CAUDA, Giovanni Francesco, Conte di Caselette
Nacque a Torino, dove venne battezzato il 18 ottobre del 1601 nella parrocchia di S. Teresa, da Giovanni Battista. Quintogenito di sette fratelli, si dedicò giovanissimo agli studi di giurisprudenza e si addottorò in utroque iure nello Studio di Torino. Iscritto al Collegio dei giureconsulti della città, nel 1626 fu nominato lettore di diritto civile allo Studio torinese, ufficio che bisognava ricoprire per almeno cinque anni per chi volesse intraprendere la carriera della magistratura. Ma gli inizi della carriera del C. furone legati ai suoi rapporti con l’omonimo e più noto Lelio Cauda conte di Balangero, presidente della Camera dei conti di Piemonte, magistrato assai noto e stimato a corte, suo lontano parente. Grazie al suo appoggio infatti già il 4 giugno 1627 il C. venne nominato avvocato generale fiscale patrimoniale nella Camera dei conti.
Negli anni seguenti egli strinse sempre di più i legami con il presidente Cauda, diventandone stretto collaboratore. Durante la peste del 1630-31, che spopolò il Piemonte provocando una dura carestia, quando buona parte del peso del governo ricadde su Lelio Cauda, ritiratosi con la corte a Cherasco, il C. gli fu al fianco, incaricato di lunghe e faticose missioni in tutto il paese, in Savoia e a Nizza. L’amo dopo si occupò dei rifornimenti annonari per l’esercito e della riscossione del comparto generale dei grani, provvedendo ai necessari acquisti di grano all’estero per sovvenire ai bisogni urgenti della popolazione. Presentato a corte dal Cauda, nel 1635 venne nominato senatore nel Senato di Piemonte e l’anno seguente acquistò da don Emanuele di Savoia il feudo di Caselette, del quale ottenne l’erezione in comitato con le lettere patenti del 25 maggio 1636. Ma la morte del suo protettore, il presidente Cauda, nel 1639, che ancora poco prima della morte lo aveva fatto nominare referendario di Stato e Segnatura, sembrò in un primo momento porre fine alla sua rapida carriera. E solo la difficile situazione politica creatasi in quegli anni in Piemonte ne favorì la ripresa.
Quando, sul finire del 1639, il contrasto tra madamisti e principisti degenerò in guerra aperta furono tentate da parte dei principi tutte le strade, lecite e no, per impadronirsi dell’apparato statale attraverso le persone degli ufficiali di rango più elevato. Sicché, dapprima, al C., schieratosi sin dall’inizio a favore della reggenza di Madama Reale, venne offerta dal segretario dei principi commendator Pasero la carica di primo presidente della Camera dei conti, quindi quella stessa di gran cancelliere. Ai suoi rifiuti il principe Tommaso ne ordinò l’arresto, che tuttavia non venne eseguito, e la confisca di tutti i beni e crediti nella città di Torino, con l’allontanamento dalla stessa città della sua famiglia. Il C., che nella “persecuzione” perse la sua stessa biblioteca, sequestrata e donata al presidente Bellone, solo con la pace seguita nel 1641 all’accordo fra i principi e la duchessa Cristina rientrò in possesso dei suoi beni e, ovviamente, riconquistò il favore della reggente.
Nel 1642 il C. venne nominato terzo presidente nel Senato di Piemonte e tre anni dopo presidente del marchesato di Ceva e del contado di Asti. Come egli stesso scrisse più tardi, in un memoriale presentato alla duchessa, in quegli anni aveva “l’honore di spedir tutti gli affari della Savoia, Nizza, Oneglia, Aosta e parte del Piemonte”. Tuttavia, nonostante i numerosi uffici ricoperti, anche con capacità e impegno, la carriera del C. ricalcò il modello di quelle di innumerevoli ufficiali borghesi del tempo, che, attraverso un cursus honorum quasi stereotipo, raggiungevano la nobiltà e le alte cariche. Fatto indubbiamente significativo fu quello che egli non venne mai utilizzato in missioni diplomatiche – né occasionalmente in particolari circostanze, né in via ordinaria. Segno questo – proprio in anni nei quali i sovrani sabaudi ricorrevano sempre più spesso per tali missioni ai vari segretari ducali, consiglieri di Stato o presidenti dei vari organi giudicanti, in sostituzione dei membri dell’antica nobiltà – di personalità di non grande rilievo.
