Cattolicesimo
sommario: 1. Ecumenismo: sfida per una nuova cattolicità: a) cammino comune con le altre confessioni; b) dentro la storia generale; c) assunzione della prospettiva escatologica. □ 2. Rigenerazione interna più estesa e più radicale: a) risveglio e mobilitazione; b) importanza dell'umano; c) ri-espressione globale; ri-recezione della tradizione. □ 3. Difficoltà e crisi di un trapasso epocale: a) rafforzamento dello spirito di unità e di comunione; b) ripensamento della fede e dei dogmi; c) ridefinizione del ruolo di ‛principio storico' ,d) il papa polacco. □ Bibliografia.
1. Ecumenismo: sfida per una nuova cattolicità
A voler sintetizzare il senso del cammino in atto nella Chiesa cattolica, grosso modo dagli anni sessanta in poi, si potrebbe parlare di una tensione fra ‛cattolicità' ed ‛ecumenicità'.
I due termini, di per sé, dicono la stessa cosa: universalità, come apertura alla totalità (cattolicità) e come orizzonte globale o spazio mondiale (ecumenicità). La scoperta moderna è che l'ecumenicità resta ancora un ideale lontano, in rapporto al quale ogni Chiesa cristiana, per non dire ogni religione, deve riconoscersi ancora troppo parziale, inadeguata, ‛confessionale'. In epoche precedenti si poteva accarezzare il sogno di una prossima definitiva vittoria su residue resistenze al pieno affermarsi dell'universalità del cristianesimo; ne risentiva soprattutto il cattolicesimo, che coltiva da sempre come suo specifico carisma il senso della ‛pienezza' e della ‛integralità'. Si faceva leva, allora, sulla crescita numerica e sulla progressione espansiva. Ma poi pian piano sono emersi i dati della cruda realtà: il cristianesimo aumenta solo limitatamente, e deve fare i conti con la persistenza, anzi con la crescita e con l'espansione simultanea di altre religioni, e con le perdite e le disaffezioni interne.
Per la Chiesa cattolica è risultata quasi traumatica la costatazione di una certa sua ‛confessionalità', ossia parzialità e inadeguatezza. Già da tempo, però, le altre Chiese cristiane preferivano chiamarla ‛romana' o ‛romano-cattolica', e non automaticamente cattolica; perché esse pure ritengono di appartenere alla Catholica, tanto è vero che i Credo comuni o simboli della fede sui quali si fondano recitano, per tutte, ‟credo la Chiesa una santa c a t t o l i c a e apostolica".
Il cattolicesimo attuale, dunque, deve passare attraverso la fatica di una progressiva presa di coscienza della sua confessionalità, e perciò della sua ‛relatività'. Dopo secoli di ‟monofisismo ecclesiologico" (Congar), ossia di insistenza quasi unilaterale sul divino presente nella Chiesa, fino quasi ad assorbire l'umano nella consacrazione e nell'assolutezza, si passa a rendersi conto degli aspetti di ‛storicità', ossia di profonda radicazione nell'umano provvisorio e limitante; si assume consapevolezza della possibilità di incarnazioni diverse, in un orizzonte di pluralismo e di variazioni e mutamenti assai considerevoli. Ed è questo l'impegno del cattolicesimo attuale: non rinunciare alla sua vocazione ‛cattolica', al proprio carisma che dice pienezza, integralità, universalità, ma rifondarlo e ripensarlo in funzione di un orizzonte più vasto, appunto quello della ‛ecumenicità', onde giustificare anche la propria storicità che fa mettere in conto limiti e parzialità quasi da Chiesa confessionale.
Al centro del secondo capitolo (il più innovatore) della costituzione sulla Chiesa (Lumen gentium), del Concilio Vaticano II, viene elaborata la nuova concezione della cattolicità: anzitutto ad extra, come apertura all'immensa ricchezza di valori esterni alla Chiesa che attendono ancora la loro ricapitolazione in Cristo, e poi ad intra, come disponibilità a ospitare all'interno della Chiesa la varietà più ampia possibile di forme di vita e di carismi. Anche la successione dei momenti sembra indicare delle tappe nell'itinerario percorso dal cattolicesimo, quanto a sperimentazione progressiva della propria ‛relatività'. Dalla scoperta della propria parzialità storica si va verso la nuova ridefinizione della propria pienezza.
Possiamo indicare, sul fronte dei rapporti esterni, una triplice ‛relativizzazione'.
a) Cammino comune con le altre confessioni
Il primo passo verso una nuova concezione della cattolicità è stato compiuto con l'accettazione dell'ecumenismo in senso proprio, ossia l'incontro per un cammino comune con le altre ‛confessioni' o Chiese cristiane, dall'ortodossa alla protestante, nelle loro ulteriori varie accezioni e ramificazioni. Il Concilio Vaticano II, nelle intenzioni dei due papi che l'hanno determinato - Giovanni XXIII e Paolo VI - e nell'effettiva sua realizzazione ad opera dei vescovi, ha sostanzialmente mirato a tale scopo. Il passo era difficile. Il movimento ecumenico aveva da tempo battuto invano alle porte della Chiesa cattolica; essa aveva risposto sempre di no. Ciò avveniva già nel secolo scorso, intorno agli anni 1857-1864, in riferimento al movimento di Oxford e si ripeteva più volte nel nostro secolo: dopo la celebre Conferenza mondiale delle missioni, tenuta a Edimburgo, nel 1910, che viene considerata la data di nascita dell'ecumenismo contemporaneo; in particolare dopo Losanna, 1927 (prima Conferenza di Fede e Costituzione, espressione dell'anima teologica del movimento ecumenico); dopo Amsterdam, 1948 (nascita effettiva del Consiglio Mondiale delle Chiese, World Council of Churches). I documenti pontifici che presero posizione nei confronti del movimento ecumenico, in particolare l'enciclica Mortalium animos di Pio XI (1928), ribadivano l'impossibilità per la Chiesa cattolica di entrare in un movimento che sembrava chiederle di rinunciare ad alcune proprie e fondamentali convinzioni, e cioè che essa è già la vera Chiesa in pienezza, e non può ammettere che si debba ancora cercare dove e quale sia la vera Chiesa, perché non è lecito mettere sullo stesso piano la verità e l'errore. Alla luce ditali convincimenti si può capire l'importanza rivoluzionaria del passo compiuto dal Vaticano II, accettando di entrare in un movimento, quale quello ecumenico, che è nato e si esprime fuori della Chiesa cattolica; equivale a confessare, di fatto e con scelte pratiche, che esiste qualcosa che p r e c e d e la Chiesa cattolica e che è p i ù g r a n d e, equivale a dichiararsi in qualche modo ‛parte' di un tutto che si situa storicamente più in là dei propri attuali confini. Prima di quella scelta decisiva, la Chiesa cattolica non è che non avesse un suo ecumenismo, ma esso consisteva precipuamente nel tenersi disponibile al ritorno delle altre Chiese all'ovile, cioè al centro della cattolicità, Roma. La svolta è stata resa possibile perché la prassi di alcune minoranze profetiche, di persone ardenti di fede e di carità, veri santi patroni della causa ecumenica (come l'abate Couturier, in Francia, intorno agli anni trenta-quaranta e prima ancora padre Wattson in America), e di teologi (Congar in prima fila) ha potuto mostrare e dimostrare che la ‛cattolicità' del cattolicesimo poteva ancora esprimersi in forma adeguata e nuova, anzi più profonda, senza implicare alcun tradimento per rapporto alla propria tradizione di fede. La Chiesa cattolica, perciò, entrando nel movimento ecumenico, poteva addirittura offrire il contributo necessario del proprio carisma specifico, immettervi cioè il suo dinamismo che spinge alla totalità, alla pienezza, alla integralità; perché proprio per questo le altre Chiese la riconoscono e la ammirano, subendone spesso il fascino, anche quando ne denunciano volentieri i difetti (un eminente protagonista del primo ecumenismo arrivava ad ammettere che, paradossalmente, talvolta sono proprio certi difetti della Chiesa cattolica che contribuiscono a evidenziarne la grandezza!).
