BAFFO, Cecilia
Nacque verso il 1525, figlia naturale di Niccolò Venier, signore dell'isola di Paro, e di certa Violante Baffo, della quale poco si conosce circa i rapporti con la omonima famiglia patrizia veneziana. La B. era dunque parente di Sebastiano Venier, che nel 1571 comandò la flotta veneziana a Lepanto e fu doge nel 1577-78.
L'isola di Paro nell'Arcipelago era entrata, in seguito a un matrimonio, in possesso della famiglia patrizia dei Venier, che la conservò fino al 1531, quando passò, per il matrimonio dell'altra figlia legittima di Niccolò Venier, che si chiamava anch'essa Cecilia, con Bernardo Sagredo, alla famiglia di costui.
Quando nel 1537 il corsaro ottomano, più tardi Beylerbey di Algeri, Khair ad-Dîn, detto Barbarossa, predò l'isola di Paro, la B., ancora in giovanissima età, cadde nelle sue mani e fu portata a Costantinopoli. Nell'harem del sultano Selîm II, figlio di Suleymân il Magnifico, fu scelta come favorita. Convertitasi all'Islam, prese il nome di Nûr Bânû, sotto, il quale è nota nella storia ottomana. Nel luglio del 1546 la B. dette alla luce il principe, più tardi sultano, Murâd III (lo stesso giorno in cui morì Khair ad-Dîn Barbarossa, cioè il 4 luglio).
Selîm II volle accertare l'origine patrizia della B., e nel 1558 apparve a Venezia un "ciavusc" (messo), il quale, col pretesto di acquistare armi, doveva assumere informazioni sul casato della moglie del sultano. Il Senato dette volentieri informazioni al riguardo, chiarì la discendenza della B. e rese noto che il gentiluomo Zuan Francesco Venier, vivente a Venezia, era un fratello del quondam Niccolò Venier e quindi lo zio della sultana.
Come assicurano i baili veneziani contemporanei (per es. Iacopo Soranzo e Marino Cavalli) nei loro dispacci da Stambul, Nûr Bânû aveva grande influenza sulle decisioni del suo sposo, il quale la considerava la sua favorita, "per la sua estrema bellezza come per essere d'intelletto rarissimo". La B. d'altro canto era particolarmente fiera del suo unico figlio, Murâd, e, come osservò il bailo Marino Cavalli nella sua relazione letta al Senato nel 1567, essa "ha scolpito queste parole in luoco d'arma, o insegna, che dicono: quella che ha portato nove mesi in corpo Amurat". Il Cavalli le attribuiva "molta auttorità" e riteneva che ella "potria esser instrumento di rimover dall'animo del Signore qualche sinistro pensiero che d'altra parte le fusse messo inanzi a maleficio delle cose di Vostra Serenità", cioè del doge P. Loredan.
È molto strano che i baili veneziani non abbiano mai menzionato prima del 1566 Nûr Bânû, la quale viveva a Stambul già da più di venti anni. Frequentemente essa invece viene menzionata nei rapporti più recenti, fino alla sua morte (per es. da Marcantonio Barbaro nel 1573, cfr. E. Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, s. 3, I, Firenze 1840, pp. 320, 362, 403).
Quando Murâd III, suo figlio, prese il posto del padre Selîm II, l'influsso della sultana-madre ("vâlide sultân"), come si chiamava ormai, non fu minimamente intaccato. Il bailo Paolo Contarini scrive in una sua relazione del 1583 (cfr. E. Alberi, III, Firenze 1855, p. 280) che Murâd III "teneva in gran rispetto e che molto ascoltava il consiglio della madre per la reverenza che le porta et per la stima che fa delle sue rare qualità et molte virtù".
La B. aveva un seguito numeroso di guardie del corpo, di eunuchi e confidenti, percorreva le vie con un corteo di venti carrozze, e gli ambasciatori stranieri presso la Sublime Porta gareggiavano nel regalarle cagnolini e cosmetici francesi. Un biglietto di suo pugno poteva decidere la nomina di un principe danubiano, di un patriarca, di un metropolita, di un flambulario. La sua più intima confidente sembra essere stata l'ebrea Ester Kira, la quale godeva di estese relazioni all'estero e di una straordinaria capacità di sfruttarle (cfr. J. H. Mordtmann, Die jüdischen Kira im Serai der Sultane,in Mitteilungen des Seminars für orientalische Sprachen, XXXII, Westasiat. Abteilung [1929], pp. 1-38).
Nûr Bânû si mostrò sempre ben disposta verso la sua patria d'origine e cercò con ogni mezzo di impedire l'insorgere di conflitti militari tra la Porta e la Serenissima. Era in rapporti con gli Stati italiani, come pure con Caterina de' Medici, la quale nel 1580 si rivolse a lei, con la preghiera di intervenire per il rinnovo delle capitolazioni.
