CECOSLOVACCHIA
(A. T., 59-60).
Sommario. - Geografia: Nome ed estensione (p. 602); Geologia e Morfologia (p. 602); Clima (p. 604); Idrografia (p. 604); Flora (p. 604); Fauna (p. 604); Dati sulla popolazione (p. 605); Condizioni economiche (p. 606); Comunicazioni (p. 610); Distribuzione degli abitanti e dei centri principali (p. 610). - Ordinamento dello stato: Costituzione e amministrazione (p. 611); Organizzazione ecclesiastica (p. 612); Forze armate (p. 613); Finanze (p. 614); Istruzione e ordinamento scolastico (p. 614). - Storia (p. 614). Etnografia e Folklore (p. 617). - Lingua e dialetti (p. 619). - Letteratura: Letteratura cèca (p. 620); Letteratura slovacca (p. 624); Teatro (p. 625). - Arte (p. 625). - Musica (p. 628).
Geografia.
Nome ed estensione. - La Repubblica cecoslovacca (Československá Republika; il nome Cecoslovacchia è abbreviazione non ufficiale; la forma Czecoslovacchia rispecchia una grafia d'origine polacca) è stata proclamata a Praga il 28 ottobre 1918 dal Consiglio nazionale cecoslovacco, rappresentante d'un comitato (Comité d'action tchèque à l'étranger) residente a Parigi. Essa è sorta dall'unione dei paesi della Corona boema (Boemia, Moravia, Slesia) con la Slovacchia (riunione di Pittsburg del 30 maggio 1918 e assemblea nazionale di Turčianský Svätý-Martin del 30 ottobre 1918); il trattato di S. Germano ha aggiunto la Russia Subcarpatica (denominazione ufficiale: Podkarpatská Rus) alla quale venne accordata un'amministrazione autonoma (con un governatore e una dieta).
Per il trattato di Versailles (28 giugno 1919, art. 82) come frontiera con la Germania venne riconfermata quella esistente nell'anteguerra tra Austria e Germania, dal punto d'incontro dell'antico limite amministrativo separante la Boemia dalla provincia dell'Alta Austria (lungo la Foresta Boema, i Monti Metalliferi, i Sudeti) fino al punto nord del saliente dell'antica provincia della Slesia austriaca (circa 8 km). a sud di Neustadt). La Germania dovette cedere una parte del territorio slesiano presso Ratibor (distretto di Hlučín: 330 kmq.).
Per il trattato di San Germano (10 settembre 1919, art. 55) la frontiera con l'Austria si attenne nelle grandi linee al confine tra le provincie di Alta e Bassa Austria e di Boemia e Moravia, salvo due rettifiche (regioni di Weitra e Valčice per un complesso di 195 kmq.) a favore della Cecoslovacchia, una in corrispondenza della linea ferroviaria Břeclav-Znojmo, importante per le comunicazioni della Moravia Meridionale, l'altra presso Gmünd (la città fu lasciata all'Austria, mentre alla Cecoslovacchia fu ceduto il nodo ferroviario, presso il quale s'incontrano le linee di Praga e di Plzeň, dirette a Vienna).
Il confine con l'Ungheria fu determinato dal trattato del Trianon (4 giugno 1920); in mancanza d'un confine storico o naturale, costituito solo per un breve tratto dal Danubio, fu seguita una linea assai tortuosa e basata su principî più militari e di dominio economico che etnici, linea che, dopo aver seguito il Danubio da Bratislava a Szob, taglia prima le ultime propaggini meridionali dei Carpazî, lasciando all'Ungheria pochi gruppi collinosi (Matra, Bükk, ecc.), quindi segue un tratto di pianura percorsa dal Tibisco e dai suoi affluenti.
Al confine con la Romania e la Polonia fu provveduto con il trattato firmato a Sèvres il 10 agosto 1920; furono seguiti in gran parte i confini delle zone abitate dalle nazionalità rispettive.
La questione di Teschen (Těšsín dei Cèchi, Cieszyn dei Polacchi), che condusse a frequenti, sanguinosi conflitti tra la Polonia e la Cecoslovacchia, fu definita col protocollo firmato a Parigi il 18 luglio 1920. La regione, che faceva parte della Slesia austriaca, era contesa, sia per la sua importanza industriale e commerciale (carbone, acciaio, nodi ferroviarî), sia perché realmente dal punto di vista etnico le popolazioni erano in essa assai mescolate; militarmente il saliente di Teschen costituiva poi un cuneo nel territorio cecoslovacco. I centri carboniferi di Ostrava e Karvinná e il centro ferroviario di Jablunkov furono assegnati alla Cecoslovacchia, mentre la parte maggiore della regione fu data alla Polonia. Il distretto di Frýdek fu assegnato alla Cecoslovacchia, quello di Bielsko alla Polonia, quelli di Frýstát e Teschen furono divisi.
La Cecoslovacchia, con 140.368 kmq., è, per superficie, il 13° stato europeo (compreso tra la Grecia, di poco minore, e la Iugoslavia, di molto più grande) e con 13.611.717 abitanti, il 9° per popolazione (compreso tra la Romania con 17 milioni e mezzo di abitanti e la Iugoslavia con quasi 12 milioni); la densità (97 ab. per kmq.) è pari a quella della Svizzera e, tra i grandi stati, inferiore solo all'Inghilterra (155), Germania (133) e Italia (131). La Cecoslovacchia occupa l'1,4% della superficie dell'Europa; ha ereditato dall'Austria-Ungheria il 21% della superficie e circa un quarto della popolazione. Il suo territorio apparteneva nell'anteguerra per 78.400 kmq. all'Austria, per 71.700 all'Ungheria, per 330 kmq. alla Germania. È il più grande stato interno d'Europa e il più lontano dal mare (il porto più vicino è Trieste, a 350 km. in linea d'aria).
Tra il limite occidentale (presso Aš, 12°,5′ long. E.) e il limite orientale (sorgenti del Tibisco Bianco a est di Sighet) intercorrono circa 950 km.; la larghezza è assai variabile, andando da un massimo di 280 km. in Boemia, a un minimo di appena 50 nella Russia Subcarpatica; il punto più settentrionale è presso Šluknov a 51°,3′, il più meridionale presso Komárno a 47°,44′. Il punto più basso è a Čop sul Tibisco (103 m. s. m.), il punto più alto sui Carpazî (2663 m.). Complessivamente i confini sono lunghi circa 3800 km. (1500 km. con la Germania e 920 con la Polonia), cioè 3 volte tanto quelli d'una circonferenza d'eguale superficie. Anche altri stati (Chile, Norvegia) hanno una forma allungata, ma hanno il vantaggio di essere lambiti dal mare.
Posta al centro d'Europa, tra Germania, Polonia, Romania, Ungheria e Austria, e a distanza relativamente breve dalla Russia, al limite tra il mondo slavo e quello germanico, di forma allungata, sfavorevole alla coesione, con frontiere lunghe e malamente difendibili, con alte percentuali di minoranze etniche e scarsa omogeneità nelle confessioni e nella cultura, la Cecoslovacchia trae le basi della sua vitalità, oltre che dagli aspetti fisici molteplici che si rispecchiano nella varietà delle risorse economiche, di gran lunga migliori di quelle degli altri nuovi stati, dalla sua favorevole posizione nella zona di spartiacque tra Mar Nero, Baltico e Mare del Nord, che le permette di servirsi per il suo traffico delle vie dell'Elba, dell'Oder e del Danubio e di partecipare così, anche in virtù d'una vasta rete ferroviaria, alla vita di regioni diverse.
Geologia e morfologia. - Orograficamente la Cecoslovacchia appartiene a due sistemi montuosi diversi: la parte occidentale spetta al massiccio boemo, quella orientale all'arco a pieghe dei Carpazî. Il confine tra i due sistemi, costituito da sedimenti terziari recenti, è segnato da una linea che, dividendo in due parti quasi uguali la Moravia, tocca Znojmo, Bruna, Přerov, Ostrava, Morava. Talora la trattazione geografica delle due parti vien tenuta distinta (paese dei Sudeti e paese dei Carpazî Occidentali).
La parte occidentale consta dell'altopiano cèco-moravo e delle catene della Selva Boema, dei Monti Metalliferi e dei Sudeti che chiudono la Boemia da tre lati, a SO., NO., e NE.; i Monti Metalliferi sono separati dall'altopiano cèco-moravo da una serie di bacini (Cheb, Falknov-Loket, Duchcov-Teplice), che seguono una linea di frattura importante per le sorgenti e miniere che si trovano lungo essa. I Sudeti, che come i M. Metalliferi, presentano dalla parte boema un versante ripido, continuano in Moravia col rilievo di Jeseník, da cui nasce l'Oder, mentre la Selva Boema (Český Les e Šumava), che presenta alla Boemia un pendio regolare, è continuata a est verso Gmünd dai M. Novohradské. Un tempo la zona più alta era disabitata e coperta di foreste in modo che si aveva un ostacolo alla comunicazione e una fascia difensiva; a poco a poco il progressivo popolamento e sfruttamento ha aperto numerosi passaggi. L'altopiano cèco-moravo occupa la Boemia di sud-est e la contermine regione morava. Verso nord si spinge fino alla pianura dell'Elba e in Moravia è limitato dalla Svitava, affluente della Moravia e del Danubio.
Il centro della Boemia è occupato dalle alture della Boemia centrale composte di granito e gneiss e divise in numerosi gruppi minori dalle valli della Vltava e dei suoi affluenti. Da Plzeň all'Elba si collega a questo un rilievo collinare ardesiaco, compreso tra la Berounka e la Vltava e culminante nel Tok (857 m.). Le pianure e bassure maggiori, oltre i già ricordati bacini dei Monti Metalliferi, si trovano nei dintorni di Č. Budějovice e di Třeboň (con copiosi stagni) e nel bacino di Plzeň, alla confluenza dei fiumi Mže, Úhlava, Radbuza, Úslava.
Dell'arco dei Carpazî spettano al territorio della Cecoslovacchia una parte dei Carpazî Occidentali (Piccoli Carpazî, Carpazî Bianchi e Beschidi) dal Danubio alla valle del Laborec, e una parte dei Carpazî Orientali. Partendo da occidente troviamo una zona esterna di transizione compresa tra i fiumi Dyje e Svratka, cui segue l'ampia valle della Morava; il confine tra Massiccio Boemo e Carpazî è qui nascosto sotto una coltre di terreni miocenici. La zona principale dei Carpazî è formata dai Piccoli Carpazi dal Danubio al Myjava, quindi da una serie di rilievi che mettono capo al bacino di Žilina. Più a nord-est tra i fiumi Orava e Váhsi levano le cime di Orava-Liptov (Choč, 1613 m.) e gli Alti Tatra (Gerlachovka, m. 2663). Separati dagli Alti Tatra del bacino di Liptov-Spišská Nová Ves sono i Bassi Tatra (Ďumbier, 2045 m.). Ancora più a S., paralleli ai Bassi Tatra, separati dalla valle del Hron, affluente del Danubio, si trovano i Monti Metalliferi slovacchi, mentre ad est il corso medio del Hernad (affluente del Tibisco) s'allarga nel bacino di Košice. Il passo di Dukla (attraverso il quale si comunica con la Polonia) separa i Carpazî di NO. dai Carpazî Boscosi; questi aumentano progressivamente le loro altezze verso est e sono intagliati da torrenti. Lungo di essi corre la regione montuosa di confine che separa la Russia Subcarpatica dalla Polonia. Nella zona più orientale la presenza di rocce meno resistenti dà al rilievo forme meno ardite; prevalgono le cime rotondeggianti coperte di boschi.
Montagne di forma arcuata, con creste e valli di frequente parallele, formate di terreni di età diverse del pari sollevati in alto, ma con prevalenza di terreni recenti facilmente plasmabili, i Carpazî sono costituiti da gran numero di massicci isolati, divisi da bacini che comunicano fra loro attraverso larghi colli. Rappresentano un paesaggio aperto, favorevole all'insediamento. La parte meridionale della Slovacchia e della Russia Subcarpatica costituisce gli estremi lembi settentrionali della pianura ungherese.
Dal punto di vista geologico il Massiccio Boemo è un altopiano che rappresenta un resto dell'antico sistema ercinico-varisco, piegato nell'era primaria, fratturato più tardi e sommerso due volte per breve tempo. Consta in prevalenza di scisti cristallini (gneiss metamorfosati), di massicci granitici, di antichi sedimenti paleozoici. Nella regione a SO. di Praga si sono potuti distinguere i diversi terreni appartenenti all'Algonchico, Cambrico, Silurico, Devonico. In Moravia il Devonico forma il carso moravo e copre con una trasgressione le masse granitiche di Bruna. Durante il Carbonico le formazioni più antiche sono state soggette al piegamento erciniano: in parte sono state metamorfosate, in parte frammiste a intrusioni granitiche. Si è avuta quindi una forte azione degli agenti atmosferici che è continuata anche durante il Permico, dando luogo alla formazione di numerosi bacini carboniferi. Si ebbero anche eruzioni di porfidi e melafiri. Il Triassico e il Giurassico non hanno dato luogo a modificazioni notevoli, mentre col Cretacico superiore s'inizia la trasgressione del mare cenomaniano di NE. che ha coperto tutta la metà meridionale del Massiccio Boemo, depositando marne calcaree e arenarie. Il Terziario è caratterizzato a un tempo stesso per la sua attività tettonica e vulcanica. Il sistema dei Sudeti viene sollevato al di sopra delle sedimentazioni cretaciche, mentre in un ampio lago si depositano potenti strati di lignite. Eruzioni di basalti e fonoliti costituiscono il České Středohoří e i Doupovské hory; ultime tracce di questa attività vulcanica sono le sorgenti di Karlovy Vary (Karlsbad), Mariánské Lázně (Marienbad), Teplice, ecc. Il Pliocene ha depositato ciottoli e sabbie; l'era glaciale ha portato qualche piccolo ghiacciaio nei Monti dei Giganti e nella Sumava; quindi i corsi d'acqua hanno continuato la loro azione. Il rilievo ha caratteri di senilità nelle zone di spartiacque, caratteri di ringiovanimento nelle zone più basse.
