ROCCATAGLIATA CECCARDI, Ceccardo
– Primogenito di Lazzaro Jacopo Roccatagliata, piccolo proprietario di umili origini genovesi, e di Giovanna Battistina Ceccardi, di nobile famiglia originaria del borgo lunigianese di Ortonovo, nacque a Genova il 6 gennaio 1871. La coppia ebbe altri tre figli: Rinaldo (nato tra il 1872 e il 1874), Valentina (1875) e Luigi (1878).
A causa degli aspri rapporti tra i genitori, ancora bambino Ceccardo andò a vivere con la madre nel palazzo gentilizio di Ortonovo. Ottenuta la licenza ginnasiale presso il collegio delle missioni di Sarzana, continuò gli studi presso il liceo classico Pellegrino Rossi di Massa per poi diplomarsi come privatista al liceo Andrea D’Oria di Genova. A diciassette anni si innamorò, senza essere corrisposto, dapprima di Emilia Novella, per la quale provò a suicidarsi con la pistola del nonno materno, poi di Emilietta Venturini. Nel 1892 venne costretto dai genitori a intraprendere gli studi giuridici, che tuttavia subito abbandonò. La morte della madre, sopraggiunta il 27 novembre di quell’anno, destinò la famiglia alla miseria.
Nel 1894, dopo avere assistito, ai primi di marzo, alla partenza da Massa dei contestatori condannati per aver partecipato ai recenti moti rivoluzionari in Lunigiana, pubblicò un opuscolo (Dai paesi dell’anarchia. Impressioni sui moti del 1894 nel Carrarese, Genova 1894) in difesa dei cavatori lunigianesi che si ispiravano all’anarchico pugliese Carlo Cafiero. Seguì, subito dopo, il Libro dei frammenti (Milano 1895) con significative derivazioni dal simbolismo francese, soprattutto Paul Verlaine del quale Ceccardi fu tra i primi cultori in Italia. In quell’anno divenne membro del Cenacolo di Sturla, formato da giovani artisti impetuosi che si cimentavano in diatribe e in duelli (Roccatagliata si batté tre volte contro il marchese Ollandini di Sarzana, Luigi Becherucci e Alessandro Varaldo). A ventisei anni s’invaghì della giovanissima Gemma Catalani e cominciò a collaborare a Lo Svegliarino di Carrara, giornale di orientamento repubblicano, che diresse nel biennio 1896-97.
I primi articoli e alcuni versi, sensibili alla metrica tradizionale di conio carducciano e ispirati da immagini dannunziane e pascoliane riflesse nelle vicende dell’infanzia in terra ligure-lunigianese, apparvero nel quotidiano politico L’Elettrico, La Gazzetta del popolo della domenica di Torino, La Gazzetta letteraria e, a partire dal 1901, su Il Caffaro. Le sue poesie, dal carattere essenziale e adamantino, ebbero parte di rilievo nella formazione del linguaggio poetico novecentesco, in particolare sull’opera di Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo. Nel 1898 uscirono nella Gazzetta genovese le Lettere di crociera (poi, a cura di P. Zoboli, Genova 1996), diario di un giovane navigante contemplatore della costa ligure colta in una dimensione senza tempo.
Il nuovo secolo si aprì per Roccatagliata con la tragica morte del padre, probabilmente suicida. Nominato critico d’arte del locale quotidiano Il Popolo, si trasferì per un breve periodo a Firenze e all’attività di poeta fu quindi costretto ad affiancare quella di giornalista militante. Il 10 settembre 1901 sposò Francesca Giovannetti, stiratrice, originaria di Sant’Andrea Pelago. Fu un matrimonio travagliato, inviso alla famiglia della sposa che si mostrò sempre ostile al poeta tanto da indurlo ad abbandonare il tetto coniugale il 25 maggio 1906.
