bonaventuriana a fianco della teologia tomista. Possono derivare dall'uso di strumenti filosofici diversi. Gregorio di Nissa ha utilizzato una tradizione platonica, San Tommaso si è ispirato ad Aristotele, oggi alcuni possono servirsi di un linguaggio bergsoniano, altri di un linguaggio hegeliano. In tutto ciò varia il linguaggio, ma il linguaggio è qualcosa di strumentale. Il contenuto, la realtà espressa, è la stessa.
Le cose stanno diversamente se si ammette un pluralismo dottrinale, che è la concezione di coloro che pensano che le diverse denominazioni cristiane, dall'ortodossia russa fino al metodismo inglese, siano altrettante branche della Chiesa, sebbene divergano su punti sostanziali. Ciò vuoi dire ammettere che è possibile farsi, del Cristo, molte idee opposte ma ugualmente valide. Vuoi dire, quindi, riconoscere che non possiamo sapere ciò che è realmente il Cristo e possiamo farcene solo immagini opinabili. È questa la posizione di alcuni cattolici. Essi considerano superata la nozione di eresia; la Chiesa si sarebbe sbagliata respingendo il protestantesimo, che sarebbe una interpretazione valida quanto il cattolicesimo.
Una concezione simile pretende di coprirsi con l'autorità del mistero e il prestigio della negatività. Il Cristo - si dirà - è un mistero insondabile che i nostri concetti non possono penetrare. Ciò che ne diciamo è l'espressione delle idee che ci formiamo su di lui, ma esse non ci dicono ciò che egli è. È perfettamente vero che i nostri concetti non potrebbero esaurire l'inesauribile realtà del Cristo. Egli è sempre al di là di tutto ciò che ne diciamo. Ma questo non significa che ciò che ne diciamo sia indifferente. Ci sono gradi di approssimazione a ciò che egli è. E ciò tanto più perché nel Cristo si è espresso Dio. È possibile confrontare le ipotesi a un dato, espresso per mezzo della Scrittura che rappresenta la realtà della rivelazione.
L'unico modo di porre il problema dell'ecumenismo è questo. Tutti sono d'accordo per porsi una sola domanda: chi è il Cristo? Il problema è sapere che cosa sia costitutivo della pienezza del Cristo. I cattolici possono riconoscere che molte cose dette sul Cristo da ortodossi e protestan- ti sono vere per tutti i cristiani. La loro riserva è che ci sono certi elementi che fanno parte della pienezza del Cristo e che non sono riconosciuti dai non cattolici. È una questione di totalità. Un cattolico ritiene che faccia parte della sostanza stessa del Cristo l'aver istituito una gerarchia a cui ha affidato il suo messaggio, l'aver fatto del pane e del vino la realtà del suo corpo e del suo sangue, l'aver associato la Vergine Maria alla gloria della sua resurrezione.
A questo punto non si tratta più di pluralismo. Non potrebbe esserci un pluralismo della fede. Qui non si tratta di complementarità ma di contraddizione. Il Cristo non può essere e non essere una stessa cosa. Vi sono solo due risposte: sì e no. La differenza non è più, allora, diversità legittima, ma grado di pienezza all'interno di una stessa fede. La discussione non verte su un tutto, ma su questi punti precisi. Possono anche essere realizzati dei progressi, nella misura in cui alcuni di questi punti siano finalmente riconosciuti da tutti come facenti parte della sostanza della fede. L'unità sarebbe realizzata il giorno in cui fosse professata da tutti la stessa fede.
Ma questa determinazione della sostanza della fede nella sua totalità può risultare unicamente dal confronto dei cristiani con la Scrittura? L'evidenza della parola di Dio nella Scrittura è tale da renderla determinante? La risposta al problema chi è il Cristo, è un fatto individuale? Oppure solo lo Spirito di Dio che sonda le profondità di Dio può far conoscere con un'infallibile certezza che cosa è il Cristo? Ma lo Spirito di Dio è dato pienamente non nell'ispirazione individuale, ma nella Chiesa. Perciò il criterio ultimo della conoscenza del Cristo è l'autorità della Chiesa, in quanto assistita dallo Spirito Santo, in quanto cioè la sua autorità non è un'autorità umana, per alta che sia, ma l'autorità infallibile di Dio stesso. È questa la ragione per cui il riconoscimento dell'infallibilità del vescovo di Roma e di tutti i vescovi uniti al vescovo di Roma è il punto che la Chiesa contemporanea, attraverso il Vaticano I e il Vaticano II, ricorda instancabilmente nel dialogo ecumenico (v. ecumenismo).
4. Il messaggio cristiano
Si noterà che il triplice dialogo al quale ci siamo ora riferiti è lo sfondo sul quale si dispiega l'annuncio di Gesù Cristo nel mondo contemporaneo, a tal punto che ha dato vita, dopo il Vaticano II, a tre nuove istituzioni che hanno il compito di conferirgli un carattere ufficiale. Sono i tre grandi segretariati romani, che costituiscono una delle innovazioni della Chiesa contemporanea: il Segretariato per i non credenti, col compito di presentare la fede di contro all'ateismo; il Segretariato per i non cristiani, per presentarla di contro alle altre religioni; il Segretariato per i non cattolici, per presentarla ai cristiani separati. La Chiesa sente di dover rispondere così ad una triplice contestazione del Cristo, attraverso quello che Paolo VI ha chiamato il dialogo della salvezza, cioè quel dialogo fatto, ad un tempo, di rispetto per le persone e di fedeltà alla verità, che è il solo dialogo valido là dove si tratti della questione essenziale: che cosa è Gesù Cristo.
a) Il Dio vivente
Di fronte a questi interrogativi si definisce e prende significato il messaggio della Chiesa del XX secolo. Il primo interrogativo è quello dell'ateismo. Bisogna dire qui che il messaggio cristiano è prima di tutto un messaggio su Dio. Ogni riduzione di questo teocentrismo sarebbe un tradimento dell'essenza del cristianesimo e insieme un indebolimento davanti al mondo d'oggi. Del resto l'ateismo nelle sue forme radicali è superato. L'uomo d'oggi, a tutti i livelli, percepisce il fallimento della scienza quando questa presume di dare una risposta ai problemi fondamentali dell'avvenire dell'uomo e dell'umanità. Ma troppo spesso egli si limita a concepire un'indefinita apertura dell'umanità verso un superamento di se stessa.
Il messaggio cristiano riguarda innanzitutto il senso della storia. L'uomo d'oggi dispone di immense risorse naturali, di prodigiosi strumenti di potere. Ma non sa al servizio di cosa metterli. La carenza attuale è una carenza metafisica e religiosa. Mai la scienza ha raggiunto un grado più alto. Mai la filosofia è stata più in basso. Essa si lascia annettere dalle discipline scientifiche sotto forma di scienze umane. A questo punto il messaggio cristiano assume una prima attualità. Esso verte essenzialmente su un disegno di Dio che ingloba la totalità cosmica e storica e ne rivela l'orientamento. Questa era la visione dei Padri della Chiesa, in particolare di Ireneo e di Gregorio di Nissa. Rinasce ai nostri tempi con Bergson, Teilhard de Chardin, Tresmontant.
L'essenziale qui è che il pensiero teologico si innesta sul movimento scientifico. In un certo senso, riprende il discorso dal punto in cui il pensiero scientifico si arresta e lo porta a compimento senza negarlo. Ora, è esattamente questa la tendenza del pensiero attuale. Non si tratta di partire da una deduzione teorica, ma di cogliere la realtà empirica e di vedere a cosa tende. La spiegazione più coerente di ciò che la scienza constata, è l'esistenza di un piano che si sviluppa per tappe e che questo piano è l'espressione di un'intelligenza che opera nel mondo: ecco il primo momento di inserimento del pensiero cristiano.
Il tempo è la grande scoperta del pensiero moderno. Tutte le filosofie sono filosofie della storia. Il problema è quello del senso del tempo. La negazione di questo senso, l'affermazione del non-senso e dell'assurdo giustificherebbero la negazione di Dio. Ma proprio il progresso scientifico rende questo non-senso sempre più inaccettabile. Più la scienza progredisce, più rende evidente l'intelligibilità del cosmo. Vuol dire dunque che la scienza moderna, invece di condurre allo scientismo, come ha pensato il positivismo, se ne allontana. Percepisce meglio i propri limiti ed esige qualcosa che la completi. Si tratta di una grande invocazione alla metafisica e alla teologia. Esse sole possono superare i metodi delle scienze positive, penetrare nella realtà sostanziale delle cose, coglierle nella loro essenza e nelle loro cause, non nelle loro manifestazioni e nelle loro leggi. La scienza è in grado di scoprire solamente dei condizionamenti. Essa non riesce a penetrare all'interno del reale.
Ma nello stesso momento in cui si appella a ciò che la supera, la scienza interroga la filosofia e la teologia sui loro titoli. È severa su ciò che le sembra non convincente nei metodi e nei procedimenti. Il XX secolo è insieme un periodo critico e costruttivo. La scienza è disposta al dialogo con le istanze spirituali. Ma cerca gli spiriti che le si imporranno abbastanza per farsi rispettare da lei. Davanti a questa carenza di metafisica, resta sempre valida la fede cristiana nel Dio creatore ed organizzatore di un mondo finalizzato alla comunicazione che egli vuole fare di sé attraverso l'amore.
b) Ordine e libertà
L'incontro del Dio cristiano con la crisi dell'uomo moderno avviene dunque a livello della libertà. La pretesa dell'uomo moderno di bastare a se stesso, di reggersi da solo, di darsi la sua legge, porta a quella corruzione della libertà che caratterizza oggi il mondo atlantico. Questa decadenza della libertà si esprime a livello sociale in una liberazione economica che fa della corsa alla produzione il motore della vita economica e porta a un mondo artificiale ed inumano. Si esprime, a livello teorico e pratico, con la rivendicazione del diritto di dire e fare qualsiasi cosa, il che porta, alla fine, alla disperazione e al disgusto. Così, mentre la scienza tocca i suoi limiti nella sua pretesa di spiegazione totale, la libertà tocca i suoi limiti nella sua pretesa di sufficienza totale.
Ci si può allora chiedere chi può segnare un limite alla libertà senza distruggerla. Poiché una coercizione puramente esterna non costituisce una risposta valida, il solo limite che la libertà possa accettare è quello della libertà dell'altro, perché questa libertà si impone al suo rispetto allo stesso titolo della propria. Subordinare la propria libertà a quella dell'altro non è dunque avvilire la libertà. È invece cosi che essa si apre nell'amore. La risposta al problema della libertà potrebbe allora consistere nel dare come fine alla libertà individuale il bene della comunità umana universale. Questa concezione è quella che trova espressione nelle varie forme di socialismo, che sono in fondo religioni dell'umanità.
Ma ciò non risolve il problema. La libertà che si riduca ad un arbitrio umano, sia esso individuale o collettivo, porta al disordine, sia questo disordine quello dell'anarchia o quello dell'oppressione. La libertà è autentica solo se si accompagna a responsabilità. Ora, chi dice responsabilità dice riconoscimento da parte dell'uomo di un bene e di un male di cui non dispone egli stesso e che dipende da una istanza che lo trascende. È in nome di questa istanza suprema che saranno giudicati tanto l'individuo quanto la collettività. E il riconoscimento di questa istanza, mentre dà un senso alla libertà, le dà anche la sua garanzia. Perché, nella misura in cui posso fare appello a questa istanza suprema, che avrà l'ultima parola, io sono libero di fronte a tutti i poteri. Ma parlare di un'istanza suprema non può essere un riferimento a un'astrazione. Abbiamo detto che la libertà dell'altro è il solo limite alla libertà che l'uomo riconosce e che l'amore consiste nel preferire la libertà dell'altro alla propria. Solo un Dio personale può porre le fondamenta del rispetto del bene. Perché in tal modo la legge morale diventa la volontà divina. Preferirla alla mia legge personale vuol dire riconoscere la sovrana bontà di Colui del quale è volontà. Anche qui il Dio cristiano appare come la sola risposta all'interrogativo angoscioso che l'uomo oggi si pone sull'uso della libertà.
c) Il senso del sacro
Una terza via d'accesso al mistero cristiano è, infine, quella dell'esperienza spirituale. L'uomo d'oggi, l'abbiamo visto, è sommerso di prodotti messi a sua disposizione dalla società dei consumi. Ma invece di trovare la felicità nel loro uso, egli non è mai stato più incline alla disperazione. Ed è proprio nei paesi più sviluppati che l'individuo, quanto più possiede, tanto più è disperato. La disperazione prende le forme della rivolta e della contestazione senza scopo, che traducono solo un'insoddisfazione radicale. O si esprime nella ricerca del piacere, in tutte le evasioni come l'erotismo, la droga, la violenza. Il mondo senza Dio dà all'uomo contemporaneo la sensazione di un vuoto profondo, che egli non può in alcun modo colmare.