Nel sistema dei Carpazî le parti più antiche sono di nuclei che sembra rappresentino i resti di catene a pieghe erciniane, formate da rocce devoniche e carboniche e da qualche lembo granitico più recente. Su questi terreni sono deposti in trasgressione una serie regolare di strati sedimentarî (sia di mare profondo, sia litoranei) dal Permico al Cretacico inferiore. Alla fine del Mesozoico essi sono stati intensamente piegati e carreggiati da forti movimenti tettonici (per es. i terreni del Giura coprono spesso, specie a N. e ad O., i più recenti terreni del Cretacico superiore). I calcari del Trias sono stati fortemente carsicati; le arenarie del Cretacico e del Terziario inferiore (flysch) sono state esse pure fortemente piegate e mostrano delle tracce di carreggiamenti. Terminato il periodo orogenico è seguita una notevole opera erosiva, mentre le zone più depresse furono occupate dal Mare Pannonico che a N. comunicava col Mare di Slesia e Polonia. Negli strati di flysch e in quelli miocenici si trovano sorgenti di petrolio, nei terreni miocenici strati di ligniti. La zona esterna è andata soggetta all'attività vulcanica (andesiti, lipariti con minerali utili). Col Pliocene, ritiratosi il mare, si hanno solo depositi d'acque continentali. L'era glaciale ha visto i Carpazî coperti di copiosi ghiacciai.
Una divisione in regioni naturali ci permette di distinguere 7 regioni e cioè: la zona delle catene periferiche cristalline; i bacini permocarbonici o cenozoici; le regioni vulcaniche; le superfici cretaciche; il penepiano centrale e quello boemo-moravo; la zona di flysch; la zona carpatica, a sua volta distinta in 3 sottozone.
Clima. - Nel territorio cecoslovacco si alternano influenze climatiche atlantiche e continentali e il clima ha i caratteri delle zone di transizione, mal definibile e soggetto a grandi alternanze, anche tra zone vicine e da un anno all'altro. I venti di NE. e di E. apportano un clima continentale, secco e sereno, freddo d'inverno e caldo d'estate; quelli di SO. o di S. un clima umido, caldo d'inverno e freddo d'estate. D'inverno si ha alternativamente un'uguale frequenza di questi due tipi climatici, senza che, generalmente, molto influisca l'andamento del rilievo, che serve però a limitare le influenze atlantiche nel bacino boemo. Data la latitudine, le condizioni termiche sono migliori di quanto parrebbe; l'isoterma che rappresenta la media annua di 9° lambisce i confini settentrionali della Repubblica, mentre quella di 10° segue i confini meridionali. Le medie estive sono più elevate e le medie invernali più basse nella parte orientale, si nota cioè che l'escursione annua progressivamente aumenta dalla Boemia alla Russia Subcarpatica.
Le precipitazioni hanno nella Repubblica un andamento vario. In Boemia le maggiori precipitazioni si notano nelle zone periferiche, maggiormente montuose, mentre la parte interna ha medie piuttosto basse. Le catene maggiormente esposte ai venti occidentali umidi (Krkonoše) hanno zone dove le precipitazioni superano i 1500 mm., le altre, medie oscillanti tra 800 e 1200. In Slovacchia le condizioni sono più complicate per l'influenza del terreno; l'isoieta di 700 mm. limita le montagne della zona settentrionale maggiormente umide, dai bassopiani che appartengono al clima pannonico. Più ricchi di precipitazioni sono il bacino superiore della Morava, alcune zone della Slovacchia centrale e della Russia Subcarpatica, dove la media annua arriva a 1400 mm. I massimi si notano in giugno e luglio (influenza continentale); pur tuttavia le abbondanti precipitazioni autunnali che si notano nel sud della Moravia e in Slovacchia mostrano l'influenza marittima dell'Adriatico. Da maggio ad agosto sono frequenti i temporali.
Idrografia. - Il 35% della Repubblica cecoslovacca appartiene al versante del Mare del Nord, il 7,9% a quello del Mar Baltico, il 57, 1%, a quello del Mar Nero. La linea spartiacque che separa i tributarî del Mar Nero (bacino del Danubio) da quelli del Mar del Nord (Elba) e del Baltico (Oder e Vistola) passa per le colline boemo-morave e i monti di Moravia; poi segue i Beschidi e Carpazî.
La Boemia forma un insieme idrografico indipendente, la cui superficie appartiene quasi completamente alla Vltava e all'Elba (Mare del Nord). L'asse del bacino di raccoglimento delle acque, circoscritto dalle catene che limitano la regione, è costituito dalla Vltava, la quale, per la lunghezza del suo corso (435 km.), la superficie del bacino e altre caratteristiche, può considerarsi il principale fiume boemo. L'Elba, dalle sue sorgenti fino a Mělník, misura 309 km. con un bacino di 13.696 kmq. Essa ha dapprima regime torrentizio ed è sbarrata presso Králové Dvůr da una grande diga artificiale alta 32 m.; entra quindi in pianura presso Jaroměř, bagna molti centri importanti ed è costeggiata sulle due rive da due linee ferroviarie. La Vltava nasce nell'alta Sumava a 1172 m., si volge dapprima a sud-est, quindi, da Vyšší Brod, segue prevalentemente la direzione di N. Presso Budějovice riceve i due affluenti di destra la Malše e la Lužnice; da sinistra riceve l'Otava, la Sázava e a sud di Praga la Berounka. Presso Mělník si congiunge con l'Elba (155 m.s.m.), che accoglie da sinistra gli affluenti: Úpa, Metuje, Orlice e da destra Jizera. Presso Litoměřice sbocca nell'Elba l'Ohře che nasce nei Fichtelgebirge in Baviera e si può considerare il terzo confluente dell'Elba. Questo fiume lascia la Boemia presso Hřensko (112 m. s. m.; portata media: 305 mc. al secondo).
I paesi moravo-slesiani non sono idrograficamente così uniti. Solo l'86,3% del suolo appartiene al bacino della Morava che nasce nella parte più settentrionale della Moravia (dal massiccio dello Sněžník di Králíky nei Sudeti), ha una lunghezza di 352 km. ed un bacino di kmq. 26.437. I maggiori affluenti di destra sono la Bečva e la Dyie. Il nord del paese appartiene al bacino dell'Oder (Baltico) che nasce a 634 m. e ha sul suolo cecoslovacco un corso di 133 km. I suoi maggiori affluenti sono a destra l'Ostravice e l'Olza e a sinistra l'Opava.
Anche la Slovacchia e la Russia Subcarpatica appartengono al versante danubiano, meno una piccolissima regione, le cui acque sono raccolte dal Poprad (sul pendio SE. degli Alti Tatra, kmq. 1916) che le conduce nella Vistola. Il Danubio per un tratto lungo km. 173, dallo sbocco della Morava allo sbocco dell'Ipel, costituisce il confine della Repubblica. La Slovacchia occidentale vi porta le sue acque per mezzo del Váh, che nasce negli Alti Tatra a 1700 m. (lungo 428 km.), poi, per mezzo del Nitra, Hron (dai Bassi Tatra) e Ipel'(dal Krušnohorí slovacco). La Slovacchia orientale e la Russia subcarpatica appartengono al bacino del Tibisco che ha le sue sorgenti nella parte più orientale della Repubblica a 1680 m. Vi portano il loro contributo specialmente il Bodrog e la Slaná (Sajó), che vi confluiscono in suolo ungherese. È appunto verso di esso che gravitano queste regioni.
Alcuni laghi glaciali di circo si trovano nella Šumava; il maggiore è il lago Nero (altezza 1008 s. m.; superficie 0, 18 kmq.; profondità m. 40); i Tatra nella zona slovacca hanno circa 100 laghi, detti plesa, di cui il maggiore è quello di Štrba (a 1350 m.) e il Grande Hinc (a 1965 m.). Più frequenti sono gli stagni, specie nella Boemia (bacini di Budějovice e di Třeboň nella Boemia meridionale; dintorni di Blatna in quella centrale e di Pardubice in quella orientale).
Flora. - Le rilevanti differenze d'altitudine, la grande varietà di struttura geologica e la conseguente varietà del suolo, lo sviluppo storico sono le ragioni principali che rendono la vegetazione della Cecoslovacchia variata sia floristicamente sia per numero d'aggruppamenti. La zona interna non fu mai invasa dai ghiacciai e costituì quindi un opportuno rifugio a molte specie di piante. L'evoluzione della vegetazione dall'epoca postglaciale è nota attraverso lo studio di numerose torbiere. È degno d'osservazione il fatto che tuttavia non si siano trovati resti di flora delle tundre. Al principio dell'epoca storica il territorio dello stato era prevalentemente coperto di foreste vergini, mentre le steppe occupavano solo una piccola parte della Boemia centrale e settentrionale più calda, della Moravia meridionale e della Slovacchia e Russia Subcarpatica meridionale. Ancor oggi un terzo dello stato è coperto da boschi. La copertura vegetale è stata assai modificata in Boemia e Slesia; si è invece ben mantenuta in Slovacchia e Russia Subcarpatica. In Boemia l'85,96% della superficie boscosa è occupato da conifere, nella Slesia il 62,55%, nella Moravia il 61,01%, nella Slovacchia solo il 30,35% e nella Russia Subcarpatica il 22,33%. La quercia raggiunge le più alte percentuali nella Slovacchia (15,40%), il faggio nella Russia Subcarpatica (58,79%), quantunque sia pure diffuso assai anche nella Slovacchia (31,95%).
Secondo la vegetazione si distinguono quattro regioni: sudeto-erCina, dei Carpazî occidentali, dei Carpazî orientali e pannonica. Ognuna di queste ha i suoi proprî aggruppamenti e specie.
Fauna. - La fauna della Cecoslovacchia deriva i suoi caratteri dalla posizione della regione nel centro d'Europa e si compone in prevalenza di elementi comuni all'Europa centrale, cui si sono aggiunti alcuni elementi euro-siberiani, carpatici, boreali, atlantici, submediterranei, alpini, sarmatici e pontici. Le foreste poco accessibili della Slovacchia e della Russia Subcarpatica, hanno conservato ancora qualche esemplare, raro ormai nell'Europa Centrale, come l'Ursus arctos, Canis lupus, Lynx lynx, il gatto selvaggio. Mancano forme endemiche tra i Vertebrati, mentre esistono tra gl'Invertebrati.
Dati sulla popolazione. - In seguito ad alcune piccole modificazioni dei confini dello stato (4 comuni sono stati restituiti nel 1921 alla Romania, 3 all'Ungheria nel 1924 e 2 alla Germania, mentre il Tribunale dell'Aia ha assegnato nel 1923 alla Cecoslovacchia il comune polacco di Javorina nei Carpazî) la superficie della Repubblica, che alla data del censimento (15 febbraio 1921) era di 140.394 kmq., è ora di 140.368. Sul territorio attuale della Repubblica alla data del censimento del 1921 gli abitanti erano così distribuiti nelle diverse regioni (compresi 238.806 stranieri):
Le regioni sono ulteriormente divise in 22 provincie (10 in Boemia, 6 in Moravia e Slesia, e 6 in Slovacchia) e quindi in distretti amministrativi e città con statuto autonomo, 140 in Boemia, 42 in Moravia, 10 in Slesia, 81 in Slovacchia, 16 nella Russia Subcapartica.
La Boemia aveva, nel 1806, 3.169.800 ab. (densità 61 ab. per kmq); nel 1850, 4.386.000 (84,4); nel 1900, 6.318.700 ab. (122). La Moravia contava 1.346.220 (densità 60,7 ab. per kmq) nel 1806, 1.799.840 (80,9) nel 1850, 2.433.710 (113,3) nel 1900. La Slesia è passata da 333.700 (densità 64,8 per kmq.) nel 1806, a 438.580 nel 1850 e 680.420 nel 1900 con una densità rispettiva di 85,2 e 132 per kmq. La Slovacchia aveva, nel 1880, 2.483.500 ab.; nel 1910, 2.790.100. Dal 1910 al 1921 la popolazione dello stato è rimasta stazionaria; si è avuta anzi una diminuzione nei territorî industriali boemi, mentre aumentano o sono restati uguali i territorî agricoli; forte incremento si nota pure nella capitale (9,7%) e nel distretto minerario di Tešín (7,2%). Secondo il censimento del 1930 di cui si hanno solo dati parziali (Boemia, 7.103.000 ab.; Moravia e Slesia, 3.563.000 ab.; Slovacchia, 3.330.000 ab.; Russia Subcarpatica, 725.000 ab.), sembra che queste tendenze si accentuino. Il numero delle donne su 1000 uomini era nel 1921 di 1075. Si avevano su 100 ab., 54,9 celibi o nubili, 32,3 coniugati, 7,2 vedovi, 0,24 separati, 0,15 divorziati. Nel 1923-27 la media annua dei matrimonî su 1000 ab. è stata del 9,2, cifra assai più alta della media d'anteguerra (1909-13:7,6). Nello stesso periodo i nati vivi per mille abitanti erano in media 25,2 (1909-13:29,6), i morti 15,4 (1909-13:20,7); l'eccedenza dei nati sui morti è del 9,8, con una media che equivale a quella d'anteguerra (1909-13: 9,9). I divorzî sono in media 5000 ogni anno.
Notevoli differenze esitono tra le provincie orientali e occidentali nei riguardi del movimento della popolazione. Le nascite s'aggirano ora sul 20,7 per 1000 in Boemia; sono del 23,3 in Moravia, 25,6 in Slesia, 33,1 in Slovacchia, 41,9 nella Russia Subcarpatica; il contrasto risulta ancora maggiore se si bada al coefficiente d'aumento annuo per 1000 ab., il quale risulta del 6,4 per la Boemia, 9, 1 per la Moravia per passare all'altissima percentuale del 20,7 nella Russia Subcarpatica.
Molto notevole è l'emigrazione transoceanica della Slovacchia, in rapporto alle meno buone condizioni economiche. La destinazione più frequente risulta essere gli Stati Uniti, verso cui dal 1899 al 1914 emigrarono 138.870 Cèchi e 477.276 Slovacchi e dal 1899 al 1927 rispettivamente 166.052 e 539.081 persone. Molti Slovacchi sono tornati in patria dopo il 1918, da Budapest, dal bacino lignitifero di Salgótarján (Ungheria), e anche dalla Germania. Colonie agricole slovacche permangono in alcuni punti della Iugoslavia e dell'Ungheria meridionale.
