CAVALLI, Cavallino
Nacque da Bernardo, forse a Cremona, nella prima metà del sec. XIV; nulla sappiamo della sua prima formazione, se non che intraprese la carriera notarile.
Il C. infatti si definisce e si sottoscrive in un documento del 28 maggio 1366 "filius domini Bernardi civis Cremonensi publicus imperiali auctoritate notarius" (Muratore, p. 259). L'atto, testimonianza e conseguenza dell'arbitrato con cui Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde, sanciva il passaggio delle città angioine di Cherasco, Cuneo e Mondovì a Galeazzo II, è anche la prima manifestazione della lunga milizia milanese del Cavalli.
Entrato presumibilmente al servizio dei Visconti proprio in virtù della sua carica di notaio, il C. seppe accortamente qualificare sempre più la propria attività tanto da giungere ben presto a essere utilizzato come uno dei diplomatici più attivi e fidati del conte di Virtù. L'attività diplomatica fu però solo l'apice di una carriera sapientemente costruita con fedeltà e dedizione già sotto Galeazzo II. Lo testimonia, tra l'altro, la fiducia con cui nell'estate 1372 il Visconti e la moglie Bianca di Savoia gli affidarono il giovanissimo Gian Galeazzo impegnato ad affinare le sue capacità militari all'assedio di Asti.
La situazione determinatasi nel Monferrato alla morte di Giovanni II Paleologo (marzo 1372) aveva infatti provocato una vigorosa ripresa della politica espansionistica dei Visconti verso la Lombardia occidentale che non poteva prescindere dalla conquista di Asti e, di contro, aveva aumentato le preoccupazioni di chi, come Amedeo VI di Savoia, più temeva l'infiltrazione viscontea verso le Alpi occidentali. L'occasione fu, per il C., facile mezzo per mostrare tutto il suo ossequio alle direttive signorili tese a proteggere l'ancora inesperto erede; nonostante la disparità delle forze schierate fosse evidentemente a favore dei Visconti, il combattimento tante volte differito non si verificò mai e Gian Galeazzo non ebbe modo di commettere le temute imprudenze né di esporsi a pericoli di alcun genere.
Venuta meno la possibilità di concludere il conflitto sul campo, la questione del Monferrato si risolse più di cinque anni dopo per vie diplomatiche. Nel marzo 1377 infatti il C. fu inviato a Roma quale rappresentante di Gian Galeazzo, che il padre aveva frattanto associato al governo, nelle trattative per il matrimonio tra Violante Visconti e il marchese del Monferrato Secondo Ottone. I negoziati, cui partecipava anche Filippo Cassoli di Reggio professore allo Studio di Pavia, furono lunghi ma fruttuosi e diedero modo al C. di conoscere un personaggio la cui esistenza si intreccerà spesso alla sua, Niccolò Spinelli, che a quelle trattative interveniva come rappresentante del marchese del Monferrato.
Dopo un'apparizione a Torino dove l'8 ag. 1381 era presente come testimone alla stipulazione della pace, mediata dal Conte Verde, tra tutte le potenze che avevano partecipato alla guerra di Chioggia, nel 1382 il C. abbandonò l'Italia per trasferirsi in Francia al servizio angioino.
Non sappiamo se tale trasferimento sia dipeso, come vuole il Romano, da motivi personali come il risentimento che il C. nutriva verso Bernabò Visconti e la moglie Regina Della Scala da cui era stato danneggiato nei suoi possessi cremonesi, o piuttosto rispecchiasse la volontà politica di Gian Galeazzo desideroso di infiltrare un suo agente alla corte francese. È invece sicuramente documentato che il 21 maggio 1382 il C., prestato il giuramento richiesto, veniva ufficialmente accolto con una pensione di 150 franchi al mese tra i consiglieri di Luigi I d'Angiò. Questi, fratello del re di Francia Carlo V, era stato adottato come figlio ed erede in tutti i suoi domini dalla regina Giovanna I di Napoli, provocando le violente reazioni degli Angiò d'Ungheria, rappresentati da Carlo di Durazzo, che rivendicavano i propri diritti sul trono di Napoli. Il conflitto, coloratosi anche di toni religiosi del resto non imprevedibili nel clima dello scisma che sconvolgeva la Chiesa e che vedeva contrapposti Clemente VII papa di Avignone favorevole a Luigi e Urbano VI papa di Roma favorevole a Carlo, aveva visto trionfare il Durazzesco che, entrato in Napoli, vi aveva costretto in prigionia la regina. Sebbene ostacolato da varie circostanze, tra cui la morte del fratello e la temporanea reggenza, Luigi si apprestò a preparare una spedizione in Italia per vendicare Giovanna e affermare le sue pretese. Anche se non è certo in modo assoluto, è però molto probabile che il C. abbia partecipato a tale spedizione di cui era stato fautore, tra gli altri, lo stesso Niccolò Spinelli divenuto, nel frattempo, cancelliere del Regno.
