CAVALCANTI, Andrea, detto il Buggiano
Nato da Lazzaro a Borgo a Buggiano presso Pescia nel 1412, all’età di cinque anni fu adottato da Filippo Brunelleschi e a suo tempo ne divenne erede. Il C. racconta la propria storia nella portata al catasto del 1433 (pubblicata con le quattro successive da Fabriczy, 1892, pp. 522 ss.): “Nono ne chasa ne masserizia in firenze o padre e madre e due frategli disfattj per la guerra”, e ancora nel 1446 quando scrive “sono uno povero gharzone chon Filippo allevato” (Poggi, 1930, p. 538). Il rapporto apparentemente armonioso tra il C. e il suo benefattore fu interrotto nel 1434 quando il giovane fuggì a Napoli con 200 fiorini e gioielli appartenenti al Brunelleschi (la somma però era dovuta dall’architetto al C. per lavori recenti). Questo infortunio richiese l’intervento del papa, Eugenio IV (Fabriczy, 1907, pp. 80 s.), ma fu risolto felicemente nello spazio di un anno.
Il C., probabilmente istruito e introdotto nel mondo artistico fiorentino dal Brunelleschi, lavorò più che altro come scultore, ma qualche volta anche come architetto, negli anni tra il 1430 e il 1460. Egli può essere considerato un competente artista minore, dallo stile in gran parte eclettico e di derivazione, non fornito di un particolare talento.
Morì a Firenze nel 1462.
La maggior parte del suo lavoro consisteva in rilievi e arredi per chiese, come altari, pulpiti, tabernacoli e lavabi; non è documentata alcuna scultura a tutto tondo di grandi proporzioni. I progressi della sua carriera dipendevano pesantemente dall’influenza e dalla protezione del Brunelleschi; ma lo stile, assai composito, gli derivava, oltre che dal Brunelleschi, da Donatello, da Luca Della Robbia, da Masaccio, da Michelozzo e dalla bottega del Rossellino. Non sorprende che gran parte delle opere del C. siano legate alla decorazione delle opere architettoniche del Brunelleschi e ai progetti di architettura e di scultura della sua cerchia. Nella sua portata al catasto del 1433 (Gaye, 1839, I, pp. 114 s.), Brunelleschi afferma di essere debitore ad “Andrea di lazero di Chavalchante maestro d’intaglio” della somma di 200 fiorini (la stessa dell’incidente napoletano) per “una sepoltura” e “una altare” fatti, tra altre cose, per Cosimo de’ Medici. Benché non sia specificata la destinazione di queste opere, sono state identificate (Fabriczy, 1892, pp. 520 s., e Bode, 1902, p. 367) in quelle destinate alla sacrestia vecchia di S. Lorenzo costruita dal Brunelleschi tra il 1419 e il 1428 quale mausoleo della famiglia de’ Medici.
La “sepoltura” si riferisce al sarcofago marmoreo dei genitori di Cosimo, Giovanni di Averardo de’ Medici (morto nel 1429) e Piccarda de’ Bueri (morta nel 1433). La parte del C. nella ideazione di questa tomba è controversa. Nel 1892 il Fabriczy ipotizzava che i rilievi con Putti fossero di Donatello e l’architettura del C.; nel 1958-59 Lisner (pp. 84 s.) attribuiva a Donatello il progetto del sarcofago e al C. l’esecuzione dei rilievi. Tra questi pareri opposti si collocano le analisi di gran parte degli studiosi del periodo che confrontano l’opera (eseguita probabilmente intorno al 1430) con la tomba Strozzi in S. Trinita, quasi contemporanea e considerata opera di Donatello (per la datazione e la bibliografia critica si veda Lisner, e M. Longhurst, Notes on Ital. Monuments..., ediz. anast., London 1962, 0.19). Nella stessa sacrestia è collocato l’altare menzionato nella portata del Brunelleschi: è decorato da tre rilievi, ognuno dei quali racchiuso in una semplice cornice, raffiguranti una Madonna con Bambino a mezza figura e due figure intere di Profeti. Il Poggi (1910, pp. 76 s.) ne scoprì la data del 1432 e ne individuò la dipendenza dall’altare del battistero di S. Giovanni. Certamente eseguito dal C., l’altare fu probabilmente progettato dal Brunelleschi. Lo stile della Madonna con Bambino può essere ravvicinato a quello prevalente nella bottega di Donatello alla fine del terzo decennio e agli inizi di quello successivo, ma le figure dei Profeti denunciano chiaraniente la mano di un artista minore: le posizioni sono rigide, le proporzioni mancano di armonia, l’esecuzione è secca.
