CAUDIO (Caudium, Caudiis)
Oppido del Sannio sulla via Appia; di esso l'Itinerario Gerosolimitano (610) distingue espressamente la civitas e la mansio Caudiis dando la distanza d'un miglio da Benevento. La città sannitica portava il nome del cantone, e non poté esser priva d'una difesa naturale. Ma poiché il colle, al quale l'odierna Montesarchio si addossa, è protetto in maniera eccellente da ogni lato, e la lontananza d'un miglio da Benevento torna perfettamente per la civitas, Montesarchio sola viene in questione. Quindi la città era sita un miglio e mezzo a nord della via Appia (la distanza si rileva dal luogo di trovamento dell'epigrafe in Corp. Inscr. Lat., IX, n. 5994). Nell'immediata vicinanza di Caudium, nella pianura, bisogna ammettere la mansio postale, e raggruppate intorno a questa le Caudii cauponae di Orazio. Caudio dopo le guerre sannitiche, fu città federata di Roma e tale rimase fino alla guerra sociale, quando divenne municipio appartenente alla tribù Falerna. All'età di Augusto vi fu dedotta una colonia di veterani e il suo intero territorio venne assegnato alla colonia di Benevento (Liber colon., I, p. 232 Lachm.). Ma rimase comune a sé, giacché magistrati municipali sono ricordati nelle iscrizioni (cfr. Corp. Inscr. Lat., IX, n. 2176).
Bibl.: R. Garrucci, Dissertazioni archeologiche, I, Roma 1864, p. 78 segg.; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Berlino 1902, pp. 2, 807 segg.; J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino 1926, pp. 541, 590.
Nel 321 a. C. i due consoli Sp. Postumio Albino e T. Veturio Calvino si proposero di domare i Sanniti aprendosi la via attraverso il loro territorio per raggiungere direttamente dalla Campania gli alleati apuli e la colonia latina di Luceria. Da Capua dunque essi mossero in direzione di Benevento, coi loro eserciti riuniti, i quali peraltro non dovevano comprendere più di due legioni, cioè al massimo 18.000 uomini. I due consoli furono circondati dai Sanniti non lontano da Caudio, e costretti a capitolare e a giurare un trattato di pace nel quale venivano abbandonate ai Sanniti le colonie di Luceria e di Fregelle. L'esercito dovette passare sotto il giogo. La tradizione riferisce che la pace non fu ratificata né rispettata dal senato e che Postumio fu consegnato ai Sanniti, i quali rifiutarono di riceverlo. Il disastro sarebbe stato subito vendicato dai Romani agli ordini di Q. Publio Filone e L. Papirio Cursore. Questa immediata rivincita è però sospetta, e sospetto anche il rifiuto del senato romano a ratificare la pace, che sembra ricopiato sul rifiuto a ratificare l'altra pace stretta nel 137 a. C. coi Numantini dal console C. Ostilio Mancino.
Si discute sulla località precisa della battaglia. Da taluni essa viene collocata nella stretta tra Arienzo ed Arpaia, da altri nella valle tra Arpaia e Montesarchio, che è lunga da nord a sud sette od otto miglia e larga da est a ovest nella direzione della via Appia circa cinque. Certo quest'ultima valle non corrisponde esattamente alla gola paurosa descritta da Livio. Ma la descrizione è retorica e non fondata sull'esatta conoscenza dei luoghi; e tenuto conto degli effettivi dell'esercito romano, anche se non lo si computi, come varî moderni, a 40.000 uomini, la seconda ipotesi è la sola ammissibile: per accettare la prima converrebbe ridurre il duplice esercito consolare a 10.000 uomini al massimo. La disfatta che precedette la capitolazione, intorno alla quale ci manca ogni particolare, deve spiegarsi con la superiorità numerica dei Sanniti, con la conoscenza che essi avevano dei luoghi e col fatto che, non essendosi ancora introdotta la tattica manipolare, le truppe romane erano poco adatte allora a combattere in regione accidentata e boscosa. Forse non si sbaglia attribuendo alle esperienze delle guerre sannitiche e della stessa rotta di Caudio l'introduzione di quella tattica in Roma.
Fonti: Livio, IX,1-12; Dionisio, Ant. Rom., XVI, 3 segg.; Dione Cassio, fr. 36, 9-14; Appiano, Samnitica, 4; Zonara, VII, 26; ecc.
Bibl.: Daniele, Le forche caudine illustrate, Napoli 1811; H. Nissen, in Rhein. Museum, XXV (1870), p. 1 segg.; E. Cocchia, in Mem. della R. Accademia di Napoli, XIV, p. 33 segg.; J. Kromayer, Drei Schlach en, in Abhandlungen d. Sächs. Akademie, Phil.-hist. klasse, XXXIV, v (1921), p. 60 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, II, Torino 1907, p. 307 segg.; F. Pais, Storia critica di Roma, IV, Roma 1920, p. 127 segg.