CAUSA (gr. αἰτία, lat. causa, fr. cause; sp. causa; ted. Ursache; ingl. cause)
Termine correlativo ad effetto: comunemente significa ciò da cui e per cui una cosa è, in guisa che posta la causa, sia l'effetto, e, soppressa quella, questo non sia. Il rapporto della causa all'effetto costituisce la causalità. L'idea di questo rapporto applicato induttivamente a tutta la realtà diede origine al principio di causalità che si esprime così: nulla accade senza una causa.
La parola causa ebbe sensi diversi secondo i varî campi e gradi del suo uso. Nella filosofia greca antica, prima spunta oscuramente la causa materiale con la scuola ionica, come più tardi con gli atomisti. La distinzione delle cause naturali primarie dalle secondarie (che risultano da una causa anteriore) è già fatta dai pitagorici; alla causa intellettuale accenna Anassagora, che ebbe chiara idea delle cause naturali e intravide la causa finale (lo scopo in vista del quale un atto è compiuto). Socrate inoltre conobbe la causa efficiente (l'attività movente dal fondo dell'essere che produce un'azione) e la causa finale. Platone aggiunse la causa formale e la causa prima (quella che non è effetto d'altra causa anteriore; Tim., 28 a, 46 d-e, 48a, 69a; Phileb., 26e, 27a, 28d; Phaed., 95e, 99d). Aristotele, sistemando i contributi precedenti, distinse quattro sorta di cause: 1. l'essenza (ἡ οὐσία, τὸ τί ἧν εἷναι, τὸ εἷδος); 2. la materia (ἡ ὓλη, τὸ ὑποκείμενον); 3. il principio del movimento (τὸ ὃϑεν ἡ κίνησις, ἡ ἀρχὴ τῆς κινήσεως); 4. la ragione e il bene, perché fine d'ogni genesi (τὸ οὗ ἓνεκα, τἀγαϑόν, τὸ τέλος; Metaphys., I, 3, 983 a 26 segg.; ibid., V, 2, 1013 a 24 segg.). Queste quattro cause che sono: la formalis, la materialis, la efficiens, la finalis, secondo la denominazione degli scolastici, si trovano attuate in ogni cosa, costituendo i quattro principî fondamentali e universali di tutti gl'individui. Nella filosofia postaristotelica, il concetto della causa e l'interpretazione causalistica dell'accadere universale ricevettero indirettamente un rigoroso sviluppo in quelle discussioni intorno al concetto del fato, che tanta parte ebbero nelle polemiche tra stoici, scettici ed epicurei.
Quattro nuovi punti di vista son dovuti a Plotino: 1. il Primo dell'universo, che è solo causa; 2. l'ultimo, che è solo effetto; 3. il mezzo, che è causa ed effetto; 4. la distinzione fra principio e causa. L'Uno come attività dell'essenza (ἡ μέν ἐστι τῆς) è principio (ἀρχή); come attività dall'essenza (ἡ δἐκ τῆς οὐσίας) è causa (αἴτιον; Enn., VI, 7, 8, 14, 18). Ma il più eminente causista della scuola alessandrina è Proclo che, sintetizzando l'aitiologia teologica pagana, introdusse un vero olimpo di cause.
Tra gli scolastici, Alberto Magno distingue la causa (senso reale) dalla ratio (senso logico) (VI, Eth., I, IV). S. Tommaso anzitutto dà alle quattro cause aristoteliche un'interpretazione teologica trascendente, quindi approfondisce la differenza tra causa, principio e condizione e ridistingue nuove cause, come la directa e l'indirecta e l'aequivoca e altre di minore importanza. Bruno afferma la naturalità della causa e l'impersonalità della causa infinita.
Nell'età moderna appare la distinzione, pressoché ignota alla tradizione precedente, della causalità scientifica in senso stretto, determinabile nella fisica, dalla causalità filosofica; e questa a sua volta si va sempre più dissociando dalla causalità teologica. Segnatamente la causalità scientifica si distingue dall'empirica nei limiti in cui la nozione esatta dello sperimento, come mezzo tecnico di ricerca e di prova, si distingue dalla nozione vaga dell'esperienza. Così per Galileo Galilei in genere "causa è quella la quale posta seguita l'effetto, e rimossa si rimuove l'effetto"; in particolare il concetto galileiano della causa comprende il doppio rapporto della successione temporale e della necessità razionale (Opere, ed. naz., IV, p. 27; VI, pp. 265-6). In questo nuovo senso la determinazione scientifica dei rapporti causali (leggi causali) si tenta con opportuni mezzi di ricerca e di prova che insieme costituiscono il metodo sperimentale. Questi criterî si mantengono inalterati nel campo delle scienze fisiche per tutta l'età moderna. Vanno però notati gli sforzi dottrinali, prima per introdurre nel concetto del rapporto causale le nozioni leibniziane e newtoniane di forza, poi per respingerle rigidamente, infine per sostituire alla determinazione scientifica delle cause la determinazione delle leggi, delle condizioni necessarie e sufficienti, delle relazioni funzionali; con l'evidente scopo di provvedere all'autonomia delle scienze fisiche, conforme al costante sforzo che dirige le ricerche sperimentali dalle scuole di Laplace, Lagrange, Maxwell, Hertz, Poincaré ai giorni nostri.