Si calcola che siano all'estero (1925) circa 2.136.500 Cecoslovacchi, di cui 858.520 in Europa, il resto prevalentemente negli Stati Uniti. Dapprima emigrarono contadini dalla Boemia meridionale negli stati del centro (Michigan, Wisconsin) e nel Texas, mentre gli operai preferirono fermarsi a New York e gli Slovacchi furono attirati invece di preferenza dalle miniere di Pennsylvania. La Francia ha avuto in questi ultimi anni 28 mila Cecoslovacchi (operai e minatori, soprattutto nel dipartimento del Pas de Calais) e 2000 il Belgio (minatori della Campine). Nell'anteguerra la sola città di Vienna ospitava un numero molto elevato di Cèchi e Slovacchi; ma in seguito alla formazione dello stato cecoslovacco il loro numero è fortemente diminuito, e nel 1921 era soltanto di 79.278. Nel successivo decennio continuava la tendenza alla diminuzione. Assai complessa e poco omogenea risulta la struttura etnica dello stato. Nel 1921 si avevano infatti le nazionalità seguenti:
I Cecoslovacchi risultano dall'unione dei Cèchi e degli Slovacchi; il censimento del 1921 non fa distinzione, mentre invece questa risulta dal censimento del 1910, che per le stesse regioni dava 6.345.939 Cèchi e 1.711.023 Slovacchi; oggi la proporzione tra Cèchi e Slovacchi è all'incirca di 3,5 a 1. I Cecoslovacchi erano rappresentati nel 1921 nel modo seguente:
I Cèchi occupano prevalentemente la parte occidentale dello stato, salvo la zona più prossima ai rilievi periferici della Boemia abitati da Tedeschi. Presso Domažlice raggiungono il punto più occidentale occupato da Slavi in Europa; formano un altro saliente, quasi interamente circondato da territorio di parlata tedesca, presso Náchod; altri gruppi di Cèchi isolati si trovano sulla sinistra del fiume Ohre e presso Liberec. Verso est i Cèchi di Boemia sono contigui a quelli di Moravia, che occupano all'incirca la metà occidentale della provincia, e sono territorialmente contigui ai Cèchi di Slesia (a est di Opava e a ovest di Těšín). Gli Slovacchi abitano la Moravia sud-orientale e la Slovacchia, dove si hanno alte percentuali di Ungheresi; a est essi confinano con i Ruteni che si estendono lungo tutto l'arco dei Carpazî fino a Bardijov; a partire da questa località verso ovest il confine di stato fa anche da confine tra Polacchi e Slovacchi. La colonizzazione tedesca si è fortemente incuneata in territorî slavi verso Olomouc e Jičín. Mentre un tempo le diverse nazionalltà erano fra loro abbastanza ben distinte, la rapida industrializzazione del paese, sviluppatasi a partire dal 1880, ha attratto nelle città in prevalenza tedesche della Boemia di nord-ovest e della Moravia molti operai slavi che hanno trasformato il carattere etnico di queste: d'altra parte, in quello stesso periodo si è accentuata la campagna ungherese di magiarizzazione della Slovacchia.
I Tedeschi erano distribuiti nel 1921 nelle diverse provincie nel modo seguente:
Gli spostamenti avvenuti dal 1910 sono indicati nella seguente tabella:
Il forte aumento dei Cèchi nella Slesia è avvenuto in gran parte a spese dei Polacchi (diminuiti del 9,38%).
La ragione di questa variazione si deve ricercare, oltre che nel diverso modo con cui furono condotti i due censimenti del 1910 e del 1921, nel fatto che, mentre molti Tedeschi, dopo la creazione del nuovo stato, ritornarono nei loro paesi originarî, affluirono invece in Cecoslovacchia, come è stato accennato, molti Slavi dimoranti a Vienna. È da ritenere anche che molti Ebrei di parlata tedesca abbiano preferito nel 1921 dichiararsi Cèchi piuttosto che Tedeschi, ed è certo poi che la guerra ha recato maggiori perdite (abbassando quindi l'incremento demografico) ai Tedeschi piuttosto che ai Cèchi o Slovacchi. D'altro lato, prescindendo anche dagli effetti della guerra, la natalità ha continuato a diminuire in grado maggiore presso i Tedeschi che presso i Cèchi.
Partendo dalla Selva di Boemia (dove i Cèchi giungono in certi punti fin quasi al confine con la Germania) la zona compattamente tedesca occupa tutto l'angolo più occidentale dello stato, l'alta valle del Mře e dell'Ohže e una striscia di territorio variamente ampia ai piedi dei Monti Metalliferi e dei Monti dei Giganti fino al bacino di Náchod dove i Cèchi si spingono fino al confine prussiano. La striscia è larga un centinaio di km. tra l'arco dei Fichtelgebirge e gli ultimi gruppi tedeschi a NO. di Plzeň, diminuisce a 30 km. presso Teplice, s'allarga a 70 nella zona dell'Elba giungendo a una trentina di km. da Praga, quindi è di soli 10 km. presso Liberec (ted. Reichenberg) per allargarsi di nuovo fino a una trentina di km. dal confine ai piedi dei monti dei Giganti. Oltre Náchod, verso SE. segue l'ampia zona slesiana che si spinge fino a una decina di km. della linea formata dalla Morava e dall'affluente di questa Bečva; slava è però la zona di Opava che s'incunea nel territorio di parlata tedesca e polacca. Isolata da questa grande zona tedesca da un corridoio slavo è l'isola linguistica tedesca di Mor. Třebová, e altre isolette minori a ovest di Olomouc. A SE. di Tachov (a ovest di Plzeň) il confine tra le due nazionalità è dato da una linea che segue le pendici della Selva Boema a una distanza variabile tra i 25 e i 30 km., per toccare quasi il confine presso l'alto corso della Luznice, nei dintorni di Gmünd. La zona tedesca è ȧncora larga una quindicina di km. a est di Třeboň, s'allarga lungo il corso della Dyie giungendo a una trentina di km. da Bruna, per finire dove la Moravia confina con la Slovacchia alla confluenza della Dyje nella Morava.
Seguono per numero gli Ungheresi, che sono complessivamente 745.431, quasi tutti in Slovacchia (637.183) e Russia Subcarpatica (102.144), dove costituiscono il 21,5 e 17,0% della popolazione. In Slovacchia occupano la grande isola formata dal Danubio col Piccolo Danubio a SE. di Bratislava (Velký Ostrov Žitný) e la zona inferiore dei corsi del Nitra e del Hron, afluenti del Danubio, quindi verso E. una striscia larga da 10 a 30 km. lungo tutto il confine ungherese, tagliato dagli affluenti del Tibisco, territorialmente contigui alle popolazioni ungheresi, ma fortemente mescolati con elementi slovacchi, tedeschi (presso Rožŭava, ecc.), ruteni, ebrei. Nel distretto giudiziario di Užhorod si ha per es. il 14,2% di Cecoslovacchi, il 37% di Ruteni, l'i di Tedeschi, il 35,4 di Ungheresi, il 12,1 di Ebrei; in quello contiguo di Mukačevo di contro al 2,7 di Cecoslovacchi e 5,2 di Tedeschi si ha il 56,3 di Ruteni, il 20,9 di Ungheresi, il 14,5 di Ebrei. Nel 1910 nello stesso territorio il numero degli Ungheresi era di 1.418.021 (9,95% della popolazione di contro a 5,49 del 1921); la diminuzione, oltre all'esodo di molti impiegati, soldati, ecc. in Ungheria, deriva probabilmente dal fatto che nel 1910 molti Slovacchi che conoscevano l'ungherese erano stati conteggiati tra gli Ungheresi.
Il 3,45% della popolazione cecoslovacca è costituito da Ruteni o Russi Subcarpatici (detti anche Russini o Rusniachi), quasi tutti (373 mila su 461 mila) nella Russia Subcarpatica.
Infine si hanno 75.853 Polacchi, per la maggior parte (69.967) in Slesia (Slonzachi), dove formano l'11,2% della popolazione, e 180.855 Ebrei, di cui 80. V9 nella Russia Subcarpatica (13,306 della popolazione), 70,529 in Slovacchia (2,4%), il resto in Moravia (15.225), Boemia (11.251), Slesia (3681). Per quel che riguarda le confessioni e l'istruzione, v. oltre.
Le occupazioni degli abitanti variano in modo abbastanza notevole da provincia a provincia. L'agricoltura occupa (1921) il 37,2% della popolazione dello stato; è l'attività di gran lunga prevalente nella Russia Subcarpatica (66,5) e in Slovacchia (58,8), impiega il 37,6% degli abitanti in Moravia, il 28,3 in Boemia e solo il 22,7 in Slesia. Appare nel complesso in diminuzione, soprattutto in Boemia, Moravia, Slesia. L'industria ha scarsa importanza in Russia Subcarpatica (10,6) e Slovacchia (17,8), discreta in Moravia (33,9), notevole in Boemia (40,3) e Slesia (48,6); complessivamente nella repubblica occupa il 33,9% della popolazione attiva. Il commercio occupa il 9,3 degli abitanti con un massimo di 10,7 in Boemia e un minimo di 5,9 nella Russia Subcarpatica.
Condizioni economiche. - Formata da parti che un tempo appartenevano ad unità economiche e amministrative diverse, la Cecoslovacchia ha dovuto adattarsi al nuovo quadro politico europeo senza tuttavia poter modificare notevolmente la sua struttura economica. Nel complesso le condizioni economiche risultano favorevoli, perché il territorio della Repubblica è quasi tutto produttivo (agricoltura intensiva nelle zone più favorevoli, allevamento in quelle mediocri, rilevante estrazione di minerali), cui si aggiunge un'industria estesa a molti rami (facilitata da una copiosa mano d'opera), industria che trova un notevole sbocco nell'esportazione. Questa è a sua volta facilitata dalla situazione geografica della Cecoslovacchia nel centro d'Europa e dal fatto che l'attrezzatura industriale della Boemia trova uno sbocco anche nella parte orientale dello stato, prevalentemente agricola.
Agricoltura e allevamento. - Nel 1927 il territorio della Repubblica risultava così suddiviso dal punto di vista agrario:
Come si è visto dall'esame delle professioni, l'agricoltura occupa quasi il 40% della popolazione; una tecnica agraria ben progredita tende a far aumentare sempre più i redditi e soltanto poche zone di alta montagna e alcuni stagni restano inutilizzati. La valle dell'Elba, la regione di Haná in Moravia, la bassa valle del Váh in Slovacchia sono tra le regioni meglio coltivate d'Europa.
Notevole importanza ha avuto la riforma agraria, attuata in seguito a una legge dell'aprile 1919. Poiché vi erano troppi latifondi, le proprietà superiori ai 150 ha., e in speciali condizioni ai 250, vennero incamerate dietro compenso ai proprietarî. Complessivamente la riforma si estese su 39.458 kmq. (di cui 24.237 di bosco), tolti a 1730 proprietarî, di cui circa un terzo possedevano proprietà di più di 1000 ha. Essa ha avuto anche fini politici perché ha permesso l'insediamento di coloni cèchi o slovacchi in zone d'insediamento tedesco o ungherese, mentre per quanto riguarda il bosco lo stato se ne è attribuito il possesso nelle zone di confine per ragioni di difesa militare.
Secondo una valutazione compiuta nel 1927 esistono in Cecoslovacchia 1.469.439 aziende, di cui 94.118 (cioè il 6,4 per cento) posseggono un territorio che è minore a un decimo di ettaro, 337.705 (23%) posseggono un territorio che è compreso tra un decimo di ettaro e un ettaro, 635-613 (43,38) posseggono da 1 a 5 ha., 209.836 (14,3) da 5 a 10, 160.506 (10,9) da 10 a 30, 25.780 (1,7) da 30 a 100 e infine 4881 (0,3) più di 100 ha.
Tra i prodotti agricoli i cereali hanno grande importanza; il grano occupa circa il decimo del terreno arativo (6313 kmq.; media 1920-27); la produzione media per ha. nel quinquennio 1923-27 è stata di 16 q. Una superficie maggiore occupa la segala (8594 kmq.), coltivata soprattutto nella zona di Plzeň, nelle colline boemo-morave, nell'alta valle della Morava; la produzione media per ha. è di 15,69. In sovrabbondanza viene poi prodotto l'orzo che viene esportato sotto forma di malto (rinomato è quello della regione morava di Haná e dei dintorni di Trnava in Slovacchia); è coltivato su una superficie di 6762 kmq. e dà una produzione media di 16,6 q. per ha. Si esportano anche piccole quantità di avena (coltivata su 8304 kmq.; produzione media per ha. 15,8) e di erba medica. La Cecoslovacchia è poi tra gli stati maggiormente produttori di patate e di barbabietole, le prime coltivate nelle zone collinose, le seconde nelle migliori zone agrarie. La patata è diffusa su 6381 kmq. e il raccolto (in media 107,6 q. per ha.) tende ad aumentare, a superficie invariata. La barbabietola (2569 kmq. con produzione media di 270, 1 q. per ha.) si estende per il 52% in Boemia, per il 30 in Moravia, per il 17 nelle bassure slovacche. Il raccolto di questi prodotti è stato il seguente (in migliaia di q.):
Altre colture: gli ortaggi, il lino e la canapa (non bastanti al fabbisogno), il luppolo, la vite, gli alberi da frutto, il tabacco. Il luppolo è quasi soltanto coltivato in Boemia (regioni di Žatec, Roudnice, Úštěk), dove si estende (1927) su una superficie di circa 155,34 kmq. (superficie complessiva dello stato coltivata a luppolo 157,59). Dopo gli Stati Uniti e l'Inghilterra la Cecoslovacchia è al terzo posto nella produzione mondiale con 108.510 q. (1923). La vite occupa una superficie di 169,40 kmq. (di cui 130,42 produttivi) con una produzione media che si aggira sui 250.300 mila ettolitri, ma che va soggetta a forti sbalzi, a seconda delle annate più o meno favorevoli; la coltura è diffusa specialmente in Slovacchia e Moravia. La superficie coltivata a tabacco, notevole soprattutto in Slovacchia, è andata rapidamente aumentando in questi ultimi anni passando da soli 6,02 kmq. nel 1919 a 11,7 nel 1920, 13,5 nel 1921, 26,5 nel 1923, 54,0 nel 1925. Nel 1927 è stata di 53,7 kmq., di cui 37,4 in Slovacchia e 16,3 in Russia Subcarpatica. La produzione è stata di 6876 q. nel 1925 e 7622 q. nel 1927.
Redditizia è anche la produzione di frutta, specialmente in Boemia. Nel 1926 (anno che rappresenta bene la produzione media) si ebbero i seguenti raccolti (in quintali):
Come si è visto, i boschi occupano poco meno di un terzo del territorio dello stato (46.522 kmq.); la regione più boscosa è la Russia Subcarpatica (50% della superficie), la meno boscosa la Moravia (28%). Le conifere si estendono su 23.300 kmq., le latifoglie su 12.700, il resto è occupato da boschi misti. Tra le conifere prevale l'abete, il pino rosso e il pino, tra le latifoglie la quercia e il faggio. La produzione di legna è stata nel 1927 di 15 milioni di mc.
