CAVALCANTI
. Famiglia fiorentina, delle più notevoli tra le magnatizie, le cui origini sono avvolte nella leggenda: il Villani accenna, più che a tradizioni guerriere, a un passato mercantesco. Alla fine del secolo XII i C. occupavano buona parte del centro cittadino con le loro case situate nel sesto di S. Piero Scheraggio intorno al Mercato Nuovo; nel contado possedevano il castello delle Stinche in val di Greve, quello di Montecalvi in val di Pesa, Ostina e Luco nel Valdarno superiore. Al governo cittadino avevano partecipato dal 1176, allorché un Cavalcante aveva ottenuto la dignità consolare, rinnovata poi nel 1214 nel figlio Schiatta. Altri elementi di forza furono il numero dei componenti la famiglia e le parentele con le più grandi casate toscane, come i Guidi e i Salimbeni. Si schierarono fra i guelfi e andarono in esilio, prima nel 1248, e poi dopo Montaperti. Rientrati a Firenze nel 1266, ebbero una parte notevole nel tentativo di pace con gli avversarî, e 14 anni più tardi furono dei più autorevoli mallevadori della pace del cardinal Latino. Appena sorsero le interne divisioni fra i guelfi, i C., sebbene fossero dei Grandi, si accostarono, in odio ai Donati, alla consorteria popolare dei Cerchi, nucleo in formazione di parte bianca, alla quale appartennero in seguito. Gli episodî principali delle lotte, rinnovate col calendimaggio 1300, furono per la famiglia: l'esilio di Guido (v.), durante il priorato di Dante: la rovina, nel 1304, delle case di città; l'assalto ai castelli di Val di Greve e di Val di Pesa e l'uccisione di Masino. Dal 1312 data l'esodo d'una gran parte della famiglia.
Nella prima metà del sec. XIV i C. rimasti a Firenze ebbero ancora qualche parte nella vita cittadina. Furono tra i fautori della signoria del Duca d'Atene, congiurarono poi contro il tiranno per cacciarlo, parteciparono nell'agosto 1343 al governo dei Quattordici e al consiglio degli Otto. Quando, un mese dopo, la furia popolare si abbatté sui Grandi, ebbero rase al suolo le case. Nella seconda metà del secolo, assottigliati ancora di numero, condussero una vita difficile, intenti a nascondere l'origine magnatizia. Così nel 1361 i fratelli Domenico, Niccolò e Ciampolo chiesero di chiamarsi de' Ciampoli e di mutare la vecchia insegna gentilizia, e pochi mesi dopo altri si dissero di Poggio; mentre nel 1379 e nel 1393 altri ancora si appellarono Cavallereschi, e nel 1381 Malatesti. Miglior ventura ebbero gli esuli scesi a Roma e di lì sparsisi nel Mezzogiorno, e segnatamente quelli che presero stanza a Napoli. Costoro, che non tardarono a unirsi in parentela con gli Acciaiuoli, goderono con essi i favori dei sovrani, ottenendo possedimenti in Morea e notevoli uffici: Salice, Mainardo, l'amico del Boccaccio, e Amerigo giunsero alla dignità di ciambellano e di giustiziere.
Col Quattrocento la famiglia raccoltasi di nuovo, almeno in buona parte, a Firenze, entrò nell'orbita dei Medici, dei quali Lorenzo, fratello di Cosimo il Vecchio, sposò Ginevra d'Amerigo. Così fu aperta finalmente la via delle cariche pubbliche ai C. che contarono 13 priori dal 1450 al 1531, e tre senatori dal 1554 al 1615. Nel Cinquecento, sebbene Stoldo di Tommaso avesse mozza la testa con Pandolfo Pucci per la congiura del 1559, si mantennero tuttavia fedeli, in genere, al principe, né il padre Tommaso, né il fratello Giovanbattista furono rimossi da Cosimo dai posti di fiducia che occupavano. Un altro avversario dei Medici fu Bartolomeo, difensore di Firenze nell'assedio ed esule volontario dopo l'uccisione del duca Alessandro e l'esaltazione di Cosimo, alle cui truppe si oppose poi sotto le mura di Siena.
Durante il Seicento fu trascurabile a Firenze l'importanza politica della famiglia, i cui rami andarono a poco a poco estinguendosi fino a quando la casata si estinse, nel 1727, con la morte di Alessandro di Andrea che lasciò eredi i Cattani. Vita più lunga ebbe invece il ceppo brasiliano dei Cavalcanti d'Albuquerque, originato a metà del sec. XVI dal matrimonio di un Filippo con Caterina d'Albuquerque.
Anche le lettere registrano alcuni nomi dei loro: Giovanni (v. sotto) narrò le vicende fiorentine dal 1423 al 1440 con un racconto largamente usufruito dal Machiavelli nelle sue Storie. Il ricordato antimediceo Bartolomeo va lodato soprattutto per una Retorica, rimasta classica e annoverata fra i testi di lingua. Andrea, erudito e bibliofilo, appartenne al cenacolo fiorentino di Salvator Rosa nel decennio dal 1640 al 1649: più che per le narrazioni tragiche che furono la tela di romanzi guerrazziani, il suo nome si ricorda per le novelle argute ed eleganti. Altri C. passarono alla storia nei versi di Dante: l'epicureo Cavalcante figlio di Schiatta e padre di Guido (Inf., X); un Francesco, soggetto a strane trasformazioni tra la schiera dei ladri fiorentini della settima bolgia (Inf., XXV), e il simulatore Gianni Schicchi di cui si ricorda la beffa sul letto di morte di Buoso Donati (Inf. XXX).
Bibl.: A prescindere da un confuso tentativo di Scipione Ammirato, dalle farraginose e infide pagine del Gamurrini (Storia delle famiglie nobili toscane, III, pp. 57-78) e da qualche accenno - limitato comunque al sec. XIII - nelle opere letterarie su Guido e presso i commentatori della Commedia, le notizie sui C. vanno cercate nei cronisti e negli storici di Firenze, e nelle raccolte genealogiche manoscritte.