MICHELOTTI, Ceccolino
– Figlio di Michelotto di Tebaldo e di Baldina, di cui non è noto il casato, nacque a Perugia forse nel 1353. Fratello di Biordo, Sighinolfo ed Egano, al pari dei suoi familiari militava nella fazione popolare cittadina detta dei raspanti.
Nelle fonti è ricordato per la prima volta il 5 giugno 1393 quando occupò la rocca di Castel della Pieve (ora Città della Pieve). Il 22 agosto dello stesso anno, partecipe dell’affermazione in patria del fratello Biordo, fu esentato da ogni onere reale e personale, mentre nell’estate 1396, tornato a Perugia con 1200 cavalli da una condotta esercitata nel Regno di Napoli, ricevette dal Comune 1000 fiorini. Nell’aprile 1397, con un suo contingente di armati era al servizio del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti contro Firenze, ma fu richiamato da Biordo. Morto quest’ultimo, il M., ritenuto dai magistrati perugini «homo molto subito et terribile» (Cronaca della città di Perugia …, p. 266), fu invitato a restare a Todi, affidatagli dal fratello nel marzo 1398; non di meno scortò fino alle porte di Perugia la madre e la cognata Giovanna Orsini, desiderose di partecipare alle esequie.
La fine di Biordo, ucciso da esponenti della sua stessa fazione, dissuase per sempre il M. da mire di dominio su Perugia. Il 26 maggio 1398 da Todi mosse per soccorrere i concittadini assaliti dai nobili fuorusciti, fra cui ormai primeggiava Braccio da Montone (Andrea Fortebracci), e dai mercenari di Bonifacio IX, deciso a riavere le terre che erano state occupate da Biordo. Le trattative di pace fra Perugia e il papa – nel corso delle quali il M. non rinunciò a trattare per la città l’ingaggio di Paolo Orsini – si conclusero nel luglio con la mediazione di Firenze.
Le condizioni prevedevano, fra l’altro, il pagamento di una grossa somma da parte di Perugia e il passaggio alla stessa di Assisi e Trevi, in possesso dei Michelotti, in vista di un successivo trasferimento di queste alla Sede apostolica.
L’ulteriore avvicinamento di Perugia a Firenze e al pontefice, avvenuto nel maggio 1399, impose la pace fra i Michelotti e i Trinci di Foligno per lungo tempo nemici e contrapposti. Il M., cedendo alle preghiere dei Priori perugini e degli ambasciatori fiorentini, che lo lusingarono con prospettive d’ingaggio, accettò di pacificarsi, ma pretese dai Trinci un risarcimento per danni di 3600 fiorini, che fu versato da Perugia cui premeva la distensione. La successiva concessione del vicariato su Castel della Pieve e Gualdo, del dicembre 1399, rappresentò il tentativo del papa di legare a sé i Michelotti, e in primo luogo il M., riconoscendo loro un ruolo ancora importante nel tessuto politico umbro.
L’accostamento a Firenze, accettato per contenere nel breve l’aggressività dei Pontifici collegati con i fuorusciti, non impediva nel frattempo ai Perugini di intavolare trattative più compromettenti con Gian Galeazzo Visconti, da tempo impegnato nell’estendere le conquiste in Toscana ai danni di Firenze, a sua volta così insidiosa per Perugia. La vendita di Pisa (febbraio 1399) e la dedizione di Siena sempre a Gian Galeazzo, avvenuta nel mese di novembre, fecero ritenere inevitabile anche la dedizione di Perugia: gli aiuti militari ed economici offerti da Gian Galeazzo consentirono infatti alla città di difendersi dai Pontifici e dai banditi e di impedire le intromissioni di altre potenze, verso le quali era fortemente indebitata. La dedizione di Perugia si realizzò formalmente il 19 genn. 1400 con la pronuncia del Consiglio generale cittadino e fu presto compensata con l’assegnazione di lance e denari.
Il 20 gennaio a portare in piazza lo stendardo ducale fu lo stesso M., riconosciuto artefice dell’intesa anche nei capitoli di sottomissione, che obbligavano il Comune a conservare a lui e ai fratelli i privilegi un tempo condivisi con Biordo. La disponibilità di armati consentì nel marzo al M. di riprendere Assisi, Spello, Bastia e la Rocca di Casalino, già possesso dell’abate Francesco Guidalotti, responsabile dell’uccisione del fratello.
Nel maggio 1401 il M., ancora a capo di Perugini e di mercenari ducali, presidiava Spello e, nel settembre, recuperava Collepino con l’esborso di 1400 fiorini. All’inizio del 1402, valutato come capo di compagnia, ottenne dal Comune perugino una condotta remunerata con 1422 fiorini mensili, svolgendo la quale perse il controllo di Nocera, occupata e saccheggiata dai mercenari pontifici guidati da Conte da Carrara, da Mostarda della Strada e da Marino Tomacelli, fratello del papa e rettore del Ducato. Quando, nel settembre di quell’anno, morì Gian Galeazzo, al M., ancora al suo soldo, furono richieste 50 lance dai concittadini, preoccupati di riorganizzare la difesa. Nel maggio 1403, il M. con 1200 cavalieri al servizio di Caterina Visconti, reggente del Ducato, fu sconfitto insieme con Ottobuono Terzi da Parma dai Pontifici e soprattutto da Braccio, con la conseguente perdita di Assisi e delle relative rocche. Per rimediare alla difficile situazione militare ed economica i Perugini chiesero inutilmente alla duchessa di promuovere suo luogotenente a Perugia il Michelotti.