Il Concilio Vaticano II ha fatto tesoro delle indicazioni dei suoi pionieri ed è riuscito ad approntare una dottrina di ripensamento della cattolicità tale da giustificare e favorire l'ingresso della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico. Basterebbe ricordare alcuni principî sanciti dai testi conciliari, come i 4 seguenti: 1) distinguere sempre la ‛sostanza' della fede e del dogma dalla ‛forma espressiva', dal rivestimento culturale fatto sia di formulazioni, sia di comportamenti di vita che ne derivano; 2) tener conto della cosiddetta ‛gerarchia delle verità', perché altro è ciò che tocca il nucleo centrale della rivelazione biblica e altro è ciò che vi si connette solo indirettamente, e che spesso è stato possibile scoprire o determinare soltanto successivamente, attraverso fatiche di secoli; 3) riconoscere, quindi, che la stessa e identica fede (o l'essenza di strutture e di mezzi che costituiscono l'organismo della Chiesa) può essere espressa in forme o modi culturali plurimi e variabili, a seconda delle culture e dei tempi, e non può ridursi a restare vincolata a una sola e uniforme espressione; 4) di conseguenza, solo attingendo da tutti, convocando tutte le possibili espressioni storiche della stessa verità cristiana, solo armonizzando i vari linguaggi e le molte tradizioni in modo da farli risultare ‛complementari' e non ‛contrapposti', solo così diventa possibile manifestare meno inadeguatamente la ‛pienezza' e quindi la ‛cattolicità'.
Riassumendo, si può dire che il nocciolo della questione sta nell'accettazione della dimensione storica e della storicità della fede e della Chiesa. Il Decreto sull'ecumenismo è giunto a confessare che solo con l'unione di tutti i cristiani, e di tutte le Chiese, anche la Chiesa cattolica riuscirà a manifestare in pienezza e con integralità il dono della cattolicità. Perché non basta essere; è necessario anche e s p r i m e r e ciò che si è, se la Chiesa è anzitutto missionaria. Nel suo profondo la Chiesa cattolica ha il diritto e il dovere di proclamare che in essa si trovano già presenti tutti i doni che Dio ha voluto darle; che essa quindi h a g i à l'integralità dei mezzi, e che quindi, almeno sostanzialmente, è g i à la Chiesa come l'ha voluta Cristo. Ma il problema sta nel verificare se ciò che già è dato appare anche del tutto manifesto, o se non resti ancora velato dietro limiti e spessori storici. È su questo punto che l'ecumenismo ha fatto fare molto cammino in avanti alla Chiesa cattolica: perché non è detto che chi sembra aver poco o di meno, o dispone solo di frammenti, non riesca di fatto, con l'aiuto dello Spirito, a produrre molto, ad avvicinarsi alla totalità; e non è detto che chi dispone di molto o dell'intera somma dei beni di Dio, li traffichi sempre adeguatamente, senza di fatto dare l'impressione di disporre ancora di poco.
In ogni caso, qui ci interessa segnalare la decisività di questo primo passo compiuto dal cattolicesimo attuale, attraverso la scelta storica che l'ha condotto ad accettare un movimento che lo precede e che si presenta come più ampio e più grande di lui. È questa una prima professione di relatività e di parzialità, ma la Chiesa cattolica riesce a compierla senza tradire ciò che le è specifico, e cioè la cattolicità. Prima, essa insisteva sull'‛assolutezza': solo la Chiesa cattolica è la vera Chiesa. Oggi insiste sulla ‛pienezza', ma in senso storico, tensionale: solo nella Chiesa cattolica si danno di fatto tutti i valori cristiani, nella loro interezza; non per questo, però, essa li esprime già perfettamente e pienamente; il cammino, piuttosto, che le si impone è di procedere più alacremente verso la cattolicità, e non tanto di gloriarsi di essa o di sostare a celebrare quel poco o tanto che ha già realizzato.
b) Dentro la storia generale
Una volta compiuta la scelta dell'ecumenismo, il secondo passo da compiere si è rivelato subito coerente e logico e non ha richiesto eccessiva fatica. È il passo che riguarda l'ingresso, assieme a tutte le altre Chiese, dentro la storia generale più grande. Paolo VI ha tracciato (Ecclesiam suam) un itinerario unificato, parlando in termini di ‛cerchi' concentrici, i cerchi del dialogo; una volta che si è accettato di entrare in dialogo e collaborazione con altri, si tratta di scandire la successione dei gruppi degli interlocutori e collaboratori: dopo i cristiani delle Chiese non cattoliche (ecumenismo in senso stretto) vengono i credenti di altre religioni, le religioni non cristiane; e infine ‛gli uomini di buona volontà', gli esponenti di umanesimi positivi, che coltivano i valori dell'uomo anche a prescindere da una fede religiosa. Nella loro base più profonda tutte queste aperture sottendono il medesimo principio: riconoscere che esiste una storia più grande che assume dentro di sé anche la vicenda del cattolicesimo, ammettere che esiste un orizzonte universale (‛cattolico') entro il quale anche la cattolicità della Chiesa cattolica deve situarsi come ‛parte' specifica. L'ecumene più autentica è il genere umano nella sua totalità; la storia della salvezza ha dimensioni superiori rispetto a quelle della sola storia delle Chiese e delle religioni. Ecco emergere il tema del s o g g e t t o u n i v e r s a l e, l'umanità. Forse è la prima volta nella storia che si prende coscienza che il genere umano rappresenta una reale unità e costituisce un soggetto unitario, dopo i sogni imperialistici dei tanti regimi del passato che tendevano a far passare una determinata provincia come l'equivalente del genere umano tutt'intero, giungendo a fare violenza alla soggettività di altri popoli e a consolidare imperialismi uniformizzanti. Oggi le Chiese si sono fatte carico, finalmente, del processo che spinge alla sua vera unità il genere umano; e perciò alla pace.
Nell'ambito del Consiglio Mondiale delle Chiese emerge da decenni, sotto forme diverse, il tema dell'unità della Chiesa in funzione dell'unità dell'umanità. Non è che l'unità dei cristiani sia solo strumentale; certamente, però, può essere conseguita autenticamente solo dentro l'orizzonte della promozione della pace e dell'unione dei popoli. La Chiesa cattolica era già da tempo inscritta in tale processo; basti ricordare l'insegnamento sociale e politico dei papi, da Leone XIII a Pio XII, ma è stata l'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII a determinare l'ingresso pieno nella Chiesa cattolica della prospettiva antropocentrica. Forse, prima, si poteva ancora sospettare che la Chiesa cattolica mirasse a porre se stessa al centro della storia, onde chiamare l'umanità a sé, erigendo la propria storia a criterio e misura di ogni altra storia; oggi appare chiaro invece che il cattolicesimo mette se stesso al servizio della storia umana, senza alcuna pretesa imperialistica.
c) Assunzione della prospettiva escatologica
Il terzo passo del cammino intrapreso dalla Chiesa cattolica non si colloca sul piano delle scelte storiche, bensì su quello delle decisioni di fede, a livello di orientamento teologico: è l'assunzione della prospettiva escatologica. L'ecumenismo, in ciò, si è fatto non solo più ampio, bensì anche più radicale e più profondo; diventa riscoperta di una realtà più grande della stessa storia, vale a dire del ‛Regno di Dio'. Potrebbe sembrare perfino banale questa riscoperta; le religioni, infatti, non sono di per sé tutte rivolte all'aldilà? Com'è possibile, allora, che si parli di riscoperta dell'orizzonte celeste, dell'escatologia, e con particolare riferimento al cristianesimo, che subito e chiaramente si è qualificato come escatologico? Le cose, purtroppo, non stanno sempre così: la passione per l'Assoluto conduce facilmente all'assolutizzazione di ciò che orienta all'Assoluto, diventa essa stessa facilmente assolutista; Dio può essere ridotto a pretesto per l'idolatria di sé o di altri. Comunque, il cattolicesimo di oggi - va riconosciuto - ha riscoperto la dimensione escatologica della fede cristiana, e quindi anche della Chiesa. Perciò ha potuto fare ingresso tranquillamente in una grandezza diversa, riconoscendola più grande di sé: l'insieme di tutte le Chiese e, con le Chiese, l'insieme dei popoli, dentro un'unica storia universale. È tornato a misurarsi sul Regno di Dio. Nella teologia cattolica ufficiale si insiste sul rapporto tensionale tra Chiesa e Regno: se da una parte la Chiesa ‛è' il Regno di Dio, in quanto lo annuncia, lo prepara e ne offre l'inaugurazione e gli anticipi, dall'altra essa ‛non è' il Regno, nel senso che non lo è in modo perfetto e adeguato, perché lo precontiene sempre in forme velate. Per questo è legittimo affermare che la grandezza del Regno è sempre maggiore della Chiesa storica; il Regno contiene dentro di sé e sotto di sé sia la Chiesa (le Chiese) che l'umanità, sia le realtà cristiane che le realtà umane. È tutta la storia che in tal modo viene relativizzata. La Lumen gentium dedica un capitolo intero (il settimo) alla dimensione escatologica della Chiesa; e in tutti gli altri suoi capitoli, anzi talora in tutti i singoli numeri di qualche suo capitolo (come il primo), è la nota escatologica quella su cui essa insiste maggiormente. Nei confronti delle altezze incommensurabili del cielo, anche le creste più alte, siano l'Everest o il Monte Bianco, diventano altezze soltanto relative; come tutte le altre punte della crosta terrestre anche l'Everest o il Monte Bianco risultano essere soltanto frecce che indicano qualcosa di ben più alto o di ben più profondo.