Morto improvvisamente, nel settembre 1384, Luigi I lasciando insoluta la questione napoletana, il C. restò ancora per un certo periodo al servizio di Maria di Bretagna, moglie del defunto duca, alle prese con gravi problemi politici e finanziari. Da lei nell'agosto 1385 fu incaricato, assieme al signore di Murles e a Enrico di Sailleville, di portare a Venezia la somma di 20.000 franchi destinati alla gente d'armi del Regno. Giunto in Lombardia il C. vi si fermò; la sua milizia francese era conclusa ed egli rientrava apertamente al servizio visconteo adoperandosi, probabilmente, per portare anche lo Spinelli alla corte di Pavia.
Qui la posizione di Gian Galeazzo dopo la cattura di Bernabò e dei figli Rodolfo e Ludovico si era ormai stabilmente rafforzata, ma egli aveva ancora da temere le legittime rivendicazioni di Carlo e Mastino, gli altri figli di Bernabò, sfuggiti alla congiura del 6 maggio 1385. Si capisce, così, l'importanza dell'atto di riconciliazione stipulato dal C., in nome di Gian Galeazzo, con Carlo Visconti il 19 sett. 1391: a Venezia nella chiesa, ora scomparsa, di S. Maria dei Crociferi. L'atto che concludeva lunghe trattative condotte dallo stesso C. sanciva, tra l'altro, che lo spodestato erede di Bernabò stabilisse la sua dimora in Baviera e che per il fedele adempimento delle condizioni stabilite desse in pegno al C., che agiva in qualità di procuratore del conte di Virtù, tutti i suoi beni presenti e futuri.
Fu questo un periodo molto denso di attività per il C. divenuto cancelliere di Gian Galeazzo; negli anni 1392-97 compì varie missioni di rappresentanza in Stati vicini, soprattutto nella Repubblica veneta, e pose la sua sottoscrizione sotto molti atti ducali riguardanti sia questioni interne sia i rapporti tra Milano e le potenze amiche.
Erano, questi, rapporti oltremodo delicati in un momento in cui gli ambiziosi progetti viscontei destavano inquietudini e preoccupazioni tra le maggiori potenze dell'Italia centro-settentrionale unitesi a Bologna nel 1392 in una lega offensiva e difensiva. Dal canto suo Gian Galeazzo rispondeva cercando di procurarsi l'adesione della Francia il cui appoggio non solo avrebbe garantito il confronto con le forze dei confederati, ma sembrava anche quello più facilmente raggiungibile sia per i rapporti di parentela che legavano Visconti e Orléans - Valentina Visconti aveva sposato Ludovico d'Orléans fratello di Carlo VI re di Francia - sia perché era interesse della Francia mostrarsi amica dell'unico Stato italiano disposto a sostenere la causa dell'antipapa Clemente VII. I negoziati per un'alleanza franco-milanese durarono circa tre anni e vi concorsero, ma inutilmente, i più avveduti diplomatici del tempo, primo tra tutti lo SpineIli giunto a Parigi nel novembre 1392.
Alla fine del 1393 il C. era a Parigi insieme con Andreolo Arisi e Bertrando Rosso con l'incarico di sottoporre al re di Francia un nuovo schema di trattato capace di indurre il sovrano ad un'azione in territorio italiano che avrebbe favorito sia la politica di Gian Galeazzo sia il progetto francese di porre il papa avignonese sulla cattedra di Pietro. Il soggiorno dello Spinelli e del C., accesi clementisti, in terra francese fu lungo e la loro azione dovette essere partecipe e calorosa; lo testimonia l'epistola esortatoria che il poeta vicentino Antonio Loschi, segretario del Visconti, indirizzò loro il 23 ott. 1394 per inneggiare alla venuta, che sembrava prossima, del duca d'Orléans. Ma nonostante la sperimentata capacità, questa volta gli ambasciatori viscontei fallirono l'impresa e tornarono in patria senza la tanto vagheggiata alleanza.
