Cecità
Il termine cecità indica l'assenza del potere visivo, definitiva o temporanea, assoluta o relativa, a seconda che manchi, rispettivamente, ogni traccia di percezione visiva o solo una delle componenti che partecipano all'atto visivo (senso luminoso, cromatico, stereoscopico ecc.). Interpretata nel corso della storia culturale quale emblema del male o, all'opposto, quale simbolo della conoscenza mistica, la cecità comincia a essere avvertita come un problema sociale alla fine del Settecento, quando l'atteggiamento meramente caritatevole muta segno, dando luogo a interventi di tipo educativo e alla creazione di scuole di addestramento al lavoro manuale e d'istruzione musicale. In seguito, alle attività di carattere pratico si aggiunge l'insegnamento della lettura e scrittura mediante l'alfabeto Braille che, sostituendo agli elementi visivi quelli sensibili al tatto, amplia notevolmente le possibilità di apprendimento. Varie norme legislative tutelano la condizione del cieco sul piano sanitario, lavorativo e pensionistico. Patologie del senso della vista
Si possono distinguere una cecità assoluta, quando manchi la percezione della luce in entrambi gli occhi, e una cecità relativa. Convenzionalmente la sensazione visiva si compone di sette facoltà: 1) senso luminoso, ovvero la facoltà di percepire le sorgenti luminose e di riconoscerne le differenti gradazioni d'intensità; 2) senso cromatico, ossia la percezione dei colori; 3) campo visivo, cioè la percezione spaziale degli oggetti; 4) acuità visiva, o visus, consistente nella capacità dell'occhio di vedere distintamente gli oggetti, e nella misura di tale capacità; 5) riconoscimento delle forme; 6) senso stereoscopico, vale a dire la percezione del rilievo e della distanza degli oggetti; 7) controllo psichico delle sensazioni visive. I soggetti affetti da mancanza o riduzione di una di queste facoltà sono definiti ipovedenti. I vari tipi di menomazione corrispondono a diversi gradi di disabilità: disabilità generiche, intese come perdita o riduzione dell'abilità di eseguire attività che presuppongono un'adeguata visione da lontano (cecità periferica); disabilità particolari, intese come perdita o riduzione dell'abilità di eseguire attività che presuppongono un'adeguata acuità visiva, come leggere e scrivere (cecità centrale). La cecità può essere ancora temporanea o definitiva, monolaterale o bilaterale. Le cause di cecità possono essere molteplici e interessare i diversi livelli dell'apparato della vista (v. occhio; visione). È possibile distinguere, in modo schematico, una cecità diottrica; una cecità sensoriale, secondaria a danni retinici; una cecità di conduzione, dovuta a interruzione delle vie ottiche; una cecità corticale, provocata da alterazioni a carico dell'area calcarina, cioè dell'area deputata a raccogliere e trasformare gli stimoli luminosi in immagini; una cecità connessa ad anomalie della sfera psichica, ossia all'incapacità d'integrare compiutamente le immagini. a) Cecità diottrica. È secondaria all'opacità dei mezzi diottrici; può condurre a una cecità sensoriale, sia pure incompleta, ed essere temporanea. Le cause più frequenti sono la cataratta e tutte quelle affezioni traumatiche o degenerative della cornea che impediscono la formazione regolare delle immagini luminose sulla retina.b) Cecità sensoriale. Può essere l'effetto di numerose affezioni secondarie a disturbi vascolari, infiammatori, a patologie sistemiche, degenerative, tumorali, traumatiche, a distacco di retina, a malattia glaucomatosa. La perdita della funzione visiva può essere improvvisa o graduale, temporanea o definitiva. Tra le retinopatie su base vascolare che inducono più frequentemente la cecità vanno annoverati l'ostruzione dell'arteria centrale della retina, le emorragie, il glaucoma emorragico; quest'ultimo rappresenta spesso una complicanza evolutiva di varie patologie oculari. I processi infiammatori della retina sono per lo più secondari a quelli della coroide, e pertanto è più corretto parlare di corioretiniti; tutte le forme di corioretinite che interessano l'area maculare, ossia la parte centrale e più sensibile della retina, si accompagnano a una compromissione notevole della funzione visiva; tra queste meritano particolare menzione, per la loro elevata incidenza, le corioretiniti virali a interessamento maculare, come quelle da rosolia e da citomegalovirus, e le forme secondarie a Protozoi, come quella da Toxoplasma gondii. Nel quadro delle patologie secondarie a malattie sistemiche, la retinopatia diabetica è da considerarsi una tra le più frequenti cause di cecità a livello mondiale; il controllo dello stato diabetico sembra svolgere, dunque, un ruolo non indifferente nel limitare i danni funzionali correlati a questa malattia. Tra le patologie degenerative della