Ci si potrebbe chiedere - in conclusione del discorso fin qui fatto - se il volto attuale del cattolicesimo sia frutto di una scelta irreversibile, o se al contrario esso non rappresenti piuttosto l'invenzione momentanea di una tattica politica. No - lo si deve dire - non si tratta di una maschera provvisoria adottata per adeguarsi ai tempi; tutte le risultanze delle scienze bibliche, storiche, teologiche confluiscono nel disegnare fede cristiana e Chiesa come ‛seme', immesso, si, nella storia ma destinato, finché resta nella storia, a confrontarsi come realtà parziale con altre realtà parziali, perché solo dopo il giudizio escatologico, cioè alla fine della storia, comincia veramente il Regno di Dio in pienezza. La cattolicità, finché dura la storia, rimarrà una tensione, un dinamismo; sarà realmente perfetta solo nell'eternità.
D'altra parte, però, se è vero che lungo i secoli, posto com'è nelle mani dell'uomo, il seme cristiano ha potuto talora conoscere anche rappresentazioni ambigue, espressioni aberranti, realizzazioni pretenziose all'insegna dell'esclusivismo e della discriminazione, oggi sembra, invece, più chiara la coscienza che tali ombre vanno ricondotte a false immagini di ciò che dovrebbe essere la verità e la sostanza del cattolicesimo. Infatti, non è solo la massa dei testi conciliari che, anche da sola e a livello semplicemente quantitativo, gravita sull'intenzione escatologica ai fini di vigilanza perenne, di sobrietà e di umiltà, e perché la Chiesa resti impegnata a un perenne esame di coscienza e a una perenne riforma; esiste anche una successiva lunga serie di fatti e documenti istituzionali che confermano la volontà di scelte irreversibili. Il progetto nuovo appare unitario e coerente: la Curia romana annovera tre Segretariati - quello del dialogo con le Chiese non cattoliche, quello del dialogo con le religioni non cristiane, quello del dialogo con gli umanesimi contemporanei - che sono già istituzioni e mantengono perciò duratura la svolta del Concilio; c'è un nuovo Codice di Diritto Canonico, che pur nei suoi limiti e difetti, sancisce però sostanzialmente quella opzione; altrettanto hanno fatto finora i Sinodi dei Vescovi; c'è poi l'immensa mole di testi emanati negli ultimi vent'anni dalla S. Sede nei suoi vari organismi (la collezione di tali testi, presso le Edizioni Dehoniane di Bologna, sta per raggiungere la quota di ben 10 volumi), testi che finora non hanno disdetto quanto il Concilio ha deciso. Sono state denunciate frenature, lentezze, anche qualche incoerenza (la difficoltà del nuovo corso della Chiesa è veramente troppo grande), ma nella sostanza tutto sta a indicare che, almeno a far credito alle intenzioni espresse e al progetto storico nella sua globalità, si deve riconoscere che l'orientamento del Concilio è stato riaffermato e si è consolidato.
La cattolicità del cattolicesimo viene posta a servizio, e in questo senso relativizzata, in rapporto a un'ecumenicità più ampia, che è quella di tutta la storia umana e di tutta l'umanità in cammino verso l'ἔσχατον. Sì, ancora il cattolicesimo continua a offrire se stesso come un centro; ma non più come l'unico. Si potrebbe ormai parlare di ‛policentrismo'. Esiste il centro cattolico, Roma; esiste il centro ecumenico di Ginevra (Consiglio Mondiale delle Chiese); esistono altri centri universali come l'ONU, o altri sotto l'ONU, o con l'ONU. Non sono dunque assolutamente riproducibili i sogni e i tentativi di unità del mondo coltivati nel Medioevo, quando la Roma della potestas spirituale pretendeva di costituirsi in centro unico di tutto. Oggi ogni soggetto storico deve ispirarsi al criterio del ‛camminare con', del ‛camminare insieme'. Anche il cattolicesimo attuale ha ripensato e ridefinito se stesso in questa nuova ottica.
2. Rigenerazione interna più estesa e più radicale
L'apertura verso l'ecumene, realtà più grande che induce a prendere coscienza della propria confessionalità per superarla, non poteva non avere ripercussioni sull'interno e cioè sul modo di concepire la propria unità interna. Il cattolicesimo postconciliare è alle prese con questa sfida per una nuova cattolicità ad intra. Cattolicità come patria ospitale per la ricchezza esuberante dei valori e dei carismi, e quindi dei soggetti, e quindi dell'umano; in vista di una rigenerazione perenne di tutto ciò che è e fa Chiesa. Se durante il Concilio, e nei tempi immediatamente successivi, il fervore di ‛aggiornamento' poteva sembrare addirittura febbrile, e quindi anche eccessivo o almeno adolescenziale, oggi si potrebbe essere indotti a sospettare (e alcuni lo fanno) un affievolimento e un ritorno indietro; la realtà vera però rimane quella del rinnovamento; è cambiato piuttosto il tono o il modo, non c'è più alcuno stato febbrile, la vitalità ha ripreso i suoi ritmi ordinari, ma esiste, e anzi desta sempre nuove sorprese; solo che bisogna farsene più attenti; la novità non è violenta.
a) Risveglio e mobilitazione
Emerge, anzitutto, la nota di r i s v e g l i o e di m o b i l i t a z i o n e; risveglio delle parti addormentate, mobilitazione delle soggettività già attive. In ogni caso, si tratta sempre di cattolicità; di espressione di integralità e di totalità.
