CAVALCANTI (de Cavalcantibus) Mainardo (Maghinardo)
Nacque a Firenze da Giachinotto nella prima metà del XIV secolo. Allontanatosi presto dalla città natale e stabilitosi presso la corte angioina di Napoli, ricoprì la carica di “capitaneus generalis ad guerram” del ducato amalfitano per gli anni 1358-1359, primo gradino di una brillante carriera militare culminata con la carica di gran maresciallo del Regno.
Amico del Boccaccio, intrattenne con il poeta una corrispondenza non casuale ma affettuosa e durevole, testimonianza di un’amicizia maturatasi durante lo sfortunato soggiorno napoletano del Boccaccio che, attirato nel Regno alla fine del 1362 dalle larghe promesse di Niccolò Acciaiuoli, si vide costretto a ricorrere alla “liberalità del nobile giovane cittadino nostro Mainardo de’ Cavalcanti” (Boccaccio, Epistole, ed. Massera, p. 154). L’incontro col Boccaccio e il conseguente stabilirsi di una sincera amicizia è uno dei tratti qualificanti della biografia del Cavalcanti.
Giustiziere del Principato Citra nel 1364, nel 1372 era di nuovo a Firenze dove si trattenne per un lungo periodo.
Sposatosi nella primavera di quell’anno con Andreola di Iacopo Acciaiuoli, che era sua parente in quarto grado, rimasta vedova nel 1369 di Francesco Guidi conte di Battifolle e Poppi, egli attese a Firenze la dispensa pontificia che gli permettesse di mantenere il vincolo matrimoniale nonostante l’impedimento della consanguineità. Il breve apostolico concesso dalla Curia avignonese il 27 ag. 1372, firmato e sigillato dal cardinale Stefano di Poissy, penitenziere della Chiesa, fu presentato dai coniugi ad Angelo Ricasoli, cardinale di Firenze, il 28 dicembre in località Sant’Antonino alla presenza dei testimoni Nastasio Landi, pievano di S. Maria di Bordignano, Francesco di Simone Nerli e Angelo di Iacopo Acciaiuoli.
Di questo periodo sono le uniche due lettere superstiti della corrispondenza, che si può supporre più abbondante, tra il Boccaccio e il Cavalcanti. Le lettere, scritte in latino e perciò stesso illuminanti un personaggio di buona cultura – “amantissimus studiorum et probatorum hominum praecipuus cultor, atque eorum operum solertissimus indagator” (Boccaccio, Epistole, ed. Corazzini, p. 366) – sono la testimonianza più viva del legame d’affetto e di stima che unì i due personaggi. Nella prima, scritta tra il 10 e il 28 ag. 1372, il Boccaccio conclude con il ricordo del recente matirmonio dell’amico, a cui egli stesso aveva in qualche modo contribuito con i suoi consigli, e con la speranza di poter essere legato alla sposa dallo stesso “pio integroque mentis affectu” che lo univa a Mainardo (Boccaccio, Epistole, ed. Massera, p. 208), La seconda, datata 13 settembre, e scritta al C. per ringraziarlo del dono di un piccolo vaso d’oro pieno di monete, è una continua, ripetuta esaltazione della liberalità e dei sentimenti del giovane fiorentino che si materializza nell’interrogativo “quid maius, quid carius, quid optabilius homo suscipere potest ab homine, pauper a divite, obscurus a splendido, senex a iuvene?” (ibid., p. 212). In diretto rapporto causale con tanto manifesto affetto fu l’offerta, accolta dal Boccaccio, di condurre al fonte battesimale il figlio primogenito del C. nato nei primi mesi del 1373, quasi per suggellare con tale gesto un'amicizia che aveva qualcosa di filiale. La riconoscenza per tanto onore, la gratitudine non meno sentita per la munificenza di chi aveva più volte ovviato alla sua continua indigenza e forse anche il desiderio di lasciare all’amico un segno tangibile dei suoi sentimenti, furono le ragioni che spinsero il Boccaccio a dedicare al C. la stesura finale del De casibus virorum illustrium che, terminato da più di dieci anni, non aveva ancora trovato un degno dedicatario (la lettera di dedica in Corazzini, pp. 363-367).
Frattanto anche la carriera militare del C. si era arricchita di nuovi onori. Creato marescalco del Regno già prima del 1372 – con questo appellativo è infatti indicato nelle epistole del Boccaccio – nel 1373 “domenica a dì 14 giugno fece in S. Croce il mangiar suo della cavalleria” (Monaldi, Diario, p. 330). Secondo il Ricci, che non cita la sua fonte, ricoprì anche la carica di straticò di Salerno. Ritornato probabilmente a Napoli, nel 1378 era però di nuovo a Firenze, richiamato dal Comune, il 25 aprile, per andare a rendere omaggio al nuovo pontefice Urbano VI. Degli otto ambasciatori partiti per Roma, dopo molti indugi, il 17 maggio, quattro, tra cui il C., fecero ritorno a Firenze il 19 giugno.