D'altra parte è certo che, se la felicità fosse legata al possesso di alcuni beni, sia che si tratti della salute, del- l'amore o del successo, una gran parte dell'umanità ne sarebbe esclusa. Il mondo presenterebbe allora quel carattere di assurdità che hanno denunciato certi scrittori atei come Camus o Beckett. L'uomo attenderebbe qualcosa, ma invano. Egli sarebbe l'essere più assurdo che possa esistere. Anche qui la negazione di Dio porta, nel mondo moderno, a una constatazione di fallimento. Perché questo mondo senza Dio si rivela radicalmente incapace di portare all'uomo lo sviluppo di ciò che costituisce la realtà del suo essere.
Proprio per questo vediamo oggi apparire una ricerca della saggezza, cioè viene sottolineata la preminenza della realizzazione interiore. Donde il bisogno di silenzio, di raccoglimento, di ritiro, che si manifesta in molti. È qui che appare l'errore di un cristianesimo secolarizzato e politicizzato. Nel momento stesso in cui esplode da ogni parte la sete di Dio, alcuni ecclesiastici immaginano che Dio non interessi più gli uomini e propongono loro solo una azione temporale. Troppi intellettuali cristiani hanno ceduto alla tentazione di dissociare cristianesimo e religione. Hanno accettato, da una parte, una certa critica protestante della religione come pretesa umana di trovare Dio. Ma sono stati soprattutto toccati dalla critica marxista e nietzschiana della religione come oppio che distoglierebbe l'uomo dai suoi compiti umani.
Questo vuol dire dimenticare che la religione fa parte della realizzazione dell'uomo. L'esperienza religiosa è stupore davanti alle grandezze supreme, che sono le grandezze divine. È adorazione, fascinazione, estasi. Fa toccare tramite la bellezza ciò che ne è la fonte. È gioia trionfale e esultanza. Ed è la ricchezza dei poveri, cioè non richiede alcuna condizione ed è aperta a tutti. È il focolare misterioso verso cui gravitano i cuori, che non hanno riposo finché non riposano in essa.
Perciò il messaggio cristiano è soprattutto denuncia della follia di un mondo che pretende di costituirsi al di fuori di Dio. Esso si situa sulla linea che continua il messaggio di Israele. L'ateismo non costituisce in alcun modo uno sviluppo dell'umanesimo. Esso è solo una radicale sovversione della realtà che sconvolge dando la preminenza a ciò che è privo di importanza e minimizzando ciò che è supremamente importante. Il cristianesimo deve essere innanzitutto la leva che si inserisce in questo punto essenziale dell'esperienza dell'uomo moderno per capovolgerla e ristabilire l'esperienza autentica. Non c'è avvenire per un cristianesimo che non sia prima di tutto una testimonianza della grandezza e della santità divine.
Il cristianesimo non può essere modellato su una umanità falsata. Esso è restauratore della realtà dell'uomo. Il Dio redentore che si manifesta in Gesù Cristo è il Dio creatore che ha fatto l'uomo a sua immagine. E questa immagine di Dio nell'uomo è l'attitudine a conoscerlo, ad amarlo, ad entrare in comunicazione con lui. Una delle debolezze del cristianesimo moderno è stata quella di credere di potersi disinteressare del valore dell'uomo. Ma come si può restaurare l'uomo, se non si sa ciò che è? Donde l'impossibilità di fare a meno di una metafisica, di una morale, di una religione che sono implicate nel messaggio cristiano.
Uno dei problemi essenziali del cristianesimo del XX secolo è che il mondo della cultura è un mondo metafisicamente, moralmente e religiosamente malato. Ora, è impossibile per la fede cristiana edificarsi là dove le fondamenta sono traballanti. È vano parlare della verità del Cristo ad uomini che pensano che non si possa conoscere la verità. È vano parlare delle esigenze evangeliche ad uomini che pensano che la libertà consista nel rifiuto delle costrizioni. È vano parlare dell'amore di Dio ad uomini per i quali la contestazione di Dio è la pietra di paragone dell'umanesimo. La debolezza di un certo cristianesimo sta nel non essere abbastanza radicale nella sua contestazione delle malattie del mondo moderno.
5. Il Cristo della fede
Non c'è cristianesimo se l'essenza dell'uomo non consiste nel procedere da Dio e andare verso Dio: perciò il cristianesimo è innanzitutto la denuncia di un umanesimo senza Dio. Ma questa non costituisce l'essenza del cristianesimo, perché si incontra anche nelle altre religioni. Si incontra nel giudaismo e nell'islamismo. L'essenza del cristianesimo appare proprio al momento del suo confronto con le altre religioni. Essa non è solo l'affermazione che Dio esiste, non è solo la rivendicazione della dimensione religiosa dell'uomo. È l'affermazione che Dio si è fatto uomo. L'essenza del cristianesimo consiste nel dire che, perché l'uomo trovi il Dio che cerca, c'è stato prima bisogno che Dio venisse a cercarlo.
a) L'essenza della fede
Ecco il vero oggetto della fede, l'essenza del Vangelo. L'abisso che separa Dio dall'uomo, l'inaccessibilità di Dio alla presa dell'uomo è la trascendenza. Ed è una prima affermazione. Perché ci sono religioni che negano questo abisso e dicono che l'uomo, avendo un'essenza divina, può ritrovare da solo questa divinità che possiede per natura. Ma secondo la fede cristiana questo abisso è invalicabile per l'uomo. Dio però può valicarlo. E la fede è credere che Dio lo ha valicato. Gesù Cristo è questo. È il gesto con cui Dio, che è amore, è venuto a salvare l'uomo che aveva creato per se stesso e lo ha introdotto nel suo mistero e nella sua gioia.
Ecco ciò che dà valore all'affermazione cristiana, tutto il suo valore. Perché, dopo tutto, un buon esempio, un riformatore sociale, un ideale religioso, tutto ciò esiste. E tuttavia l'uomo non è strappato alla miseria, alla miseria spirituale e alla miseria corporale, alla morte e al peccato. Se il Cristo fosse solo questo, non ci interesserebbe. Non cambierebbe niente. Tutto resterebbe uguale, tanto dopo che prima. Ciò di cui abbiamo bisogno è una risposta ai problemi ultimi dell'esistenza. Tutti gli sforzi dell'uomo moderno non sono in grado, appunto, di fornire una risposta a questi problemi. Un'ideologia spiritualista che ispiri lo sforzo morale non cambierà questa situazione. Solo Dio può raggiungere il male radicale, inaccessibile alla presa dell'uomo, per distruggerlo. È questo che è realizzato per mezzo dell'incarnazione del Verbo e della sua discesa agli inferi.
Ma è chiaro che questa affermazione, che è l'essenza del cristianesimo, è anche ciò che fa sì che la fede sia uno scandalo. Che Dio sia Dio e l'uomo sia uomo, questo noti disturba nessuno. Ma che Dio si sia fatto uomo affinché l'uomo sia fatto Dio, che il Verbo si sia fatto carne affinché la carne sia fatta Verbo, questo è inverosimile a priori. Ed è questa affermazione che certi cristiani hanno oggi attenuato. Non accettano il ‛miracolo' nel senso radicale della parola, cioè l'irruzione di Dio nel nostro mondo empirico. Ora, tutta la fede sta in ciò: credere che ci siano avvenimenti divini, una storia sacra.
Non si tratta più qui di una costruzione dello spirito che cerca di rappresentarsi Dio, come nei misteri di alcune religioni. Si tratta di un fatto che sconcerta la ragione umana, ma presenta dei motivi che giustificano che sia riconosciuto per vero. E questo fatto è Gesù Cristo. In realtà è qui che noi poniamo definitivamente l'interrogativo che costituisce il centro del messaggio del cristianesimo: chi è in conclusione Gesù Cristo? Questo interrogativo dobbiamo porlo a lui stesso. Siamo messi a confronto, in definitiva, col fatto stesso quale ci è attestato dai Vangeli. Su questo sono tutti d'accordo. Bisogna cercare l'essenza del cristianesimo nella realtà storica di ciò che è stato il Cristo.
Questo implica innanzitutto un primo problema. È chiaro che ciò che è il Cristo non lo si può cogliere in modo immediato, come avviene con i dati dell'esperienza. Alcuni diranno che possono essere sicuri solo di ciò che hanno verificato essi stessi: ma questa affermazione è decisamente stupida. Perché già nell'ambito del verificabile ci troviamo nell'incapacità di verificare noi stessi tutto ciò di cui siamo legittimamente sicuri. E, per conseguenza, ne siamo sicuri perché sappiamo di poterci appellare ai competenti, alle autorità. La fiducia nella testimonianza di chi è competente su un problema è una via di accesso legittima alla certezza.
Questo è vero a fortiori per ciò che riguarda l'intimità delle persone. Questa intimità ci è radicalmente inaccessibile. Non si viola il cuore. La scienza ci permette di conoscere i condizionamenti degli altri, non il segreto della loro interiorità. Vi avremo accesso solo quando essi ci lasceranno entrare per mezzo della confidenza. E questo il caso di tutte le certezze che concernono i nostri rapporti con gli altri, cioè i più importanti per le nostre vite. E sarebbe assurdo non credere alla parola degli altri, dal momento che abbiamo il diritto di fidarci di loro. Che alcuni non si fidino, che vivano sempre nel sospetto e nella sfiducia, questo rientra nelle malattie dell'intelligenza, non nella sua natura.
Ciò è vero anche per la fede. La parola stessa implica che si tratta di una via di accesso alla certezza attraverso la mediazione della fiducia in una testimonianza. Qui, come sempre, c'è all'origine un'esperienza, l'esperienza delle cose divine. Essa è per natura inaccessibile allo spirito umano. Solo Dio conosce il mistero di Dio. La fede consiste, in un campo di cui l'uomo non ha esperienza, nel dare fiducia a chi ha competenza in questo campo. Essa implica che il Cristo è Dio e che merita fiducia. Il cristianesimo è tutto qui. La divinità del Cristo ne è insieme il contenuto e il fondamento.
La pedagogia della fede comprenderà così tre momenti. Il primo è l'incontro col Cristo nella sua realtà umana. E abbiamo già detto che, a questo livello, il Cristo presenta numerosi titoli per meritare fiducia, giacché tutti gli uomini sono d'accordo nel riconoscere in lui, come minimo, il più alto valore umano. Ora, è certa una seconda cosa, che Gesù non si è mai presentato semplicemente come un profeta. L'immagine che lo rappresenta così è storicamente falsa. Gesù ha sempre rivendicato, con tutto il suo comportamento, un'autorità, una dignità, e dunque una natura divina. Ciò è stato, d'altronde, perfettamente avvertito dai suoi avversari che lo hanno accusato di bestemmia.
Quest'affermazione è in sé scandalosa. Un uomo che rivendica un'autorità divina deve a priori suscitare il sospetto. Può essere solo un visionario o un impostore. Ma abbiamo detto, d'altronde, che Gesù sembrava esprimere i valori più alti. Merita quindi di essere creduto, anche quando ciò che dice disorienta la limitata sapienza umana. A questo punto, è chiaro che la fiducia che gli è data non è solo quella che meriterebbe un'alta autorità umana, ma e la fiducia incondizionata che merita solo l'autorità divina. E la fede è questa fiducia incondizionata, ma per nulla irrazionale, perché è la conclusione di un procedimento lucido e chiaroveggente.