retina, una forma molto seria è rappresentata dalla retinite pigmentosa, che in breve tempo può portare a gravissime menomazioni della funzionalità visiva e alla cecità. Sempre in questo ambito va ricordata la degenerazione maculare senile o maculopatia dell'invecchiamento, una malattia grave e diffusa, che nel mondo occidentale costituisce uno dei principali fattori di cecità acquisita. Il retinoblastoma è il tumore endoculare più frequente nell'infanzia, secondo soltanto al melanoma maligno della coroide; entrambe le forme richiedono l'exeresi chirurgica e implicano spesso l'enucleazione del globo oculare. Forti traumatismi del globo oculare, come, per es., vaste ferite perforanti o contusioni violente, possono produrre cecità sensoriale improvvisa. Un distacco di retina totale, oppure parziale che interessi però l'area maculare, può essere all'origine di cecità sensoriale assoluta improvvisa; il recupero della funzionalità visiva si ottiene mediante un'opportuna terapia chirurgica. I distacchi parziali che non interessano l'area maculare sono invece responsabili di cecità relative e si manifestano con uno scotoma (area di cecità) in quel settore di campo visivo che corrisponde alla rottura retinica. Con il termine glaucoma si indica una serie di condizioni cliniche caratterizzate dalla presenza d'ipertensione endoculare, nonché da alterazioni del campo visivo e della papilla ottica. La malattia glaucomatosa, specialmente quando è trascurata, rappresenta un rilevante fattore di cecità. c) Cecità di conduzione. È provocata da tutte quelle affezioni che comprimono o interrompono, a qualsiasi livello, il decorso delle fibre nervose nel nervo ottico o nelle vie ottiche, o che ne alterano la funzionalità. Tra le cause meccaniche vi sono i traumi e le patologie infiammatorie o proliferative che insorgono all'interno del canale ottico, come le sinusiti e i tumori. Nel caso di affezioni che producono uno schiacciamento del chiasma ottico (tumori dell'ipofisi, della sella ecc.), la cecità completa è generalmente preceduta da fenomeni di limitazione del campo visivo, denominati emianopsie. Causa di cecità di conduzione possono essere anche le alterazioni vascolari (occlusioni, ischemia, rotture vasali, stravasi emorragici), le neuriti ottiche su base infettiva o tossica, le malattie degenerative responsabili di atrofie primitive o secondarie, come la tabe o la sclerosi multipla.d) Cecità corticale. È per lo più dovuta a emorragie, occlusioni vascolari e tumori primitivi o secondari a metastasi che determinano la distruzione dell'area visiva primaria (area 17). Quale conseguenza si manifesta un'emianopsia bilaterale omonima dal lato opposto del campo visivo. Una lesione che interessi bilateralmente la corteccia visiva determina una cecità completa, caratterizzata da integrità dell'apparato oculare, conservazione del riflesso fotomotore, assenza del nistagmo ottocinetico, ossia del movimento ritmico e involontario conseguente a scosse, che può verificarsi in alcuni organi mobili come la testa e l'occhio.e) Cecità psichica. Consiste in un disturbo di riconoscimento degli stimoli percepiti per via oculare, con funzioni visive, sensoriali e intellettive integre. La lesione sembra essere localizzata a livello della regione parieto-temporo-occipitale ed è generalmente imputabile a patologie vascolari e tumori.Si calcola che il numero dei ciechi nel mondo sia di circa 7.000.000, ma tale cifra è sicuramente sottostimata. Per l'Italia i dati provengono da alcune indagini statistiche effettuate dall'ISTAT negli anni 1980, 1983-84, 1986-87 e 1990-91, sulle condizioni di salute della popolazione e sul ricorso ai servizi sanitari. Queste si sono basate su un campione stratificato di 35.000-45.000 famiglie estratte da un campione di 500-600 comuni, per un totale di circa 80.000 soggetti. Fra le domande poste vi è quella che riguarda la possibilità che qualcuno sia affetto da uno o più tipi di invalidità: cecità, sordomutismo, sordismo, insufficienza mentale, deficit di carattere motorio. Nel corso degli anni il numero di persone che si sono definite cieche è sensibilmente aumentato, passando dallo 0,32% nel 1980 allo 0,64% nel 1990-91: se nel 1980 vi erano in Italia 183.000 ciechi, nel 1991 erano quasi raddoppiati arrivando a 353.000. A questo dato occorre sommare tutti quegli ipovedenti che non raggiungono 1/10 di acuità visiva e che, secondo valutazioni attendibili, sarebbero circa 400.000. Per quanto riguarda le cause più frequenti di cecità, da una ricerca condotta sugli iscritti all'Unione italiana ciechi risulta, sia pure nel rispetto di differenze legate all'età, che la cataratta, la miopia, il glaucoma, la retinite pigmentosa, la retinopatia diabetica e, infine, la degenerazione maculare costituiscono i primi sei fattori di cecità.