Da un manoscritto inedito di V. Fineschi ricordato dall’Orlandi, risulta che il C. fece testamento a Napoli il 25 genn. 1380. Morì il 12 febbraio seguente assassinato, sembra per motivi di poco conto, da un chierico.
Il notevole lasso di tempo intercorso tra l’uccisione e le esequie, solennemente celebrate in S. Maria Novella il 12 marzo alla presenza della vedova e dei figli Carlo, Otto e Maria, fanno credere che la morte fosse avvenuta a Napoli. Il corpo fu tumulato con molti onori nella cosiddetta sagrestia di S. Maria Novella o cappella dell’Annunziata, costruita, secondo alcuni, per volontà dello stesso C. da F. Talenti. Ma la cappella, seppure iniziata quando il C. era ancora in vita, fa in realtà terminata dalla moglie Andreola, che volle così degnamente ricordarne il nome e tramandarne il ricordo. Una copia dell’iscrizione originale che ornava la lastra tombale e che fu trasportata nel sepolcreto annesso alla chiesa dove era ancora nel sec. XVIII, si conserva tuttora riprodotta in una lapide posta sopra la porta interna della sagrestia. L’anno della morte vi è indicato secondo il computo fiorentino: 12 febbr. 1379.
Tra i membri della famiglia Cavalcanti più vicini a Mainardo per rapporti di parentela è da ricordare il fratello Salice, che fu tra i maggiori istigatori di Parte guelfa del quartiere di S. Maria Novella e nel 1378 fu creato cavaliere di popolo.
Fonti e Bibl.: La lettera di dedica del De casibus sta in G. Boccaccio, Lettere edite ed inedite, a cura di F. Corazzini, Firenze 1877, pp. 363-367. Per le altre si veda la più recente ediz. a cura di A. F. Massera, in Scrittori d’Italia, III, Bari 1929, pp. 205-214. Bibl. Ap. Vaticana, Barb. lat. 5003: Origine e historia della famiglia dei Cavalcanti descritta dal signor Scipione Ammirato l’anno 1568, ff. 226 s.; P. Monaldi, Istorie pistolesi... e diario…, Firenze 1733, pp. 330, 353; Naddo da Montecatini, Croniche fiorentine, in Delizie degli erud. tosc., XVIII, Firenze 1784, p. 10; Diario di Anonimo Fiorentino, a c. di A. Gherardi, in Docum. di st. ital., VI, Firenze 1876, pp. 353, 354, 356; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, pp. 308, 318; Il tumulto dei Ciompi, ibid., XVIII, 3, a cura di G. Scaramella, pp. 74, 134; Il libro di ricordanze dei Corsini, a cura di A. Petrucci, Roma 1965, pp. 17, 25; E. Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane et umbre, III, Firenze 1673, pp. 61 s.; B. Aldimari, Historia geneal. della famiglia Carafa, III, Napoli 1691, pp. 437-439; D. Manni, Istoria del Decamerone, Firenze 1742, p. 72; G. Richa, Notizie stor. delle chiese fiorentine, III, Firenze 1755, pp. 43 s.; D. Tiribilli-Giuliani, Sommario stor. delle famiglie celebri toscane, I, Firenze 1862, sub voce, M. Camera, Memorie stor-diplomat. della antica città e ducato di Amalfi, I, Salerno 1876, p. 482; G. Voigt, Il risorgimento dell’età classica, I, Firenze 1888, pp. 185, 453; M. Camera, Elucubrazioni stor.-diplomatiche su Giovanna I…, Salerno 1889, pp. 142 s.; F. Torraca, Per la biogr. di G. Boccaccio, Milano-Roma-Napoli 1912, pp. 203-207, 415; H. Hauvette, Boccace, Paris 1914, ad Indicem; S. Orlandi, Necrol. di S. Maria Novella, I, Firenze 1955, pp. 547-550; P. G. Ricci, Studi sulle opere latine e volgari del Boccaccio, in Rinascimento, n.s., II (1962), pp. 3-11, 19 s.; D. Marrocco, Gli arcani historici di Niccolò d’Alife, Napoli 1965, p. 81; V. Branca, Profilo biogr., in Tutte le opere di G. Boccaccio, I, Milano 1967, ad Ind.; F. Sabatini, Napoli angioina, Cultura e società, Napoli 1975, ad Ind.