Dunque la fede è un procedere rigoroso. Non ha niente a che vedere con una questione di temperamento. Non è un fatto di nature religiose a cui si opporrebbero nature areligiose. È possibile a tutti. Del resto, la prova che la fede non si identifica col sentimento religioso è che il passaggio dalla religione alla fede implica una conversione radicale. È precisamente quella che era chiesta ai pagani. La religione ha le movenze di una inclinazione naturale. La fede ci mette di fronte a un fatto che sembra contraddire la natura. L'abbiamo detto, il problema di domani non sarà il passaggio dall'ateismo alla religione, ma quello dalla religione alla fede.
b) Il contenuto dela fede
Dopo il problema della specificità del cammino cristiano, si pone quello del suo contenuto. Questo contenuto è quello delle azioni divine compiute dal Figlio di Dio con le quali egli opera la salvezza della natura umana. Ecco ciò che costituisce il nucleo centrale della fede cristiana, come è enunciato nei primi Simboli. Esso vi è preceduto dall'affermazione del Dio creatore, di cui abbiamo parlato. Vi è seguito dall'affermazione dell'azione dello Spirito, di cui riparleremo. Alla domanda che cosa sia il messaggio cristiano, la Chiesa del XX secolo dà come unica risposta quella stessa della Chiesa degli apostoli.
Per quel che concerne il Cristo, l'affermazione è questa: Dio è eternamente vita e amore, poiché egli vive in tre persone. E questa affermazione che a fondamento dell'essere non è l'assurdo, non la materia, non lo spirito, ma l'Amore, è la base di ogni teologia e antropologia cristiane. Il Dio, che è amore, ha creato l'umanità per farle condividere la vita felice che gli è propria. Il Verbo di Dio mandato dal Padre ha formato l'uomo in principio e tramite lo Spirito lo ha iniziato alla sua vocazione divina. Lo stesso Verbo di Dio nella pienezza dei tempi riprenderà quest'uomo, che gli appartiene per purificarlo e determinare irrevocabilmente la sua condizione ultima.
Così, sono oggetto della fede l'incarnazione del Verbo nella Vergine Maria, la passione e la resurrezione della carne che egli ha unito a sé ed elevato al trono nella gloria dell'ascensione. Sono questi i misteri che in pieno sec. XX Paolo VI ha professato di nuovo, come successore di Pietro e testimone della fede apostolica, nella Professione di fede del 29 giugno 1969. Queste affermazioni poggiano su fatti, su avvenimenti che concernono il nostro mondo empirico e sono, a un tempo, un intervento divino nello stesso mondo empirico. Essi fanno parte della storia umana e nello stesso tempo corrispondono a una dimensione particolare di questa storia. Contestarne la storicità vuol dire svuotarli dell'essenziale, cioè del fatto di riguardare la condizione umana empirica e di trasformarla.
Nello stesso tempo è evidente che questa affermazione dell'irruzione di Dio nel mondo dei fenomeni urta contro una resistenza fondamentale della mentalità positivistica moderna. Anche alcuni cristiani sono tentati di minimizzarla. Questa tentazione si è espressa principalmente nella ‛demitizzazione' di R. Bultmann. Partendo da analogie formali tra certe rappresentazioni mitiche delle antiche religioni e alcune affermazioni della fede cristiana, Bultmann pretende di vedere nelle affermazioni della fede un linguaggio mitico, che esprimerebbe un'esperienza degli apostoli, per dire ciò che il Cristo era per essi, ma non delle realtà obiettive e storiche. Ma, a parte il fatto che queste analogie sono talvolta inesistenti, la cosa essenziale è che simili strutture di linguaggio possono corrispondere a intenzionalità radicalmente diverse. Trinità, morte e resurrezione, discesa e salita sono termini universalmente utilizzati per designare le realtà più diverse.
Ciò che importa, dunque, è mostrare a che cosa si mira nelle affermazioni della fede concernenti il Cristo. L'incarnazione verginale non ha niente a che vedere con i miti di vergini-madri delle mitologie. Essa afferma che il Cristo inaugura un'umanità rinnovata, che egli è il novello Adamo, il primo nato di un mondo nuovo. E che ciò deriva da un'iniziativa divina. Come il primo Adamo è stato formato dalla terra vergine del paradiso, così Dio fa nascere il nuovo Adamo dal seno di una vergine. È la nostra umanità che egli viene a riprendere e perciò nasce da una donna della nostra razza. Ma è un'iniziativa di Dio che fa nascere un uomo nuovo dal ceppo della nostra razza.
La morte del Cristo è l'azione sacrificale con cui il Cristo glorifica perfettamente il Padre amandolo al punto da farsi obbediente fino alla morte. Ma è anche, nella discesa agli inferi, il cimento del Verbo di Dio con il mistero del male, la discesa del Verbo nell'abisso della morte, nel quale nessuno era penetrato, per distruggere la morte e il male. E la resurrezione del Cristo è l'azione divina con cui il Verbo di Dio, unito all'umanità in condizione di suprema miseria, cioè come cadavere, vivifica questa carne e la trasfigura per mezzo delle energie divine che sono in lui, aprendo così a tutti gli uomini la strada della trasfigurazione.
Con l'ascensione, infine, egli introduce questa carne, che è la nostra, al disopra di ogni creatura, nella casa del Padre, nell'abisso della vita trinitaria. E la sua carne trasfigurata diventa il principio partendo dal quale la vita incorruttibile comunicata dallo Spirito tende ad afferrare tutta l'umanità, come un fuoco che, acceso ad un estremo dell'umanità, tende ad incendiare l'umanità tutta intera. Unita a lui, questa umanità diventa il corpo di cui egli è la testa, l'universo di cui è il sole vivificante, la vite di cui è il fusto, il paradiso suscitato dall'acqua viva che sgorga dal suo fianco.
Questi misteri del Cristo costituiscono come un universo nuovo, più vasto dell'universo stesso, e di cui mai toccheremo i confini. La meditazione dei santi e la riflessione dei teologi non hanno smesso di sondarlo e la Chiesa non cessa di avanzare nella sua intelligenza. Esso è dato una volta per tutte e niente vi può essere aggiunto. È dato in quanto tale e non potrebbe essere modificato o adattato a una mentalità nuova. Ma si può progredire nella sua intelligenza. È ciò che si è espresso attraverso il formarsi dei dogmi con cui la Chiesa sanziona con la sua autorità il riconoscimento di alcuni aspetti che non erano stati messi in risalto: la consubstanzialità delle tre persone a Nicea, il vero Dio e vero uomo a Calcedonia, l'Immacolata Concezione e l'Assunzione nella nostra epoca. La Professione di fede di Paolo VI testimonia questi approfondimenti.
Ritroviamo qui uno degli aspetti del grande dibattito del XX secolo intorno al Cristo, che oppone tra loro i cristiani. Certo, la ricerca di ciò che costituisce l'essenza del messaggio cristiano è il centro di questo dibattito. E questo concentrarsi sul Cristo è, come abbiamo visto, un elemento decisivo. Ma, nel desiderio di tornare all'essenziale, alcuni arrivano ad una riduzione arcaicizzante che identifica ciò che è il Cristo con quella che è stata la prima formulazione della fede e rifiutano i progressi della Chiesa nell'intelligenza della realtà. La Chiesa cattolica si è sempre sottratta a questo arcaismo, perché crede nell'azione attuale dello Spirito che la fa progredire infallibilmente nell'intelligenza del dato rivelato.
6. Il corpo del Cristo
Nella resurrezione ed ascensione dell'umanità di Gesù per mezzo della potenza del Verbo, il disegno di Dio ha toccato il suo culmine. Uno dei punti essenziali della fede cristiana è l'affermazione che non c'è un al di là del Cristo. In lui sono infatti realizzate due cose che non potrebbero essere superate. Da una parte, Dio è perfettamente glorificato dall'amorosa obbedienza di Gesù alla sua volontà nel mistero della sua morte. E perciò sono ormai aboliti tutti i sacrifici, ebraici come pagani, e l'unico sacrificio è quello del Cristo, per mezzo del quale sono ricondotte al Padre tutte le cose. La teologia del XX secolo ha sottolineato con gran forza questo carattere escatologico del Cristo, particolarmente nel libro di O. Cullmann. E d'altra parte, in lui la natura umana è unita alla natura divina in un'intimità tale che non ce ne possono essere di più grandi.
a) Il Cristo perpetuato nella Chiesa
Ma ciò che è stato realizzato nell'umanità del Cristo lo è stato affinché riecheggiasse, partendo da essa, in tutta l'umanità. Il Cristo non è completo in se stesso. È la testa di un corpo. Ciò che è stato realizzato nel Cristo lo è stato perché, partendo da lui, si estendesse agli altri. Così ciò che viene dopo il Cristo non è un al di là del Cristo, ma una dilatazione degli spazi del Cristo. In virtù dell'unità della natura umana, il fuoco dello Spirito che ha preso l'umanità del Cristo tende a propagarsi a tutta l'umanità. È l'inaugurazione di un ordine nuovo che è l'ordine ultimo verso il quale era ordinato tutto il resto ma che si dispiega progressivamente.
Questa crescita del corpo di Cristo è opera del Cristo stesso. Egli è stato posto come capo del corpo e costruisce il suo proprio corpo. Questa è, di nuovo, un'affermazione essenziale su ciò che è il Cristo. Egli non è solo colui che ha realizzato la salvezza in un determinato momento della storia. Non appartiene solo al passato. Il Cristo glorioso è attualmente vivo della sua vita trasfigurata. E, vivo, è presente nella Chiesa che è il suo corpo. Ecco ciò che esprime il mistero del Cristo seduto alla destra del Padre. Esprime la sovranità attuale del Cristo sulla Chiesa, poiché egli stesso la istruisce, la santifica e la governa attraverso gli strumenti che si è scelto. Quest'affermazione dell'attualità dell'azione del Cristo, cioè dell'esistenza attuale di una storia sacra, è fondamentale per la fede cattolica.
Troviamo qui la risposta alla tendenza che vorrebbe mettere in evidenza in modo esclusivo i tempi evangelici e apostolici, conferendo loro un carattere privilegiato, e svalutare conseguentemente il tempo della Chiesa, di modo che bisognerebbe riferirsi esclusivamente alle origini. C'è qualcosa che è definitivamente compiuto, cioè la rivelazione e la redenzione. La Chiesa in questo senso non aggiunge niente a ciò che è acquisito. Ma la Chiesa post-apostolica ha nondimeno la medesima autorità e il medesimo potere, cioè un'autorità e un potere divini, per trasmettere autenticamente ciò che gli apostoli hanno fondato originariamente.
La Chiesa è oggetto di fede in quanto è il luogo di azioni divine. La fede nella Chiesa non è diversa dalla fede nel Cristo. È fede nel Cristo nel suo stato attuale, che è vivere ed agire attraverso la Chiesa. È questo ciò che segna la fede cattolica col suo particolare sigillo. Il problema posto da tanti contemporanei è infatti di sapere perché occorra una Chiesa. Essi vorrebbero andare direttamente al Cristo. Ma allora vanno soltanto al Cristo del passato, non raggiungono il Cristo attualmente vivo. Ora, i misteri del Cristo non sono solo quelli del passato. Noi siamo contemporanei di un mistero del Cristo e precisamente del Cristo che siede alla destra del Padre. Ed attendiamo un mistero futuro del Cristo, quello del suo ritorno alla fine dei tempi. Il ritorno al Cristo non significa dunque un ritorno alle origini. Significa quindi un riconoscimento del Cristo nella Chiesa.
La Chiesa, come corpo del Cristo, significa infatti solo una ‛cristificazione' di ogni cosa, la quale è il contenuto di questo stadio ultimo della storia inaugurato dal Cristo. Difatti nella Chiesa non c'è niente altro che il Cristo. E perciò non si tratta che di rivestire il Cristo. Il ritorno al Cristo significa qui la riscoperta del riferimento al Cristo di tutto ciò che costituisce la Chiesa. Perché tutto ciò che costituisce la Chiesa si riferisce al Cristo. Se qualcosa non è riducibile al Cristo, questo qualcosa è la presenza nella Chiesa di ciò che è estraneo alla Chiesa. È chiaro che, nel momento presente, la Chiesa è inevitabilmente mescolata con ciò che essa non è. La zizzania cresce insieme al frumento. Perciò essa deve riformarsi continuamente.
b) La missione della Chiesa
Questa trasformazione nel Cristo, che costituisce la realtà della Chiesa, è ad un tempo quantitativa e qualitativa. È quantitativa nella misura in cui la Chiesa è cattolica, universale, è la vocazione unica di tutti gli uomini. Non è una setta particolare a fianco di altre sette. Esprime la realtà della vocazione umana nel disegno di Dio. In questo senso nessun uomo le è estraneo. Tutti le appartengono in diverso grado, in quanto sono chiamati a farne parte. Escatologicamente non ci sono zone neutre. Alla fine ci saranno unicamente eletti e dannati. Tutti saranno giudicati dal Cristo, l'ultimo giorno. E il principio delle scelte sarà l'apertura allo Spirito o il rifiuto dello Spirito, al livello in cui lo Spirito si sarà manifestato. Saranno salvati uomini che non avranno appartenuto visibilmente alla Chiesa visibile. Ma saranno salvati dal Cristo, che è l'unico capace di salvare, che è la salvezza.