U. Schlegel 1960), confrontando i rilievi dell’altare della sacrestia di S. Lorenzo con quelli del tabernacolo marmoreo del SS. Sacramento nella chiesa di S. Ambrogio a Firenze, ha giustamente attribuito quest’ultimo al C. datandolo intorno all’anno 1433.
Già considerato opera di ignoto e datato tra il 1420 e il 1430 (Paatz, I, p. 29), il tabernacolo è formato da una struttura in forma di edicola sopra uno zoccolo rettangolare con, a rilievo, una Madonna con Bambino, seduta, e quattro Santi. L’architettura rispecchia la maniera classicheggiante sviluppata da Brunelleschi, Donatello e Michelozzo nel terzo e quarto decennio del secolo e spesso usata insieme con sculture figurate. Le forme accovacciate, le teste e mani grandi, i moduli angolari dei drappeggi uniti al monotono ripetersi di incavi paralleli sono straordinariamente simili a quelli dell’altare nella sacrestia vecchia e indicano un unico esecutore. Secondo la Schlegel lo schema del tabernacolo di S. Ambrogio – che deve essere messo in rapporto con il tabernacolo del SS. Sacramento del 1432, di Donatello, in S. Pietro a Roma – costituisce un precedente per i tabernacoli successivi (uno dei più importanti derivati da questo prototipo è quello di Bernardo Rossellino per S. Egidio, del 1450). D’altra parte, sempre secondo la Schlegel, l’originalità del modello non può essere attribuita al C. perché egli si sarebbe rifatto a quello (perduto) in marmo del Brunelleschi per S. Iacopo in Campo Corbolini.
Durante i primi anni del quarto decennio il C. fu strettamente legato alla bottega di Donatello. Questo è indicato non solo dalle discussioni sugli aspetti donatelliani della tomba Medici in S. Lorenzo (sacrestia vecchia) e dalle affinità, nelle sculture architettoniche, fra il tabernacolo di Donatello in S. Pietro e quello del C. in S. Ambrogio, ma anche dal fatto che le parti qualitativamente più deboli di opere di Donatello quali la cantoria per il duomo di Firenze (1433-39) e il pulpito esterno del duomo di Prato (1433-38) sono state attribuite al C. da Bode, Corwegh e Weber (Janson, 1963, pp. 117, 128).
Per tutto il tempo in cui Brunelleschi fu capomastro del duomo di Firenze il C. continuò a lavorare per il duomo, subentrando spesso direttamente in commissioni che erano originariamente del suo padre adottivo. Per le sacrestie settentrionale e meridionale del duomo il C. eseguì due lavabi che sono esempio della sua scultura a rilievo al suo livello più alto.
Più antico è il lavabo della sacrestia vecchia (settentrionale). Esso è composto da un rilievo contornato secondo lo schema classico da lesene rastremate e coronate da un frontone triangolare. Il rilievo rappresenta due putti alati a cavalcioni di un banco di nuvole dal quale sporgono le cannelle dell’acqua. Brunelleschi ricevette la commissione per questo lavabo nel 1432, ma i documenti dimostrano che il lavoro fu eseguito dal C. il quale venne pagato nel 1440 ed eseguì anche le cannelle in bronzo.