Nel campo filosofico invece l'età moderna s'apre con la grandc lotta fra l'interpretazione razionalistica (metafisica) della causalità e l'empiristica (sensistica). La prima con Descartes, Spinoza e Leibniz vuol ridurre la causalità a puro rapporto di necessità razionale, per quanto nello spirito di questa dottrina il rapporto logico sia considerato inerente allo stesso rapporto reale. Spinoza appunto dichiara: causa seu ratio; però distingue due forme di causalità: l'immanente o per se (essenziale) e la transeunte o per accidens (accidentale). In metafisica riprende il concetto medievale della causa sui, ma in senso razionalistico puro, analogo a quello dell'αὑτὸ κινοῦν di Platone (Phaedr., 245 c) e dell'ἑαυτοῦ ἐνέργημα di Plotino (Enn., VI, 8, 16), e connettendolo con la più categorica soluzione di quel problema della distinzione fra l'essenza e l'esistenza, che già era venuto in luce, da S. Anselmo a Cartesio, nei tentativi di dimostrazione dell'esistenza di Dio: per causam sui intelligo id, cuius essentia involvit exsistentiam, sive id, cuius natura non potest concipi nisi exsistens (Eth., I, def. I). La seconda, con Hobbes, Locke, Berkeley e Hume, vuol ridurre la causalità a mero rapporto di successione temporale. Tra queste due soluzioni, estreme ed esclusive, della metafisica e dell'empirismo, s'infiltra il compromesso dell'occasionalismo con Geulincx e Malebranche. Secondo questa dottrina, siccome l'unica causa vera e prima d'ogni accadere è Dio, il rapporto di causalità reciproca che sembra intercedere tra il mondo del reale quello del pensiero non è in realtà che il risultato d'un accordo originario, che stabilisce la loro concomitanza, simile a quello di due orologi costruiti allo stesso modo dallo stesso artefice. Ma allo scetticismo humiano, che aveva di necessità finito per tener solo il campo, si oppose criticamente Kant che, elevandosi al concetto delle sintesi a priori, considerò la nozione della causalità come una funzione categorica del pensiero che sola rende possibile l'esperienzi, mediante la connessione necessaria delle percezioni ordinate intuitivamente nel tempo, secondo una regola (Krit. d. r. Vern., 1a ed., 89; 2ª ed., 122. Reclam). Così l'antitesi della necessità logica affermata dall'apriorismo e della successione cronologica affermata dall'empirismo viene risolta, non per la prevalenza dell'una sull'altra, né per il loro assorbimento nel postulato d'una terza oscura medietà, ma per la trasposizione delle due esigenze nell'atto formale del pensiero che le invera entrambe. Tuttavia è chiaro che la soluzione kantiana, concernendo soltanto le condizioni formali a priori della possibilità dell'esperienza in genere, non risolve la questione speciale delle leggi causali della natura particulariter spectata. Perciò anche dopo Kant risorgono tutte le interpretazioni causali precedenti. Segue prima il grande movimento idealistico degli epigoni kantiani che riprendono la tesi aprioristica della causalità e con Hegel l'elevano ai fastigi della speculazione dialettica. Maine de Biran, secondo il suo intuizionismo volontaristico, ripone nel sentimento del nostro sforzo il fondamento dell'idea di causa; Schopenhauer formula nettamente la distinzione reale del termine causa nel senso leibniziano di realis ratio. Per Stuart Mill, che riprende la tesi empiristica sciogliendosi però dalla visuale dello scetticismo, causa è l'antecedente invariabile e incondizionato. Rosmini riecheggia la metafisica scolastica delle cause; Gioberti rialza il concetto della causa sui col principio della causazione dialettica dell'Ente come autoproduzione assoluta di sé. Questo concetto è ripensato nella filosofia italiana contemporanea dall'idealismo attuale, ma in senso soggettivistico che suppone l'autocoscienza; mentre il rapporto onde la causa si connette con l'effetto è risolto nel rapporto della sintesi a priori propria dell'atto del pensiero che si realizza nell'opposizione del soggetto e dell'oggetto (Gentile, Teor. gen. d. spir. 4ª ed., Bari 1924, p. 164). Infine tra i più recenti indirizzi filosofici sono notevoli in modo particolare l'epistemologismo del Meyerson, il criticismo trascendentale del Brunschwicg, la teoria italiana dei modelli e la nuova corrente inglese della logica matematica rappresentata dal Russel, secondo cui l'enunciato d'una proposizione causale si esprime così: A esiste nel tempo t. >. B esisterà nel tempo t + Δt.
Bibl.: C. Prantl, Geschichte d. Logik im Abendlande, Lipsia 1855-1870; X. König, Entwicklung d. Causalproblems, Lipsia 1888-1890; W. Wundt, Logik, I, Stoccarda 1893, pp. 549-565; C. Renouvier, Hist. et solut. d. probl. métaph., Parigi 1901; F. H. Bradley, Appearance a. reality, Londra 1893, pp. 192-195, 284; É. Meyerson, L'explication dans les sciences, I, Parigi 1921, pp. 53-86; A. Pastore, Il problema della causalità, Torino 1921; G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, 4ª ed., Bari 1924, pp. 132-152; L. Brunschwicg, L'expérience humaine et la causalité physique, Parigi 1922.