Egli stesso doveva sentirsi chiaramente insoddisfatto se nel 1660 indirizzava a Madama Reale ben tre successivi memoriali, a breve intervallo l’uno dall’altro. In essi, con un tono quasi querulo, elencava le ingiustizie subite: la mancata nomina a primo presidente del Senato, la soppressione di due pensioni di cui godeva da tempo, le richieste, non accolte, di qualche carica o beneficio per i numerosi figli.
Terminava infine avanzando la sua candidatura alla carica di gran cancelliere, dopo aver ricordato gli uffici ricoperti e “li negotii più gravi” svolti nella sua carriera, non dimenticando di segnalare di essere “il più vecchio servitore e ministro di V.A.R.”, né la nobiltà della sua famiglia, che faceva risalire a ben “cinquecento anni e più”, pur essendo di nobiltà recentissima.
In realtà il C. aveva raggiunto il culmine della sua carriera nel 1656, quando era stato nominato primo presidente della Camera dei conti, con lettere patenti del 21 marzo. Negli anni seguenti anche per il diverso clima creatosi a corte con la maggiore età di Carlo Emanuele II, egli si dedicò più alla cura del suo patrimonio e alle carriere dei figli che ai compiti del suo ufficio.
Sposatosi infati con Maddalena Pastoris nel 1628, aveva avuto ben sedici figli, tutti viventi. Di essi alcuni abbracciarono la carriera ecclesiastica, altri entrarono nell’esercito o nella magistratura. Ma solo Antonio, che per la morte dei fratelli maggiori ereditò il titolo e il feudo di Caselette, riuscì a raggiungere le alte cariche e nel 1692 venne nominato primo presidente della Camera dei conti, come già il padre.
Il C. morì a Torino il 31 ott. 1663.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Archivio di Corte, Lettere particolari, C, m. 47, 1635-1662, per le lettere alla reggente e i memoriali ricordati; Ibid., Sezione Camerale, Patenti Controllo Finanze, 1626, 3º, f. 120; 1627, 3º, f. 5; 1635, 1º, f. 98; 1635-36, f. 116; 1637-38, f. 65; 1641-42, f. 20, per le nomine e le infeudazioni; Ibid., Archivio del Senato, Testamenti, l. X, n. 40, per il testamento scritto nel 1656; Torino, Bibl. Reale, Mss., Varia 282, f. 78; Ibid., Misc. 95, n. 27. Varie notizie e cenni biogr. in A. Manno, Il patriziato subalpino, dattiloscr. cons. presso la Bibl. Reale di Torino, sub voce; numerosissimi riferimenti in V. Siri, Il Mercurio, ovvero historia dei correnti tempi (1635-1655), I-XV, Casale 1644-67, passim; Id., Memorie recondite dall’anno 1609 all’anno 1641, V, Lyone 1679, p. 91 e passim; G. Galli Della Loggia, Cariche del Piemonte e Paesi uniti…, Torino 1798, 1, pp. 338, 663; D. Promis, Tessere di Casa Savoia, Torino 1869, p. 28; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia, Torino 1868, II, pp. 277, 399-400; Id., Il municipio torinese ai tempi della pestilenza del 1630 e della reggenza di Cristina di Francia, Torino 1869, p. 120 (ove si conferma la parentela del C. con il presidente Lelio Cauda, in precedenza smentita); Id., La Corte e la società torinese dalla metà del sec. XVII al principio del XVIII, Firenze 1894, pp. 161-162.