Il 26 giugno 1582 il Consiglio dei Dieci decise di stanziare 2000 zecchini per regali alla sultana-madre. Con una lettera di ringraziamento che non si è conservata, la B. ricambiò inviando due preziose vesti per il doge. Nell'Archivio di Stato di Venezia si conserva invece un documento in lingua spagnola, accluso a un dispaccio del bailo Gianfrancesco Morosini dell'8 febbr. 1583, indirizzato da Ester Kira alla Signoria di Venezia, nel quale la confidente si vanta di essere consultata dalla sultana-madre "en todos los negocios" con i baili veneziani. Il 10 marzo 1583 il Senato in una lettera a Nûr Bânû espresse i suoi ringraziamenti e la pregò di interporre anche in futuro i suoi buoni uffici in favore della Serenissima. Nel maggio del 1583 la B. si adoperò presso il kapudan pascià e presso il governo del Cairo perché i sudditi veneziani fossero rispettati per mare e per terra. Dopo di che il Senato stanziò ancora 2.000 ducati per regali alla sultana-madre di Turchia.
Ma gelosie e intrighi di corte già cominciavano a diminuire sensibilmente la sua influenza. Nell'ottobre del 1583 la B. si ammalò gravemente e nel dicembre ebbe una ricaduta con vomiti violenti. Si parlò di cancro allo stomaco, ma anche di veleno che la favorita di suo figlio Murâd III, Safiyye Sultân, le avrebbe propinato. Questa, "slava od albanese di origine", godette sempre della massima influenza presso lo sposo, e si adoperò presso di lui come pure presso suo figlio, Mehmed III, per mantenere buone relazioni con Venezia.
Il 7 dic. 1583 Nûr Bânû morì a Costantinopoli.
Fu seppellita accanto a Selîm II in un mausoleo presso la moschea di Santa Sofia. Lasciò immense ricchezze che furono valutate sui due milioni di zecchini in denaro e preziosi. Il suo erede fu Murâd III, ma un terzo dei suoi beni andò alle moschee e a fondazioni di beneficenza. Lasciò libere centocinquanta schiave e le dotò ognuna con 1000 zecchimi. Fra le sue opere di beneficenza, compiute in vita, si ricorda in particolare la moschea Vâlide di Scutari d'Asia, con medrese (scuola), ospizio e ospedale. Fu completata il 991 dell'Egira, cioè nel 1583,dunque nell'anno della sua morte.
Bibl.: Lo studio più approfondito sulla vita di Cecilia Baffo è quello di E. Spagni, Una sultana veneziana, in Nuovo Arch. veneto, XXIX (1900), pp. 241-348, che è stato ampliato in alcuni punti da E. Rossi, La sultana Nûr Bânû (Cecilia Venier-Baffo), in Oriente moderno, XXXIII(1953), pp. 433-441. Da parte turca, Ahmed Refîq, Qadynlar Saltanati (Il dominio delle donne), Costantinopoli s. a., vol. I, ha trattato di Nûr Bânû, scambiandola con la favorita Safiyye del sultano Murâd III (p. 100), un errore che è stato ripetuto in varie opere di consultazione turche. Questa confusione è però passata anche in molte enciclopedie europee, per es. in Encyclopédie de l'Islam, sub voce Murâd III, Muhammad III, Wâlide; in Encicl. ital., sub voce Murâd III e Ottomano impero, per non parlare della turca Islâm Ansiklopedisi, sub voce Ahmed; I. G. L. A. nell'articolo Sultan Soliman à Corfou et Calli à Stamboul (1537-1584), pubblicato nel quotidiano ateniese Messager d'Athènes del 24 luglio 1932, identificò Nûr Bânû con la Calli Cartano che fu rapita nel 1537, all'età di sette anni, a Corfù e diventò dopo la moglie di Selîm II. Egli citava due lettere conservate in un archivio privato di Corfù che vennero alla luce nel 1877. I dispacci dei baili veneziani, in quanto si riferiscono a Nûr Bânû (Cecilia Baffo), furono utilizzati scrupolosamente dallo Spagni; manca però ancora uno studio, fondato su ricerche d'archivio, relativo all'influsso politico esercitato dalla sultana su Selîm II e sul figlio Murâd III. Per la relazione di Marino Cavalli letta al Senato nel 1567 cfr. W. Andreas, Eine unbekannte venetianische Relation über die Türkei, in Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, philos.-hist. Klasse, Jahrgang 1914, 5. Abhandlung, p. 10, ristampato in W. Andreas, Staatskunst und Diplomatie der Venetianer, Leipzig 1943, pp. 285 ss. Sulla vita di corte della B. e sul fasto dei costumi cfr. Stephan Gerlach, Tage-Buch, Frankfurt: 1674, pp. 177 ss., e N. Iorga, Geschichte des osmanischen Reiches, III, Gotha 1910,pp. 181 s.