CAVALLINO
Insediamento indigeno di età arcaica, di cui è ignoto il nome antico; i notevoli resti si trovano nella vasta pianura di Lecce, a qualche chilometro di distanza dagli abitati messapici e romani di Rudiae e di Lupiae, intorno all'attuale paese di Cavallino. Il sito fu identificato, già alla fine del secolo scorso, da Sigismondo Castromediano e da Cosimo De Giorgi.
Le prime indagini sistematiche si sono avute di recente, dal 1964 al 1967; a esse è seguita la ripresa degli scavi, dal 1975 al 1982. Alle ricerche che fanno di C., insieme a Monte Sannace e a Vaste, uno degli insediamenti meglio indagati della Puglia anellenica, non corrisponde tuttavia un analogo impegno di tutela e di conservazione: i livelli archeologici dell'abitato arcaico, ancora di proprietà privata, appaiono oggi progressivamente distrutti dalle intense attività agricole.
L'impianto insediativo messo in luce dalle recenti ricerche si estende su un'area di 69 ha, racchiusa da una fortificazione lunga 3.100 m. Le strutture antiche si impiantano sul banco di calcarenite («pietra leccese») che ha un andamento in pendenza verso S, con vasti affioramenti nei quali appare scavato il fossato, largo in media m 3,50 e profondo m 2,50, che costituisce anche uno straordinario esempio di cava arcaica per l'estrazione delle pietre usate nella fortificazione. Le mura di cinta hanno in genere uno spessore variabile tra 3,50 e 4 m, con un paramento esterno a grossi blocchi, alcuni poligonali, altri sbozzati a forma di parallelepipedo, e uno interno a pietre di dimensioni minori; il riempimento è costituito da gettate di terra, pietre e schegge di calcare secondo una tecnica presente in altre cinte del Salento, in quella arcaica dei Fani (Salve) e nelle mura di Vaste, datate alla prima età ellenistica.
L'impianto arcaico di C., a cui appartiene la fortificazione, si sovrappone a più antichi insediamenti: il primo, concentrato nella zona Ν in corrispondenza delle quote più alte, è costituito da un villaggio a capanne dell'Età del Bronzo, che si estende oltre la linea delle mura e che è tagliato dallo scavo del fossato arcaico. In vari punti si sono individuate tracce di capanne di pianta ovale con muretti perimetrali in pietre a secco e buchi nel banco roccioso per i pali che sostenevano l'alzato e la copertura di rami e frasche. Abbonda la ceramica d'impasto riferibile a ciotole, grandi vasi con decorazione sull'orlo, attingitoi, bollitoi e colini, secondo repertori tipologici che permettono di riferire l'abitato al Protoappenninico B, fase iniziale del Bronzo Medio, datata al XVI-XV sec. a.C.
Soltanto nella prima Età del Ferro è possibile riconoscere una continuità insediativa, mentre piuttosto rari sono i reperti della prima metà dell'VIII sec. a.C.; l'occupazione del sito si intensifica a partire dalla seconda metà del secolo, con l'impianto di capanne, in genere a pianta ovale o absidata, sparse in quasi tutta l'area che verrà occupata dall'abitato arcaico.
Si tratta di un modulo insediativo diffuso nell'area salentina, attestato anche da ritrovamenti di ceramica iapigia geometrica nella vicina Rudiae e nell'area del centro storico di Lecce, che corrisponde a una fase di notevole incremento demografico che investe la Puglia meridionale e che si prolunga senza sostanziali modifiche nel corso del VII sec. a.C. Un carattere particolare acquistano le produzioni ceramiche dipinte, riferibili al Tardo Geometrico iapigio (seconda metà dell'VIII sec. a.C.) in cui i motivi di tradizione protogeometrica si fondono con gli elementi decorativi greci, in particolare di matrice corinzia. Anche nelle fasi subgeometriche (VII sec. a.C.) abbondano a C. ceramiche del tipo matt-painted, caratterizzate dall'adozione e dal largo uso della bicromia in decorazioni in cui si affermano motivi curvilinei e a cerchi concentrici, forse di provenienza cretese e greco-orientale. Accanto alle produzioni locali, largamente attestate appaiono anche le ceramiche d'importazione, riferibili al Tardo Geometrico greco e al Protocorinzio: vasi potori legati all'uso del vino, come le kotýlai tipo Aetos 666 o le coppe di Thapsos, forme chiuse come le oinochòai, anfore commerciali corinzie di tipo A. L'abitato iapigio di C. appare legato a quei fenomeni di frequentazione commerciale greca della costa adriatica del Salento, che gli scavi di Otranto hanno largamente documentato anche se con un più ampio arco cronologico che raggiunge le fasi del Medio Geometrico greco, nella prima metà dell'VIII sec. a.C.
