causa
Il termine deriva dal latino causa e, nel senso di " principio ", " cagione ", " ragione efficiente ", è presente in D. due sole volte, mentre predominante è la forma ‛ cagione '.
In Cv IV XIV 15 è detto: E così è manifesto, la ragione che ponea la oblivione causa di nobilitade esser falsa ed erronea, e in III XI 1 e conoscere la cosa sia sapere quello che ella è, in sé considerata e per tutte le sue c[au]se, secondo la lezione Busnelli-Vandelli (cfr. anche B. Nardi, Alla illustrazione del " Convivio " dantesco, in " Giorn. stor. " XCV [1930] 97), mentre la Simonelli ricostituisce la lezione tradita per tutte le sue cose, ove ‛ cosa ' sarà da intendere come altro esito di c., di cui conserva, conformemente all'uso antico, il significato originario. Il luogo in questione parafrasa il passo di Aristotele (Phys. I 1, 184a 12-13): " Tunc enim cognoscere arbitramur unumquodque, cum causas primas [τά αἴτια… τά πρω̃τα] et prima principia cognoscimus et usque ad elementa ", che si riferisce al metodo analitico, per cui la conoscenza effettiva di una cosa si ottiene riducendola ai suoi elementi primordiali, suoi principi o c. prime.
In Pd XXXII 59 compare la locuzione latina sine causa, comune al linguaggio cristiano e perfettamente adeguata al contesto, nel significato di " senza ragione ", " invano " (cfr. Agostino Expositio in Epist. ad Galatas 20 " Quod enim sine causa factum dicitur, superfluum est; superfluum autem nec prodest nec nocet "). Per la nozione di c. e causalità in D., v. CAGIONE.