Il patrimonio zootecnico, assai danneggiato per le requisizioni di guerra, è stato rapidamente reintegrato, ma non basta ancora al fabbisogno. L'allevamento è fatto in modo razionale e intensivo in Boemia e nella Moravia centrale, in modo estensivo nella parte orientale dello stato, dove è diffuso il seminomadismo pastorale. La grande transumanza è esercitata dai pastori della Russia Subcarpatica occidentale, che d'inverno conducono a pascolare il bestiame nelle pianure del Tibisco, mentre d'estate si recano nella zona carpatica. Provvedono all'alimentazione del bestiame il raccolto di un quinto del territorio arativo, circa 14 mila kmq. di prati e molti sottoprodotti delle barbabietole e della birra.
Secondo il censimento eseguito il 31 dicembre 1925 il patrimonio zootecnico è risultato il seguente:
Nel 1910 si avevano cifre non molto diverse, salvo quelle degli ovini e caprini che hanno spostato la loro importanza (1910: equini, 692.041, bovini 4.595.614, ovini 1.322.342, caprini 711.196, suini 2.515.782). Esistono anche 1250 bufali, quasi tutti (983) in Russia Subcarpatica. Scarso è invece il numero degli asini (1730) e muli (2138). La più alta densità di bovini (70,77 per kmq.) si riscontra nella zona montuosa di nord-ovest della Slovacchia, nella Foresta Boema, nel bacino di Č. Budějovice, la più bassa (48 per kmq.) nel distretto di Cheb (Eger). In Boemia è molto diffuso l'allevamento di animali da cortile, conigli e volatili (rispettivamente 749.346 e 9.660.470); nell'intera Repubblica nel 1925 si aveva un milione e un quarto di conigli e 17 milioni di volatili.
Numerosi gli alveari (circa mezzo milione): la produzione del miele si aggira sul milione e mezzo di kg., la cera sui centomila kg. per un valore medio di 15 milioni di lire. Negli stagni boemi è diffusa la piscicoltura (carpe).
Miniere e cave. - La svariata struttura geologica è la base dell'importante industria mineraria cecoslovacca, che nel passato era nota per le miniere d'oro e d'argento dei dintorni di Praga, mentre ora è rivolta quasi esclusivamente all'estrazione del carbon fossile e della lignite, che si trovano negli strati del Carbonico superiore e nei più antichi terreni terziarî. La produzione di carbon fossile si aggira sui 150 milioni di q., quella di lignite sui 190. I distretti principali in Boemia sono: quello di Kladno, Rakovník e Slaný a ovest di Praga, sfruttato a partire dal 1772 (1928: 22 imprese, 9284 operai e 18 milioni di q. di materiale estratto); quello di Plzeň, sfruttato a partire dal 1860 (29 imprese, 4737 operai, 10 milioni di q.) e quello di Žacléř ai piedi dei Monti dei Giganti (3 imprese, 2286 operai, 4,4 milioni di q.); in Moravia è importante il bacino di Rosice-Oslavany ad occidente di Bruna (4 imprese, 2350 operai e 4,2 milioni di q.); in Slesia il bacino di Ostrava e Karvinná, che è di gran lunga il più importante di tutto lo stato 137 imprese, 38.894 operai, 108 milioni di q.) e occupa una superficie di 1040 kmq. La lignite si estrae in molti luoghi, ma hanno soprattutto importanza i bacini boemi di Most, Chomutov, Teplice e di Falknov-Loket. Nel 1926 su 109.216 persone occupate nell'industria mineraria 58.194 erano impiegate nell'estrazione del carbon fossile e 39.012 in quella della lignite (1925; rispettivamente 114.079, 62.453, 40.940). Il valore totale del carbon fossile estratto nel 1929 è stato di 1734 milioni di corone, quello della lignite di 1229 milioni. Esso è stato per la maggior parte consumato nell'interno del paese (consumo interno medio 1924-1926: 138 milioni di q. di carbon fossile e 164 milioni di lignite all'anno, cioè complessivamente più di 2 tonn. per abitante).
Fra i minerali metallici il più importante è il ferro che si estrae ad ovest di Praga, nella Slovacchia orientale, nei Monti Metalliferi e, in piccole quantità, nella Moravia settentrionale e nella Russia Subcarpatica. Nel 1928 fu estratto minerale per 18 milioni di q.; il numero delle persone impiegate è di 5500. Il consumo interno deve essere integrato con minerale importato dalla Svezia e dall'Austria. Gli altri minerali metallici hanno scarsa importanza; nel 1928 fu estratto minerale aurifero per 273 mila q., minerale di manganese per 994 mila q., minerale di argento e piombo per 877 mila q., antimonio per 116 mila q., minerale di rame per 535 mila q., uranio per 3160. L'oro si estrae nella Boemia centrale, l'argento presso Přibram, il rame nella Slovacchia orientale, il manganese in Boemia orientale e Slovacchia, l'antimonio nella Boemia centrale, il minerale d'uranio a Jáchymov. Nel 1929 furono ricavati 220 kg. d'oro, 23.881 d'argento, 9,3 grammi di sali di radio. Si estrae inoltre grafite (1926: 308 mila q.), sale (1926: 981 mila q.), petrolio, caolino, pietre da costruzione. La grafite, per la quale la Cecoslovacchia è al quarto posto, si estrae nella Boemia meridionale; il sale insufficiente al fabbisogno si estrae in Slovacchia (Prešov) e nella Russia Subcarpatica (Slatinské Doly presso il Tibisco); petrolio è ricavato in piccole quantità nella Slovacchia occidentale e nella Moravia meridionale; caolino e argille d'ottima qualità (basi dell'industria ceramica) si estraggono nella Boemia occidentale (Karlovy Vary, Plzeň) e nella Boemia meridionale. Dalle regioni granitiche della Boemia meridionale e dell'altopiano ceco-moravo derivano il granito e la sienite usati come pietra da costruzione. Scarsissima importanza, perché quasi esaurite, hanno le pietre preziose (granate dei monti centrali della Boemia, opale della Slovacchia orientale e ametiste, diaspri, agate della cima del Kozákov presso Turnov). Invece grande importanza economica, soprattutto per l'attrazione sui forestieri, hanno le copiose sorgenti termali; quelle di Karlovy Vary, Frant. Lázně, Mariánské Lázně nella Boemia del nord godono fama mondiale, anche perché ottimamente organizzate; molte altre ne esistono anche in Slovacchia e nei Carpazî.
Industrie. - Come si è visto dalla statistica delle occupazioni, anche l'industria ha in Cecoslovacchia una grande importanza, dovuta soprattutto all'abbondanza di carbon fossile e di legname, alla necessità di rifornire di macchine agricole, materie tessili, ecc., una regione densamente popolata, alla posizione centrale favorevole agli scambî, e, fattore non ultimo, all'esistenza di maestranze operaie specializzate per una lunga tradizione di lavoro. Condizioni di favore sono state anche la possibilità di poter usufruire, per il trasporto delle materie prime, l'Elba e l'Oder, la vicinanza di zone industriali e il fatto di aver avuto per mercato di vendita un ampio stato scarsamente industriale qual'era l'impero austro-ungarico, di cui i territorî ora cecoslovacchi erano parte integrante. Infatti entro il nuovo stato è restato il 92% dell'industria austro-ungarica dello zucchero, il 57% dell'industria della birra, il 75% delle industrie chimiche, il 60% della metallurgia, tutta l'industria della porcellana, il 92% di quella del vetro, il 75% dei calzaturifici, il 65% delle cartiere, il 75% dei cotonifici, l'80% dei lanifici. L'industria ha avuto inizio nella Cecoslovacchia occidentale fin dal sec. XVIII nelle zone montuose di confine, dove era necessario trovar modo d'integrare gli scarsi prodotti agricoli per poter nutrire la crescente popolazione; si è diffusa quindi dal principio del sec. XIX anche nei paesi centrali, mentre in Slovacchia e nella Russia Subcarpatica cominciò a svilupparsi solo verso il 1890-1900, aiutata da sussidî ed esenzioni dello stato, senza tuttavia che in queste regioni avesse il predominio sull'attività agraria, che qui rimase preponderante, mentre in Boemia e in Slesia questa fu superata per importanza dall'attività industriale. I distretti boemi più importanti sono quelli di Liberec (53,6 di popolazione impiegata nelle industrie) e di Cheb (48%), superati tuttavia da quello slesiano di Těšín (60,7). Le città di Ostrava, Kladno, Aš, hanno il 60-70% della popolazione impiegata nelle industrie, Prostějov, Jablonec, Ústí, Krnov, Most, Plzeň il 50-60%. La grande industria è in gran parte gestita da società per azioni (1305 con un capitale di circa 8 miliardi di corone), dipendenti o finanziate da grandi banche; accanto alla grande industria continuano a esistere l'artigianato e l'industria casalinga (specie nelle zone montuose).
Come industria domestica era sorta in origine l'industria tessile che ha lavorato dapprima nelle zone montuose, in piccoli centri posti lungo i fiumi, il lino e la canapa coltivati nelle zone piane e collinose; poi la materia prima (cotone, iuta, lana, lino e canapa) è stata importata e la lavorazione si è estesa, oltre che in Boemia e Moravia settentrionale, da Aš a Ostrava, anche attorno a Praga, Bruna, Bratislava e lungo il fiume Váh in Slovacchia. Prevalgono i cotonifici e i lanifici (produzione di stoffe, tappeti, fez, felpo) Nel 1928 l'industria tessile occupava 277.500 operai (di cui 124 mila nei cotonifici, 59.920 nei lanifici, 33 mila nella lavorazione del lino e della canapa), impiegati in 1530 fabbriche (rispettivamente 602, 230, 175) con 5.231.000 fusi, 159.300 telai meccanici e 42.100 altre macchine. Per numero di fusi la Cecoslovacchia è in Europa al sesto posto (dopo Inghilterra, Germania, Russia, Francia, Italia). Circa 15 mila persone sono occupate nelle confezioni (specie a Prostějiov in Moravia). Al secondo posto per numero di grandi imprese e di operai, ma al primo per capitale è l'industria metallurgica. Prevale la lavorazione del ferro greggio (9° posto nel mondo), lavorato da tre grandi fabbriche, la Vítkovice di Ostrava, la Società mineraria e metallurgica e la Società del ferro di Praga. Più recente è la Ferriera Poldi (Kladno, Chomutov). Piccole officine sono anche in Slovacchia, nei Monti Metalliferi. Il minerale di ferro impiegato deriva in parte dalle miniere cecoslovacche, in parte è importato dalla Svezia e dall'Austria (1928: importazione 1.242 o tonnellate). Nel 1928 i 31 altiforni produssero 1.569.000 tonnellate di ferro greggio e 1.973.000 tonn. d'acciaio. Una metà circa di questo metallo è consumato dalle fabbriche di macchine lDcali; sono al primo posto le officine Škoda di Plzeň (con capitale in parte francese e collegate alle officine del Creuzot), che occupano 22 mila operai e fabbricano cannoni, locomotive, automobili, macchine agricole, ecc.; altre grandi fabbriche che lavorano il ferro e producono macchine sono a Praga, nella Moravia orientale (Koprivnice), a Plzeň. A Ústí si lavora il rame, a Ostrava lo zinco, a Přibram l'argento, a Jáchimov il radio. Complessivamente questo ramo comprendeva, nel 1927, 1340 stabilimenti con 207.900 operai.
Segue l'industria che trasforma i prodotti agricoli, molto importante perché nella produzione dello zucchero di barbabietole la Cecoslovacchia viene dopo la Germania con un ottavo circa della produzione mondiale, occupando il quinto posto nella produzione della birra, il sesto (dopo Stati Uniti, Germania, Francia, Inghilterra, Polonia) in quella dell'alcool. Gli zuccherifici sono specialmente in Boemia e Moravia (rispettivamente 101 e 46 su 163); nel 1928 la produzione è stata di 12 milioni e mezzo di quintali, l'esportazione di quasi 8 milioni. La birra è fabbricata sia in Boemia (soprattutto a Plzeň e a Praga; 385 fabbriche), e in Moravia (55 fabbriche), mentre Slesia e Slovacchia hanno ognuna una quindicina di fabbriche. Per l'esportazione del malto (produzione 2 milioni di q.) è nota la Moravia centrale (Prostějov), per l'alcool la pianura (produzione 1928: 590 mila ettolitri) e l'altopiano cèco-moravo. Diffusa è anche la produzione dei surrogati del caffè, del cioccolato, del formaggio e delle carni salate (prosciutto di Praga).
L'industria del vetro, rivolta alla fabbricazione degli oggetti più svariati, è localizzata per la maggior parte nella Boemia settentrionale intorno a Č. Lípa e presso Jablonec (ornamenti minuti) e a Nový Svět (cristalli di pregio); esistono fabbriche anche nella Boemia meridionale e nella Moravia settentrionale. Per la ceramica gode fama la produzione della porcellana (Karlovy Vary, Teplice e altrove; 68 fabbriche e 17 mila operai).
Recente è invece lo sviluppo dell'industria del cuoio, cui ha giovato la concentrazione delle fabbriche; vengono prodotte moltissime scarpe (specie a Zlin nella Moravia orientale), articoli di valigeria e guanti. Assai sviluppata è anche l'industria chimica, che non basta tuttavia ai bisogni locali; i più grandi stabilimenti (a Ústí e dintorni) producono soda, potassa, sapone, grassi artificiali, ecc., mentre 4 stabilimenti purificano gli olî minerali importati dall'estero. La fabbricazione dei fiammiferi ha il suo centro a Sušice, quella delle matite a Budějovice; la distillazione del legno e del carbone vien fatta soprattutto nella Russia Subcarpatica e a Ostrava.
Infine è da ricordare anche l'industria del legno e della carta. Esistono 3000 segherie (2000 ad acqua, 900 a vapore, 100 elettriche) specie nella Šumava e nei Carpazî (produzione 16 milioni di mc., di cui il 40% da ardere, il 60 per costruzioni); rinomate sono le fabbriche di mobili della Moravia e Slovacchia (che occupano 45 mila operai) e importante la produzione di cellulosa; le cartiere (produzione annua 1 milione e 800 mila quintali di carta) si trovano specialmente nella Boemia e nella Moravia settentrionale. Rilevante è poi la costruzione di strumenti musicali (5000 operai), sia ad arco, sia pianoforti (note le fabbriche di Hradec Králové).