1. Il cattolicesimo ha potuto sempre rivendicare la presenza (si giungeva addirittura a parlare di ‛possesso') di tutti i beni messianici, di tutti i valori cristiani, di tutti i carismi dello Spirito; si poteva dire: ‟ci sono" e ‟ci sono tutti" nell'ambito della Chiesa cattolica. Ma l'interrogativo nuovo e attuale riguarda la loro valorizzazione effettiva: ci sono, sì, sono disponibili, ma di fatto sono essi efficaci, sono valorizzati? Il cibo è cibo solo remotamente quando resta in frigorifero; diventa cibo reale solo quando sta sulla mensa e più ancora quando di fatto viene assunto come alimento. L'accusa che si poteva talora fare al cattolicesimo, nei secoli o anche nei decenni passati, era quella di trattenere quasi in congelamento o in scarso utilizzo alcuni valori cristiani, come la Bibbia o la liturgia, soprattutto per effetto indiretto dell'enfatizzazione di alcuni altri, quali il culto dell'autorità, soprattutto del papa. Succede abbastanza spesso che un interesse raffreddi altri interessi; del resto, è significativo quel che diceva Agostino dei vizi e delle virtù dei pagani, e cioè che essi, i pagani, riuscivano perfino a soggiogare alcune altre passioni quando erano dominati da una passione particolare. Il Concilio ha inteso rimettere in attività e ridare vitalità a tutti i valori e fattori di vita cristiana, in gran parte anche per merito dell'apertura ecumenica e quindi mirando nello specchio dei ‟fratelli separati" (fino a ieri li si chiamava così, oggi basterebbe dire ‛non cattolici', ma meglio è chiamarli col loro nome positivo specifico, come ortodossi, evangelici, luterani, anglicani); il Decreto sull'ecumenismo (n. 11) invita alla ‟santa emulazione". Potremmo allora individuare la sollecitazione, accolta, venuta dai fratelli protestanti per la sottolineatura crescente del primato della Parola, e perciò anche della Sacra Scrittura, sia come studio, sia come lettura e meditazione, sia come proclamazione; la sollecitazione dei fratelli ortodossi, anche questa accolta, per una liturgia sempre di più collocata al centro della vita, ad anticipazione della liturgia celeste nello Spirito Santo; e ancora, la sollecitazione, proveniente dal mondo degli evangelici, per una maggiore evidenziazione del ‛sacerdozio comune' del popolo di Dio, e quindi per una valorizzazione maggiore del ruolo dei laici. Il fronte missionario a sua volta - provocatore storicamente primo del movimento ecumenico - ha intensificato nella Chiesa cattolica l'attenzione al compito costante della ‛inculturazione della fede'. E si potrebbe continuare. Ognuno dei temi trattati definisce un capitolo specifico dell'aggiornamento e del risveglio del cattolicesimo postconciliare.
2. Passando al discorso sui ‛soggetti' che sono convocati a un protagonismo crescente, in una sorta di mobilitazione generale, si possono indicare ancora altri capitoli.
Sintomatico, anzitutto, è il tema della ‛conciliarità', che ha allargato quello della collegialità che fu preponderante e suscitò dibattiti molto accesi durante il Concilio. Dal vertice si è passati alla base. Il Concilio, già di per se stesso, rappresentò una novità quasi imprevedibile, tanto era cresciuto il peso del papato dal Vaticano I in poi; ma convocare i soggetti-vescovi (collegialità) era già implicitamente convocare i soggetti-Chiese particolari o locali. E dopo il Concilio assistiamo al crescente protagonismo delle Chiese particolari, sia a livello locale, sia a livello regionale, sia a livello nazionale, sia a livello continentale. L'America Latina ha offerto in questo campo il modello più vivace e quasi icastico, anche se con problemi e talora con una forte dose di conflittualità; basti pensare alle due Conferenze di Medellín (1968) e di Puebla (1979), nelle quali i rappresentanti delle Chiese dell'America Latina hanno per così dire riprodotto creativamente (e quindi attuato la ‛recezione' come inculturazione) il Concilio Vaticano II. Ma qualcosa di analogo si può affermare di ogni nazione d'Europa o di altre parti del mondo; anche la Chiesa italiana ha percorso un suo laborioso ma fecondo itinerario, e anche per essa si può ormai parlare di una originale recezione, ossia edizione creativa, del Concilio.
All'interno, però, di ogni singola Chiesa locale o particolare, i decenni successivi al Concilio hanno visto germinare e svilupparsi, e a volte esplodere, altre ‛soggettività', talora in forme impreviste e quindi non facilmente classificabili: movimenti, gruppi, piccole comunità di base. E a grappolo; con la produzione di nuovi tipi di riflessione teologica ('diario' o ‛discernimento dei segni dei tempi'), di nuove forme di preghiera e di liturgia (in qualche caso anche ‛selvaggia', come talora si dice), di nuovi stili di comportamento come espressione di presenza nel sociale, o di apostolato o di missionarietà.
3. Il Concilio, però, aveva puntato il dito soprattutto sulla specificità dei cosiddetti tre ‛stati di vita' nella Chiesa: clero, religiosi, laici. Alcuni pensano che tale concezione quasi ‛classista' sia saltata o stia per saltare, tanto sembra ormai possente e quasi fin troppo rumorosa l'esplosione dei movimenti di base, che sono al tempo stesso ricerca in verticale di una forte esperienza di Dio (avvicinandosi perciò alla specificità dei religiosi classici) e ricerca di nuove forme incisive di presenza e di apostolato (in accordo, perciò, con la classica specificità dei laici). Altri, invece, sottolineano piuttosto la perenne necessità e complementarietà delle tre forme di realizzazione della Chiesa, magari cercando di dirottare l'attenzione sul rapporto laici-religiosi, perché si esaurisca presto la fin troppo lunga vicenda delle mutue corrosioni e rivendicazioni nel privilegiato ma infecondo rapporto clero-laici (che si è tradotto spesso in lotta fra clericalismo e laicismo e sottolinea eccessivamente la dimensione ‛potere' nella Chiesa), e invece al suo posto si evidenzi la necessaria e più feconda correlazione fra storia ed escatologia, disegnata dal rapporto fra anima laicale (o di incarnazione) e anima monastica (o di trascendenza).
In ogni caso, ciò che risulta da tutti i fermenti sopra accennati è che ormai l'unità, per la Chiesa, anche al suo interno, non può essere concepita sul modello della materia, ma sul modello della vita; e cioè non come uniformità livellante, bensì come diversità vivificata e armonizzata: unitas ex diversis, e non ‛nonostante' la diversità, cioè unità alimentata, sorretta, arricchita dal contributo di tutti e di ciascuno.
Un papa ‛itinerante', così come ce lo esprime Wojtyla, nel suo fondo, può comportare la valorizzazione di ogni ‛particulare'; e a lungo andare consoliderà l'originalità delle Chiese locali, dei movimenti, delle soggettività nuove e diverse, che fecondano l'unità autentica della Chiesa.
Il tutto può venire espresso così: la cattolicità della Chiesa si fonda sulla sua natura eminentemente carismatica, sul primato quindi dei carismi, che sono dati a tutti dallo Spirito Santo. Il capitolo 2 della Lumen gentium, che apre alla cattolicità nuova, è lo stesso che sancisce l'importanza decisiva dei carismi nella Chiesa. I carismi, però, che il Concilio promuove non sono quelli miracolosi, sono quelli ordinari, quelli per i quali ciascun cristiano diventa costruttore o ‛pietra viva' della costruzione della Chiesa.
b) Importanza dell'umano
Un altro connotato del cattolicesimo attuale è l'importanza data all'umano. La cattolicità interna acquista tra l'altro anche il significato di un'apertura alla valorizzazione di tutto l'umano dentro la Chiesa. Forse qui è possibile individuare il punto unificante e sintetico che sta sotto alla frastagliata ricchezza cui si faceva cenno poc'anzi; è in forza della storicità, e perciò delle coordinate spazio e tempo (che disegnano limiti ma anche possibilità per l'umano), che la ricchezza del divino nella Chiesa si manifesta come pluralità e come mobilità. Ogni valore ideale, e perciò a fortiori ogni dono divino, se lo si collega col portatore umano deve fare i conti con la necessaria finitudine dell'uomo, che ha bisogno di distendere sulla corda dello spazio e su quella del tempo, e perciò nella molteplicità e nella mutabilità, ogni perfezione perché questa possa diventare sua. Dai tempi della scolastica medievale il cattolicesimo ha tenuto sempre presente il fattore umano; anzi è proprio questa la sottolineatura che qualifica il cattolicesimo agli occhi del mondo ortodosso e del mondo protestante: l'ortodossia preferisce trascendere velocemente la zona della natura per guardare al risultato e all'effetto trasfigurante della grazia, e perciò parla più volentieri di divinizzazione e di natura trasfigurata e divinizzata; il protestantesimo invece sottolinea più volentieri la corruzione della natura e predilige i discorsi sulla grazia in termini di necessario risanamento dell'uomo. A volte, quindi, il cattolicesimo - nell'interpretazione protestante - passa per pelagianesimo, per culto eccessivo delle forze naturali, della ragione in particolare.