Resta il fatto che la strada normale di questa salvezza è l'appartenenza alla Chiesa visibile. L'uomo diventa un vivente nello Spirito entrando nel Cristo glorioso per mezzo della fede e dei sacramenti. Alcuni teologi contemporanei hanno dato la supremazia al cristianesimo implicito o anonimo, ritrovando nell'appartenenza alla creatura umana in quanto tale il fondamento della salvezza, perché la natura umana in quanto tale è stata assunta dal Verbo. L'appartenenza alla Chiesa visibile appare quindi secondaria. Ma la tradizione della Chiesa ha sempre insegnato il contrario. Il dovere missionario è perciò un importante dovere di carità spirituale.
Questa natura missionaria della Chiesa è messa in rilievo nel cristianesimo contemporaneo che prende coscienza dei limiti dell'evangelizzazione. Questa in realtà non aveva toccato che la civiltà occidentale e la sua sfera di influenza - e, nella civiltà occidentale, i settori che appartenevano alla società preindustriale. In effetti, la missione non consiste solo nel conquistare degli individui. La Chiesa è veramente radicata in un paese e può raggiungere le masse solo quando è riconosciuta dai responsabili e incarnata nella cultura. Lo sforzo missionario della Chiesa nel XX secolo è stato, all'inizio, di penetrare nelle culture non occidentali. Il XX secolo ha visto apparire cristianesimi cinesi, indiani, africani che ne costituiscono ormai alcune delle parti più vive. E solo il comunismo ateo in Cina e l'Islam in Africa, ne hanno limitato l'espansione.
Ma non si tratta solo delle culture geograficamente separate dalla cultura occidentale. Si tratta anche di ambienti sociali nuovi, creati dalla rivoluzione industriale. La Chiesa aveva evangelizzato la società feudale e rurale del Medioevo. Col XVI secolo è apparso un mondo nuovo, quello della borghesia e della società mercantile, che è stato evangelizzato dal XVII al XIX secolo. Allora è apparsa la società industriale, i cui quadri dirigenti restavano quelli della società mercantile: ma un mondo nuovo si è aperto, il mondo operaio, che doveva occupare uno spazio sempre più vasto nella società civile. Il problema dell'evangelizzazione del mondo operaio è uno dei grandi temi e dei grandi problemi della Chiesa contemporanea, particolarmente in Francia.
c) La santità
Se l'espansione della Chiesa consiste, da una parte, nell'estendersi a un numero sempre maggiore di uomini, essa è, anche, un'estensione in profondità. Non sono soltanto tutti gli uomini, ma è tutto l'uomo che deve essere evangelizzato. Accanto al problema della missione c'è quello della santità. La santità è il nome proprio della dimensione cristiana dell'uomo. È il fine verso il quale è ordinato tutto il Cristo e tutta la Chiesa. È la testimonianza vivente dell'azione attuale dello Spirito Santo. È l'espressione concreta della trasformazione in Gesù Cristo. Perché la grandezza di Gesù Cristo, come dice Pascal, non è nell'ordine della potenza, né nell'ordine del genio, è nell'ordine della santità. Le grandezze della santità superano infinitamente le grandezze del potere e dell'intelligenza, perché sono divine. E sono una testimonianza resa a Dio, perché sono l'opera dello Spirito e non testimoniano dunque quello che può l'uomo, ma quello che può Dio.
La santità è la realizzazione spirituale dell'uomo, cioè la sua realizzazione suprema. Fa di lui un vivente nello Spirito. L'antropologia cristiana contrappone l'uomo in stato di morte spirituale, cioè privo della vita di Dio, all'uomo in stato di vita spirituale, cioè trasformato dalle energie divine. Questa trasformazione è stata prima realizzata nell'umanità del Cristo vivificata dalle energie dello Spirito. Ma lo Spirito, partendo dall'umanità del Cristo, tende a vivificare tutta la carne. È il fiume d'acqua viva dell'Apocalisse che, diffuso dal trono di Dio e dall'Agnello, crea, ovunque passa, il paradiso, il giardino delle anime viventi.
La santità è la vocazione di ogni uomo. E non ci sono altre vocazioni. Tutto dovrà essere trasformato in Gesù Cristo. Gli uomini usano in modo diverso della loro vita terrena. Alcuni si chiudono nel suo ambito deliberatamente e si pongono essi stessi in uno stato di morte. Altri sono talmente assorbiti nella loro vita temporale che l'amore è in essi solo una piccola pianta disseccata che sopravvive stentatamente. Alti sono impegnati nel processo di trasformazione in Gesù Cristo in diverso grado. Lasciano evangelizzare a poco a poco le forze della loro anima, la loro intelligenza, la loro volontà, la loro immaginazione, la loro sensibilità. In alcuni questa trasformazione raggiunge una certa pienezza. Sono quelli che chiamiamo i santi. In nessuno questa trasformazione è totale. Ma ciò che non sarà stato pienamente conquistato lo sarà al di là della morte, perché potrà entrare nella casa di Dio solo colui che sarà stato trasformato nel Figlio.
Vocazione di tutti, la santità è alla portata di tutti. Essa non richiede nessuna condizione. In realtà, non è opera dell'uomo ma opera di Dio. Non chiede che la fede. È la ricchezza dei poveri. È la sola cosa necessaria. Se il successo dell'esistenza dipendesse da un qualsiasi possesso, ci sarebbero uomini esclusi dalla felicità. Ci sono i grandi malati, ci sono le vite segnate dal fallimento affettivo, quelle segnate dall'insuccesso professionale. La povertà di denaro è ancora la più facile da sopportare. Ma se il successo di una vita è il suo successo spirituale, questo successo è sempre accessibile. E perciò il Vangelo è la buona novella annunciata ai poveri.
La santità è una vita nuova, partecipazione della stessa vita, di cui Cristo uomo ha partecipato in virtù della sua unione al figlio di Dio. Non è altro che la vita umana, ma dà alla vita umana una profondità divina. Penetra l'intelligenza, rendendola adatta a comprendere i misteri di Dio. Trasforma il cuore, dandogli l'amore spirituale e facendogli amare gli altri dell'amore di cui il Cristo li ama. Fortifica la volontà consentendole di aderire ai beni spirituali e di resistere alle sollecitazioni del male. Fiorisce in facoltà nuove di cui la vita spirituale è l'esercizio. Questa vita spirituale, cioè animata dallo Spirito, è la vita evangelica ed è ciò di cui il mondo attende la testimonianza da parte dei cristiani.
Se il messaggio della Chiesa nel mondo moderno è il messaggio della fede, esso è anche il messaggio dell'amore spirituale, cioè della santità. La grande minaccia per il cristianesimo non è l'inadattabilità delle strutture o del linguaggio, ma la diminuzione della santità, la mediocrità spirituale. Qui l'ostacolo è meno nelle ideologie che nella comodità, nella facilità, nella superficialità della società presente. Non è con concessioni al sessualismo del mondo moderno, con la liberazione della sessualità, con il matrimonio dei preti, con l'indebolimento della vita religiosa che il cristianesimo toccherà gli uomini d'oggi. È, al contrario, testimoniando le esigenze del Vangelo e manifestando così la potenza sempre viva dello Spirito.
d) La speranza escatologica
Il dispiegarsi della vita del Cristo resuscitato si realizza innanzitutto nella conversione e santificazione delle anime. Ma ciò non ne esaurisce le energie. Esse debbono raggiungere tutto l'uomo. Se questa azione dello Spirito opera ora nascostamente nei cuori, si manifesterà un giorno escatologicamente nei corpi. L'attesa della resurrezione è un articolo essenziale della fede. Come l'azione dello Spirito ha resuscitato il Cristo non solo nell'anima ma anche nel corpo, così toccherà un giorno i nostri corpi di carne. Questa fede nella resurrezione della carne segna il realismo del cristianesimo. Esso non è affatto uno spiritualismo, che privilegerebbe l'anima a scapito del corpo. Dio prenderà tutto intero l'uomo che ha creato. Il Dio, che ha fatto i corpi e la loro bellezza, non lascerà perdere niente della sua creazione. La minimizzazione della resurrezione dei corpi in alcuni esegeti o teologi d'oggi, dovuta a un preteso adattamento alla mentalità moderna, ferisce la fede in uno dei suoi aspetti essenziali.
Così è presente nel cristianesimo una tensione, un'attesa. Alcuni fanno della speranza l'essenza stessa del cristianesimo, ma disconoscono in tal modo che l'essenziale è già realizzato nel Cristo resuscitato e che niente in futuro ci porterà qualcosa di più importante: è l'errore di H. J. Holtzmann. Al contrario, si può mettere l'accento sul carattere unico della venuta storica del Cristo, che minimizzerebbe l'attesa del suo ritorno alla fine dei secoli e le darebbe un carattere mitico: è l'errore di R. Bultmann.
In tal modo è anche sottolineata la dimensione cosmica dell'oggetto della fede cristiana che non concerne solo l'uomo interiore. Concerne la realtà obiettiva. Introduce tutto il cosmo nella sua prospettiva. Il primo articolo di fede è che Dio ha creato l'universo. Il mondo, quello che la scienza studia, è creazione di Dio. E perciò non è estraneo a Dio. Il Dio che ha creato questo mondo ne dispone sovranamente. Ed è proprio in esso che egli fa irruzione. Il miracolo è semplicemente l'espressione del modo in cui Dio dispone del cosmo, non negandolo nel suo ordine, ma elevandolo a un ordine superiore. Il mistero del Cristo non si situa solo dentro la storia umana. Egli è posto come Signore su tutto il cosmo poiché è esaltato dall'ascensione al disopra di ogni creatura. E trasfigurerà questo mondo alla fine dei secoli sottraendolo alla sua precaria condizione.
7. La Chiesa come istituzione
La Chiesa, in quanto corpo del Cristo, è la società dei viventi. Ma la Chiesa, in quanto istituzione, è lo strumento per mezzo del quale si forma questa società dei viventi. È il Cristo che agisce in lei, attraverso i mezzi che ha stabilito. L'insieme di questi mezzi costituisce la Chiesa nella sua realtà istituzionale. Questo aspetto istituzionale della Chiesa è al centro della riflessione cristiana del XX secolo. I due Concili, Vaticano I e Vaticano II, vertevano su di esso, su un certo numero di problemi che esso pone. C'è anzitutto quello del suo significato: è proprio dell'essenza del cristianesimo essere un'istituzione? Oppure c'è prima uno slancio mistico e profetico cui si è dato in un secondo momento una cornice istituzionale? C'è, in secondo luogo, la questione della natura di questa istituzione, della struttura che le è propria in ciò che essa ha di irriformabile: sono i problemi posti dalla gerarchia della Chiesa. C'è infine il problema della relazione della Chiesa contemporanea con ciò che il Cristo ha voluto, cioè degli elementi che la Chiesa d'oggi deve alla storia e di ciò che in questo campo deve essere riformato o conservato.
a) L'istituzione ecclesiale
Abbiamo detto che l'oggetto proprio della fede cristiana è credere che la realizzazione da parte dell'uomo della sua vocazione implica l'intervento di Dio attraverso il Cristo. Perché l'uomo divenga Dio bisogna prima che Dio divenga uomo. Analogamente, la Chiesa presenta due aspetti. Il suo scopo è vivificare l'umanità per mezzo della sua partecipazione alla vivificazione dell'umanità del Cristo. È ciò che abbiamo ora studiato. La santità, la carità sono il fine della Chiesa. Ma questo fine può essere raggiunto solo dall'azione di Dio e questa azione è esercitata dalla Chiesa in quanto istituzione.
