causa del contratto
del contratto Strumento concettuale attraverso il quale il diritto esercita un controllo sulla ragione giustificativa di un’operazione economica. Essa designa il perché – e dunque la funzione economica – del negozio giuridico. In un contratto tipizzato come la compravendita, per es., la c. consiste nello scambio di una cosa contro un prezzo. Il motivo soggettivo che ha indotto il singolo contraente a concludere il contratto – l’esigenza di acquistare una mountain bike, per es., per seguire i consigli del dietologo, o la decisione di venderla per liberare spazio in garage – resta esterno alla nozione di c. e tendenzialmente irrilevante per il diritto.
La nozione di c. ha conosciuto una complessa evoluzione. La formula ancora oggi più diffusa, anche nel lessico della giurisprudenza, è quella della funzione economico-sociale, che si è affermata negli anni 1930. Nelle effettive applicazioni pratiche, tuttavia, la giurisprudenza dà rilievo a una più articolata concezione della c., intesa come concreta funzione dell’operazione economica negoziale. Per l’accezione del termine ‘causa’ come azione giudiziale (➔ contenzioso).
La c. è inclusa nel codice civile fra gli elementi essenziali del contratto (art. 1325). Ne deriva che, se manca la c., il contratto è nullo e, dunque, radicalmente inefficace. La giustificazione più convincente di tale previsione risiede nell’esigenza di preservare le stesse parti contraenti dall’essere vincolate a un’operazione priva di senso o dal significato non definibile. In questo si sostanzia il controllo che, attraverso il requisito della sussistenza della causa, il diritto esercita sulla circolazione giuridica.
Per comprendere come attraverso la c. il diritto eserciti un controllo sulla circolazione giuridica, è utile delineare la tassonomia delle ipotesi di nullità del contratto per mancanza di c. nel nostro ordinamento. La prima e più chiara situazione si ha quando vi è accordo (perfezionato, non viziato) sul trasferimento di un diritto ben determinato, ma vi è un assoluto silenzio in ordine alla ragione giustificativa di questo effetto. Se non è ravvisabile nessuna delle c. tipiche (lo scambio, la liberalità), né appare ricostruibile una qualsiasi altra c., ancorché non tipizzata, l’atto è nullo. Esemplare è il caso deciso dalla Cassazione italiana nel 1992: una società di autotrasporti cede a un’altra (per rogito notarile) la concessione concernente l’esercizio di 4 autolinee internazionali senza indicare il corrispettivo o altra giustificazione oggettiva del trasferimento. Una seconda situazione può essere esemplarmente individuata attraverso i casi elementari – ancorché sostanzialmente di scuola – dell’acquisto di una cosa già di proprietà del compratore o della stipulazione di un’assicurazione contro il furto su un quadro già rubato. L’operazione economica, qui, è frutto di un errore che la priva di un qualsiasi senso compiuto: si parla, infatti, di c. putativa. La terza ipotesi è richiamata dal caso esemplare della vendita nummo uno («per un soldo»; per es., per un centesimo di euro): le parti, qui, utilizzano lo schema formale dello scambio, ma ne svuotano la portata sostanziale, pattuendo un corrispettivo del tutto simbolico. La quarta, e più controversa figura, si realizza allorché il corrispettivo, pur reale e non meramente simbolico, appare tuttavia irrisorio rispetto alla controprestazione (vendita di un appartamento in Piazza di Spagna, a Roma, per 100 euro). Nelle ultime due ipotesi – si rammenti – la nullità non deriva dall’iniquità dello scambio in quanto tale (che il diritto, tradizionalmente, è restio a sindacare), ma dall’impossibilità di risalire all’effettiva ragione giustificativa del trasferimento: la c. dello scambio richiamata dai contraenti è contraddetta, infatti, dalla previsione di un corrispettivo simbolico o vile.
Per mezzo della c., infine, il diritto esercita altresì il controllo sulla liceità del contratto (art. 1343 c.c.): non soltanto quando vi è contrarietà a una norma – espressamente o virtualmente – imperativa (si immagini la compravendita di un rene o di sangue umano), ma anche quando sia ravvisabile un contrasto con i canoni generali dell’ordine pubblico e del buon costume (si pensi all’accordo volto a corrompere un funzionario pubblico o un arbitro sportivo). La c. è illecita anche quando l’operazione negoziale non contrasta frontalmente con una norma imperativa, ma costituisce il mezzo per eluderne l’applicazione (art. 1344 c.c.).