Le definizioni legali di cecità e ipovedenza considerano quale parametro la quantificazione della minorazione visiva indicata da una diminuzione o scomparsa del visus. Si è tentato pertanto di concordare il limite superiore di acuità visiva al di sotto del quale una persona deve essere classificata legalmente cieca. Tale limite si basa sulla misurazione della vista a distanza (3-5 m) per mezzo di un ottotipo. L'Organizzazione mondiale della sanità indica cinque categorie di minorazioni visive, determinate misurando il visus corretto nell'occhio migliore: ipovedenza con visus inferiore a 3/10, ma superiore o uguale a 1/10; ipovedenza con visus inferiore a 1/10, ma superiore o uguale a 1/20; cecità con visus inferiore a 1/20, ma superiore o uguale a 1/50; cecità con visus inferiore a 1/50 fino alla percezione della luce; cecità assoluta con impossibilità di percepire la luce. In Italia l'Unione italiana ciechi e la Federazione delle istituzioni pro-ciechi, nate nel 1920 con la partecipazione dei ciechi di guerra, hanno promosso una vasta opera di sensibilizzazione, cui si sono correlate le prime conquiste sociali. Il r.d. 31 dic. 1923, nr. 3126, sancì l'obbligatorietà dell'istruzione elementare anche per i ciechi dal 6° al 14° anno di età, nonché l'erogazione di sovvenzioni statali agli istituti pro-ciechi. L'introduzione della Costituzione repubblicana ha segnato ulteriori progressi: in base all'art. 38, che stabilisce il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale per ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari, lo Stato garantisce forme assistenziali e di tipo pensionistico, nonché l'istruzione scolastica e professionale del cieco (l. 14 dic. 1955, nr. 1293). Si crea inoltre la possibilità di un ampliamento dei posti disponibili per gli insegnanti in servizio presso scuole di avviamento professionale per ciechi (l. 27 luglio 1962, nr. 1113). È opportuno, infine, ricordare le disposizioni legislative per la tutela degli interessi morali e materiali dei ciechi e degli ipovedenti attraverso l'Unione italiana ciechi, che dal 1951 fa parte dell'Organizzazione mondiale per la protezione sociale dei ciechi. Varie norme legislative, infatti, tutelano in Italia il lavoro dei minorati visivi sia nel campo artigianale sia in quello professionale. La cecità si riflette, com'è ovvio, sulla capacità di agire, cioè sull'idoneità della persona a compiere gli atti di gestione dei propri interessi: il grado della cecità, valutato con riferimento alla sua origine (dalla nascita o successiva), all'eventuale combinazione con altre infermità (per es., sordità, mutismo ecc.) e all'educazione, anche non specifica, che si sia potuta impartire all'invalido, condiziona il corrispondente grado di incapacità, che per la legge italiana (art. 415 c. c.) è misurata dall'inabilitazione (incapacità parziale) e dall'interdizione (incapacità totale). La cecità del veggente L'interpretazione 'spirituale' della cecità si è manifestata, nel corso della storia culturale, con caratteri variabili e contraddittori, al punto che è possibile operare una netta distinzione fra un'accezione negativa e un'accezione positiva relativamente alla valenza simbolica del termine.L'associazione della cecità al male, la sua assunzione a simbolo d'ignoranza ovvero di altre mancanze della coscienza, morali o intellettuali, è frequente soprattutto nella letteratura e nell'arte del Medioevo. Con qualche eccezione, come quella di Omero, la cui cecità era ritenuta una protezione nei confronti della seduzione operata dalle passioni inferiori (mentre l'antichità vi aveva scorto la punizione per aver calunniato Elena di Troia), e quella della Giustizia, la cui cecità era considerata garanzia di imparzialità (di nuovo in contrasto con l'antichità che l'immaginava dotata di uno sguardo intimidente e acuto), la cecità viene identificata dallo spirito medievale con il peccato. In forza di tale connessione con il male, essa viene raffigurata soprattutto nelle vesti del Cupido cieco, a rappresentare la brama sensuale, in contrapposizione al carattere sublimante dell'amore spirituale puro. In questo genere di letteratura e di mitografia, in quanto caecus deus, Cupido entra a far parte di una triade specifica di personificazioni bendate, costituita, oltre che dall'amore sensuale, dalla Fortuna, nell'accezione tradizionale di caeca Fortuna, e dalla Morte: triade cui si accompagnano, occasionalmente, altre figure, come la Notte e l'Infedeltà. Una sintesi efficace di tale concezione rappresentativa si trova nella Danse aux aveugles, un componimento del poeta medievale P. Michaux, che illustra il ballo dell'umanità assoggettata ai voleri della triade bendata. Su queste tracce, E. Panofsky ha creduto di poter scorgere una sopravvivenza della concezione medievale nell'antitesi rinascimentale di Amor sacro e Amor profano, nonché in quella di Eros e Anteros, classicamente figlio di Venere e di Nemesi (anche qui equivocando la visione antica, che situa Anteros in posizione di reciprocità, non di antagonismo, a Eros). Secondo questa interpretazione, "la benda del 'bendato Cupido', malgrado l'uso indiscriminato di essa nell'arte rinascimentale, tende a serbare il proprio significato specifico ovunque una forma più bassa, sensuale e profana, d'amore si trovi posta deliberatamente a contrasto con una forma più elevata, spirituale e sacra, sia matrimoniale, sia platonica, sia cristiana: quanto aveva costituito nel Medioevo un'alternativa fra l''Amor poetico' e il 'Cupido mitografico' sfocia, nel Quattro-Cinquecento, in una rivalità fra 'Amor sacro' e 'Amor profano'" (Panofsky 1939, trad. it., p. 177).Divergendo dalla tradizione medievale, tesa a sottolineare gli aspetti negativi della cecità e sopravvissuta in parte al suo declino, il Rinascimento riattualizza una concezione più antica, quella neoplatonica, che ne aveva al contrario evidenziato gli elementi positivi. L'attribuzione alla cecità di un significato positivo si determina, nel mondo tardoantico, a partire dal riferimento platonico, contenuto nel Parmenide, all''Uno al di là dell'essere'. Questo rimando viene svolto nel senso di una mistica dell'ineffabile; l'enigma della beatitudine che si dischiude al di sopra della comprensione intellettuale è un tema che, già presente in s. Paolo, s'incontra soprattutto nello Pseudo-Dionigi, e su queste basi sostiene tutto un filone della successiva mistica cristiana che avrà il suo culmine nell'opera di s. Giovanni della Croce. L'importanza del tema viene spesso ricondotta, nell'ambito di questa tradizione, alla sua antichità. Il motivo della cecità dell'amore più alto - esattamente simmetrico e inverso a quello che lega la cecità all'amore sensuale - viene infatti costantemente ritenuto, nel pensiero tardoantico, come appartenente alla tradizione orfica. Proclo cita spesso, nei suoi commenti a Platone, le parole di un verso orfico, 'veloce amore senza occhi', sostenendo che esse alludano ai misteri più alti, i quali non hanno bisogno di occhi o di orecchie per essere visti e ascoltati. Nella medesima prospettiva orfica, il termine μυούμενοι, "essere iniziati", che s'incontra nel Fedro (250c), viene fatto discendere, a opera dei commentatori tardoantichi, da μύειν, "chiudere gli occhi". Chiudere gli occhi nell'iniziazione significa ricevere i divini misteri non mediante i sensi, ma con 'la stessa anima pura'. Gli sviluppi più estesi e profondi della dottrina secondo cui la visione è inferiore