Nella tarda primavera del 1902, fu imputato (poi assolto) in un processo per eccesso di legittima difesa, relativamente a un fatto risalente al 1897. Il 4 giugno 1902 il fratello Luigi, arruolato nella Guardia di finanza, morì vittima di un’epidemia di tifo a Frizzon, piccolo paese delle Alpi Retiche. L’11 ottobre 1902 nacque il figlio Tristano Edoardo Lazzaro, battezzato all’insaputa del padre il 12 dicembre 1903. Fu in quello stesso periodo che cominciò a collaborare con il giornale socialista Il Lavoro e strinse amicizia con Angiolo Silvio e Mario Novaro che gli chiesero di diventare collaboratore stabile della Riviera ligure. Sempre nel 1903 seguì l’Esposizione internazionale di Venezia per conto della rivista genovese La Vita nova in cui, tra l’altro, pubblicò violenti articoli per accusare i «perniciosi restauri» dei capolavori di Antoon van Dyck presenti nella galleria di Palazzo Rosso di Genova. Tale denuncia gli valse il licenziamento dal periodico.
Il tema del viandante solitario, coniugato al mito della Versilia e dei paesi apuani, è qualificante di tutta l’opera ceccardiana quale concentrato di classicità e simbolismo, attestandosi anche nelle poesie di questo periodo raccolte con il titolo Il viandante: dodici sonetti con la copertina di Edoardo De Albertis (Torino-Genova 1904) e Apua Mater, sonetti con note storiche (Lucca 1905; poi Napoli 1906 e Parma 1909).
Significativa, nel 1905, con i migliori auspici per il destino della Patria, è la fondazione del ‘Manipolo d’Apua’, di cui Ceccardi si autoproclamò ‘generale’, un gruppo di amici dedito ad avventure goliardiche (le ‘apuanate’) cui afferirono diciassette membri, tra cui Giuseppe Ungaretti, Lorenzo Viani ed Enrico Pea, contraddistinti da un ruolo e da un titolo specifico. In quel periodo Ceccardi si avvicinò temporaneamente al Futurismo, grazie all’incontro con Gian Pietro Lucini, e pubblicò alcuni versi nella rivista Poesia fondata da Filippo Tommaso Marinetti.
Il 23 settembre 1906 celebrò con un’orazione pubblica il seicentesimo anniversario del soggiorno di Dante nell’alta Valle Lunigiana, presso i Malaspina marchesi di Mulazzo, e nell’ottobre 1907 scrisse la lapide commemorativa della morte di Percy Bysshe Shelley dell’8 luglio 1822, murata sul palazzo Magni-Maccarani di San Terenzo, pronunciando altresì il discorso Il poeta del liberato mondo al teatro Goldoni di Lerici (Genova 1908). Nel maggio del 1908 Ceccardi conobbe Gabriele D’Annunzio al Portofino Kulm, durante una ‘maggiolata’ organizzata in occasione della messa in scena della Nave al teatro Carlo Felice di Genova. Alla fine di quell’anno ottenne dalla Municipalità genovese l’incarico di tradurre in italiano gli Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori: anni 1099-1163 (Genova 1923), lavoro postumo completato dal latinista Giovanni Monleone.
Il 29 aprile 1910 apparve Sonetti e poemi (Empoli 1910), che raccoglieva eleganti elegie e versi epico-civili composti tra il 1898 e il 1909 e che fu un successo di pubblico e di critica. Nel dicembre del 1912 venne nominato segretario del Congresso sull’unione delle Regioni liguri-apuane tenuto a La Spezia. L’alcolismo ormai cronico fu una delle cause che, il 2 gennaio 1914, lo costrinsero a ricoverarsi all’ospedale Galliera di Genova per un esaurimento nervoso, aggravato dalla poliartrite uricemica di cui soffriva da tempo. Il Corriere della sera e Il Lavoro promossero una sottoscrizione pubblica a livello nazionale per aiutarlo a pagare le spese. Il 14 maggio 1914 fu imputato (poi assolto) presso il tribunale di Pavullo in un secondo processo per violenza al patrimonio di un possidente terriero di Sant’Andrea Pelago, in riferimento a un episodio avvenuto nel gennaio del 1913.
L’idea di stampare in volume le poesie successive al 1909 venne appoggiata già nel 1914 dai suoi amici intellettuali che si erano rivolti a Treves. Tuttavia l’editore accettò di pubblicarlo solo dopo la fine della Grande Guerra. Il libro, uscito postumo senza ottenere un grande successo, venne intitolato Sillabe ed ombre 1910-1919 (Milano 1925) e ospitò i frutti di una versificazione assai più breve e meno subordinata alla prosodia classica.