Simile anche se non identico è il lavabo nella sacrestia nuova (meridionale): anch’esso è in forma di tabernacolo con due putti alati stanti che sostengono recipienti dai quali scorre l’acqua. Commissionato al Brunelleschi nel 1442, il lavabo fu eseguito dal C., che venne pagato nel 1445 (per la documentazione si veda Gaye, 1839, p. 143, e Castellucci, 1911).
Poiché il C. è indicato inequivocabilmente dai documenti come autore di questi rilievi, lo stile delle figure può essere preso a pietra di paragone con la quale verificare tutte le altre attribuzioni, anche se il disegno della cornice e l’equilibrio dei rapporti tra figurazioni ed architettura indicano in Brunelleschi l’ideatore del modello. I putti sono caratterizzati da grandi teste squadrate, gote gonfie, labbra e occhi prominenti propri del C.; teste simili possono senz’altro essere riconosciute in parti della cantoria di Donatello e del suo pulpito di Prato, oltre che in quattro rilievi degli Staatliche Museen di Berlino-Ovest e in parti della tomba di L. Bruni di Bernardo Rossellino (circa 1445) in S. Croce, attribuite al C. da Markham, (1968). Oltre che Brunelleschi e Donatello alla formazione dello stile del C. contribuì in modo basilare anche Luca Della Robbia. La Schlegel, che tra gli studiosi moderni ha studiato più estesamente l’opera del C., gli ha attribuito (1962), datandoli intorno al 1440, anche i citati rilievi in stucco con la Madonna e il Bambino del Museo di Berlino tradizionalmente messi in rapporto con Luca Della Robbia e con Donatello. Due Angeli in terracotta del Della Robbia (1448), ora nella sacrestia nuova del duomo di Firenze, fiancheggiavano un tabernacolo (perduto) eseguito dal C. per la cappella di S. Antonio (della Parte guelfa), sempre nel duomo, che era stato iniziato nel 1443 e completato, con l’aiuto di assistenti, nel 1447 (Poggi, 1909, pp. CXV ss.).
Gli stretti contatti del C. con Luca Della Robbia sono dimostrati anche dal fatto che questi lo scelse prima come stimatore (16 febbr. 1458) e quindi arbitro per la tomba Federighi in S. Trinita (per essa il C. stese due relazioni: l’intera questione in H. Glasser, in Mitteilungen des Kunsthist. Institutes in Florenz, XIV [1969], pp. 5 ss., 27).
Opera importante e documentata del quinto decennio è il pulpito marmoreo, in parte dorato, appoggiato a uno dei pilastri nella navata centrale di S. Maria Novella (Poggi, 1905, pp. 77 ss.).
Progettato dal Brunelleschi su commissione della famiglia Rucellai, il pulpito sospeso – che richiama quello di Donatello all’esterno del duomo di Prato – è raggiunto da una scala che si avvolge attorno al pilastro. È decorato da modanature riccamente intagliate che incorniciano quattro rilievi con le Storie della Vergine. Nel 1443 il Brunelleschi fu pagato per il modello in legno; in origine la struttura in marmo doveva essere eseguita dallo scalpellino Giovanni di Piero del Ticcia, ma egli a sua volta passò la commissione al C. che eseguì il tutto tra il 1443 e il 1448.
All’inventiva del progetto e al carattere elaborato degli ornamenti architettonici si contrappone la qualità mediocre dei rilievi che sottolineano i limiti dello stile del Cavalcanti. Le figure sono dure, le composizioni noiose e dimostrano il disinteresse del C. per quanto stavano contemporaneamente sviluppando nel campo del rilievo pittorico Ghiberti e Donatello, oltre al suo sforzo insoddisfacente di imitare il potente senso plastico dell’opera di Nanni di Banco e di Michelozzo.