Commercio. - La favorevole situazione geografica della Cecoslovacchia nel centro d'Europa, la ricchezza di materie prime, la sua industria ben sviluppata, la fitta rete di comunicazioni terrestri e fluviali sono le condizioni che hanno permesso alla Cecoslovacchia di acquistare rapidamente un posto importante negli scambî tra gli stati europei. Banche ben organizzate e molti organismi atti a favorire gli scambî hanno aiutato a superare le notevoli difficoltà dei primi anni del dopoguerra, causate sia dall'instabilità della valuta (massima nel 1922, anno di crisi per l'industria cecoslovacca, che ha contato 400 mila disoccupati), sia soprattutto dal fatto che il nuovo stato si è trovato nella necessità di crearsi un nuovo equilibrio economico. Mentre infatti nell'anteguerra l'industria boema poteva contare su un mercato interno di 53 milioni di persone, cioè su tutto l'Impero austro-ungarico, il nuovo mercato è sceso invece ad appena 14 milioni, in modo che è stato necessario trovare all'estero gli acquirenti che una volta erano nell'interno dello stato. Nel complesso però le correnti del traffico non sono sensibilmente mutate. Massimo centro del commercio dello stato è Praga, dove confluiscono per il commercio all'ingrosso gran parte dei prodotti agricoli e industriali del paese, che un tempo confluivano a Vienna. Per agevolare il commercio sono state istituite 12 Camere di commercio e industria che hanno la loro sfera in 12 distretti (6 in Boemia: Praga, Budŭjovice, Plzeň, Cheb, Liberec, Hradec Králové, e 6 nelle altre regioni; Bruna, Olomouc, Opava, Bratislava, Baňská Bystrica, Košice); servono allo scopo anche le fiere campionarie di Praga, Liberec, Bruna, Bratislava.
Negli ultimi sette anni il commercio con l'estero è stato il seguente (in milioni di corone):
Le cifre più alte delle importazioni sono date dalle materie gregge o semilavorate tessili. Nel 1928: cotone e cotonami per 2606,3 milioni, cioè il 13,6% delle importazioni; lane per 2081,1 milioni, 10,8%; sete per 791,8 milioni, 4, 1%; lino, canapa e iuta per 462,8 milioni, 2,4%. Segue per importanza l'acquisto di generi alimentari (cereali, malto, farina, riso) per 1921 milioni, 10%; frutta e verdura per 702 milioni, 3,7%; animali da macello per 743,6 milioni, 3,9%; prodotti animali per 743 milioni, 3,9%; grassi per 507,1 milioni, 3,0%; coloniali per 321,3 milioni, 1,7%; altre materie gregge e semilavorate 7%; carbone e olî minerali 8,4%.
Per l'esportazione hanno maggiore importanza i tessuti e le confezioni (circa il 34%, di cui il 14,2, cioè 3022 milioni di merci di cotone, il 10,3 per 2185 milioni di lana, il 3,3 per 702 milioni di seta e il 3,2 per 687 milioni di lino, canapa, iuta); seguono i prodotti agricoli e alimentari per il 17,4% (di cui l'8% per 1699 milioni di zucchero e il 4% per 850,i milioni di malto); gli oggetti metallici per il 15,5%; quelli di cuoio per il 6,8%; quelli di vetro per il 6% e quelli di porcellana (2,5%). Fra le materie prime notevole è l'esportazione di carbone (4,4%) e di legno (4,1%).
Nel 1928 la Cecoslovacchia ha importato dalla Germania per 4778 milioni di corone, dall'Austria per 443, dalla Polonia per 1264, dagli Stati Uniti per 1149, dall'Ungheria per 849, dalla Gran Bretagna per 831, da Brema per 787, dalla Romania per 535, dalle Indie Inglesi per 533, dalla Svizzera per 478, dalla Iugoslavia per 449, dall'Italia per 426. Ha esportato in Germania per 4695 milioni di corone, in Austria per 3124, nella Gran Bretagna per 1477, in Ungheria per 1467, negli Stati Uniti per 1170, nella Iugoslavia per 948, in Romania per 870, in Polonia per 850, nella Svizzera per 619, in Italia per 544. L'Italia ha importato: frutta e verdure per 141.6 milioni di corone, cascami tessili per 63 milioni, seta e merci di seta per 46,1, canape e lino per 25,5, prodotti animali per 22, automobili per 19,7, riso per 18,9; ha esportato dalla Cecoslovacchia: vetrami per 64,7 milioni, merci di lana per 64,6, ferro e ferramenta per 59,1, cereali, malto, farina per 52,6; pelli e pellami per 37,3, carta per 34, zucchero per 29,8, cotonami per 29,3.
Comunicazioni. - Stato continentale posto in regioni appartenenti a bacini fluviali diversi, la Cecoslovacchia si serve per gli scambî soprattutto delle ferrovie e in minore misura delle vie fluviali.
La lunghezza delle strade mantenute dallo stato ammontava nel 1926 a 58.342 kmq. (34.246 in Boemia) di cui 2729 km. sono percorsi da servizî pubblici di auto. Per quanto riguarda i veicoli a motore nel 1926 esistevano 14.551 motocicli (Boemia 10.208), 16.880 automobili (Boemia 12.059), 6400 autocarri (Boemia 4744) La prima ferrovia è stata costruita da Olomouc a Vienna già nel 1839; in seguito la rete è stata tracciata in modo che i paesi della Corona Boema gravitassero verso Vienna, la Slovacchia verso Budapest. Riunite le due parti, la rete si è trovata senza comunicazioni nel senso est-ovest, tanto che per raggiungere Užhorod da Praga sono necessarie 20 ore. Nel 1928 si avevano nella Repubblica 13.500 km. di ferrovie (6807 Boemia, 2204 Moravia, 605 Slesia, 3854 Slovacchia e Russia Subcarpatica; il resto fuori dello stato), quasi tutte a scartamento normale. Asse principale dei trasporti è la linea Cheb-Plzeň-Praga-Pardubice-Č. Třebová-Přerov-Ostrava-Bohumín-Žilina-Košice-Čop-Jasiňa, che misura 1279 km.; una deviazione importante per l'Ungheria è costituita dalla linea Č. Třebová-Bruna-Bratislava-Szob. Nodi ferroviarî principali sono soprattutto Praga, uno dei punti d'incrocio più importanti d'Europa (linee Parigi - Varsavia; Francoforte - Budapest; Berlino-Dresda-Vienna; Praga-Trieste; Praga-Monaco) e poi Plzeň in Boemia, Bruna, Olomouc e Přerov in Moravia, Bratislava e Košice in Slovacchia. In media le ferrovie trasportano annualmente 300 milioni di persone e 100 milioni di tonn. di merci (nel 1925, 9 miliardi e 875 milioni di tonn. chilometri); il 69% del traffico merci riguarda gli scambî interni, il 9% le importazioni; il 14% le esportazioni e il resto riguarda il transito. Il materiale conta 4350 locomotive, 8700 carrozze viaggiatori e 113 mila carri merci; le linee a doppio binario sono il 13%; gl'impiegati sono 148 mila.
Il traffico fluviale non ha grande importanza, poiché, salvo il Danubio, che del resto ha posizione periferica, gli altri fiumi appartengono alla Cecoslovacchia soltanto nel corso montano.
Nel 1927 la lunghezza delle linee navigabili per vapori era di 498 km., per barche di trasporto 397, e altri 2456 per zattere. L'Elba è navigabile per battelli da 700 tonn. (lunghi 76 m., larghi 10 e con 1 m. e 90 di pescaggio) da Rudeč, 18 km. a monte di Mělník alla confluenza con la Vltava; questa può essere risalita a monte di Praga fino a Ždákov; verso la valle scendono legno, zucchero, lignite, verso monte sono portati concimi, materie prime per l'industria chimica, lana, cotone, prodotti coloniali. Una serie di lavori dovrebbe permettere la navigazione dell'Elba fino a Hradec Králové. Il Danubio è navigabile per 174 km., il Váh da Sered a Komárno. Il porto più importante sull'Elba è Ústí (1925: 190 mila tonn. importate e 410 mila esportate, il vicino porto di Krásné Březno rispettivamente 22 e 147; seguono Dúčín e Loubí). Sul Danubio importante è Bratislava, sede della commissione internazionale del Danubio; la città ha in parte ereditato il traffico di Vienna (1925: 283 mila tonn. importate e 264 mila esportate); introduce grano e prodotti agricoli, mentre esporta prodotti finiti. Komárno (1925: 127 mila tonn. all'esportazione e 46 mila all'importazione) esporta prodotti della Slovacchia orientale e introduce specialmente petrolio romeno. Il porto più importante dell'Oder è Ostrava. Nel 1928 il traffico fluviale della Cecoslovacchia è stato di 1254 mila tonnellate sul Danubio, 3928 mila sull'Elba e Vltava, 188 mila sull'Oder. Per l'art. 331 e seg. del trattato di Versailles l'Elba-Vltava è stata internazionalizzata da Praga, l'Oder da Ostrava, il Danubio per tutto il tratto cecoslovacco. Lo stesso trattato e quello di San Germano hanno accordato alla Cecoslovacchia il diritto di prendere in affitto zone franche nei porti di Amburgo, Stettino, Trieste.
Per quanto riguarda la posta si avevano: nel 1928, 4546 uffici, i quali spedirono 9.663 mila lettere e 3.485 mila giornali. Il telegrafo nel 1928 aveva 20.652 km. di linee con 3772 uffici; il telefono una rete di 34.827 km. con 126.550 apparecchi. Esistono inoltre 38 sezioni radiotelegrafiche.
Marina mercantile. - La Cecoslovacchia ha oggi soltanto una nave addetta ai traffici marittimi: il piroscafo Legie, costruito nel 1920, di tonn. 5375, con sede d'armamento ad Amburgo. Si sono a varie riprese avanzate delle proposte per la costituzione di una flotta più importante con capitale anche straniero; nulla però si è concluso fino ad ora.
La navigazione fluviale è esercita da tre compagnie: la Compagnia di navigazione del Danubio, con 126 navi per tonn. 70.861; la Comp. di navigaz. dell'Oder, con 96 navi per tonn. 35.700; la Comp. di navigaz. dell'Elba, con 314 navi per tonn. 161.042.
Aviazione civile. - L'aviazione civile dipende dal III Dipartimento del Ministero dei trasporti pubblici (Direzione dell'aeronautica). Nei primi cinque anni della Repubblica esisteva la sola Compagnia internazionale di navigazione aerea, che collegava Praga con Parigi, Varsavia, Vienna e con i Balcani. Oggi Praga è il punto d'incrocio delle linee aeree colleganti tutti i principali centri europei; per essa passano infatti le aviolinee per Parigi, Rotterdam, Chemnitz, Breslavia, Vienna e Monaco, che assicurano la coincidenza con le altre principali reti internazionali. La regolarità dei trasporti aerei è quasi del 100%.
Attualmente esistono in Cecoslovacchia tre società di navigazione aerea: la Compagnia cecoslovacca dello stato, che gestisce le linee Praga Bruna-Bratislava e Praga-Mariánské-Lázně; la Compagnia internazionale di navigazione aerea (francese) che gestisce le linee Praga-Norimberga, Praga-Vienna e Praga-Varsavia; la Luft-Hansa (tedesca) che gestisce le linee Berlino-Praga-Vienna, Praga-Monaco e Praga-Breslavia.
Nel 1929 furono percorsi sulle linee aeree cecoslovacche km. 473.000; furono trasportati 8270 passeggeri e oltre kg. 184.000 di merce. I crediti all'aviazione civile per il 1929 furono di corone 50.500.000.
Distribuzione degli abitanti e dei centri principali. - La diversa densità della popolazione dipende anzitutto dall'attività economica delle diverse regioni; le cifre più alte compaiono nelle zone dove l'attività industriale ha avuto maggiore sviluppo, mentre poco popolate sono le zone prive di ricchezze minerarie e di possibilità industriali. Densità superiori ai 200 abitanti per kmq. si notano nella zona industriale dei Monti Metalliferi e nel cuneo più settentrionale della Repubblica a est dell'Elba, come pure nei dintorni di Aš e nei dintorni di Praga e di Kladno, tra Vltava e Ohře. La stessa densità si nota pure ai piedi dei Monti dei Giganti sulla destra della Jizera (dintorni di Liberec e Jablonec), nell'alta valle dell'Elba e nella zona mineraria e industriale slesiana (Mor. Ostrava); in Slovacchia densità superiori ai 200 abitanti si hanno solo lungo la media valle del Váh. Densità comprese tra i 120 e i 200 abitanti si hanno nei dintorni di Plzeň e di Bruna, nell'alta e media valle dell'Ohře e in quasi tutta la Boemia di nord-est; inoltre nella valle della Moldava e lungo i corsi dell'Orava, del Váh e della Nitra. In Russia Subcarpatica e in Slovacchia, la bassa pianura, dove i fiumi non sono regolati e sono diffusi i latifondi, è generalmente poco popolata; gli abitati si trovano in prevalenza lungo le vallate più alte dei fiumi o sulle colline degli ultimi rilievi carpatici. Densità di 100 abitanti hanno i paesi fortemente agricoli della pianura boema e morava e da 60 a 100 le zone della Boemia meridionale in mediocri condizioni idrografiche e climatiche; hanno densità inferiore ai 60 abitanti tutta una vasta regione a nord di Plzeň e quella posta a NE. di Č. Budějovice, come pure le zone più alte della Foresta Boema; in Moravia ha la stessa densità la zona sorgentifera della Morava. Densità sotto i 40 ab. per kmq. sono nei Carpazî Bianchi e nei Piccoli Carpazî, nei rilievi sulla sinistra del Váh, in quasi tutta la Slovacchia orientale e nella parte più montuosa della Russia Subcarpatica.
Lo stretto rapporto tra le zone industriali e le zone maggiormente popolate è reso evidente dal fatto che nei distretti di Hradec Králové, Mladá Boleslav (Boemia di NE.), Ostrava Morava, nei quali è impiegato nell'industria dal 40 al 45 per cento della popolazione, si hanno densità rispettivamente del 138, 150, 141, in quelli di Česká Lípa e Louny dove la popolazione impiegata nell'industria sale al 50-55, si ha una densità di 174 abitanti per kmq. e infine nel distretto di Těšín, dove più del 60 per cento è impiegato nell'industria, la densità raggiunge i 244 abitanti per kmq. Tenendo conto delle nazionalità, in Boemia la densità dei distretti abitati prevalentemente da Tedeschi era nel 1910 di 145 abitanti per kmq., mentre era assai inferiore (109 ab. per kmq., 130,5 comprendendo anche Praga) nei distretti a maggioranza cèca.