Anche in Italia, peraltro, la situazione era tale da richiedere il loro accorto intervento; l'azione antiviscontea di Firenze, seppure mascherata da formali rapporti diplomatici, era divenuta, infatti, sempre più pressante e capace di raccogliere larghi consensi tra cui quello, importantissimo, della Francia convinta a concludere il 29 sett. 1396 una coalizione che ribaltava quella auspicata poco prima da Gian Galeazzo. La formazione della lega franco-fiorentina e i sondaggi di Firenze per coinvolgere apertamente anche Venezia nell'alleanza preoccupavano non poco il duca e i suoi timori sembrarono doversi acuire quando il 21 marzo 1398 i procuratori veneziani stipularono l'accordo definitivo con la lega. Ma il patto si sarebbe potuto risolvere, e così fu, anche in un beneficio per il Visconti; in esso, infatti, veniva riconosciuta una netta posizione di predominio di Venezia che, sola, avrebbe avuto il diritto di continuare la guerra, fare tregua o stabilire pace. Accordarsi con Venezia, da parte sua favorevole alla conservazione dell'equilibrio esistente, significava perciò cautelarsi dal pericolo franco-fiorentino - il conte Bernardo d'Armagnac era già pronto per una spedizione in Italia - e in questa direzione si mossero Gian Galeazzo e i suoi diplomatici.
L'11 maggio 1398 nella cappella di S. Maria Nuova a Porta Lodigiana in Pavia il C. e altri inviati viscontei assistettero alla stipulazione di una tregua, valida dieci anni, tra il loro signore, Venezia e tutti gli altri Stati collegati e aderenti: questa è l'ultima notizia pervenuta sulla vita e l'attività del Cavalli.
Fonti e Bibl.: G. De Mussis, Chronicon Placentinum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script.,XVI, Mediolani 1730, col. 514; Benvenuto di San Giorgio, Historia Montisferrati..., ibid., XXIII, Mediolani 1733, col. 584; Antonii de Luschis Carmina quae supersunt fere omnia, Patavii 1858, pp. 7-11; L. Osio, Documenti diplom. tratti dagli archivi milanesi, I, Milano 1864, p. 184; I libri commemor. della Republica di Venezia, a cura di R. Predelli, III, Venezia 1893, pp. 214, 240,258; Journal de Jean Le Fèvre évêque de Chartres, a cura di H. Moranvillé, Paris 1887, pp. 36 s., 155; I registri dell'ufficio di provvis. e dell'ufficio dei sindaci sotto la dominaz. viscontea, a cura di C. Santoro, Milano 1929-1932, ad Indicem;B. Corio, Historia di Milano, Venezia 1565, p. 632; G. B. Verci, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, XV, Venezia 1790, p. 71 doc. n. MDCCLIX; F. Gabotto, L'età del Conte Verde in Piemonte (1350-1383), in Miscell. di storia ital., s. 3, XXXIII (1895), p. 208; E. Jarry, Les origines de la domination française à Gênes, Paris 1896, pp. 105, 162; G. Romano, Niccolò Spinelli da Giovinazzo...,in Arch. stor. per le prov. napol., XXVI (1901), in partic. pp. 39, 420 s., 507,518; D. Muratore, Arbitrato del Conte Verde sul passaggio di Cuneo, Mondovì e Cherasco a Galeazzo II Visconti, in Arch. stor. lomb., s. 4, VI (1906): alle pp. 255-259 dà l'edizione del documento 28 giugno 1366 sottoscritto dal C. e ne riproduce il segno tabellionale; M. Brunetti, Nuovi docum. viscontei tratti dall'Archivio di Stato di Venezia, ibid., XII (1909), pp. 21 s.; F. Cognasso, Il Conte Verde, Torino 1930, p. 200; Id., L'unificaz. della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, p. 474; Id., Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, ibid., VI, Milano 1955, p. 10.