alla gioia dell'amore che va oltre la conoscenza si trovano nelle Enneadi di Plotino. La prova della possibilità dell'estasi divina sta, per Plotino, nel sentimento che anima gli amanti: finché l'amante si attiene a ciò che appare nel sensibile, egli non ama ancora; ma quando, da quella figura, egli genera in sé stesso, nella sua anima, un'immagine invisibile, allora nasce l'amore. Sulla scorta di queste testimonianze della tradizione platonica, il neoplatonismo rinascimentale ha sistematizzato una vera e propria teoria della conoscenza mistica, fondata sulla contrapposizione fra la visione intellettuale e la 'cecità ultraintellettuale' propria della gioia amorosa. Negli Eroici furori, G. Bruno distingue nove modi di cecità amorosa; fra questi, il più alto è rappresentato dalla cecità sacra, provocata dal contatto immediato con la divinità. A causa della loro profondità, i misteri divini trascendono la conoscenza e si dischiudono unicamente all'ebbrezza dell'anima ispirata, che si trova in certo modo in uno stato di oscurità. La cecità diventa l'emblema della teologia negativa e della sua paradossale affermazione circa l'esistenza di una 'dotta ignoranza' (N. Cusano). Richiamandosi ai Salmi e alle lettere di s. Paolo, Pico della Mirandola elabora, nel De ente et uno, una teoria relativa alla cecità dell'amore supremo, ove allude all'ingresso degli uomini nei 'cortili' di Dio, nella 'luce dell'ignoranza', accecati dall''oscurità del divino splendore'. Una posizione analoga esprime, sulle sue tracce, Agrippa di Nettesheim nel De occulta philosophia. In sintonia con Pico, anche Marsilio Ficino, commentando Proclo, finisce con il far sua la tradizione orfica, alla quale è attribuito il primato dell'Amore cieco, che unisce l'intelletto intelligibile alla 'prima e secreta bellezza'.In realtà, in maniera più complessa, gli autori rinascimentali fanno spesso un uso sapiente dell'ambiguità simbolica della cecità, quale ci è attestata dal significato opposto attribuitole dalla tradizione antica e da quella medievale. Così proprio Ficino, a seconda dei diversi contesti, la sceglie a emblema della sensualità volgare oppure dell'aldilà mistico della conoscenza. In modo più sottile, Pico della Mirandola intreccia virtuosisticamente significato letterale e significato simbolico della cecità, mostrando nella cecità fisica una sorta di condizione corporea per accedere alla cecità mistica. Rifacendosi agli esempi di Tiresia, Omero e s. Paolo, egli sottolinea, in una specie di radicalismo mistico che punta all'annullamento dell'uomo nel divino, il nesso fra cecità fisica e ispirazione spirituale: solo il cieco può essere un veggente. Sarebbe comunque errato interpretare questa mistica come un'ascetica; nel neoplatonismo rinascimentale, infatti, il piacere, anziché venir accordato alla visione sensibile, è attribuito al congiungimento ultraintellettuale con la divinità. La suprema cecità dell'amore e la beatitudine mistica costituiscono una sorta di suprema voluptas: la cecità del gaudium.
bibl.: d.j. apple, g.o.h. naumann, Causes of blindness, in id., Pathology of the eye, New York, Springer, 1986, pp. 577-696; m.g. bucci, Epidemiologia, in id., Oftalmologia, Roma, SEU, 1993, pp. 379-446; l. cerulli, c. cedrone, Oftalmologia di sanità pubblica e invecchiamento dell'occhio, in L'occhio che invecchia, a cura di B. Lumbroso, V. Sciuto, Roma, Verduci, 1987, pp. 83-93; id., La definizione del concetto di ipovedenza, "Rivista di Oftalmologia Sociale", 1988, 11, 4, pp. 25-27; id., La riabilitazione in oftalmologia, "Giornale Italiano di Oftalmologia Occupazionale", 1984, 2, 1, pp. 473-80; e. panofsky, Studies in iconology, Oxford, Oxford University Press, 1939 (trad. it. Torino, Einaudi, 1975).