CAVALLI, Pierro Francesco Caletti, detto il
Musicista, nato a Crema il 14 febbraio 1602, morto a Venezia il 14 gennaio 1676. Figlio di un musicista, Giovan Battista formatosi nell'orbita della scuola veneziana allora dominante nell'Italia settentrionale e in gran parte d'Europa, fu avviato dal padre, suo maestro, allo studio e all'assimilazione delle opere più diffuse dei maestri di S. Marco; i grandi organisti. si trovavano probabilmente compresi in tale educazione vicino ai polifonisti guidati da Andrea e da Giovanni Gabrieli, ed infatti nello stile del C. non mancheranno poi elementi derivati dal fare largamente improvvisatorio dei Padovano e dei Merulo. Alla scuola paterna Pier Francesco veniva dunque ad accogliere questa vasta esperienza delle diverse ricchezze delle scuole nordiche, quasi a prepararsi a quella sua propria personale riassunzione che ben altro maestro era per consentirgli: verso il suo quindicesimo anno il giovinetto, giunto ad eccellenza nella sua arte di cantore, destava sì grande interessamento nel veneziano rettore della città di Crema, Federico Cavalli, che ritornando a Venezia questo patrizio lo conduceva seco per la cappella ducale allora diretta da Claudio Monteverdi.
Così fino dal 1617, dall'inizio, cioè, della crisi che dalla molteplice esperienza d'interprete doveva maturare l'unità dell'ispirazione creatrice, egli veniva a trovarsi sotto la direzione del maestro che in quegli anni concretava anche nel madrigale la prima attuazione veramente totale, necessaria, universale, dello spirito drammatico, cui avevan condotto i convergenti cammini delle scuole italiane dai veneziani agli ultimi madrigalisti e ai fiorentini della Camerata. Durante un periodo di circa venti anni il cantore di S. Marco quotidianamente si esercita in queste nuove scritture in cui tante correnti confluiscono e riassommano in un discorso animato dal ritmo vario, libero e pur sempre potentemente agogico che è proprio del dramma. Quivi era la via maestra per il cammino dell'artista, via aperta dal Monteverdi e subito diretta a confini dal Monteverdi non toccati né ambiti. Più che i modelli teatrali, la stessa sintassi del discorso monteverdiano, cui sola norma è la rispondenza alla complessità, alla continua trasformazione del nostro vivere, vale a destare nel giovane il senso del contrasto tra momento e momento, tra individuo e individuo, che del dramma rappresenta, se non l'essenza, certo l'aspetto più evidente. Dal dramma implicito nella profonda analisi introspettiva del madrigale la personalità nuova, tipicamente secentesca di Francesco Caletti trae fuori più che altro questo aspetto: la rappresentazione scenica. La musica comincia a esplicare dal suo discorso proiezioni di scene e di figure il più possibile caratterizzate e tra loro contrastanti. L'alunno del Monteverdi, dopo vent'anni di esetcizio polifonistico, si mostra per la prima volta al pubblico come operista. Nel 1639 il teatro di S. Cassiano, che con l'Andromeda e La Maga f ulminata del Mannelli aveva dato nel 1637 e nel 1638 i primi esempî di pubbliche rappresentazioni, allestisce la prima opera del nuovo compositore: Le nozze di Teti e Peleo, saggio piuttoito timido di "tavola" che, informata ai modelli del primo Monteverdi e dei Fiorentini, non presenta ancora il vero essere dell'autore. Ma subito dopo, con la Didone del 1641 (nel 1640 intanto Francesco era nominato secondo organista, col nome di Cavalli da lui assunto in onore del vecchio protettore), la favola scompare, nei suoi caratteri di diffusa, impersonale narrazione, cedendo alla plastica rappresentazione di figure drammatiche. Il C. giunge dunque al suo teatro non già seguendo il teatro di Monteverdi (il cui vero monumento: L'incoronazione di Poppea, è del 1642), ma piuttosto deducendolo dai suggerimenti contenuti nella stessa scrittura del maestro. E dal Giasone in poi l'esempio monteverdiano si ricorda più nella scrittura, soprattutto negli elementi ritmici ed armonici, che nella struttura dell'opera. L'arioso, proprio dei momenti critici, capitali del dramma monteverdiano, si va disegnando sempre più nel giro dell'aria propriamente detta, cioè il discorso va disponendosi, come avverrà poi nell'opera sei-settecentesca, in momenti puramente transitorî, agogici (recitativi) ed in momenti di sosta, d'effusione lirica (arie), inquadrati talvolta, ma sempre men di frequente, tra brevi interventi corali. E cosi anche la scrittura va semplificandosi, distendendosi, avviandosi di solito, tranne i momenti cardinali, verso la formula. La musica prende a servire alla scena, il violento dinamismo del recitativo di opere come il Serse e come quelle dell'ultimo periodo, dal 1654 in poi, risponde più al movimento scenico ed all'immediata figurazione del dato personaggio nel dato istante che non all'intimo svolgimento del dramma musicale, e - nonostante questo dinamismo - l'opera va diventando intimamente statica, simile ad un gruppo scultoreo di figure violentemente contrapposte, e finisce per soggiacere all'impero dell'aria, bene rispondendo alle forme tipiche dell'arte barocca.
Il prestigio raggiunto dal C., dal Giasone in poi, era degno del successore di Claudio Monteverdi. Quando, nel 1660, si preparano a Parigi le nozze di Luigi XIV con l'Infanta di Spagna, il C. è chiamato ad allestire, a maggiore solennità, un'opera sua (Serse, cui collaborò per i balletti, G. B. Lulli) e, due anni dopo, se ne rappresentava un'altra: Ercole amante, anch'essa alla presenza della corte. Ma l'estro del C., troppo impetuoso e volto alla larga sintesi più che alla misura e alla preziosità dell'espressione non doveva trovare in Francia né simpatia né seguito. La sua influenza s'estende ben più (oltre che in Italia, dove si manifesta fino nei napoletani) in Augtria e in Germania, già penetrate dalla musicalità veneziana dei Gabrieli, fino a G. F. Haendel.
Ritornato a Venezia, nel 1668, il C. fu nominato maestro della cappella di S. Marco, carica che conservò fin0 alla morte.
Opere: L'elenco delle opere teatrali del C., per la maggior parte conservate nella biblioteca Marciana di Venezia, si troverà in T. Wiel, F. C. e la sua musica scenica, Venezia 1914 (saggio notevole soprattutto per la documentazione della biografia). Della musica chiesastica furono pubblicati a Venezia due volumi di Messe, Salmi, Antifone e Sonate nel 1656 e nel 1675.
Bibl.: Oltre al citato saggio di T. Wiel, v. specialmente: H. Kretzschmar, Die venetianische Oper und die Werke C.s und Cestis, in Vierteljahrschrift für Musikwissenschaft, 1892; H. Goldschmidt, C. als dramatischer Komponist, in Monatshefte für Musikgeschichte, 1893; R. Rolland, L'opéra populaire à Venise: F. C., in Mercure musical, 1906; E. Wellesz, C. und der stil der venet. Oper von 1640-1660, in G. Adler, Studien zur Musikwissenschaft, 1913.