Il 12 gennaio 1915, alla stazione di Pisa, Ceccardi porse l’ultimo Saluto a Costante Garibaldi (Genova 1915), eroe delle Argonne. Durante il periodo bellico si acuirono in lui lo spirito patriottico e la passione nazionalistica, come traspare dal discorso pronunciato in varie città italiane, tra gennaio e febbraio 1915, intitolato Latinità, madre di leggi e di eroi e da quello di ringraziamento, letto in palazzo San Giorgio il 6 maggio, in risposta al celebre discorso di D’Annunzio recitato sullo scoglio di Quarto, per l’inaugurazione del monumento ai Mille. Il 20 dicembre 1915, al teatro Regio di Parma, Roccatagliata declamò il discorso Per l’ultimo figlio spirituale di Giuseppe Mazzini dedicato al nome e al sacrificio di Guglielmo Oberdan. Il 2 agosto 1916 al teatro Carlo Felice tenne la lezione storica antitedesca La disfatta di Arminio, sulla sconfitta del condottiero dei Cherusci per opera delle truppe romane di Germanico (16 d.C.). Alla fine del 1915 scrisse il libretto Don Chisciotte (Genova 1916), per l’opera di Guido Dall’Orso andata in scena il 4 marzo 1916 al teatro cittadino genovese con esito deludente.
Tra i fondatori del fascio anticlericale di Ortonovo, dopo l’iscrizione al Partito repubblicano e alla massoneria, avvenuta nel 1916, frequentò le logge Trionfo ligure a Genova e Anacarsi Nardi a Carrara. Alla sua attività di compilatore di discorsi patriottici affiancò quella di saggista, pubblicando nel 1916 due scritti sul suo idolo, Napoleone Bonaparte, intitolati I dialoghi dei morti a Longwood (in La Tribuna, 13 aprile 1916) e Chiaroscuri politici di un secolo fa (11 maggio 1916). Il 25 marzo 1917 a La Spezia e il 29 maggio dello stesso anno a Genova, lesse l’appassionato discorso Da Orsini a Oberdan; in una conferenza successiva, rese pubblico elogio alla brigata Liguria, pronunziando l’orazione La Liguria alla sua Brigata di fanti: 157° e 158° reggimento (Genova 1917).
Il 24 gennaio 1918 morì improvvisamente la moglie Francesca. Il 17 dicembre di quell’anno il poeta fece testamento presso il notaio Pianavia di Carrara. Dopo essersi invaghito della giovanissima Maria Stefani, nell’ottobre del 1918 si avvicinò alla maestra Sidonia Serponi, cui dedicò le Elegìe del demone meridiano confluite in Sillabe ed ombre.
L’attività di insegnamento di Ceccardi fu piuttosto tormentata: nel 1918 gli venne conferito l’incarico di docente di lettere e storia presso il liceo di San Remo, ma perse il posto per essersi presentato in ritardo. Quindi venne chiamato a insegnare lingua italiana presso l’istituto tecnico Macedonio Melloni di Parma, dove venne ammonito per la complessità delle lezioni offerte. Nel 1919 venne nominato al liceo classico di Senigallia, dove non prese servizio, e all’istituto di Sampierdarena. Venne incaricato, inoltre, dal sindaco di Carrara Edgardo Lami Starnuti di riordinare gli archivi Pietro Andrei.
Nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1919 morì per una trombosi cerebrale subito dopo il ricovero all’ospedale Pammatone di Genova. Secondo la volontà espressa nel testamento, sulla semplicissima lapide venne incisa l’iscrizione «Hic constitit viator» (Qui si fermò il viandante).
Opere. Oltre a quelle citate, In morte di due bimbi innamorati, Genova 1901; Nel primo compleanno del mio bimbo, Carrara 1903; Il principe di Roma: ode, Sarzana 1904; Dalla Torre di Mulazzo. “Apua Giovane”, Lucca 1906; Per un brindisi di Guglielmo imperatore, Genova 1906; Per una nave di battaglia: ode, Genova 1907; Quando tornerà Garibaldi? e In morte di mio fratello, Genova 1908; Elegìa nuziale. Nozze Mucci-Vandini, La Spezia 1912; Colloqui d’ombre. Tutte le poesie (1891-1919), Genova 2005.
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