Oggi, però, anche il cattolicesimo preferisce guardare alla storia concreta dell'uomo, e lascia volentieri da parte ogni discorso ipotetico sulla ‛natura pura': la natura umana storica è qualcosa di ben più complesso, è gravida di peccato e di grazia. L'umano, perciò, su cui oggi si fa leva, è piuttosto l'umano storico; in concreto, più la ‛cultura' che la ‛natura'. È proprio a livello di inculturazione, di inserimento nella storia, di incarnazione nella cultura, che la Chiesa esprime necessariamente varietà e variazione, dà luogo a forme diverse e sempre nuove di realizzazione. Già l'abbiamo ricordato: il tema che il discorso missionario e pastorale privilegia è appunto quello della inculturazione, quale processo che deve prendere in considerazione l'uomo reale storico, e quindi l'esuberante diversità dei mondi culturali (intesi in senso antropologico, non elitario e tanto meno accademico). La prospettiva della natura umana di stampo scolastico aiutava piuttosto l'evidenziazione dell'immediata universalità dei valori cristiani, anche se poi rischiava l'uniformità. Oggi la prospettiva della storia, e quindi della cultura, rende piuttosto attenti al pluralismo delle situazioni antropologiche, e per questo il suo rischio è la frammentazione e la dispersione. Per questo la passione per l'unità, che è lo specifico carisma della Chiesa cattolica, induce a battere le vie del ‛consenso', ossia dell'armonizzazione delle espressioni storiche della diversità e della mutazione, perché queste, non solo in forza dell'autorità ma anche per iniziativa e cammino autonomi, convergano, onde formare unità e far ‛camminare insieme' tutti.
L'incontro con l'umano, però, sancisce anche il carattere di reciprocità, in virtù del quale la Chiesa non può assumere e vivere soltanto l'atteggiamento dell' ‛offerta', in rapporto all'uomo, alla storia e alle culture, ma anche quello dell'‛accoglienza', in un mutuo scambio di dare-ricevere. La costituzione Gaudium et spes del Vaticano II insiste appunto su questo criterio-principio: la Chiesa si pone in un rapporto di scambio, per dare all'uomo ma anche per ricevere dall'uomo. Si tratta di un orientamento già chiaramente vissuto da Giovanni XXIII, solennemente proclamato, poi, da Paolo VI nell'enciclica Ecclesiam suam e nel discorso conclusivo del Concilio (8 dicembre 1965), e ribadito, infine, da Giovanni Paolo Il nella sua prima enciclica Redemptor hominis (1979) con la celebre sottolineatura dell'‟uomo via alla Chiesa". Si potrebbe affermare che il cattolicesimo ha riscoperto l'importanza dell'‛umanizzazione' quale condizione perché diventi reale l'offerta all'uomo della ‛divinizzazione'; e ciò in analogia col mistero dell'incarnazione, nel quale appunto, per darsi all'uomo, ossia per offrire all'uomo la ricchezza della sua divinità, Dio ha chiesto all'uomo, tramite Maria, di fargli dono della propria umanità: Cristo vero Dio e vero uomo mostra nella stessa sua costituzione e nella sua vicenda storica quanto l'umanizzazione del divino condizioni la divinizzazione dell'umano.
Se il cattolicesimo ritiene di poter offrire al cammino comune con le altre Chiese un suo carisma specifico, questo non può essere altro che la valorizzazione di tutta intera la ricchezza dell'umano: cattolicità anche umana. Il movimento ecumenico, del resto, ha senso solo se mantiene vivo l'apprezzamento di tutti i valori, solo se tende effettivamente all'integralità, nel recupero anche di quelli che sono stati finora dimenticati o trascurati. Per questo esso parla ormai tranquillamente della ricchezza depositata da Dio nella creazione e nella storia, e dà ampio rilievo ai cosiddetti fattori culturali, chiamati anche ‛fattori non teologici', a proposito dei quali non si mette più soltanto in evidenza la funzione negativa, di disturbo o di incitamento alle divisioni, ma se ne considera anche la funzione positiva di supporto per l'evidenziazione della ricchezza dei valori cristiani.
c) Ri-espressione globale; ri-recezione della tradizione
Siamo arrivati così al nodo radicale, al cuore del rinnovamento ma anche delle difficoltà, poiché questo rinnovamento richiede un forte impegno di ri-espressione globale, di ri-recezione della tradizione ricevuta dal passato. La coscienza della storicità delle forme possibili della fede e della struttura della Chiesa conduce ad assumere un atteggiamento di positiva e matura distanza da tutto ciò che è stato ricevuto dal passato; non per cancellarlo, non per sostituirlo, bensì proprio per riprenderlo tutto di nuovo in modo vitale. Non può essere la ripetizione pura e semplice del passato a fornire il criterio della sua più autentica difesa e custodia. ‛Aggiornamento' è il nome nuovo della tradizione. Il carisma cattolico, anche in questo, apre alla totalità. Non ri-edizione solo di questo o quel punto, non ri-aggiustamento soltanto di questo o quell'aspetto, ma ‟balzo in avanti" (Giovanni XXIII) su tutti i fronti. Il Concilio Vaticano II - nelle intenzioni di Giovanni XXIII e nei fatti - non è da collocarsi sul piano dei precedenti concili, tutti consacrati a temi particolari e perciò stesso analitici e quasi ‛unilaterali' (tanto che sovente devono essere presi in coppia, perché spesso solo una seconda ripresa assicura l'attenzione all'anima di verità che si rischiava di disattendere nel primo impatto con un determinato punto messo in discussione); è un concilio ‛fuori serie', appunto perché orienta a riprendere da capo t u t t o, per approntare quasi una nuova edizione di tutto. Il cardinal Lercaro inaugurò il ricorso all'analogia col Concilio di Gerusalemme (anni 49-50 dell'era cristiana), nel quale fu deciso il trapasso globale del cristianesimo dal primo impianto entro il mondo culturale ebraico a quello nuovo nel mondo greco-romano, espresso dalla linea missionaria di Paolo. Il Vaticano II si è addossato un analogo immane compito e tutto il cattolicesimo attuale è impegnato sul fronte dell'apertura a nuove incarnazioni dell'intero deposito della fede. Per questo, a livello di teologia specialistica, il tema numero uno è diventato quello della ‛recezione' e lo si intende come problema della ‛ri-recezione'.
La recezione è già ormai riconosciuta come qualcosa di normale e di universale; l'ermeneutica impone di trattare ogni comunicazione, soprattutto di esperienze trascendenti, in termini di ‛traduzione', di passaggio critico da un soggetto a un altro, e cioè di passaggio che richiede sempre una riformulazione, un ripensamento che trasporti da un universo culturale a un altro universo culturale; l'ascolto di fede non è da supporre a priori quale pura e semplice ripetizione delle parole ascoltate, ma va inteso sempre anche come ‛interpretazione', come riproduzione delle cose udite ma tramite nuove parole, un nuovo linguaggio. Il problema di oggi, però, non è soltanto questo, che può valere per l'incontro fra linguaggi e culture contemporanei. Il salto che ci distanzia, noi tutti, dagli universi culturali del passato impegna a rifare da capo tutti i processi di recezione già compiuti ieri. I primi concili hanno già suscitato storie faticose di lenta e accidentata recezione: la Chiesa è passata attraverso fasi assai critiche e turbolente per arrivare ad assumere, ad esempio, Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. Altrettanto dicasi di Trento e del Vaticano I. Ma quelle storie non sono chiuse; non è possibile considerare esauriti i processi delle recezioni passate. Oggi si è obbligati a riaprire e a mantenere aperti i dossiers di quelle recezioni, di quei processi. Perché l'universo culturale è cambiato e nuovi orizzonti si aprono alla missione della Chiesa: si pensi all'Africa, all'Asia, in genere ai continenti del Sud e dell'Est, che nel 2000 registreranno la maggioranza dei cristiani. Si deve poter incidere e registrare tutto su nuovi nastri, si deve provvedere a nuove edizioni originali della fede e della Chiesa.
Non si tratta, ovviamente, di creare ex nihilo; si tratta di ridare all'oggi e al domani tutto intero ciò che è stato realmente il passato; si tratta di riaggiustare, di ridimensionare, di riorganizzare; soprattutto di svestire il ‛contenuto' ricevuto dal passato di quelle forme culturali che si possono o si devono considerare provvisorie, per poterlo poi rivestire di nuove. Impresa colossale; anche perché il processo di svestimento e di rivestimento non può compiersi in vitro, in un qualche laboratorio o sala di sperimentazione che disimpegni dal vissuto; il contenuto della fede non è mai separabile dalle forme che lo incarnano, non esiste allo stato puro; perciò si può sempre inciampare nel rischio di barattare l'immutabile col provvisorio e viceversa, come pure di lasciarsi prendere dalla tentazione di giudicare, con eccessiva disinvoltura, provvisoria e caduca la cultura passata e invece necessaria e assoluta la cultura presente.