Che questo aspetto della Chiesa si riallacci all'istituzione del Cristo stesso e non sia un fatto sociologico secondario, appare evidente a chi studia il Vangelo. Il Cristo ha consacrato la maggior parte della sua vita terrena non ad evangelizzare le folle ma a formare un gruppo ristretto, quello degli apostoli. Ad essi ha affidato il suo insegnamento, i suoi poteri, la sua autorità. Ciò che egli aveva istituito durante la sua vita terrena è entrato in funzione dopo che ebbe realizzato il mistero della salvezza. Allora lo Spirito disceso sugli apostoli li ha animati con una forza divina, perché testimoniassero infallibilmente la verità e comunicassero efficacemente la vita.
È dunque falso contrapporre, come si è fatto talvolta ai nostri giorni, una Chiesa carismatica a una Chiesa istituzionale. Dio ha dato il suo Spirito alla Chiesa istituzionale. E prima di tutto a coloro che aveva destinato a continuare la sua opera di salvezza. Questo è certo per l'istituzione iniziale. Il Cristo non ha affidato il suo messaggio a libri morti che ognuno potesse interpretare a suo modo. L'ha affidato a uomini vivi cui ha assicurato la sua assistenza per conservarlo e interpretarlo. Il fatto che questo insegnamento degli apostoli sia stato messo per iscritto nei Vangeli non significa tuttavia che sia abolita la prima istituzione. Tocca sempre ai successori degli apostoli la trasmissione dell'insegnamento ricevuto e l'interpretazione autentica di ciò che è fissato per iscritto nei Vangeli su ispirazione dello Spirito.
Il problema posto da alcuni è di sapere se ciò che è stato dato agli apostoli sia trasmesso ai loro successori. Ma bisogna innanzitutto notare che sarebbe strano che ciò che il Cristo ha stabilito per la sua Chiesa non fosse valido per tutta la storia di questa Chiesa. D'altra parte, l'azione dello Spirito che è costitutiva della storia della salvezza, che si esercita già nell'Antica alleanza, che tocca il suo vertice nel Cristo, non continuerebbe nella Chiesa? E questa non sarebbe più il campo di un'azione propriamente divina, cioè infallibile nella sua verità e santificante nella sua vita?
Il piano d'azione stabilito da Dio non è dunque di agire in modo individuale rivelandosi a ciascuno, ma di costituire una comunità per mezzo della quale e nella quale egli agisce. La Chiesa è così il campo dell'azione divina, in cui gli inviati di Dio sono all'opera per suscitare i viventi nello spirito. È ciò che esprimono le grandi immagini bibliche riprese dalla costituzione Lumen gentium.
La Chiesa è l'arca in cui bisogna trovarsi per essere salvati al momento del giudizio di Dio che colpirà il mondo peccatore. È a motivo di questa immagine che i Padri della Chiesa hanno affermato che non ci sarebbe stata salvezza fuori della Chiesa. Questa affermazione non significa che non ci sono anime salve fuori della Chiesa, ma che coloro che sono salvati lo sono solo per effetto della grazia di Dio, che è data alla sola Chiesa, ma che può toccare invisibilmente coloro che non ne hanno fatto parte visibilmente.
La Chiesa è il paradiso dove operano le energie divine. Qui lo Spirito, simboleggiato dall'acqua viva, fa nascere gli alberi di vita che sono i viventi nello Spirito. Ciò che è messo in luce qui è la necessità di appartenere alla Chiesa per partecipare alla vita del Cristo risorto.
Il Cristo risorto, vivente nella Chiesa e particolarmente presente nell'eucaristia, comunica la vita che gli è propria. La Chiesa è infine la sposa a cui il Cristo ha affidato tutti i suoi beni divini, in modo che essa li possegga realmente e possa distribuirli. E questo dono è un dono irrevocabile, secondo il significato stesso del mistero nuziale nella Bibbia.
b) Il sacerdozio e i sacramenti
L'istituzione ecclesiale significa dunque essenzialmente che il Cristo ha posto gli apostoli e i loro successori come strumenti per illuminare gli uomini con la sua verità divina, per distribuire loro la sua vita, per guidarli sulla sua strada. Questo è il problema del ministero, il più importante di tutti per la Chiesa del XX secolo. Lo è per i teologi, dai quali sono contestate l'esistenza e la specificità di questo ministero. Lo è nel dialogo ecumenico, in cui le divergenze sulla natura del ministero sono l'ostacolo essenziale all'unità dei cristiani. Lo è nella realtà concreta della vita cristiana, in cui la crisi del sacerdozio è il punto più importante per l'avvenire del popolo di Dio.
Questa crisi del sacerdozio ha parecchie cause. La prima è l'illusione di un certo numero di religiosi che pensano che Dio non interessi più gli uomini, quindi si sentono marginali rispetto a un mondo secolarizzato. Da ciò la loro tendenza a reinserirsi nella società con mezzi come il lavoro, il matrimonio, la politica. Su questo punto la crisi del sacerdozio è legata alla crisi del sacro. Ma abbiamo detto che questa crisi del sacro sembra superata. Il paradosso attuale è che certi preti parlano solo di politica, proprio quando gli uomini chiedono il sacro.
Una seconda causa è la crisi della fede nell'azione divina che opera attraverso i sacramenti. Riducendo il Vangelo a una testimonianza profetica e disinteressandosi del suo ruolo sacramentale, alcuni preti lo svuotano del suo contenuto specifico. In effetti, se si tratta di testimoniare il Vangelo in ambienti familiari o professionali, dei laici lo fanno bene e meglio. Da ciò la sensazione, per questi preti, che il loro sacerdozio, lungi dall'aiutarli, sia al contrario un ostacolo a ciò che essi considerano come la loro missione. Ma sostituendosi così ai laici in un ruolo che non è il loro, i preti privano i laici del mondo sacramentale dove solo può fiorire la loro vita di carità. E qui, ancora, sono i laici che rimproverano a questi preti di tradire la loro missione.
Infine, una terza causa della crisi sta nel fatto di mettere in questione la specificità del sacerdozio partendo da una dottrina pseudo-marxista che paragona la distinzione tra sacerdozio e laicato nella Chiesa alla lotta delle classi nel mondo capitalista. In questa prospettiva, il prete non è che un laico al quale una comunità dà l'incarico di esercitare alcune funzioni e che riceve tutto il suo potere da questa delega. Come gli è data questa delega, così gli può essere tolta. Questa concezione si riallaccia a quella della riforma protestante. È un esempio tipico degli errori a cui può portare una falsa analisi sociologica.
Questa crisi del sacerdozio è legata a una crisi dei sacramenti. Un cristianesimo che mette l'accento sullo sforzo morale e sociale e che disconosce la supremazia dell'azione divina, senza la quale questo sforzo è impossibile, arriva necessariamente a svalutare i sacramenti e a vedervi una sorta di magia, mentre essi sono gli strumenti attraverso i quali si esercita l'azione salvifica. Certo, un cristianesimo di pratica sacramentale che non porti frutti di carità è inaccettabile. Non c'è sacramento senza carità. Ma un cristianesimo di azione caritatevole che non sia immerso nel mondo sacramentale è perfettamente illusorio. Non c'è carità senza sacramento.
Ma la crisi del sacerdozio è legata anche alla minimizzazione degli altri aspetti del ministero. Se il sacramento è lo strumento col quale è comunicata la vita del Cristo, esso è anche quello con cui è comunicata la sua parola autentica. Certo, questo servizio della parola di Dio non è riservato solo al clero. La ricerca teologica è aperta a tutti. L'insegnamento religioso è spesso affidato a dei laici. Ma c'è una missione propria del sacerdozio, che è quella di conservare intatto il patrimonio della fede sul quale si esercita la ricerca e di giudicare in ultima istanza se questa ricerca è autentica. Questa missione è esercitata al grado supremo attraverso il carisma di infallibilità che è del Sommo Pontefice e del Concilio. Ma ogni prete è responsabile di trasmettere autenticamente la fede e non di testimoniare le sue idee personali.
Infine, la crisi del sacerdozio è una crisi dell'autorità. La Chiesa non è soltanto vita e verità. È amore. Costituisce un corpo. E questo corpo è vita. Non si tratta di una miriade di sette che avrebbero in comune il fatto di riferirsi al Cristo, come vorrebbe un falso pluralismo. Si tratta di un organismo che ha un'unità visibile. Ora, un aspetto del sacerdozio è di realizzare questa unità della Chiesa. La realizza col presiedere la comunità locale, ma la realizza anche a livello della comunità universale per mezzo della sua comunione col vescovo di Roma, centro dell'unità. L'unità della Chiesa non può esistere senza riferimento al Papato. È un punto essenziale dell'affermazione cattolica nel dialogo ecumenico.
L'azione del Cristo nella Chiesa attraverso il ministero istituzionalizzato è la questione dogmatica fondamentale del XX secolo. La Chiesa si è espressa su questo punto in tre fasi. In una prima fase, nel Vaticano I, ha definito solennemente il primato del successore di Pietro e la sua infallibilità. Questo è, infatti, il fondamento su cui tutto poggia, secondo l'espressa volontà del Cristo. In un mondo incerto, esiste un riferimento, un'incrollabile pietra di paragone della verità, la cui essenza è divina e che è la fede nel successore di Pietro. In una seconda fase, il Concilio Vaticano II ha formulato la dottrina dell'episcopato, sia nella forma della teologia della Chiesa locale di cui è capo il vescovo, sia nella forma della collegialità episcopale, che unita a Pietro costituisce un'istanza suprema.
Ma il problema attuale è quello del sacerdozio del prete. Il Vaticano II ne ha posto i principi, ma non li ha sviluppati. Su di esso si è espresso il primo Sinodo che è seguito al Vaticano II. Ma si può ritenere che sarà oggetto di un insegnamento pubblico della Chiesa, sia in un Concilio, sia in una definizione del Sommo Pontefice. Si dovrà affermare la sua specificità in rapporto al ministero sacerdotale, il suo carattere permanente ed inalienabile, le esigenze che esso implica e in particolare quella del celibato.
c) La riforma della Chiesa
C'è nella Chiesa una realtà permanente, irriformabile, istituita dal Cristo, che è lo strumento col quale egli costruisce il suo corpo. Ma questa Chiesa è impegnata nella storia e, accanto ai suoi elementi permanenti, contiene elementi contingenti che dipendono dalle culture, dagli ambienti, dalle epoche in cui essa si esprime. Questi elementi sono suscettibili di evoluzione: legando la Chiesa a un mondo determinato e al suo linguaggio, la rendono estranea ad altri ambienti e ad altri linguaggi. Ciò non vuol dire che gli sviluppi della Chiesa dipendano soltanto da queste espressioni contingenti e che si debba ogni volta ritrovare il Vangelo originale per esprimerlo attraverso di esse. C'è, lo abbiamo visto, una crescita della Chiesa che è il progresso che essa fa nell'intelligenza del suo contenuto. E questo progresso è irreversibile. Ma si compie attraverso dei modi umani di espressione che sono, essi sì, mutevoli e chiedono di essere rinnovati.
Questa riforma della Chiesa per mezzo di un ritorno a ciò che ne costituisce la sostanza autentica, è stato il compito principale dei Concilio Vaticano II, Concilio pastorale e non dottrinale. Il suo sforzo è stato di liberare la Chiesa da ciò che era segnato dall'usura del tempo, affinché la sua vitalità, sempre nuova, potesse esprimersi in forme più adatte. È ciò che Giovanni XXIII ha chiamato l'‟aggiornamento". Questo sforzo è proseguito in tutti i campi. Se ne possono indicare principalmente tre, concernenti gli aspetti principali della vita della Chiesa. C'è innanzitutto il problema del linguaggio della fede, come si esprime nell'insegnamento, nella predicazione, nella catechesi. Il XX secolo è stato caratterizzato da correnti nuove: lo straordinario sviluppo della teologia biblica, il ritorno alla tradizione patristica, il dialogo con l'esperienza contemporanea. Partendo da questo campo, si è avviato un lavoro di ricerca che, d'altronde, non è ancora giunto a risultati convincenti.
Un altro campo è quello della liturgia. Il movimento liturgico preconciliare aveva già ottenuto risultati notevoli, avendo ritrovato, al di là di sovrastrutture divenute a volte soffocanti, le unità fondamentali del culto e dei sacramenti. Aveva peraltro messo l'accento sull'aspetto comunitario del culto cristiano e sulla partecipazione dei fedeli. Il Concilio ha avallato questi risultati. È andato ancora più lontano autorizzando l'uso delle lingue volgari e intraprendendo una totale ristrutturazione del messale e del breviario.