Con la costruzione della cinta difensiva, verso la metà del VI sec. a.C., l'abitato di C. assume caratteri più complessi che potremmo definire «protourbani». Una serie di assi stradali a raggiera, dalle numerose porte, confluisce verso un punto centrale nelle vicinanze della Cupa, una dolina verso cui convergono anche le canalizzazioni di drenaggio accuratamente scavate nel banco calcareo o costruite in blocchi squadrati. In quest'area una zona ampia, pavimentata come le strade con un battuto di calcare sbriciolato («tufina») e frammenti di tegole pressate, è stata interpretata come una grande piazza «pubblica». Un particolare rilievo assume il percorso stradale N-S che esce dall'abitato attraverso la porta di NE, ricavata in corrispondenza di uno sfalsamento dell'asse murario e della interruzione del fossato, con un vano in cui sono ancora visibili gli incassi per i battenti della porta lignea, i paracarri, i grandi stipiti squadrati monolitici. Lungo questi assi stradali si dispongono, secondo un piano che presenta elementi di ortogonalità, i quartieri di abitazione con case a pianta complessa, ambienti organizzati intorno a un cortile centrale, fondazioni in blocchi squadrati, alzato in piccole pietre a secco, legate da un impasto argilloso, copertura di tegole. La zona Ν viene racchiusa da due cerchie interne nella stessa tecnica costruttiva della fortificazione più ampia e, a giudicare da indizi significativi, della stessa cronologia. Il rinvenimento di elementi architettonici decorati in «pietra leccese», purtroppo in giacitura secondaria, permette di ipotizzare la presenza di edifici «pubblici» legati al ruolo rappresentativo delle aristocrazie messapiche ellenizzate alle quali si può attribuire la complessa trasformazione dell'insediamento in età arcaica. Agli stessi edifici appartengono le sime fittili policrome decorate a kýma dorico e spirali a rilievo, certamente importate da Corfù. Alla presenza di artigiani specializzati nell'attività edilizia (cavatori, scalpellini, falegnami) si affianca un artigianato ceramico sempre più articolato a cui si riferisce il ritrovamento di fornaci di tipo greco a pianta circolare e piano forato, per la produzione di tegole (alcune sono iscritte). Si diffonde l'uso del tornio e l'introduzione di forme e decorazioni greche (ceramiche a fasce) mentre l'intensificarsi degli scambi commerciali è documentato dall'abbondanza delle importazioni elleniche: coppe ioniche, kýlikes attiche tipo C, vasi a figure nere, laconici, corinzi, anfore commerciali ioniche e corinzie di tipo B. Abbondano anche i documenti della scrittura, dipinti prima della cottura oppure graffiti sui vasi, incisi sulle piramidette fittili, sulle lastre tombali e sui cippi votivi, rinvenuti in corrispondenza delle porte urbiche.
Le sepolture sono presenti sia all'interno che all'esterno della cinta dove si dispongono con regolarità ai lati di assi stradali in fosse scavate nella roccia. Quelle contenenti i più ricchi corredi si riferiscono al V sec. a.C. e si concentrano lungo il dislivello del piano roccioso che corre sull'asse E-O al centro dell'abitato; alcune tombe, come quelle rinvenute in Via Regina Margherita, sono caratterizzate da preziosi corredi convasi di bronzo e ceramica figurata attica. Tra la seconda metà del VI sec. a.C. e il primo trentennio del secolo successivo è databile la tomba della zona Asilo con sei deposizioni entro una profonda fossa scavata nella roccia. Può essere riferita a un unico nucleo familiare in cui la composizione dei corredi maschili (cratere, coppa, brocchetta- attingitoio) e femminili (trozzella e coppetta monoansata per libagioni) e la mancanza di oggetti preziosi documentano l'importanza di uno strato sociale «medio», legato allo sfruttamento agricolo del territorio, a cui fanno riferimento anche le case di abitazione, organizzate secondo schemi planimetrici modulari, molto diverse dalle strutture residenziali più ricche e complesse delle aristocrazie indigene.
Entro il primo trentennio del V sec. a.C. l'insediamento di C. appare investito da una violenta crisi che ne provoca l'abbandono: le mura vengono demolite in un arco di tempo ristretto, i cippi spezzati volontariamente e gettati nei fossati, le cisterne riempite, le case recano tracce di incendio. Successivamente, dal V al III sec. a.C., le attestazioni sono sporadiche, in genere riferibili a sepolture, scavate nei crolli degli edifici arcaici, che indicano come ormai l'area della città abbandonata doveva far parte del territorio di centri come Rudiae o Lupiae che in età classica ed ellenistica conobbero una notevole fioritura.
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