La rinuncia da parte di Caterina al dominio dei territori umbri, avvenuta nel settembre 1403, indusse Perugia a cercare con il pontefice un modus vivendi, che escludesse in primo luogo il rientro in patria dei banditi: a trattare con Giannello Tomacelli, capitano generale delle truppe pontificie, fu il M. che, ottenuto l’accordo, guidò sul finire dell’anno anche la missione incaricata di onorare il papa, ottenendo per sé e per i familiari vari benefici.
Ai Michelotti fu garantito il possesso di Bastia con i molini e le fortificazioni finché la Camera apostolica non avesse restituito loro le somme a suo tempo investitevi da Biordo; la sposa del M., Ludovica di Cante Gabrielli, fu reintegrata nei diritti riguardanti il castello di Biscina nei pressi di Gubbio, assegnatole dal padre; fu inoltre garantito il trasferimento entro quattro mesi del vescovo Odoardo Michelotti dalla diocesi di Chiusi a quella di Perugia e si confermarono i donativi e le esenzioni fiscali concessi ai Michelotti da Perugia; ma soprattutto, il 12 febbr. 1404, fu confermato a Sighinolfo, a Egano e al M. il vicariato per ventinove anni su Castel della Pieve e Gualdo, con il censo simbolico di due fagiani e d’un cane «da rete».
Morto a Roma Bonifacio IX (1° ott. 1404), il M. prese in consegna le fortezze di Spello, Cannara e Coldimancio per volontà dei magistrati cui le aveva affidate Giannello Tomacelli. Una supplica, inoltrata dai Perugini a Innocenzo VII (Cosma Migliorati) all’inizio del 1405 perché dislocasse il M. a loro difesa, lo rivela al servizio del nuovo papa, quando questi, nel mese di agosto, fu costretto a fuggire a Viterbo per gli eccessi consumati a Roma dal nipote Lodovico Migliorati. In tale occasione il M. gli assicurò la scorta nel corso della fuga; proprio lungo il tragitto scoprì ed uccise uno dei Guidalotti responsabili della morte del fratello Biordo. Il 21 agosto, a tacitazione di 9000 fiorini di stipendio, ottenne Cannara. Ambasciatori perugini, fra i quali il fratello del M., Sighinolfo, invitarono il papa a trasferirsi nella loro città e pregarono il M. di prodigarsi allo scopo. Nel marzo 1406 egli era a Fratta (Umbertide) per contrastare Braccio che, sceso a San Sepolcro dopo aver razziato la Romagna, per ferocia e fama era ormai un punto di riferimento per tutti gli esuli perugini. Nel maggio il M. era a Roma: il 12 conquistava Castell’Arcione della famiglia Capocci e Porta Appia.
Nel gennaio 1407 un’ambasceria perugina supplicava il nuovo papa, il veneziano Angelo Correr salito al soglio pontificio con il nome di Gregorio XII (novembre 1406), di ricondurre il M. agli stipendi della Chiesa e di destinarlo alla difesa della città, disposta a contribuire a tale spesa con i 12.000 fiorini dell’appalto del Trasimeno; nel mese di maggio, però, la supplica non era ancora stata accolta. Nel luglio dello stesso anno, il timore d’un ritorno di Braccio dalla Marca impose l’istituzione d’una gabella sul macinato con cui remunerare per i successivi dieci mesi le 150 lance, ciascuna con 12 ducati, del M. e di altre compagnie. Nel marzo del 1408 il M. era ai confini della Marca per impedire a Braccio, nelle cui file militavano molti fuorusciti, il ritorno nel Perugino; non di meno nel mese d’aprile Fortebracci era nel contado di Todi al soldo e a disposizione del re di Napoli Ladislao d’Angiò Durazzo, intento a occupare di nuovo Roma e a programmare una spedizione contro Firenze. Il 28 maggio i Perugini, preoccupati per l’intesa di Braccio con Ladislao, decisero di offrire la città al re con la condizione principale che si impegnasse a proteggerla dai fuorusciti e il sovrano, il 5 giugno, accettò l’offerta che gli era stata presentata dal M. e da Onofrio Bartolini e delegò lo stesso M. e Giacomo Galgani, suo capitano, a prendere possesso della città.
Un capitolo dell’accordo, sottoscritto il 19 dello stesso mese, confermava al M. e ai suoi fratelli i luoghi posseduti, cui si aggiungeranno nel giugno 1409 Spello, Gualdo Cattaneo, Collemancio, dove il M. acquisì in seguito numerosi immobili per maggiormente radicare il suo dominio.