Infine, a livello dell'organizzazione della Chiesa, oltre alla necessità di riadattare geograficamente le diocesi e le parrocchie alla società urbana, si è soprattutto posto il problema della partecipazione attiva di tutti i cristiani alla vita ecclesiale. Questo era già stato l'obiettivo dell'Azione Cattolica. Il Concilio ne ha confermato lo scopo, ampliandolo e operando una vera promozione del laicato. Questo ruolo del laico nella Chiesa è uno dei tratti caratteristici del XX secolo e corrisponde allo spirito generale di partecipazione che lo caratterizza.
Il Vaticano II ha prodotto perciò frutti sicuri. Bisogna tuttavia riconoscere, dieci anni dopo il Concilio, che la situazione della Chiesa non è stata molto migliorata. Questa non è una conseguenza del Concilio, ma di una deformazione del suo spirito. Sembra essere passato un vento devastatore, che, secondo la parola stessa di Paolo VI, ha disseccato i semi del Concilio. Queste correnti distruttrici si erano già manifestate durante il Concilio, ma erano espressione di gruppi marginali che cercavano di fare pressione sul Concilio stesso. Hanno continuato a farsi sentire, ma, lungi dal servire il Concilio, vogliono mostrare che questo ha aperto una breccia che non è altro che l'inizio di una problematizzazione più radicale. È la sostanza stessa del dogma, delle istituzioni, della vita cristiana che dovrebbe cambiare. Queste brecce saranno colmate. Ma nello sforzo immediato per lottare contro di esse si esauriscono le forze che dovrebbero costruire nel senso del Concilio.
Lo studio del messaggio cristiano conferma dunque che il suo oggetto è proprio il Cristo, ma a condizione di dare al Cristo tutta la sua dimensione. Esso verte essenzialmente sul Cristo in quanto questi è un'irruzione di Dio nella storia. Ma quest'azione di Dio è già iniziata, prima di Cristo, con l'Antico Testamento e continua, dopo di lui, nella Chiesa. È dunque coestesa a tutta la storia. Il Cristo ne costituisce solo il centro. Dunque, oggetto della fede è una dimensione della storia totale. La storia non è soltanto quella delle opere dell'uomo, il quale solo in Gesù Cristo si conosce e si realizza pienamente. È in fondo il mistero di Dio Padre e Origine, Figlio e Verbo, Spirito e Vita nell'abisso del suo essere - svelato attraverso la sua manifestazione nella storia della salvazione.
8. La Chiesa e il mondo
Il messaggio della Chiesa, nel XX come nel I secolo, è sempre di mostrare all'uomo, nel Cristo, la sua vocazione divina e di realizzarla attraverso il Cristo. Ogni minimizzazione di questa dimensione essenzialmente soprannaturale del cristianesimo toglie ad esso la sua specificità, la sua attualità, la sua necessità. Per tutto il resto l'uomo può bastare. Se si tratta solo di ordinare la vita terrena, l'uomo può bastare. Il cristianesimo a questo punto non serve a niente. O piuttosto, non serve in misura maggiore di altre cose. È una dottrina tra le tante. Ma ci lascia anche nella nostra miseria. Proprio perché risponde agli interrogativi ultimi ai quali non rispondono le filosofie, le religioni e i problemi, esso conserva la sua permanente attualità.
Ma ciò non vuol dire che il cristianesimo non eserciti un'azione sulla società umana nella sua realtà temporale. Impegnato nella storia, ha necessariamente un peso nella storia, in senso strettamente sociologico, ne costituisce un dato. E in questo senso lo studiano gli storici della civiltà, prescindendo dalla sua vera essenza. In realtà il cristianesimo ha esercitato sul mondo per duemila anni una azione considerevole. La civiltà occidentale è stata impregnata di valori cristiani. Ancora oggi, esso costituisce un elemento essenziale della vita del mondo.
Si tratta di una questione di fatto. Il messaggio cristiano non è compatibile con qualsiasi valore sociale, morale, culturale. Senza essere una morale, una politica, una cultura, esso impone degli atteggiamenti in tutti questi campi. In questo senso, genera dei tipi di cultura, di morale o di politica che si oppongono ad altri. Lo si può esaminare daccapo solo sotto questo aspetto. La fede cristiana implica delle opzioni sul problema del matrimonio o su quello della proprietà, sul problema dell'educazione o su quello dello Stato. È un campo difficile, dove è arduo distinguere nettamente tra ciò che è veramente richiesto dalla fede e ciò che dipende da libere opzioni.
a) La cultura
La Chiesa del XX secolo si trova di fronte a una crisi molto profonda della cultura. Si può riassumerla così. Il pensiero scientifico nelle sue forme teoriche e pratiche ha compiuto ai nostri tempi progressi eccezionali, sia che si tratti della matematica che della fisica o della biologia. E il cristiano può solo ammirare questi progressi dovuti alla intelligenza che Dio ha dato all'uomo. Ma la cultura umanistica, lungi dal presentare un progresso analogo, si trova, al contrario, ad un livello molto basso. Dubitando in qualche modo di se stessa, si lascia impressionare dai risultati ottenuti dal metodo scientifico nel mondo fisico e si sforza di applicare questi metodi all'uomo con quelle che vengono definite scienze umane e che non hanno niente di veramente scientifico, eccetto il positivismo che è una perversione della scienza autentica.
Di fronte a questa situazione, si impone una prima constatazione. Ciò che è serio, oggi, è la scienza. Si può dire che uno dei dati dell'avvenire sarà il dialogo tra la scienza e la fede. Da una parte, la fede può ricevere molto dalla scienza, che la purifica da alcuni dati culturali legati a un'epoca in cui le spiegazioni soprannaturali venivano talvolta a colmare le deficienze della conoscenza scientifica. D'altronde, con la sua obiettività e la sua docilità verso il reale, la scienza dà un esempio tipico, al livello che le è proprio, dell'autentico cammino intellettuale, che è esplorazione da parte dello spirito di un dato, cioè di qualcosa che esso non si dà, ma che è la realtà stessa nella sua obiettività.
Dall'altra parte la scienza può ricevere molto dalla fede. Tanto dal punto di vista delle costruzioni teoriche, quanto da quello delle convenienze pratiche la scienza ha infatti questi limiti: definisce le leggi della realtà, ma non ne raggiunge la sostanza; mette mezzi potenti al servizio dell'uomo, ma non gli dice come servirsene. Oggi sono gli uomini di scienza che, conoscendo i limiti del loro sapere, cercano le istanze morali e metafisiche che potrebbero dare loro una risposta. È qui che la rivelazione cristiana, svelando il senso ultimo della vocazione umana, permette di dare un significato a tutto ciò che la scienza ci offre.
È chiaro che qui parliamo della scienza e non dello scientismo. Lo scientismo è la pretesa della scienza di erigersi a norma di spiegazione totale. Esso seduce soprattutto coloro che non sono scienziati e per i quali la scienza diventa un mito. Questa pretesa appiattisce l'intelligenza al suo livello più basso, quello della spiegazione delle leggi del mondo materiale, e pretende di ridurla a questo livello: ma tale scientismo è oggi contestato da ogni parte ed è giunto ad un fallimento totale. Tuttavia si esprime ancora in opere che, come quella di J. Monod, hanno un certo seguito presso un pubblico male informato.
Di fronte a questo progresso della scienza, le altre forme della cultura attraversano una grave crisi. La letteratura costituisce una forma fondamentale della cultura. Ha per oggetto l'esplorazione dell'uomo interiore. Nelle sue espressioni geniali, tocca le profondità del cuore e dello spirito. Il suo studio mette a contatto con le espressioni più alte dell'animo umano. La cultura è essenzialmente familiarità con queste supreme realizzazioni del genio nel passato. Essa risveglia, per mezzo della bellezza che coglie nelle sue realizzazioni limitate, la nostalgia della bellezza assoluta. È, in questo senso, interiorizzazione, conversione, contemplazione. Strappa l'uomo alle sue preoccupazioni utilitarie per aprirlo alle realtà supreme. È un elemento essenziale dell'equilibrio della società, che ha tanto bisogno di bellezza quanto di pane.
Ora, questa vocazione e questa responsabilità dell'opera letteraria sono profondamente alterate nel mondo contemporaneo da un certo numero di deformazioni. La prima è il formalismo sviluppato dall'attuale ricerca strutturale. La cura è tutta per la forma del testo e ci si disinteressa del suo contenuto. Questo formalismo confonde piani diversi partendo dall'analogia dei modelli. Rinchiude l'uomo nell'universo del suo linguaggio. Opere come Les mots et les choses di M. Foucault, le opere critiche di R. Barthes, i saggi pubblicati in ‟Tel quel", ne sono degli esempi. Esso è riuscito attualmente ad influenzare l'esegesi biblica.
Una seconda deformazione è il modernismo. Nel campo scientifico è vero che ipotesi nuove eliminano le ipotesi precedenti. Ma questo è assurdo sul piano letterario, dove ciò che importa non è l'attualità ma la qualità geniale. Come diceva Ch. Péguy, Aristotele non svaluta Platone come la gomma vuota la gomma piena. Questa frenesia di attualità si esprime in una svalutazione del passato che è l'espressione stessa dell'incultura. Tale frenesia conduce a una supremazia della novità, a una gara di originalità, a una ricerca dell'insolito che separa la letteratura attuale dalle sue profonde radici umane.
La letteratura d'oggi è, infine, superficiale, nel senso che si pone a livello delle sensazioni. Trascurando le profondità della vita del cuore e dell'anima, cerca di attirare l'attenzione con l'erotismo o con la violenza. È superficiale per mancanza di interiorità. Lo è anche per esigenze pubblicitarie, per vellicare gli istinti e diventare così un prodotto di consumo. Paolo VI denunciava recentemente in F. Sagan il modello di questa letteratura della società dei consumi e del suo vuoto umano.
La cultura filosofica pone problemi analoghi. Scopo della filosofia è chiarire ciò che non dipende dal mondo materiale né dall'espressione interiore, ma dalle esigenze fondamentali attraverso le quali si esprimono le leggi generali dell'essere. Prima di essere teologia, antropologia o filosofia della natura, essa è ontologia. Dispone di metodi suoi, rigorosi nel proprio ordine quanto i metodi scientifici nel loro. Conduce a certezze concernenti Dio e l'uomo, la morale e la verità. È l'espressione del valore dell'intelligenza che Dio ha creato capace di conoscere la realtà.
Ora, la filosofia contemporanea, per una buona parte, ha rinnegato la sua vocazione metafisica. Oppure si lascia incantare dalla scienza, cosa che costituisce una rinuncia totale. Platone, Descartes o Hegel hanno più cose da inseguarci del positivismo delle scienze umane. Oppure, con Nietzsche o Sartre, essa afferma di non avere altro scopo che la proiezione da parte dell'individuo della propria soggettività. Costituisce una confessione di impotenza dello spirito a conoscere il reale. Più ancora, arriva a concentrarsi su se stessa per non riconoscere come reale altro che la propria volontà di potenza in un universo sprovvisto di significato obiettivo.
Il dialogo della Chiesa con la letteratura e con la filosofia contemporanee è quindi diverso da quello che è il suo dialogo con la scienza. Invece di portarle qualcosa, la letteratura e la filosofia costituiscono un terreno friabile sul quale è impossibile costruire. Una delle ragioni profonde della crisi attuale della fede è la crisi della cultura filosofica. È inutile parlare della verità del Cristo a chi non crede nell'esistenza della verità. È inutile predicare l'ideale evangelico a chi nega che vi siano un bene e un male.
L'apporto della Chiesa a questa cultura non sarà allora di perpetuarla ma di combatterla. Essa non deve essere assunta come un fatto ineluttabile al quale bisogna adattarsi. L'errore di molti cristiani è di pensare che bisogna rassegnarsi al fatto che il pensiero attuale sia segnato dall'impronta di Marx e di Nietzsche. Al contrario, il dialogo qui consisterà nel dire un no senza riserve a ciò che costituisce non una espressione della cultura, ma una sua perversione. Il compito dei cristiani, se sapessero capirlo, sarebbe, in questo campo, immenso. Consisterebbe nel dare, a un mondo che la cerca, la cultura di cui esso ha bisogno e che chiede invano a coloro che sono preposti a dargliela.
b) La società economica e politica
Il problema dei rapporti tra la Chiesa e la società civile, economica e politica, si pone nel XX secolo in modo più acuto per il fatto che l'unificazione progressiva della società umana, sia sul piano nazionale che su quello internazionale, dà a tutti i problemi umani una dimensione collettiva. Mentre un tempo l'azione del cristiano poteva avere un carattere privato, oggi prende sempre più un carattere istituzionale. È dunque impossibile, sia alla Chiesa in quanto tale che al cristiano individualmente, disinteressarsi di questi problemi. Essi interessano, da una parte, per la dimensione politica che le questioni morali assumono e, dall'altra, perché l'azione stessa della Chiesa in quanto tale dipende dalle condizioni politiche.