Ma stiamo già entrando nel capitolo successivo.
Limitiamoci, perciò, a concludere. Il cattolicesimo attuale, nonostante le apparenze, è più inquieto che mai, perché sta entrando in pieno - anche se con evidenti ma spiegabili remore e paure - in un'era missionaria nuova, in cui si troverà impegnato a riprendere da capo tutto il patrimonio ricevuto dalla tradizione, per rieditarlo. Se è vero che tutte le Chiese si sono accollate quest'onere, bisogna riconoscere che la fatica del cattolicesimo è ben più pesante e ben più grave, perché anche in tutto ciò il cattolicesimo deve mettere in azione il suo carisma specifico, la tensione verso la totalità. Non qualcosa, ma tutto; non parzialmente, ma totalmente; non in alcuni, ma in tutti. Perciò, anche sotto l'apparente attuale tranquillità, si può affermare che il cattolicesimo è ormai tutto un immenso cantiere di lavoro, teso a riesprimere e ad aggiornare il volto della fede e della Chiesa.
3. Difficoltà e crisi di un trapasso epocale
Abbiamo lasciato per ultimo il capitolo della crisi. Per amore della verità. Di solito, invece, a livello superficiale e talvolta anche di basso giornalismo, si preferisce guardare solo ai fenomeni esteriori che possono far colpo e impressionare unilateralmente. Certamente l'euforia degli anni sessanta è finita, ma quell'epoca di sogni generosi non toccava solo la Chiesa cattolica, la quale anzi si è mossa con prudenza anche nel contagio delle utopie; adesso, che ovunque sembra si voglia tornare al realismo, è proprio il cattolicesimo a mantenere intatte e fresche le energie del rinnovamento.
Una certa inevitabile pendolarità, comunque, si riscontra in ogni percorso storico; a un periodo di insistenza sul coraggio fino al rischio succede quasi sempre un periodo di preoccupazione a che non si perda il tesoro della tradizione. Ciò che importa è che la direzione del cammino resti la stessa.
a) Rafforzamento dello spirito di unità e di comunione
Un primo problema cui deve far fronte il cattolicesimo attuale è quello del rafforzamento dello spirito di unità e di comunione, dentro il risveglio progressivo delle soggettività. Può darsi che qualcuno interpreti tale riconcentrazione sui valori di unità e di comunione come antitesi al processo di attenzione alla storicità, e quindi alla valorizzazione del pluralismo e del cambiamento. Da qualche anno si evocano le ombre della restaurazione e si rivolge a Roma l'accusa di mirare al ridimensionamento, se non proprio al seppellimento, del Vaticano II, con sospetti indirizzati ora alla Curia romana, ora in particolare al cardinale Ratzinger (attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede), se non addirittura al papa stesso. Bisogna riconoscere che sono in atto richiami e freni ma, nelle intenzioni degli autori, si hanno di mira le esagerazioni e gli eccessi. Il giudizio su ciò che costituirebbe la zona del sano equilibrio resta forse molto opinabile, e può quindi variare da soggetto a soggetto; ma è un fatto che, al di là di alcuni limitati settori, o di un evidente tradizionalismo che rifiuta il rinnovamento o di un evidente spericolato sperimentalismo che diffida di ogni continuità e di ogni richiamo all'unità, la linea che la stragrande maggioranza professa è quella di un deciso anche se equilibrato camminare in avanti (gruppi come quello di monsignor Lefebvre o di contestatori usciti dalla Chiesa hanno fatto rumore e scandalo, ma non rappresentano il vero corpo centrale del cattolicesimo). Le dispute riguardano la concezione e il dosaggio di tale equilibrio: può prevalere la moderazione in alcuni e in altri l'ardimento. Ma si tratta di dispute lecite, anzi vitali.
Quel che è certo è che la crescita di soggettività non può fondarsi sull'ideologia del soggettivismo, che rende arbitra della verità solo la singola coscienza. In questo caso il pluralismo degenererebbe in relativismo, in qualunquismo, in anarchia. Il carisma cattolico è particolarmente sentito, e con urgenza, nei nostri tempi; come richiamo al fatto che destinatari della Parola di Dio e dei doni della grazia sono tutti i credenti (e cioè, potenzialmente, tutti gli uomini), ma in quanto famiglia, in quanto comunità, in quanto soggetto unitario. L'Alleanza biblica è sempre un'offerta rivolta a un popolo; Dio interviene nella storia, ma non per dividere e tanto meno per accendere nuove fonti di contrapposizione tra soggetto e soggetto, bensì per unire e per togliere tutte le barriere di segregazione e di discriminazione.
D'altra parte, la fede cristiana non può essere che accettazione e assunzione di un Dato, di qualcosa che è stato già costituito prima da Dio, e che Dio pone davanti all'uomo, come realtà da conservare; non può mai diventare ‛cosa dell'uomo', totalmente disponibile.
Oggi però la crisi del cattolicesimo, anche nel proporre e offrire il proprio carisma all'interno del consesso di tutte le altre Chiese, è acuita e resa più difficile dalla scoperta del necessario momento ermeneutico, il quale richiede che anche l'uomo agisca, e in qualche modo ‛reagisca', e quasi ricrei per fare del dono di Dio anche un dono proprio; non solo per assimilarlo (recezione, di cui sopra), per farlo entrare cioè nel circuito della propria vita, ma anche per ‛restituirlo' a Dio, e per ‛trasmetterlo' e offrirlo in dono ai fratelli, agli uomini. L'Alleanza eleva l'uomo alla dignità di ‛restitutore', di ‛donatore eucaristico': Dio, per così dire, intende continuare il mistero dell'incarnazione; e come chiese a Maria, e tramite Maria all'umanità, di dargli in quanto ‛uomo' quel Cristo che Lui, il Padre, le donava in quanto ‛Dio', così chiede ai credenti, alla Chiesa credente, di restituirgli sempre anche come doni umani quei doni divini che sono stati gratuitamente elargiti dalla sua benignità. La liturgia della Messa cattolica insiste sovente su tale scambio di doni tra cielo e terra.
Il ruolo del papa attuale, papa Wojtyla, sembra insistere proprio su questo: richiamare il senso della comunione ecclesiale, perché la Chiesa cattolica rimanga ‛eucaristica', ossia capace di preservare i doni ricevuti e di mantenerli in qualità di doni, doni che insieme scendono e salgono, vengono elargiti e restituiti, ricevuti e ridonati; senza abdicazioni e senza espropriazioni, vale a dire senza che la crescente soggettività subentri a svendere e a cedere l'originalità del dono divino su cui si basano la fede e la Chiesa, e senza che una qualsiasi appropriazione pur legittima del dono ricevuto si trasformi in espropriazione di esso, a danno perciò di quella disponibilità a tutti che deve qualificare il tesoro della Tradizione.
Non si tratta dunque di contraddire la tendenza alla soggettività e la crescita delle coscienze, e quindi l'assunzione della storicità con le necessarie conseguenze in fatto di pluralismo e di mutamenti. Il problema è: come conciliare le due cose? Eterno problema, che negli ultimi tempi ha però rivestito aspetti nuovi che l'hanno fortemente complicato.