È probabile che il C. esplicasse le sue qualità migliori nello scolpire ornamenti architettonici, come è dimostrato dal tabernacolo di S. Ambrogio, dai lavabi del duomo, dal pulpito di S. Maria Novella e dalla cappella Cardini in S. Francesco a Pescia. Nell’anno 1446 egli fu impiegato come “scalpellatore” nella fabbrica di S. Lorenzo, a 19 soldi al giorno per lavori non specificati (Hyman, 1968). È interessante che il suo nome non compaia nei documenti della chiesa dopo la morte del Brunelleschi. Nel 1447 il C. fu pagato per sculture ad “unum pilastrum” di un altare che si ritiene opera di Michelozzo nella cappella di S. Stefano nella tribuna settentrionale del duomo (Poggi, 1909, p. CXVII).
Dopo la morte del Brunelleschi il C. ottenne “di poter fare honore alla sua buona memoria” scolpendone il ritratto a mezza figura nel rilievo marmoreo nel duomo di Firenze (Poggi, 1930, p. 538). Eseguito nel 1447, nel tipico, legnoso, stile del C., il ritratto rappresenta la trasformazione della maschera mortuaria del Brunelleschi in una effigie idealizzata, giovanile ma inanimata (Becherucci-Brunetti, pp. 214 s.).
Mentre l’opera del C. “maestro d’intaglio” può essere parzialmente ricostruita attraverso i documenti, il Gaye (1839, pp. 143 s.) ne ha ricostruito la figura di architetto solo con attribuzioni. Gli è stato assegnato il piccolo oratorio dei SS. Pietro e Paolo (la “Madonna a Piè di Piazza”) a Pescia, nei pressi del suo luogo natale: costruito nel sesto decennio in uno stile vagamente brunelleschiano, riproduce alcuni dei motivi della cappella dei Pazzi. Anche la cappella Cardini, nella chiesa di S. Francesco a Pescia, è attribuita al Cavalcanti. Sia nella forma sia nel vocabolario architettonico di carattere classico essa riflette l’architettura nell’affresco di Masaccio con la Trinità nella chiesa di S. Maria Novella (circa 1426) generalmente considerata molto influenzata da Brunelleschi; i peducci dell’arco d’entrata recano, in bassorilievo, figure di putti che chiaramente richiamano le caratteristiche di altri rilievi con putti realizzati del Cavalcanti.
Controversa è l’attribuzione al C. negli anni intorno al 1430 della cappella Barbadori in S. Felicita a Firenze (Schlegel, 1957), generalmente attribuita dalla critica al Brunelleschi nel terzo decennio (Saalman, 1958). Opera del C. sono invece considerati da Saalman e dalla Schlegel i resti dell’altare della stessa cappella, datato dal primo intorno al 1431 e dalla seconda al 1430-40. La Schlegel attribuisce al C. anche la cappella Carnesecchi in S. Maria Maggiore (1449). Queste problematiche attribuzioni indicano come l’opera del Buggiano architetto sia ancora da ricostruire.