È difficile determinare l'atteggiamento dei cristiani in questo campo. Si può dire che esso oscilli tra due posizioni estreme. Taluni spingono una distinzione dei campi, che è certa, fino a una completa separazione. Attribuiscono alla politica una totale autonomia. Tale è stata la posizione di certi nazionalismi che erigevano la ragion di Stato a ragione suprema nell'ordine temporale, come il nazionalismo francese, il fascismo italiano, il nazionalsocialismo tedesco. Tale è oggi la posizione di cristiani di tendenza marxista, i quali dicono che il marxismo deve occuparsi dei problemi temporali e il cristianesimo dei problemi spirituali. Ma questo dualismo è impossibile, data l'unità dell'uomo, impegnato ad un tempo nel campo spirituale e in quello temporale, e data l'unità della storia, dove il temporale e lo spirituale non possono essere separati.
Ma oggi è più frequente un altro atteggiamento che tende a unire cristianesimo e azione temporale, in modo tale che non è più rispettata la distinzione dei campi. La forma estrema di questa posizione è quella che tende a secolarizzare il cristianesimo, dissolvendolo nella politica e dandogli come fine l'avvento di una società terrena ideale. La Chiesa appare quindi come un ostacolo che deve essere superato nel procedere dell'umanità verso la giustizia. Altri, più moderati, pur distinguendo le due sfere, pensano che il cristianesimo determini una certa politica.
Bisogna qui distinguere due piani, come hanno fatto nel 1972 i vescovi di Francia in un documento sulla Chiesa e la politica. Da una parte, è certo che la politica non può essere sottratta alla legge morale. In questo senso, la libertà politica del cristiano ha dei limiti. A livello dei fini, egli non potrebbe perseguire una politica contraria alle finalità dell'uomo. Deve lavorare a costruire un mondo che permetta all'uomo di svilupparsi a tutti i livelli della sua natura, sul piano materiale, su quello sociale, su quello religioso. In questo senso, c'è una morale politica dalla quale il cristiano è obbligato in coscienza. Egli deve adoperarsi perché la legge divina trionfi nella società.
Ma, d'altra parte, a livello dei mezzi, i cristiani possono legittimamente divergere. Perciò sul piano politico essi non sono necessariamente legati a un regime democratico, più di quanto non lo fossero alla monarchia. Il problema è di sapere quale tipo di società sia il più adatto a servire la comunità umana, in date circostanze. Cosi essi potranno, sul piano economico, preferire regimi di proprietà più liberali o più collettivi, tendere ad un capitalismo preoccupato del bene comune o ad un socialismo rispettoso delle libertà fondamentali. Ma in nessun caso possono dare valore assoluto a un determinato sistema, sotto pena di cadere in quelle ideologie politiche che sono una forma moderna di idolatria.
Problemi analoghi si pongono al livello non più dei cristiani e della politica, ma della Chiesa e dello Stato. Anche qui sono possibili due eccessi. Si è avuta di frequente in passato un'unità della Chiesa e dello Stato che rischiava di portare a un infeudamento della Chiesa allo Stato o ad un assoggettamento dello Stato alla Chiesa. Donde il vantaggio di una certa separazione fra Chiesa e Stato. Ma ciò non significa affatto, tuttavia, che Chiesa e Stato possano ignorarsi. Troppi problemi, morali e pratici, sono loro comuni. E la situazione migliore è quella che vede relazioni cordiali nella giusta distinzione delle competenze.
Uno dei problemi che si chiariscono in questa prospettiva è quello della libertà religiosa. In molti paesi, ancora oggi, esiste una religione - o una irreligione - di Stato che comporta una discriminazione per ragioni religiose. Un cittadino non sarà cittadino a pieno diritto se non condivide la religione o l'ideologia di Stato. È una situazione inammissibile, che il decreto del Vaticano II sulla libertà religiosa ha rifiutato. Ma se lo Stato non deve essere confessionale, non può tuttavia restare indifferente al fatto religioso in quanto fatto umano. Deve riconoscerlo e dargli i mezzi per esistere nelle diverse forme in cui può presentarsi.
c) La famiglia
Un ultimo campo in cui la Chiesa è presente nel mondo contemporaneo è quello della famiglia. Anche su questo aspetto della vita dell'uomo influiscono profondamente le scosse determinate dall'evoluzione delle scienze e dalle trasformazioni sociali. Esso riguarda, d'altronde, in modo particolarmente delicato la vita individuale dell'immensa maggioranza degli uomini e delle donne. È necessario, certamente, tener conto di alcune evoluzioni. Ma, d'altra parte, la Chiesa ritiene che si riscontrino in questo campo alcuni tratti permanenti della natura umana che debbono essere conservati.
Uno dei problemi della società contemporanea occidentale è quello dell'erotismo, cioè di una liberazione totale della sessualità genitale rispetto alla trasmissione della vita. Questo aspetto del mondo moderno è una delle sue tare. Su questo punto la Chiesa conserva con fermezza l'istituzione del matrimonio, in quanto essa esprime il legame della sessualità genitale con la trasmissione della vita. Certo, l'amore fisico è nell'amore l'espressione del dono totale. Ma ciò non giustifica, tuttavia, che la Chiesa ne riconosca la legittimità là dove la fecondità è volontariamente esclusa. Per questo non riconosce la legittimità dei rapporti sessuali tra fidanzati. Rifiutando radicalmente di dissociare amore fisico e matrimonio, la Chiesa difende la dignità stessa dell'amore, combatte la sua degradazione nel mondo moderno, conserva un valore fondamentale dell'umanità.
L'unione coniugale è agli occhi della Chiesa la forma che corrisponde alla dignità e alla finalità dell'amore umano. Perciò la Chiesa la difende contro tutte le forze che oggi mirano a scalzarla. Essa sostiene che nel matrimonio è istituito un legame definitivo che corrisponde sia alle esigenze dell'amore vero, che è un dono totale e quindi definitivo, sia alla formazione di un focolare stabile che permette lo sviluppo sereno dei figli. Conserva le esigenze di unicità dell'amore, affermando che la sessualità si realizza così al suo livello più alto, degna di esseri umani.
La Chiesa si è espressa nel medesimo senso sui mezzi anticoncezionali nell'enciclica Humanae vitae. Certo, la Chiesa ammette senz'altro la limitazione delle nascite. Ma, d'altra parte, sostiene che non la si può attuare a spese delle finalità iscritte nella natura stessa. Si tratta di un principio fondamentale. Alcuni vorrebbero oggi che la sola norma della morale fosse il riferimento al bene delle persone. Quando fosse ammessa questa finalità, l'individuo potrebbe decidere liberamente dei mezzi. Questa dottrina si basa su una limitazione del valore della natura, nel senso che l'uomo, dominandola, avrebbe il diritto di disporne. La Chiesa sostiene qui l'esistenza di finalità obiettive iscritte nella natura stessa, che l'uomo può orientare ma non disconoscere.
La Chiesa non può che condannare senza riserve l'aborto. Non solo esso è contro natura, in quanto si oppone al rispetto della vita e alla sua continuità, ma è contrario alla dignità della persona. È in realtà la vita di una persona umana che viene distrutta. Nessun sofisma, nessuna ipotesi pseudoscientifica, nessuna motivazione può nascondere che si tratta di un assassinio. Questo campo è uno di quelli in cui la posizione cristiana appare con più evidenza. In linea di massima, la difesa che la Chiesa fa della dignità dell'amore, del valore del matrimonio, del rispetto del bambino, si oppone sì a certe tendenze contemporanee, ma il coraggio della Chiesa costituisce una speranza anche per coloro che non aderiscono alla sua fede.
9. I problemi di domani
Nella situazione della Chiesa all'indomani del Concilio, il problema essenziale è quello del suo dialogo con il mondo d'oggi e a questo livello si pongono un certo numero di problemi: infatti, se da una parte è certa la necessità dell'‛aggiornamento' della Chiesa - cioè del suo adattamento alle condizioni della civiltà contemporanea -, d'altra parte in questo confronto con la civiltà contemporanea la Chiesa deve restare se stessa. La distinzione tra ciò che necessita di un adattamento e ciò che costituisce il messaggio permanente pone un certo numero di problemi.
a) Ordine e libertà
Un problema importante nella vita della Chiesa d'oggi è il rapporto tra il suo aspetto istituzionale e quello profetico. Alcuni dei testi essenziali del Concilio, in particolare la costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium), hanno avuto come oggetto la continuazione dell'opera del Vaticano I, che aveva definito l'infallibilità del vescovo di Roma. Essi hanno sviluppato tutta una teologia dell'episcopato, parlando della collegialità episcopale, della sacramentalità della consacrazione episcopale, degli altri ordini che costituiscono la gerarchia. Sembrerebbe dunque che uno degli aspetti essenziali del Concilio e del periodo postconciliare dovesse essere il rafforzamento delle affermazioni concernenti l'aspetto istituzionale della Chiesa. Bisogna dire tuttavia che questo aspetto è, all'indomani del Concilio, uno di quelli intorno ai quali sorgono più numerose le difficoltà.
Uno dei caratteri del mondo attuale (e questo è stato fortemente sottolineato da Giovanni XXIII nell'enciclica Pacem in terris e poi dal Concilio) è una maggior presa di coscienza da parte di tutti gli uomini della loro autonomia, della loro libertà, della loro dignità. Ciò si manifesta sul piano sociale per mezzo di tutti quegli sviluppi che Giovanni XXIII rilevava nella Pacem in terris: gli operai non accettano più un ruolo puramente passivo nell'azienda; i popoli di colore non ammettono più di essere trattati su un piano inferiore dai popoli occidentali; la donna, sia a livello della vita familiare che a livello della vita sociale, assume un ruolo più attivo. Ciò non può non avere ripercussioni nella Chiesa stessa. Ciò vuol dire che diventa oggi impossibile contentarsi di un'obbedienza passiva, che c'è da parte dei cristiani il desiderio di partecipare di più alla vita della Chiesa. Tutto ciò è positivo, ma può sicuramente determinare uno spirito critico, talvolta molto accentuato, riguardo alle decisioni della Chiesa, e una certa indisciplina che rischierebbe, se si sviluppasse, di creare confusione.
Bisogna tener conto dell'evoluzione dell'uomo moderno. Numerosi testi del Concilio, in particolare la Dichiarazione sulla libertà religiosa, hanno sottolineato il carattere personale che la vita cristiana deve sempre più avere. C'è la ricerca di una nuova concezione dell'obbedienza nel suo rapporto con l'autorità. Troppo spesso nel passato il laicato cristiano ha avuto un ruolo soprattutto passivo, lasciando praticamente alla gerarchia la quasi totale responsabilità della vita della Chiesa. L'appello rivolto a tutto il popolo cristiano affinché partecipi, in maniera attiva e a tutti i livelli, alla vita della Chiesa, appare come uno dei grandi aspetti del Concilio. La costituzione sulla Chiesa ricorda, a proposito del laicato, che esso partecipa alle tre grandi dimensioni del sacerdozio del Cristo: al suo ministero profetico, che comporta una partecipazione all'insegnamento nella Chiesa, al suo ministero sacerdotale, che implica una partecipazione attiva al culto, e al suo ministero regale, tanto che il laicato è associato al governo della Chiesa.