La diversità e la variazione non riguardano più soltanto le forme compiute, mature, quelle che si possono confrontare sincronicamente tra loro, in vista di una loro armonizzazione. Dal Vaticano II (ancora una volta dal capitolo 2 della Lumen gentium) veniamo sollecitati a tener conto anche della variazione e varietà diacronica dei ‛gradi di approssimazione' e dei ‛gradi di appartenenza' alla fede e alla Chiesa. La Catholica si pone come punto di riferimento situato in alto, come termine e pienezza di un cammino e di un processo a tappe. Il dinamismo reale delle coscienze dei credenti, e anche delle comunità, non permette di confrontare solo dei risultati finali e definitivi, quasi fossero vette isolabili di una catena montagnosa. Prendere sul serio i credenti concreti vuol dire tener conto anche del livello effettivamente raggiunto; e oggi si deve pensare con serietà anche alle sabbie mobili di quella che vien detta (Convegno di Loreto, 1985) ‟identificazione solo parziale, condizionata o con riserva"; tale situazione resta sempre fluida, perché di fatto si può correre ora sul filo dell'avvicinamento progressivo, ora su quello del progressivo allontanamento, ora, ancora, in modo tortuoso che sembra conciliare, ambiguamente certo ma non sempre a mal fine, ambedue i movimenti. Il cattolicesimo attuale è più che mai sollecitato a evitare il rischio di costituirsi esso stesso (paradosso!) in ‛setta'; un'accusa in tal senso è stata recentemente rivolta dal mondo protestante addirittura a papa Wojtyla, in quanto la sua azione decisamente orientata a riaffermare l'unità e la comunione nella Chiesa, più che come un'operazione soltanto restauratrice, verrebbe interpretata come una strana pretesa di compaginare la Chiesa cattolica (proprio essa che dovrebbe rappresentare al mondo l'ideale dell'apertura a tutto e a tutti) in termini di setta, ossia tutta chiusa in se stessa, dentro le proprie sicurezze, senza reale ospitalità verso ciò che è ancora in ricerca e rappresenta quindi la diversità n e l l a e d e l l a mobilità.
A giudicare, invece, dall'interno, vediamo il cattolicesimo attuale alle prese col problema, quasi inedito, di dover conciliare l'affermazione delle mete ideali, nella loro interezza e purezza, la promozione autentica di cammini orientati all'avvicinamento progressivo verso quelle mete, con l'ospitalità più sincera nei confronti di tutti i gradi concreti e i livelli raggiunti dalle coscienze e dai gruppi incamminati verso tali mete.
b) Ripensamento della fede e dei dogmi
A questo punto il problema cattolico si fa anche più delicato sul piano teologico. Non è solo questione di Chiesa ospitale; è questione di ripensamento della stessa fede e dei suoi dogmi principali.
La fondazione teologica del nuovo senso della cattolicità come cattolicità aperta all'ecumene e alla storicità interessa in modo particolare la più recente teologia. Ormai ci si orienta a sperimentare come veramente ‛tutto si tiene'. Non basta più ripensare storicamente l'uomo; né basta ripensare storicamente solo la Chiesa. Su tali fronti si è già impegnato il Vaticano II. L'uomo non è natura pura, tanto meno natura chiusa; è essere aperto; sempre in trascendimento, appunto perché vivente e spirituale; la rivelazione biblica dischiude ancora maggiormente tale inesauribile apertura dell'uomo. L'ecclesiologia recente, poi, dopo l'antropologia e riprendendo le indicazioni del Vaticano II, ha ripensato la caratteristica dell' ‛apostolicità' della Chiesa, interpretandola appunto come dono e impegno di continuità ma nella storicità, ossia come capacità di permanenza proprio n e l l e, c o n l e, e non solo n o n o s t a n t e l e variazioni: l'identità della Chiesa si conserva lungo i secoli non seppellendo il talento (suggerisce la parabola evangelica) ma trafficandolo, ossia investendolo nelle diverse e sempre nuove situazioni storiche e culturali. Ma tutta questa riflessione non è ancora sufficiente; è venuto il momento di riflettere sui contenuti centrali della fede cristiana, sul mistero di Cristo, sul mistero di Dio Trinità, sempre in rapporto alla storia. Talora gli accenti si fanno polemici, contro un certo presunto cedimento del pensiero cristiano antico e medievale di fronte alle prospettive piuttosto ontologiche, statiche e astoriche del mondo classico. In ogni caso, si deve riconoscere che mai come oggi il problema del rapporto fra Trinità e storia, fra Spirito Santo e storia è stato messo a fuoco in così larga misura e talmente in profondità.
Non si tratta di riflessioni svolte soltanto nei circoli della cosiddetta teologia accademica, per rispondere solo alle domande della soggettività borghese ed evoluta; la provocazione si fa sentire anche lontano, dentro i luoghi del confronto con ciò che appena nasce, là dove la Chiesa si misura con le religioni non cristiane o deve ascoltare le invocazioni che salgono come grido della miseria dai poveri del Terzo Mondo. Possibile - ci si chiede - che il Cristo rimanga stretto nelle fasce del cristianesimo occidentale? che qualcosa di Cristo non si trovi già presente nelle culture e nelle istanze dei popoli lontani? che lo Spirito Santo non parli anche attraverso altre esperienze e altri itinerari? L'orizzonte della cattolicità non può essere anzitutto, e tanto meno esaustivamente, quello disegnato dal cattolicesimo storico-geografico, nonostante tutte le sue innegabili grandezze; il primo e più autentico orizzonte di cattolicità non può essere che quello disegnato da Dio stesso, dal Dio biblico, dal Dio Trinità, dunque dal Dio presente e operante ovunque, in ogni frammento di umanità, in ogni capitolo di storia, in ogni pagina di autentica cultura; solo un ‛Dio cattolico' può fondare la ‛cattolicità' del cattolicesimo. Da qui i tentativi attuali, più o meno felici, comunque in processo di crescita, della teologia che riflette sulle dimensioni storiche universali di Cristo, dello Spirito, della Trinità.
c) Ridefinizione del ruolo di ‛principio storico'
Consegue un problema concreto altrettanto delicato: la Chiesa cattolica è chiamata a ridefinire il suo ruolo di ‛principio storico', nei confronti dei popoli e delle istituzioni secolari. Ieri il problema appariva piuttosto ristretto: rapporti fra Chiesa e Stato. Il Medioevo aveva conosciuto, sì, un dibattito un po' più grande, ma sempre come problema di poteri: rapporti tra potere spirituale e potere temporale, dentro l'unica realtà comune dell'Impero cristiano. Oggi si sviluppa invece un'impostazione più ampia, ma con una chiave ben diversa di lettura. Non si fa più questione del rapporto privilegiato fra i vertici, come se società cristiana e società umana si riducessero ai loro rispettivi capi, alle rispettive autorità. La Gaudium et spes ha rimesso in primo piano il momento antropologico, dentro le coscienze e dentro le comunità; il rapporto deve essere vitale, di osmosi tra esperienza e ispirazione: la coscienza deve, essa per prima, fare sintesi tra Vangelo e vita, traendo ispirazione dalla fede per animare una propria presenza attiva incarnata nella situazione; dentro le comunità sarà soprattutto l'incontro fraterno, nel dialogo e nella cooperazione, che permetterà l'osmosi tra cristiani e non cristiani, tra la fede degli uni e l'umanesimo degli altri.