Malgrado il forte sviluppo industriale la popolazione vive nel complesso piuttosto in piccoli centri o in case isolate che in grandi città. Il 56,7% della popolazione appare infatti distribuito in comuni con meno di 2000 abitanti, il 16,4 in comuni da 2 a 5000, il 7,8 in comuni da 5 a 10.000 abitanti, il 5,9 in comuni da 10 a 20.000, il 4,2 in comuni da 20 a 50.000, il 2, 1 in comuni da 50 a 100.000 e solo il 6,6 per cento in comuni superiori ai 100.000 abitanti. Anche a questo riguardo si hanno notevoli differenze nelle diverse regioni; in Boemia vive, in città superiori ai 20.000 ab., il 15,9% della popolazione, in Moravia il 18%, in Slesia l'11,5%, in Slovacchia solo il 4,9% e in Russia Subcarpatica il 6,8%. Spesse volte però, specialmente nelle zone industriali, i comuni sono così vicini da formare un unico centro urbano. La seguente tabella indica il numero degli abitanti dei varî comuni nelle diverse regioni:
Secondo il censimento del 1921 le città della Cecoslovacchia con più di 25 mila ab. erano le 20 seguenti. In Boemia: Praga (676.657), la più occidentale delle grandi città slave, il massimo centro naturale e storico della Repubblica; Plzeň (88.416), centro della parte occidentale della Boemia e importante luogo commerciale; Budějovice (44.022), posta nella Boemia meridionale e uno dei più notevoli centri agricoli dello stato; Ústí n. L. (39.830); Kladno (37.534), Karlovy Vary (36.653); Liberec (34.985): Teplice-Šanov (28.892), Most (27.239), Cheb (27.524). In Moravia: Bruna (221.758), capitale della Moravia e seconda città dello stato per numero di abitanti, Ostrava Morava con Slezská Ostrava (113.709), Olomouc (57.206), Prostějov (21.000) e Jihlava (28.179). In Slovacchia: Bratislava (93.189) e Košice (52.898). In Slesia: Opava (33.457). Nella Russia Subcarpatica: Užhorod (20.213) e Mukačevo (20.794). Successivamente sono avvenuti molti cambiamenti, specialmente per l'annessione di comuni vicini ai centri maggiori. Secondo i primi dati del censimento del 1930 Praga contava 848.000 ab., e Bratislava 123.000.
Bibl.: H. Mikula, Tschechloslowakei, 1912-1927, in Geographisches Jahrbuch, XLIII, Gotha 1928, pp. 111-34 (Bibliografia critica degli scritti geografici pubblicati sulla Cecoslovacchia nel dopoguerra); F. Katzer, Geologie v. Böhmen, Praga 1892; F. E. Suess, Bau u. Bild der böhmischen Masse, Vienna 1903; P. Pocta, Strućný pĭehled geologie Čech (Breve compendio della geologia della Boemia), Praga 1911; V. Uhlig, Ban u. Bild der Karpathen, Vienna 1903; J. Moscheles, Les régions morphologiques du massif bohémien, in Ann. de géogr., XXXII (1913). Pubblicazioni del Servizio geologico della Repubblica Cecoslovacca: I. Woldřich, Geologická mapa Československé Republiky, 1 : 1.000.000, Praga 1923; Geologická mapa Českosl. Republiky (Carta geolog. del servizio geol.) 1 : 400.000, Praga 1924. Un'analisi completa della vegetazione cecoslovacca è data nel lavoro di K. Domin, Introductory remarks to the fith International Phytogeographic excursion through Czechoslovakia, 1928, dove è citata anche la bibliografia. Si veda anche la vecchia opera: A. von Hayek, Die Pflanzendecke Österreich-Ungarns, Lipsia 1914-16; La Cecoslovacchia, Roma, Istituto per l'Europa Orientale, 1925; Československá vlastivěda (Cecolosvacchia: nozioni patrie), Praga 1926 segg.; Encyclopédie Tchécoslovaque: I: J. Veselý, Industrie et commerce, Praga 1923; II: J. Smetana, Comunications, 1927; III: V. Brdlík, Agriculture, 1928; CEskoslovenská Republika, in Slovník národohospodářský (Dizionario di economia nazionale), Praga 1929; K. H. Strobl, Die Tschechen, Lipsia 1920; C. Eisenmann, La Tchécoslovaquie, Parigi 1921; Manuel statistique de la République tchéclosvaque, III, Praga 1928; G. Cumin, Cenni sulla distribuzione della popolazione nella repubblica Cecoslovacca, in Bibl. R. Soc. Geogr., ital., 1927, pagine 677-88; F. Weil, Tschechoslowakei, Gotha 1924; Wirtschaftsatlas des tschechosl. Staates, Reichenberg 1920 (2ª ed. 1928); E. Pfohl, Orientierungslexikon der tscheschosl. Republik, Liberec 1927; F. Machatschek, Landeskunde der Sudeten-u. Westkarpatenländer, Stoccarda 1927; id., Die Tschechoslowakei, Berlino 1928; H. Hassinger, Die Tschechoslowakei. Ein geographisches, politisches und wirtschaftliches Handbuch, Vienna, Lipsia, Monaco 1925; J. Blau, Landes- und Volkskunde der Tschechoslovakischen Republik, Reichenberg 1927; Laznovský, Prùvodce po Československé Republice (Guida attraverso la Repubblica cecoslovacca), Praga 1926; J. Král, Reiseführer durch die Čechoslovakische Republik, Praga 1928; B. Chiurlo, Čech, český, čeština: Čechoslovák; Čechy, československo ecc., in Rivista italiana di Praga, I; id., Nomi di regioni e di città ed altri toponimi italiani del territorio cecoslovacco, ibid., 1929; V. Dvorský, Základy politické geografie a československy stát (Le basi della geografia politica e lo stato cecoslovacco), Praga 1923.
Per le condizioni economiche è da vedere: Deset let Čsl. Republiky (Dieci anni della repubblica cecoslovacca), Praga 1928; J. Moscheles, Wirtschaftsgeographie der Tschechosl. Republik, Praga 1921; V. Novák, Přirozené zemědělské krajiny a výrobní oblasti v Republ. Československé (Regioni naturali agrarie e regioni industriali), 1925; Sylviculture de la Républ. Tchéclosvaque, 1927; F. Slavík, Užitkové nerosty zemí českých (Minerali industriali delle terre cèche), 1917; J. Peters, Uhlí v Čsl. Republice (Carboni nella Rep. cecoslovacca), 1927; id., Rudy, tuha, sul a nafta v Csl. Republice (Metalli, grafite, sale e nafta nella Rep. cecoslovacca), 1927; Hospodářská politika čekoslov. průmyslu, 1918-1928 (La politica economica dell'industria cecoslovacca, 1918-1928), 1928; Plavební ročenka Čsl. Republiky (Annuario di navigazione della Repubblica cecoslovacca); J. Gruber, Dopravní politika (La politica dei trasporti), 1924; J. Čiháš, Národohospodařcký átlas Českosl. Republiky (Atlante economico della Cecoslovacchia), Praga 1928.
Il rilievo topografico della Repubblica (alla scala 1 : 25.000, 1 : 75.000, 1 : 200.000) è curato dal Cs. vojenský zemepisný ústav (Istituto geografico militare cecoslovacco) di Praga, quello geologico dal Cs. státní geologický ýstav. (Istituto geologico statale). È stato creato anche un ufficio idrologico (Cs. státní ústav hydrologický), un ufficio metereologico (Cs. státny ústav meteorologický) e un ufficio statistico (Cs. státní úrad statistický).
Ordinamento dello stato.
Costituzione e amministrazione. - La costituzione della Cecoslovacchia del 29 febbraio 1920, elaborata e approvata dall'Assemblea nazionale provvisoria in cui non erano rappresentati i Tedeschi e i Magiari, ha impronta democratica ed è molto dettagliata. Essa presenta tre tratti caratteristici: 1. è a carattere rigido, non può cioè più essere modificata che in condizioni speciali; 2. l'elezione del capo dello stato è fatta, come in Francia, dall'Assemblea nazionale; 3. il sistema elettorale è basato sul principio della rappresentanza proporzionale, che dominava nella maggior parte dell'Europa all'indomani della guerra mondiale.
Lo stato cecoslovacco è una repubblica (art. 2), in cui tutto il potere emana unicamente dalla nazione (art.1). Il suo territorio forma un'unità indivisibile e le sue frontiere non possono essere modificate che mediante una legge costituzionale (art. 3). Non esiste che una sola cittadinanza per tutta la Repubblica (art. 4), di cui Praga è la capitale (art. 5). Per la Russia Subcarpatica la costituzione riproduce le clausole del trattato di San Germano del 10 settembre 1919 (art. 10-13), ma con qualche modificazione. Mentre il trattato prevede che le frontiere di tale regione debbano esser fissate dalle principali potenze (art. 10), la costituzione stabilisce che la legge cecoslovacca, che fisserà le frontiere, farà parte della costituzione (art. 3-9). Il trattato statuisce che il governatore della Rutenia (Russia Subcarpatica) sarà responsabile davanti alla dieta locale (art. 11); la costituzione aggiunge che il governatore, nominato dal presidente della Repubblica, è responsabile anche davanti alla dieta locale (art. 3-6).
Il potere legislativo è esercitato dall'Assemblea nazionale che si compone di due Camere, le quali siedono ordinariamente a Praga, ma possono anche esser convocate in altro luogo in caso di necessità assoluta (art. 6).
Camera dei deputati. - Composta di 300 membri, eletti a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, secondo il principio della rappresentanza proporzionale (art. 8); sono elettori tutti i cittadini dei due sessi, che abbiamo compiuto 21 anni (art. 9), ed eleggibili quelli che abbiano compiuto 30 anni; la Camera è eletta per un periodo di 6 anni (art. 11). La legge elettorale del 29 gennaio 1920 ha diviso il paese in 23 collegi elettorali, di cui il più piccolo elegge 6 deputati e il più grande (Praga) 45. Il voto è obbligatorio, salvo per coloro che hanno più di 70 anni, per i malati, ecc.
Senato. - Composto di 150 membri, eletti anch'essi a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, secondo il principio della rappresentanza proporzionale (art. 13); sono elettori i cittadini dei due sessi, che abbiano compiuto i 26 anni (art. 14) ed eleggibili quelli che abbiano compiuto i 45 (art. 15); il senato è eletto per un periodo di 8 anni (art. 16). Per le sue elezioni, il paese è diviso in 13 collegi, di cui il più piccolo elegge 4 senatori e il più grande (Praga) 45. La procedura è la stessa delle elezioni alla Camera dei deputati.
Il presidente della repubblica deve convocare le due Camere ogni anno in due sessioni: di primavera (marzo) e d'autunno (ottobre); può convocarle in sessioni straordinarie, se è necessario (art. 28), dichiara chiuse le sessioni; non può prorogarle per più d'un mese e una sola volta in un anno (art. 30); ha diritto di sciogliere le Camere, salvo negli ultimi sei mesi delle sue funzioni (art. 31). Salvo che non sia esplicitamente disposto altrimenti, ogni legge approvata dall'assemblea nazionale ha vigore su tutto il territorio dello stato (art. 8). Le decisioni delle Camere sono valide se prese a maggioranza assoluta dei presenti con l'intervento di almeno un terzo dei membri (art. 32); per votare la dichiarazione di guerra o le modificazioni della costituzione è però necessaria la maggioranza di tre quinti di tutti i membri (art. 33). Il Senato deve deliberare entro sei settimane sui disegni di legge approvati dalla Camera dei deputati, ma il termine è ridotto a un mese per quelli del bilancio o sulla difesa nazionale; la Camera dei deputati deve deliberare entro tre mesi sui disegni approvati dal Senato: se una delle due Camere lascia spirare tali termini, si considera che anch'essa approvi (art. 43)
Salvo per le riforme della costituzione, il governo può decidere all'unanimità che un suo progetto di legge, respinto dall'Assemblea nazionale, sia sottoposto a referendum popolare, a cui hanno diritto di partecipare tutti coloro che sono elettori per la Camera dei deputati (art. 46). Il presidente della repubblica ha diritto di rinviare entro un mese con le sue osservazioni all'Assemblea nazionale una legge che è stata approvata, ma la legge deve essere ugualmente promulgata se le due Camere la confermano a maggioranza assoluta di tutti i loro membri, o se la Camera dei deputati la conferma a maggioranza di tre quinti di tutti i suoi membri (art. 48).
Il presidente della repubblica è eletto per sette anni dalle due Camere riunite in Assemblea nazionale: possono essere eletti tutti coloro che possono essere eletti deputati e che abbiano compito i 35 anni (art. 56 e 58). L'elezione è valida con la presenza della maggioranza assoluta di tutti i membri e a maggioranza di tre quinti dei presenti: se dopo due votazioni non si è ottenuto nessun risultato, si procede al ballottaggio (art. 57). Salvo Masaryk, nessuno può essere eletto presidente per più di due volte consecutive: occorre almeno un settennio d'intervallo (art. 58). Il presidente della repubblica rappresenta lo stato all'estero, conclude e ratifica i trattati, ma deve farli approvare dall'Assemblea nazionale qualora impongano carichi od obblighi allo stato o ai cittadini, o modifichino il territorio nazionale; dichiara la guerra col consenso dell'Assemblea nazionale; nomina e revoca i ministri; è il capo supremo delle forze armate; ha il diritto di grazia, salvo per i ministri messi in stato d'accusa (art. 64 e 103). Presta giuramento dinanzi all'assemblea nazionale (art. 65); non è responsabile degli atti che compie nell'esercizio delle sue funzioni (art. 66); può solo esser giudicato, in via penale, per alto tradimento dal Senato in seguito ad accusa della Camera dei deputati e può esser condannato solo alla perdita del suo ufficio e all'incapacità ad esservi rieletto (art. 67).