Ma non bisogna disconoscere il danno di un individualismo che sarebbe contrario a quell'aspetto fondamentale dei cristiani che risiede nel loro essere un ‛popolo'. È questo che il Cristo ha voluto instaurare. Ora, già sul piano naturale, ogni società, per assicurare la propria unità fondamentale, ha bisogno di una certa autorità. Se il cristianesimo dipendesse solo dall'ispirazione individuale, non conserverebbe questo carattere di popolo e di corpo. Ma bisogna andare molto più lontano. Ciò che rende importante l'obbedienza nella Chiesa è che non si tratta dell'obbedienza che dipende semplicemente dall'organizzazione di ogni società. C'è alla base stessa della Chiesa una autorità nel senso dell'auctoritas latina, cioè una norma assoluta, perché divina, che è innanzitutto l'autorità stessa della parola di Dio, come è manifestata nella Scrittura, ma anche (e questo fa parte del patrimonio stesso della rivelazione) l'autorità divina che la Chiesa riceve dall'assistenza dello Spirito. Per un cattolico, e il Concilio lo ha ripetuto, l'autorità della Chiesa non è semplicemente un'autorità umana, ma una partecipazione (che le è stata data dal Cristo) all'autorità stessa di Dio. Ciò le dà il diritto, sul piano dogmatico, di risolvere infallibilmente alcune questioni e, sul piano del governo, di prendere decisioni vincolanti per il bene del popolo di Dio.
b) Élite e massa
A molti cristiani d'oggi l'idea stessa di cristianità appare definitivamente superata. Entreremmo in un mondo nel quale il cristianesimo non dovrebbe avere più la stessa presenza all'interno della cultura e della civiltà. Dovremmo rinunciare all'idea di una civiltà cristiana ed anche di un umanesimo cristiano. Per fare degli esempi concreti sul piano della cultura, le istituzioni cristiane, scuole o università, sarebbero oggi superate e l'ideale sarebbe una presenza dei cristiani all'interno delle istituzioni, che non sarebbero più cristiane nè potrebbero più esserlo.
Ma bisogna pesare le conseguenze di tale opzione. È troppo evidente che questo è un punto sul quale oggi bisogna insistere: non è possibile agli uomini nel loro insieme - dico a tutti gli uomini - essere cristiani quando si trovano in un ambiente indifferente o ostile al cristianesimo. Ciò deriva da una legge molto semplice della psicologia, radicalmente misconosciuta da un certo numero di teologi contemporanei che sono degli idealisti puri. Essi ragionano come se la libertà non fosse affatto condizionata e come se, per conseguenza, ogni cristiano potesse realizzare il suo cristianesimo anche quando si trova in un ambiente che vi si oppone. Ora, bisogna dire che ciò è normalmente impossibile alla massa degli uomini. È necessario che la civiltà stessa nella quale vivono renda possibile la fede. È troppo evidente che, se ci troviamo in una civiltà ispirata all'ateismo, i cui costumi non hanno più niente a che vedere con la morale cristiana e dove la religione non ha più nessun posto nella cultura, è quasi impossibile alla massa degli uomini diventare cristiani.
Dobbiamo forse pensare che l'avvenire del cristianesimo debba essere quello di una piccola élite di spirituali, che sussisterebbe, a titolo di segno escatologico, come un piccolo ‛residuo' in un mondo di cui dovremmo osservare la decristianizzazione massiccia come qualcosa di normale? O dobbiamo pensare che tutti gli uomini possono essere cristiani ancora oggi, in seno alla civiltà della tecnica? Quanto a me, questa è la mia scelta: penso che dobbiamo sperare (di una speranza, beninteso, che non è solo umana, ma è una speranza cristiana) che tutti gli uomini possano essere cristiani. La nostra posizione oggi non può essere diversa da quella dei primi apostoli, quando hanno preteso di portare il Vangelo di Gesù Cristo a tutti gli uomini, non solo a qualche élite spirituale, ma ai poveri, agli umili, alle famiglie. Devo dire che un cristianesimo che non fosse più quello dei poveri, un cristianesimo che non fosse più quello di chiunque, un cristianesimo che fosse solo di pochi monaci chiusi nei loro monasteri in un mondo diventato totalmente ateo, mi fa letteralmente orrore, perché ciò significherebbe abbandonare la massa degli uomini all'ateismo, rinunciare a portar loro Gesù Cristo.
Perciò, su questo punto che mi sembra essere di grandissima importanza, penso che sia assolutamente impossibile separare l'annuncio della parola di Dio e la missione propriamente detta dall'azione sulla civiltà e sulla cultura per impregnarle dei valori cristiani, perché solo questo rende possibile a tutti gli uomini d'essere ancora cristiani e impedisce che il cristianesimo diventi nel futuro una conventicola, un piccolo gruppo esoterico. Esso deve restare questo grande popolo di Dio, al quale tutti gli uomini sono chiamati e al quale abbiamo la speranza che possano appartenere coloro che gli sono ancora estranei.
E mi angoscia attualmente il fatto che alcuni teologi sostengano piuttosto l'idea di sbarazzarsi di questo popolo cristiano, perché trovano che esso rappresenti ciò che loro chiamano un ‛cristianesimo sociologico' che disprezzano; e mi angoscia anche che essi mettano l'accento solo su un cristianesimo personale che non può essere che un cristianesimo di élites. Questa mi pare una concezione assolutamente unilaterale delle cose. Certo, dobbiamo tendere a che il cristianesimo di ogni cristiano diventi sempre più un impegno personale, ma dobbiamo considerare che è anche una cosa immensa che un popolo intero sia un popolo di battezzati, che il battesimo faccia parte della tradizione stessa della stirpe: questo io lo difenderò fino alla fine contro tutte le teologie contrarie che si esprimono nel mondo all'interno del quale ci troviamo.
c) Verità e amore
Io penso che ci sia nel cristianesimo contemporaneo un desiderio di purificazione, un ritorno ai valori evangelici di povertà e di umiltà, che sono del tutto encomiabili. Viene criticato uno spirito di presunzione che portava con sé il disconoscimento del valore che gli altri potevano avere. Questo è apparso molto chiaro in occasione del Concilio. C'è stata nei vescovi, di fronte agli errori commessi dai cristiani, una volontà di pentirsi non umiliando la Chiesa stessa, poiché la Chiesa è la sposa incorruttibile di Cristo e non deve mai rinnegarsi, ma riconoscendo che gli uomini di Chiesa, essi sì, deformano talvolta il volto della Chiesa e devono fare penitenza. Abbiamo sentito dire molto spesso nel corso del Concilio che bisognava diffidare di tutto ciò che era ‛trionfalismo' - è una delle parole che sono tornate spesso -, di tutto ciò che nella Chiesa poteva apparire come una certa ostentazione. I vescovi hanno anche sottolineato di voler essere considerati non come maestri ma come servitori ed hanno insistito su questo aspetto di umile servizio al seguito del Cristo, che si è fatto servo dei suoi apostoli.
Tutto ciò è vero. Ma bisogna sempre distinguere tra quelli che sono gli insegnamenti del Concilio, nella loro ricchezza e nella loro complementarità, e certe interpretazioni che mettono l'accento esclusivamente su questo o quell'aspetto, e che in questo modo li esagerano. È evidente che qui questa volontà di eliminare tutto ciò che risente del trionfalismo dello spirito di dominio porta, in un certo numero di cristiani, ad un atteggiamento inverso e, direi, ugualmente dannoso. È in fondo un atteggiamento di disfattismo, un indebolimento interiore, la perdita di un certo dinamismo, di una certezza gioiosa e conquistatrice. Non si tratta qui semplicemente della debolezza degli uomini, ma anche della verità della fede. E lo spirito di penitenza per i nostri peccati non deve diventare uno spirito di rinuncia nei confronti della nostra fede e distruggere il dinamismo necessario alla Chiesa per portare a Gesù Cristo il mondo di domani.
A forza di voler stimare gli altri, si è arrivati (è ciò che succede talvolta) a disprezzare e denigrare se stessi. Alcuni filosofi, come Max Scheler, hanno giustamente notato che esiste un tipo di altruismo tale da giungere alla negazione di se stessi. È un fenomeno psicologico ben noto. Ora, la Chiesa deve prima di tutto essere se stessa, deve prima di tutto essere gioiosa e fiera di essere stata prescelta come depositaria della verità, e non solo deve esserne gioiosa e fiera, ma deve restare sempre animata da quel dinamismo che era dei primi apostoli perché è proprio dell'essenza della Chiesa far condividere la sua fede a tutti gli uomini.
bibliografia
AA. VV., La teologia dopo il Vaticano II, Brescia 1967.
Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando, series I (antepraeparatoria), 6 voll., Città del Vaticano 1960-1961, series II (praeparatoria), 1 vol., Città del Vaticano 1964.
Balthasar, H. U. von, Skizzen zur Theologie, vol. II, Sponsa verbi, Einsiedeln 1961.
Bouyer, L., La décomposition du catholicisme, Paris 1968 (tr. it.: Cattolicesimo in decomposizione, Brescia 1969).
Bultmann, R., Jesus, Berlin 1926.
Bultmann, R., Die Theologie des Neuen Testaments, Tübingen 1953.
Burgalassi, S., La Chiesa italiana tra passato e futuro, Roma 1971.
Congar, Y., Vraie et fausse réforme dans l'Église, Paris 1950.
Congar, Y., Esquisses du mystère de l'Église, Paris 1953.
Congar, Y., Au milieu des orages. L'Église affronte aujourd'hui son avenir, Paris 1969.
Cullmann, O., Christus und die Zeit, Zürich 1946 (tr. it.: Cristo e il tempo, Bologna 1965).
Danielou, J., Le mystère du salut des nations, Paris 1951.
Ellis, J. T., Perspectives in American catholicism, Baltimore 1963.
Flanagan, D., The meaning of the Church, Dublin 1966.
Folliet, J., Le catholicisme mondial aujourd'hui, Paris 1959.
Garofalo, S. (a cura di), Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, Roma 1969.
Hamell, P., Membership of the mystical body, in ‟Irish ecclesiastical record", 1958, LXXXIX, pp. 393-411.
Heinemann, H., Die rechtliche Stellung der nichtkatholischen Christen und ihre Wiederversöhnung mit der Kirche, München 1964.
Holtzmann, H. J., Das messianische Bewusstsein Jesu, Freiburg i. B. 1907.
Jacquement, G. (a cura di), Catholicisme hier, aujourd'hui, demain, 7 voll., Paris 1948.
Küng, H., Die Kirche, Freiburg i. B. 1967.
Lafont, G., L'appartenence fondamentale à l'Église catholique, in L'Église en marche (a cura di M.-J. Le Guillou e G. Lafont), Bruges-Paris 1964.
La pensée catholique dans le monde contemporain. Conferences de la 2éme semaine catholique internationale de Genève, 15-21 sept. 1930, Paris 1931.
Lawlor, F. X., Occult heresy and membership in the Church, in ‟Theological studies", 1949, X, pp. 541-554.
Löwenich, W. von, Der moderne Katholizismus. Erscheinung und Probleme, Witten 19626.
Lubac, H. de, Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme, Paris 1941; 19472.
Lubac, H. de, Paradoxe et mystère de l'Église, Paris 1967.
Lubac, H. de, L'Église dans la crise actuelle, Paris 1969.
McNamara, K., The theology of Christian unity, in ‟Irish theological quarterly", 1961, XXVIII, pp. 255-277.
Montcheuil, Y. de, L'Église et le monde actuel, Paris 1959.
Morsdorf, K., Persona in ecclesia Christi, in ‟Archiv für katholisches Kirchenrecht", 1962, CXXXI, pp. 345-393.
O'Neill, C., Members of the Church, in ‟American ecclesiastical review", 1963, CXLVIII, pp. 113-128; 167-184.
Peters, E. H. (a cura di), De ecclesia. The constitution on the Church of Vatican Council II proclaimed by Pope Paul VI, Nov. 1964, London 1965.
Rahner, K., Kirche und Sakramente, Freiburg i. B. 1963.
Rahner, K., Schriften zur Theologie, vol. II, Einsiedeln-Zürich-Köln 1963, vol. V, Einsiedeln-Zürich-Köln 1966.
Ratzinger, J., Wesen und Grenzen der Kirche: das zweite vatikanische Konzil, Köln 1963.
Rouquette, R., La fin d'une chrétienté, 2 voll., Paris 1968.
Sacrosanctum Oecumenicum Concilium Vaticanum II: constitutiones decreta declarationes, Città del Vaticano 1966.
Sartory, T., Die katholische Kirche und die getrennten Kristen, Düsseldorf 1957.
Semmelroth, O., Die Kirche als Ursakrament, Frankfurt 1953.
Vander Gucht, R., Vorgrimler, H., Bilancio della teologia del XX secolo, 4 voll., Roma 1972.
Willems, B., Who belongs to the Church?, in ‟Concilium", 1965, I, pp. 62-71.