Fonti e Bibl.: Notizie sul C. si trovano in alcune fonti brunelleschiane, come: Il Libro di Antonio Billi [ante 1530], a cura di C. Frey, Berlin 1892, p. 37; (Anonimo Fiorentino), Il Cod. Magliab. cl. XVI. 17... [1537-1542], a cura di C. Frey, Berlin 1892, p. 69; G. Vasari, Le Vite..., a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 383 s. Vedi inoltre: G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti, Firenze 1839, I, pp. 113 ss., 143 s.; C. Guasti, La cupola di S. Maria del Fiore…, Firenze 1857, pp. ss ss., docc. 119, 120, 121; H. Stegmann, in C. von Stegmann-H. von Geymüller, Die Architektur der Renaiss. in Toscana, München 1885-97, II, ad Indicem; C. von Fabriczy, Filippo Brunelleschi: sein Leben und seine Werke, Stuttgart 1892, ad Indicem; W. Bode, Denkmäler der Renaissanceskulptur Toskanas, München 1892-1905, ad Indicem; S. Weber, Die Entwicklung des Putto in der Plastik der Frührenaissance, Heidelberg 1898, pp. 50 ss.; W. Bode, Florentiner Bildhauer der Renaissance, Berlin 1902, ad Indicem; P. Schubring, Das italienische Grabmal der Frührenaissance, Berlin 1904, pp. 15 s.; G. Poggi, A. di Lazzaro C. e il pulp. di S. Maria Novella, in Rivista d’arte, III (1905), pp. 77-85; C. von Fabriczy, Brunelleschiana, in Jahrb. der preuss Kunstsamml., XXVIII (1907), Suppl., passim; A. Venturi, Storia dell’arte ital., VI, Milano 1908, pp. 182-186; VIII, 1, ibid. 1932, pp. 360-369; R. Corwegh, Donatellos Sängerkanzel im Dom zu Florenz, Berlin 1909, p. 51; G. Poggi, Il duomo di Firenze, Berlin 1909, pp. CXV ss.; Id., L’antico altare del Battist. fiorentino, in Riv. d’arte, VII (1910), pp. 76 ss.; G. Castellucci, I lavabo del Buggiano nelle Sagrestie di S. Maria del Fiore, in L’Illustr. fiorentino, 1911, pp. 133 ss.; M. Cruttwell, Donatello, London 1911, ad Indicem; W. R. Biehl, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VI, Leipzig 1912, pp. 213-215 (con bibl.); H. Willich, Die Baukunst der Renaiss. in Italien, Berlin 1914, p. 36; A. Marquand, Luca della Robbia, Princeton 1914, ad Indicem; P. Schubring, Die italienische Plastik des Quattrocento, Berlin 1919, ad Indicem; C. Kennedy, Docc. ined. su Desiderio da Settignano e la sua famiglia, in Rivista d’arte, XII (1930), p. 264, doc. 5; G. Poggi, La “Maschera” di F. Brunelleschi nel Museo dell’Opera del Duomo, ibid., p. 538; W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, II, IV, Frankfurt a. Main 1941-42, ad Indicem (VI, 1954, p. 37); G. Delogu, Italien. Bildhauerei, Zürich 1942, p. 74; U. Schlegel, La cappella Barbadori e l’architettura fiorentina del primo Rinascimento, in Rivista d’arte, XXXII (1957), pp. 77-106; H. Saalman, Further Notes on the Cappella Barbadori in S. Felicita, in The Burlington Magazine, C (1958), pp. 270-274; J. Pope-Hennessy, Italian Renaiss. Sculpture, London 1958, ad Indicem; M. Lisner, Zur frühen Bildhauerarchitektur Donatellos, in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst, IX-X (1958-59), pp. 84 s.; U. Schlegel, Ein Sakramentstabernakel der Frührenaissance in S. Ambrogio in Florenz, in Zeitschrift für Kunstgesch., XXIII (1960), pp. 167-173; Id., Vier Madonnenreliefs des A. di Lazzaro C. …, in Berliner Museen, XII (1962), pp. 4-9; A. Kratz, Restaurierungsbericht..., ibid., pp. 10-12; P. Sanpaolesi, Brunelleschi, Milano 1962, p. 52; H. W. Janson, The Sculpture of Donatello, Princeton 1963, ad Indicem; U. Schlegel, Observations on Masaccio’s Trinity Frescoin S. Maria Novella, in The Art Bulletin, XLV (1963), pp. 19-33; C. Seymour jr., Sculpture in Italy 1400-1500, Harmondsworth 1966, ad Indicem; A. Markham, The Sculpture of Bernardo Rossellino and his Workshop, tesi di dottorato, New York Univ., anno accad. 1967-68, pp. 408-419; I. Hyman, Fifteenth Century Florentine Studies..., tesi di dottorato, New York Univ., anno accad. 1967-68, p. 375; L. Becherucci-G. Brunetti, Il Museo dell’Opera del duomo..., I-II, s.l. né d., ad Indices.