I ministri prestano giuramento dinanzi al presidente della repubblica (art. 73-74). Sono responsabili davanti alla Camera dei deputati, la quale può votare, per appello nominale, con la presenza della maggioranza di tutti i suoi membri e a maggioranza assoluta dei presenti ordini del giorno di sfiducia, presentati da almeno 100 membri (art. 75 e 76). Debbono dimettersi, se la Camera esprime loro la sua sfiducia (art. 78). Se violano le leggi o si rendono colpevoli di flagrante negligenza, possono esser messi in stato d'accusa davanti al Senato per iniziativa della Camera dei deputati (art. 79). Il governo prende le sue decisioni in consigli dei ministri, a cui deve partecipare almeno la maggioranza assoluta dei ministri (art. 80). Il presidente della repubblica può assistere ai consigli dei ministri o convocarli presso di sé (art. 82 e 83).
La giusazia è amministrata dai tribunali dello stato; nessuno può essere sottratto ai suoi giudici legali (art. 94). Esiste una sola corte suprema di giustizia per tutto il territorio dello stato (art.95). La costituzione non riconosce privilegi di sesso, di nascita o di professione (art. 106). La libertà individuale è garantita, non può esser limitata o soppressa che in conformità delle leggi (art. 107). La proprietà privata non può esser limitata che dalla legge (art. 109). Il domicilio è inviolabile (art. 112). La libertà di stampa, di riunione e d'associazione è garantita (art. 113).
L'arte, le ricerche scientifiche e la pubblicazione dei loro risultati sono liberi purché non costituiscano una violazione delle legge penale (art. 118). L'insegnamento pubblico deve essere ordinato in modo da non essere in contrasto com le ricerche scientifiche (art. 119). La libertà di coscienza e di religione è garantita (articoli 121-124). Il matrimonio, la famiglia e la maternità sono sotto la protezione delle leggi (art. 126).
Gli art. 7 e 8, e 9 del trattato di San Germano del 10 settembre 1919, relativi ai diritti delle minoranze etniche sono riprodotti, nelle loro parti essenziali, nella costituzione, la quale aggiunge che ogni modo di snazionalizzazione forzosa è vietato e può essere dichiarato delittuoso dalla legge (art. 134). Tali disposizioni sono integrate dalla legge sull'uso delle lingue, promulgata anch'essa, come la costituzione, il 9 febbraio 1920.
Essa stabilisce, in principio che la lingua cecoslovacca è quella: 1. in cui compiono le loro funzioni i tribunali, gli organi amministrativi, le intraprese dello stato; 2. in cui è formulato il testo principale dei biglietti di stato e di banca; 3. in uso nell'esercito come lingua di comando e di servizio, mentre si può adoperare con i soldati che la ignorano la lingua nazionale di essi. Però nei distretti giudiziarî, nei quali, secondo l'ultimo censimento, almeno il 20% degli abitanti parla una lingua diversa da quella cecoslovacca, gli organi giudiziarî e amministrativi dello stato debbono ricevere gli atti redatti in tale lingua e pronunziare in essa (o in essa e in cecoslovacco) le loro decisioni: negli stessi distretti la lingua della minoranza nazionale deve essere anche usata negli avvisi pubblicati dai tribunali e dagli organi amministrativi. Gli organi dello stato si servono, di regola, del cèco nei territorî che avevano appartenuto in passato all'Austria o alla Prussia, e dello slovacco in Slovacchia: per la Russia Subcarpatica la decisione è riservata alla dieta locale e, in via transitoria, si "terrà conto delle particolari condizioni linguistiche" di tale regione.
Una legge preliminare alla costituzione stabilisce che le leggi contrarie alla costituzione stessa, non sono valide. Un tribunale costituzionale è incaricato di dichiarare se le leggi della Repubblica cecoslovacca o della dieta subcarpatica sono conformi alla costituzione.
Le amministrazioni locali sono organizzate sopra tre gradi: il comune, il distretto e la provincia. L'ordinamento dei comuni è ancora basato, con alcuni ritocchi e complementi, sulle leggi del passato. I comuni hanno: un consiglio eletto a suffragio universale, una giunta composta di un terzo dei membri del consiglio, un borgomastro. La legge del 1927 ha poi diviso lo Stato in 4 provincie (Boemia, Moravia-Slesia, Slovacchia e Russia Subcarpatica), ciascuna delle quali ha alla sua testa un presidente, un consiglio provinciale e una giunta. I membri dei consigli provinciali (120 in Boemia, 60 in Moravia-Slesia, 54 in Slovacchia e 18 nella Russia Subcarpatica) sono per due terzi eletti con lo stesso sistema dei consigli municipali, per un terzo nominati dal governo fra comnpetenti. Il regime speciale, previsto dal trattato di San Germano per la Russia Subcarpatica, non è stato ancora concretato.
Bibl.: J. Hoetzl e V. Joachim, La constit. de la Rép. Tchéc., Praga 1920; A. Giannini, Le cost. degli stati dell'Eur. orient., I, Roma [1930].
Organizzazione ecclesiastica. - Come si è visto la costituzione cecoslovacca garantisce la più ampia libertà di coscienza e di religione: per essa costituzione tutte le religioni sono uguali davanti alla legge (art. 124). Nonostante la scarsa omogeneità della Cecoslovacchia nei riguardi delle confessioni religiose (vedi i dati statistici appresso riferiti) la religione cattolica è la prevalente.
S. Metodio, al quale insieme con S. Cirillo risale il merito di aver dato l'impulso decisivo alla conversione dei Moravi e dei Cèchi, fu nominato prima di morire vescovo regionale della Pannonia e della Moravia. Più tardi nel 973, fu eretta la sede vescovile di Praga, la quale, fatta suffraganea di Magonza, estese la sua giurisdizione alla Boemia, alla Moravia, alla Slesia e alla Lusazia. Quasi un secolo dopo, nel 1063, fu eretta anche la sede di Olomouc che andò essa pure ad accrescere il numero dei suffraganei di Magonza. Intanto nella Slovacchia meridionale veniva creata, suffraganea di Esztergom la sede di Nitra. Soltanto nel 1344 Praga e Olomouc venivan sottratte alla provincia ecclesiastica di Magonza, e Praga innalzata a dignità di metropoli, mentre Olomouc e Litomyšl eran fatte sue suffraganee. Furono queste le tre diocesi sotto la cui giurisdizione venne a trovarsi quasi tutto il territorio dell'attuale Cecoslovacchia, fino al sec. XVII. Nel frattempo Litomyšl fu sostituita nel 1644 con Hradec Králové, a cui, 11 anni dopo, veniva ad aggiungersi pure in Boemia la diocesi di Litoměrice.
Invece nella Moravia, nella Slesia e nella Slovacchia il rimaneggiamento del territorio ecclesiastico, non si verificò che nella seconda metà del sec. XVIII auspice la regina Maria Teresa. Allora (1777) Olomouc fu eretta a metropoli e le venne assegnata come sede suffraganea la nuova diocesi di Bruna; mentre un anno prima erano state costituite le diocesi di Baňská Bystrica, di Rožňava, dello Spiš e di Mukačevo, assegnate come suffraganee ad Eger e a Ezstergom. Nel 1785, sotto Giuseppe II, fu creata in Boemia la diocesi di Budějovice e assegnata alla provincia ecclesiastica di Praga; mentre nel 1818 si organizzò la diocesi di Prešov, la quale, unitamente alla diocesi di Mukacevo situata nell'attuale Russia Subcarpatica, è diocesi per i cattolici di rito bizantino.
In seguito poi alla ripartizione dell'Impero austro-ungarico, come fu aggregata alla Cecoslovacchia la diocesi di Nitra, così venne istituita l'amministrazione apostolica di Trnava per le parrocchie della diocesi di Esztergom situate sulla riva destra del Danubio. Tale modificazione sembra preludere a modificazioni di cui non si può prevedere la portata, per quelle parti delle diocesi di Košice, di Rožňava, dello Spižňe di Mukačevo che in seguito alla accennata ripartizione, finirono per trovarsi in tercitorio ungherese o romeno.
Le grandi divisioni ecclesiastiche cecoslovacche si riducono pertanto alle due provincie ecclesiastiche di Praga e di Olomouc e ad alcune diocesi facenti parte delle provincie ecclesiastiche ungheresi di Eger e di Esztergom:
Nel 1920 è stata fondata la nuova chiesa cecoslovacca (sulla base dogmatica della vecchia chiesa cristiana prima dello scisma). Essa ha un patriarca con residenza a Praga e quattro vescovi.
I protestanti sono divisi in tre confessioni: quella dei Fratelli Boemi, il cui comitato sinodale è a Praga; la Chiesa evangelica tedesca, il cui presidente risiede a Jablonec, e la Chiesa riformata in Slovacchia e Russia Subcarpatica, che ha vescovi a Bratislava, Rimavska Sobota, e Mukačevo.
Dati statistici. - Scarsamente omogenea è la Cecoslovacchia anche nei riguardi delle confessioni religiose. Si hanno infatti:
Per le diverse provincie si hanno (per 1000 ab.) le seguenti percentuali:
Secondo la nazionalità, i Tedeschi sono cattolici per il 93,4% e protestanti per il 3,9; i Cecoslovacchi cattolici per il 77,2, atei per l'8, protestanti per il 6,7, aderenti alla Chiesa cecoslovacca per il 5,9; gli Ungheresi cattolici per il 63,8, protestanti per il 28,8, ebrei per il 3,9; i Ruteni cattolici greci per l'83,8, cattollci romani per l'1,4, ortodossi per il 13,5; i Polacchi cattolici per il 63,4, protestanti per il 35,5. L. Gra. - El. M.
Forze armate. - Esercito. - L'esercito cecoslovacco ha le sue origini nelle legioni, costituite soprattutto da soldati di nazionalità Cèca che durante la guerra mondiale si trovavano quali prigionieri nei diversi paesi dell'Intesa, in primo luogo in Italia e in Russia. Primo organizzatore e animatore di queste legioni fu lo scienziato slovacco Milan Štefánik che, insieme con Masaryk e Beneš faceva parte del comitato cecoslovacco d'azione all'estero. Uniti, nell'aprile del 1918, in una speciale divisione affidata al comando del generale italiano Graziani, i legionarî cecoslovacchi combatterono a fianco dell'esercito italiano sino all'armistizio, e al principio del 1919 tornarono in patria sotto la guida del generale Piccione. Queste legioni, cui si aggiunsero quelle formatesi in Francia (le legioni in Russia poterono rimpatriare solo nel 1920), costituirono il primo nucleo dell'esercito cecoslovacco che, dopo le lotte contro gli Ungheresi, fu organizzato con legge del 19 maggio 1920.
Su una popolazione di 14 milioni d'abitanti, la Cecoslovacchia ha ora una forza bilanciata di 120 mila uomini, a reclutamento generale e obbligatorio, con un bilancio di circa 800 milioni di lire, in confronto dei 5 miliardi e mezzo circa del bilancio generale. Obblighi di servizio: 30 anni, di cui alle armi 18 mesi; riserva di primo bando, 18 anni e mezzo: riserva di secondo bando 10 anni.
Il presidente della repubblica è capo supremo dell'armata; il servizio amministrativo centrale dell'esercito dipende dal Ministero della difesa nazionale. Dal ministro della Difesa nazionale dipende il capo di stato maggiore e le quattro circoscrizioni militari e provinciali (Praga, Bruna, Bratislava e Košice). L'esercito comprende: 4 comandi militari di regione (corpi d'armata corrispondenti alle 4 circoscrizioni surricordate) e 12 divisioni di fanteria.
Ogni divisione di fanteria è costituita da 2 brigate di 2 reggimenti di fanteria di linea ciascuna e da una brigata d'artiglieria divisionale comprendente un reggimento d'artiglieria da campagna e un reggimento d'artiglieria pesante campale. I reggimenti di fanteria di linea sono su 3 battaglioni, 1 compagnia tecnica e 1 battaglione di complementi; ciascun battaglione è costituito da 2 compagnie fucilieri, da 1 compagnia mitraglieri e da 1 plotone di ausiliarî.
I reggimenti d'artiglieria da campagna comprendono 3 gruppi di 3 batterie, 1 batteria complementare e 1 plotone collegamenti; quelli pesanti campali sono costituiti da 2 gruppi, ciascuno su 1 batteria cannoni e 2 batterie obici, oltre la batteria complementare e il plotone collegamenti.
La cavalleria comprende 10 reggimenti (tre brigate), ciascuno su 2 mezzi reggimenti, una squadra mitragliatrici e un mezzo reggimento complementare; a ogni brigata è inoltre assegnato uno squadrone ciclisti. In ogni reggimento il 1° mezzo reggimento è su 2 squadroni normali e uno tecnico e il 2° mezzo reggimento ne ha 2 normali e uno tecnico e il 2° mezzo reggimento ne ha 2 normali e 1 di mitraglieri. Lo squadrone tecnico è costituito da un plotone zappatori e 1 collegamento.
Oltre l'artiglieria delle divisioni si hanno: una brigata autonoma di 4 regg. d'artiglieria leggiera; una brigata di 2 regg. d'artiglieria pesante campale; 2 brigate d'artiglieria pesante, con un regg. cannoni da 150 e 240, 2 regg. obici da 150 e 2 regg. mortai da 210 e 305. Ogni regg. ha, inoltre, un plotone collegamenti, 1 compagnia aerostieri (escluso il reggimento cannoni) e una batteria complementi; 3 regg. da montagna, con 19 gruppi, di cui 12 autonomi (probabilmente uno per divisione). Ogni reggimento comprende: 1 gruppo cannoni su 3 batterie; 1 gruppo obici su 3 batterie; 1 batteria complementi e un plotone collegamenti; un regg. controaerei su 3 gruppi di 3 batterie di 4 pezzi ciascuna e una batteria complementi; 1 regg. bombarde, comprendente: 2 gruppi di 3 batterie da 140, 1 gruppo di 3 batterie da 260 ed una squadra ausiliaria.
Il genio comprende: 5 regg. zappatori, ciascuno di 2-3 battaglioni di 3 compagnie e una compagnia complementi; 1 reggimento telegrafisti di 3 battaglioni su 3 compagnie, 2 sezioni R. T. e 1 centro d'istruzione; i regg. ferrovieri di 2 battaglioni su 3 compagnie e 1 centro d'istruzione, i compagnia ferrovieri, 1 officina mobile, 1 battaglione complementi; i battaglione specialisti con 1 compagnia riflettori, 1 compagnia meccanici, 1 compagnia elettrotecnici, 1 compagnia d'armamento, 1 compagnia complementi; 1 battaglione fluviale, con 1 compagnia pontieri, i compagnia torpedinieri, 1 compagnia navale, 1 compagnia complementi.