Tuttavia, anche su questo punto i tempi più recenti hanno da segnalare un'accentuazione nuova nella problematica suscitata e avviata dal Concilio, soprattutto con la citata Gaudium et spes e con la dichiarazione sulla libertà religiosa, Dignitatis humanae; ci riferiamo al ruolo storico globale della Chiesa cattolica in rapporto alle istanze di fondo che animano la storia. Semplificando, potremmo dire così: nei secoli recenti, e soprattutto dagli inizi del secolo scorso, la Chiesa cattolica è stata sollecitata a evidenziare il suo compito di sostegno della conservazione, se non proprio della restaurazione. L'epoca moderna delle rivoluzioni teorizzate e legittimate la vede additata come principio di stabilità, quasi con le forze della conservazione; talora in nome dell'appoggio ai deboli, alle vittime della violenza. Molte conversioni, dal secolo scorso in avanti, sono avvenute all'insegna del riconoscimento della funzione di ‛roccia di stabilità', di ancoraggio sicuro dentro il mare agitato delle rivoluzioni sovvertitrici; la Chiesa cattolica veniva così troppo facilmente collegata con l'anima ‛senile' della storia, quale principio di sola fedeltà al passato, di mantenimento dell'ordine inteso come status quo. Ora ad alcuni è sembrato scoccasse finalmente l'ora di dimostrare che il cristianesimo, in particolare il cattolicesimo, rappresenta piuttosto un permanente ‛principio di rivoluzione' dentro la storia, ne incarna l'anima ‛giovanile', di perenne mobilità. Sono nate, così, varie teologie: teologia politica, teologia della rivoluzione, teologia del progresso, teologia del processo, teologia della liberazione, teologia femminista, teologia nera... Non ci è possibile, qui, entrare nella discussione e tanto meno nella valutazione delle singole proposte. Ci basti avere indicato l'orientamento di fondo. Al di là di intemperanze o di illusorie esagerazioni, va registrato l'impegno del cattolicesimo attuale di dimostrarsi forza storica più complessa: non certo solo di conservazione, bensì anche di progresso e di rinnovamento; a sostegno di una tradizione intesa, sì, anche come passato (anima senile della storia), ma più ancora come futuro (anima giovanile della storia). L'appello allo Spirito Santo viene fatto nella Lumen gentium con esplicito riferimento alla sua forza di perenne giovinezza della Chiesa e quindi della storia. L'ipoteca di una Chiesa cattolica presentata come Chiesa della conservazione, che starebbe dalla parte dell'ordine costituito, alleata dei vincenti e dei potenti, sta per saltare, anche se persiste ancora il sospetto che interpreta unilateralmente ogni atteggiamento e comportamento soprattutto del papa. Il cattolicesimo attuale ha rinunciato ormai, in linea di principio, all'esercizio del potere temporale; ma gli resta ancora aperto il campo di un potere spirituale che può confinare con quello ideologico.
Ambiguità, quindi, sono ancora possibili. Singoli gesti storici, singole prese di posizione corrono il rischio di essere tuttora valutati e interpretati come sbilanciati ora in un senso ora in un altro (come eccessivo sostegno dei potenti o come scelta partigiana dei poveri e degli oppressi), a seconda dell'ottica politica in cui si pongono gli osservatori esterni e i critici. Resta il fatto che, nelle intenzioni e negli sforzi, il cattolicesimo attuale mira a evidenziare un suo proprio ruolo di sostegno delle forze di autentico rinnovamento nella storia; pur nella preoccupazione di non introdurre mai nuovi semi di distruzione e di rottura, esso cerca di alimentare le speranze degli emarginati, di stare dalla parte degli oppressi e dei nuovi soggetti storici che reclamano il diritto di esistenza e di crescita. Incoerenze e controindicazioni se ne possono trovare ancora e dappertutto. Ma l'orientamento generale di fondo sembra essere proprio quello che abbiamo tratteggiato.
d) Il papa polacco
Un ultimo rilievo si impone ormai prepotentemente oggi; ce lo detta la figura così originale del nuovo papa polacco. Da solo, papa Wojtyla sembra aprire un capitolo nuovo nel cattolicesimo. Impressionano subito la sua versatilità, la sua sicurezza, il suo protagonismo, il ruolo singolare di papa itinerante. Ma anche in questo caso bisogna guardare più in profondità.
Anzitutto, un ciclo nuovo si preannuncia: la probabilità di ulteriori papi non italiani. Ciò corrisponde all'evidenza già segnalata di un cattolicesimo sempre meno centrato sull'Europa, sempre più decentrato e dislocato nelle aree del Terzo Mondo. Ma ormai è lecito ammettere in linea di principio che la ‛novità' costituirà il carattere sempre più marcato del cattolicesimo futuro. Finché i papi erano italiani, per quanto nuova potesse risultare la figura storica di ogni singolo papa, si restava sempre dentro un'identica area culturale. Oggi si ha diritto di attendersi innovazioni sempre maggiori. Il solo fatto di un'accentuazione dell'itineranza del papa sottolinea fortemente l'itineranza radicale di tutt'intera la Chiesa, popolo di Dio ‛peregrinante'. Con ciò una tesi chiaramente cattolica viene rafforzata: la tesi della pienezza trascendente ed esuberante di ogni singolo carisma, non solo di quello papale. È come se si dicesse che ogni tradizione, ogni forma di incarnazione del cristianesimo acquista eguale diritto di esistenza e di valorizzazione nella Chiesa. Non si dà primogenitura, né della Chiesa d'Italia né di quella di Francia (che considerava se stessa, classicamente, la ‛primogenita'), né di qualsiasi altra parte del mondo. Anche la sede di Roma accentua un carattere di sede ‛titolare'; non sede riduttivamente geografica o storica, ma sede che qualifica ogni possibile nuovo protagonista, il quale a sua volta non solo riceve qualcosa dalla sede (titolo di autorità, legittimazione di ruolo specifico) ma anche dà qualcosa di suo, un suo modo originale di intendere e di esprimere il carisma del papa. Ma ciò spinge a evidenziare la cattolicità latente in ogni altro ruolo e in ogni altro carisma; nessuno di essi è monopolio di questa o quella generazione, di questo o quel soggetto privilegiato. Teologia non è solo quella europea; liturgia non è solo quella dei monaci occidentali. Ogni nuovo soggetto che entra a gestire un ruolo determinato, che si fa portatore di un carisma, ha il diritto e il dovere di esprimerlo anche secondo proprie originali modalità. Il servizio ecclesiale, ogni servizio ecclesiale, resta sempre al di là e più grande delle forme storiche in cui è stato o può essere incarnato. Il papa polacco, dunque, sottolinea una tesi generale: l'inesauribilità di ogni dono di Dio, e perciò l'intrinseca sua cattolicità, ossia la sua disponibilità a forme espressive sempre nuove e diverse, oltre ogni diritto acquisito, soprattutto oltre ogni tentativo di monopolizzazione, vero o presunto.
La struttura carismatica del cattolicesimo sembra, perciò, stranamente farsi connessa proprio con l'altra sua struttura che così fortemente lo caratterizza, ossia con quella istituzionale. Il carisma, quale principio di varietà e di novità originale, dentro ogni ruolo determinato e istituzionalizzato: ecco il paradosso nuovo cui richiama il cattolicesimo attuale, proprio anche attraverso il papa polacco. V'è infatti da aggiungere l'annotazione messianica che talora sembra sprigionare dalla figura del nuovo papa. Anche tale carattere è stato fatto oggetto di riflessione e di studio negli anni più recenti. Non si può trascurare l'appello a un'Europa più grande, quale ci viene insistentemente da papa Wojtyla; l'Europa dell'Est, l'Europa del mondo slavo batte alle nostre porte. Come a dire che l'Occidente tecnico e scientifico non può fare a meno della passione messianica o anche romantica dell'Oriente. Tramite questo vivo e vicinissimo Est cristiano, siamo provocati a guardare ancora più lontano, all'Est più remoto, Cina e India comprese. Il terzo millennio è alle porte - richiama papa Wojtyla con l'insistenza dei profeti messianici, che amano appunto le visioni grandiose e a lungo termine - e sarà un millennio nel quale il cattolicesimo dovrà misurarsi creativamente e in spirito di cooperazione e di dialogo con le culture e le religioni dell'Estremo Oriente. Il cattolicesimo attuale è ancora minuscolo, dunque; l'apertura all'ecumenicità provoca a compiere un salto qualitativo, perché il cattolicesimo diventi ancora più ‛cattolico'.
Forse davvero la Chiesa si trova ancora agli inizi del suo cammino. La fase che si sta per concludere abbraccia già due millenni; eppure, in una prospettiva storica più ampia, tutto questo appare ancora poco. L'esperienza sta dimostrando quanto manca ancora perché ciò che è cattolico di diritto e potenzialmente si possa chiamare tale anche di fatto e compiutamente. Proprio nell'epoca in cui massimamente la Chiesa cattolica sembra consapevole di dover dare spazio alle coscienze e alle soggettività, fino a entrare in crisi davanti a un pluralismo che a volte le appare eccessivo e anarchico, proprio in questa epoca la Chiesa cattolica massimamente si apre alla totalità della storia e degli orizzonti geografici dell'umanità e delle culture. Tutto questo può essere interpretato come un paradosso, o come una sfida, o come una pretesa. Ha comunque tutti i caratteri e i contrassegni della vitalità. Le crisi stesse che travagliano il cattolicesimo attuale sembrano dunque destinate a indicarne la freschezza di fermento per nuove stagioni.
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