Una richiesta di aiuti inviata al sovrano di Napoli, nel gennaio 1410, rivela che le compagnie, per altro mal remunerate, del M. e di Angelo Broglio, detto il Tartaglia, assoldato in questa circostanza, non bastavano a difendere Perugia; in realtà il primo, anche con gli 800 cavalli inviatigli da Ladislao, non riuscì a recuperare Torgiano, prossima alla città e occupata da Braccio il 3 aprile. Le istanze inoltrate nel corso dell’anno al re confermavano il M. responsabile, questa volta con Berardo da Camerino, della difesa di Perugia e delle terre di famiglia. I 2500 cavalli di Alberico da Barbiano, i 500 di Conte da Carrara e i 600 del M. non bastarono a vincere il 3 ott. 1411 i Bracceschi nei pressi della Fratticciola di Todi. All’inizio del 1412 i Perugini sollecitarono nuovamente Ladislao, ma senza successo, ad assoldare in sostegno del M., costretto a subire attacchi quotidiani, il condottiere Carlo Malatesta o in sostituzione di questo Angelo Della Pergola. Nell’aprile il M. perdette Gualdo Cattaneo, occupata e venduta da Braccio ai Trinci. Nell’agosto, conclusa la pace tra Ladislao e il nuovo papa pisano Giovanni XXIII e scemati in tal modo gli attacchi dei fuorusciti già schierati con il papa, il M. risultava creditore di Perugia per una somma di 4000 fiorini, residuo di un credito di 36.000.
All’ottobre risale una convenzione che lo legava a Ladislao fino al successivo gennaio, grazie alla quale ricevette 1640 ducati. Il trasferimento di Braccio a Bologna consentì al M., forse nell’aprile 1413, di riprendere Nocera; nel maggio, con lo schieramento disposto da Ladislao, era all’assedio di Rocca Contrada, dominio di Braccio, difesa da Paolo Orsini. Il 4 novembre Ladislao rinnovava al M. una condotta per 300 lance e, per 50, al nipote Guido, figlio naturale di Biordo, mentre il 7 autorizzava il primo a rilasciare salvacondotti in sua vece. Sul finire dell’anno il M. era invocato da Attendolo Sforza (Muzio Attendolo), anch’egli al servizio di Ladislao, come garante d’una condotta in difesa di Perugia, per la quale furono sborsati 5000 fiorini.
Nella primavera del 1414, con l’avallo di Ladislao che aveva disposto l’assedio di Spoleto, il M. mosse contro Bettona. Il 1° luglio Ladislao, accolto l’invito rivoltogli da Sighinolfo Michelotti e Raniero Montemilini, era a Perugia dove contrasse la malattia o subì l’avvelenamento che nel successivo agosto lo condusse alla morte. La scomparsa del sovrano convinse i Perugini a promuovere, nel settembre di quell’anno, una nuova commissione dell’arbitrio di cui era membro Sighinolfo. Subito partirono da Perugia lettere credenziali per l’erede al trono di Napoli, la sorella di Ladislao, Giovanna II, perché confermasse come capitani il M. e lo Sforza e assicurasse loro il soldo concesso a suo tempo dal fratello.
Nella pace stipulata nel mese d’aprile 1415 fra Perugia e Marino Tomacelli, governatore del Ducato di Spoleto, era prevista la possibilità che il M., forse già di stanza nel Regno, prestasse servizio in favore della regina Giovanna II; nei territori durazzeschi doveva comunque trovarsi all’inizio del 1416, secondo Pellini «con molta onorata condotta» (II, p. 215), secondo Ammirato nel ruolo di viceré degli Abruzzi (VI, p. 373). Il ritorno di Braccio in Umbria, nella prima metà di aprile, spinse i Perugini a invocare il soccorso del M.; a sua volta Braccio, indotto ad anticipare l’azione per l’assenza di questo, sferrò nei primi di maggio contro Perugia un attacco che non si rivelò risolutivo solo per la resistenza eroica degli intrinseci; i quali, però, disperando di poter ancora resistere, decisero di offrire il comando della città a Carlo Malatesta che accettò, ma richiese anche la presenza del Michelotti. Nei primi giorni di luglio il M. lasciò Gualdo con cavalli e fanti per ricongiungersi ad Assisi con le compagnie di Malatesta; all’alba, dopo aver sostato a Spello, fu sorpreso da Braccio che sperava di averlo come facile bersaglio prima che si congiungesse con gli altri, e in questa circostanza non pochi dei suoi fuggirono. Il 12 luglio tra Collestrada e Sant’Egidio si svolse la grande battaglia campale che si concluse con la vittoria di Braccio e la cattura dei capitani al soldo di Perugia.
Il M. e il nipote Guido, segregati rispettivamente a Fratta e a Narni, furono trucidati nell’agosto 1419, dopo l’attacco di Ludovico Michelotti, concertato con il papa Martino V, contro Braccio.
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P.L. Falaschi