L'esercito comprende ancora: 1 battaglione carri armati di 3 compagnie carri leggieri, 1 compagnia complementi con officina, 1 sezione autoblindate; 3 regg. d'aeronautica su 2 battaglioni di 3 compagnie (una da caccia, una da osservazione, e una da bombardamento), 1 sezione fotografica e un battaglione complementare; 1 gruppo di 3 sezioni automobilisti e una scuola; 1 battaglione treno, con una sezione tecnica; 3-4 compagnie treno, 1 compagnia d'istruzione e 1 compagnia complementi; 1 direzione di sanità, 12 ospedali divisionali, 2 case di ricovero per invalidi, 6 stabilimenti balneari, numero vario di farmacie militari, depositi di sanità con laboratorî.
Aviazione militare. - Lo sviluppo dell'aviazione cecoslovacca è di data recente (1919). Le forze aeree militari fanno capo al Ministero della difesa nazionale (dipartimento dell'aviazione), da cui dipendono anche le fabbriche di materiale aeronautico e le scuole di aviazione. Il reparto dirigibili e le unità della difesa antiaerea dipendono dall'artiglieria. La forza è di tre reggimenti, ogni reggimento si compone di tre gruppi, ogni gruppo di quattro squadriglie.
Ciascun reggimento ha una sezione fotografica, un magazzino di materiale d'aviazione e un'officina riparazioni. I reggimenti sono dislocati a Praga, a Olomouc e a Bratislava; la ripartizione delle squadriglie è varia. Gli apparecchi sono oltre 550, di cui 375 in servizio attivo, tutti di tipo moderno e di costruzione nazionale (Avia BH. 33 da caccia, Aero A. 30 da ricognizione, Smolík S. 16 da bombardamento diurno, Aero A. 24 da bombardamento notturno). Il personale ammonta a circa 1000 uomini. Le scuole d'aviazione si trovano a Prostějov e a Cheb. I crediti accordati all'aviazione militare per il 1929 ammontarono a corone 60.477. o00.
Gli aeroporti più importanti sono: Bruna (militare, m. 800 × 420), Budějovice (civile, m. 600 × 300), Cheb (militare, m. 1000 × 600), Košice (militare, m. 400 × 200), Milovice (militare, m. 600 × 400), Moravská Ostrava (civile, m. 500 × 600), Nitra (militare, m. 600 × 500), Olomouc (militare, m. 800 × 800), Piešt'any (civile, m. 805 × 1200), Plzeň (civile, m. 400 × 300), Praga (militare, a 8 km. E.-NE. dalla città, m. 1350 × 810, con cerchio e scritta), Poprad (civile, m. 800 × 350), Prostějov (militare, m. 1000 × 850). Nel 1918 esisteva presso Praga una sola fabbrica di motori d'aviazione, la Breitfeld e Danek, cui si unì una parti della ditta "Albatros" di Vienna, formando la casa "Al-Ma" per riparazione di velivoli. Il comitato nazionale cecoslovacco s'impadronì in quell'anno dell'aerodromo di Cheb e degli stabilimenti adiacenti; la maggior parte del materiale e del macchinario venne spedito a Praga e si creò così il primo nucleo dell'arsenale aviatorio cecoslovacco. Dopo l'"Al-Ma" sorsero le ditte "Aero", "Avia" ed altre, e l'industria si sviluppò rapidamente. Oggi essa è pressoché in grado di sopperire ai bisogni nazionali: ha creato nuovi tipi di motori, che vengono esportati insieme con qualche apparecchio e con pezzi di ricambio.
Finanze. - I bilanci della Cecoslovacchia, stabiliti in principio, dal punto di vista formale, sul modello dei bilanci dell'antica Austria, subirono successive modificazioni nel 1921, 1923, 1926 e nel 1927 ebbero il loro assetto definitivo.
Il bilancio cecoslovacco si divide in quattro parti: bilancio propriamente detto (dell'amministrazione dello stato); conto delle aziende di stato; conto delle quote delle imposte e tasse percepite dallo stato e dovute a collettività autonome; conto del servizio del debito pubblico.
Il bilancio della Cecoslovacchia è a partire del 1926 in avanzo, come dimostrano le seguenti cifre sull'ammontare totale delle entrate e delle spese ordinarie e straordinarie:
Ed ecco l'analisi del bilancio propriamente detto per il 1927:
L'ammontare totale del debito pubblico della Cecoslovacchia è, secondo il bilancio per il 1929, di 36,8 milioni di corone (25,9 di debito interno, 6,7 di debito estero, 4,2 di debito risultante dai trattati di pace) senza tener conto del prestito di 5933 milioni di corone, contratto in occasione della restaurazione monetaria che fu pagato con il ricavato d'una imposta straordinaria sul capitale.
L'unità monetaria è la koruna o corona (divisa in 100 halíř) il cui valore, nell'ottobre del 1929, allorché si diede alla circolazione una base aurea, fu fissato a 44,58 milligrammi d'oro fino; nella stessa epoca il capitale azionario della Banca nazionale, che, all'atto della fondazione, nel 1926, era stato stabilito in 12 milioni di dollari, fu portato a 405 milioni di corone cecoslovacche e il rapporto della riserva aurea ai biglietti in circolazione fu fissato al 25% per il 1929, al 30% per il 1930 e al 35% dalla fine del 1930 in poi. L'ammontare dei biglietti emessi dalla Banca nazionale, in circolazione al 15 febbraio 1930, era di 6.248 milioni di corone; e la riserva metallica ascendeva alla stessa data a 1262 milioni di corone. Le monete in circolazione al 31 dicembre 1928 raggiungevano complessivamente un valore di 276 milioni di corone.
Istruzione e ordinamento scolastico. - La Cecoslovacchia dispone, nell'insieme, di un'ottima organizzazione scolastica, che deriva in buona parte dall'aver ereditato, nei paesi della Corona boema, tutta una serie d'istituti scolastici ben graduati e bene amministrati, ma anche dal vivo desiderio della Repubblica di prender parte a ogni progresso culturale.
Ma, poiché l'eredità scolastica e culturale non era in tutte le regioni identica, come è stato accennato (notevoli erano le differenze tra le regioni occidentali e quelle orientali della Repubblica) e diverso era lo spirito di cui nei riguardi delle popolazioni slave erano informate l'Austria da un lato e l'Ungheria dall'altro, non vi fu, al momento della costituzione del nuovo stato, alcuna omogeneità nel campo scolastico e culturale. A raggiungerla, pur conservando la differenziazione linguistica delle scuole, e a sollevare il livello culturale nelle regioni ove esso è tuttora piuttosto basso, è rivolta in primo luogo l'attività della Repubblica; alcune tra le riforme particolari sono però rimaste per ora allo stato di progetti.
Istruzione elementare. - L'obbligo di frequentare la scuola dai 6 ai 14 anni, in vigore nelle regioni già austriache sin dal 1869, è stato esteso, nel 1922, anche alle regioni orientali della Cecoslovacchia. Le scuole elementari gravano tanto sul bilancio delle provincie, quanto sul bilancio dello stato; in Slovacchia però vi sono delle scuole mantenute esclusivamente dallo stato. Scarso è il numero delle scuole private. Vi sono scuole a cinque classi, tre classi e monoclassi.
Il tipo normale nei centri maggiori è la scuola di cinque classi con, in più, altri tre corsi di grado elementare superiore (scuola civica). Nell'insegnamento è data larga parte ai lavori manuali. L'insegnamento religioso è facoltativo. Secondo le statistiche della fine del 1926 vi erano in Cecoslovacchia 14.158 scuole elementari con 1.403.823 alunni, inoltre 1736 scuole civiche con 310.010 alunni. Dal punto di vista linguistico (nazionale) vi sono 9419 scuole elementari e 1256 scuole civiche cèche e slovacche (non distinte dalle statistiche ufficiali). Per le altre nazioni il rapporto è il seguente: per i Tedeschi 3287 e 433, per gli Ungheresi 79 e 17, per i Ruteni 484 e 11, per i Polacchi 87 e 8. Vi sono inoltre 9 scuole elementari per gl'israeliti, 2 per i Romeni, 76 plurilingui e 88 per gli anormali e deficienti.
Fra la popolazione superiore ai 6 anni, gli analfabeti sono appena il 2,44% in Boemia, 3,14 in Moravia, 3,68 in Slesia; la percentuale sale al 15% in Slovacchia e al 50% nella Russia Subcarpatica. Per l'intera Repubblica gli analfabeti sono appena il 7,4% (6,6% tra gli uomini e 8,1 tra le donne).
Gli analfabeti sono fra i Tedeschi il 2,89%, tra i Cecoslovacchi il 5,65, tra i Polacchi il 6,31, tra gli Ungheresi il 10,9, tra gli Ebrei il 15,9%, tra i Ruteni il 61,1.
Istruzione media. - Esistono i seguenti tipi di scuole medie: 1. ginnasio classico (cioè: ginnasio-liceo) con l'insegnamento del latino e del greco (a partire dal 5° corso); 2. ginnasio reale con l'insegnamento d'una lingua moderna (francese o inglese) in luogo del greco; 3. ginnasio reale riíormato, ove l'insegnamento del latino s'inizia col 5° anno e quello di una lingua moderna è limitato agli ultimi due anni; 4. scuola reale di carattere tecnico e senza le lingue classiche; 5. istituto magistrale di quattro anni (vi si accede dopo la scuola media inferiore o dopo la scuola civica).
Secondo la lingua d'istruzione le scuole medie si dividono in: 198 cecoslovacche, 81 tedesche, 4 rutene, 3 ungheresi e una polacca. In tutte le scuole è obbligatorio l'insegnamento del ceco (o slovacco); in quelle cecoslovacche invece è obbligatorio l'insegnamento del tedesco.
Un gruppo a parte, non soltanto per il loro carattere, ma anche per la stessa organizzazione eminentemente pratica e moderna, formano le scuole professionali, divise in scuole di tipo commerciale, industriale, agrario, musicale e artistico. Non tutte hanno il carattere di scuole medie. Importanti sono i corsi obbligatorî per gli apprendisti delle varie branche, e i corsi popolari d'agricoltura. Tanto nel campo dell'insegnamento professionale, quanto in quello più propriamente medio, sono in corso di studio o d'attuazione numerose e profonde riforme.
Istruzione superiore. - La capitale ha due università, una cèca e una tedesca, Bruna ha un'università cèca e Bratislava un'università slovacca, nella quale insegnano però numerosi professori cèchi. Dei quattro istituti tecnici superiori due sono cèchi e due tedeschi (tutti e quattro si trovano a Praga e a Bruna).
Hanno carattere più spiccatamente professionale due facoltà di teologia, una scuola superiore d'agricoltura, una scuola superiore di veterinaria (tutt'e due a Bruna) e una scuola superiore delle miniere a Přibram. Vi e inoltre a Praga una facoltà giuridica per gli emigrati russi e una libera università per gli Ucraini. Appartengono pure alla categoria di istituti superiori: il Conservatorio nazionale di Praga, il Conservatorio di Bruna, l'Accademia tedesca di musica e arte drammatica a Praga, due scuole di studî pedagogici, la Scuola nazionale per i bibliotecarî, ecc. Grande è il numero degli studenti stranieri negl'istituti superiori della Cecoslovacchia; accentrati soprattutto a Praga e provenienti in maggioranza dai paesi dell'Europa orientale e balcanica, essi hanno fatto di Praga uno dei più forti centri culturali del mondo slavo. Per ciò che riguarda le altre istituzioni culturali (biblioteche, accademie. ecc.), v. le singole città e soprattutto Praga.
Storia.
La storia delle regioni che costituiscono la Cecoslovacchia non può, a rigore di termini, essere definita storia cecoslovacca, se non per il periodo successivo alla guerra mondiale, e più propriamente a partire dalle giornate 28 ottobre-14 novembre 1918, quando il Comitato nazionale di Praga, assunti i poteri militari e civili (28 ottobre) e convocata una rappresentanza proporzionale dei partiti cèchi in assemblea nazionale, dichiarò (14 novembre) sciolti per sempre i vincoli che univano i paesi cecoslovacchi alla dinastia degli Asburgo, decadute le convenzioni del 1526 e la prammatica sanzione di Carlo VI e proclamata la repubblica.
Le epoche precedenti hanno quindi la loro trattazione nell'ambito dei complessi storici di cui via via queste terre fecero parte. (Per la preistoria e il periodo anteriore all'immigrazione degli Slavi si veda: marcomanni; quadi; per l'epoca che va approssimativamente dal sec. IX sino al 1918, v. boemia: Storia; austria, per le terre già appartenenti alla corona boema; ungheria, per la Slovacchia e la Russia Subcarpatica).
Il congresso delle nazionalità oppresse dell'Austria-Ungheria, che ebbe luogo a Roma dal 9 al 12 aprile 1918, permise ai Cèchi di affermare solennemente le loro aspirazioni fra la simpatia di tutti gli stati dell'Intesa. Con la dichiarazione del 9 agosto il governo inglese riconobbe come alleata la nazione cecoslovacca, l'esercito cecoslovacco come esercito alleato e belligerante, il Comitato nazionale come fiduciario del futuro governo cecoslovacco: a tale dichiarazione aderirono gli Stati Uniti, il Giappone, l'Italia e la Francia.
Il 14 ottobie Beneš notificò agli stati dell'Intesa la costituzione in Parigi d'un governo provvisorio cecoslovacco, di cui egli divenne ministro degli Affari esteri. Il 28 il Comitato nazionale di Praga proclamò l'indipendenza della Cecoslovacchia e prese nelle sue mani il potere, senza incontrare seria resistenza da parte delle autorità civili e militari austriache: il 30, il Consiglio nazionale slovacc0 si pronunziò, a Turč. Sv. Martin a favore dell'unità cecoslovacca. Il Governo provvisorio di Parigi e il Comitato nazionale di Praga s'intesero per la formazione d'una repubblica democratica; il 13 novembre fu promulgata una costituzione provvisoria, in seguito alla quale si riunì l'assemblea nazionale, composta di 256 (poi 270) membri, di cui 44 slovacchi; i Tedeschi rifiutarono di parteciparvi. Masaryk fu proclamato all'unanimità presidente della Repubblica: si costituì un gabinetto in cui Kramár ebbe la presidenza, Beneš il portafoglio degli Affari esteri e il generale Štefánik quello della Guerra.
Grazie alla grande abilità di cui dettero prova i suoi delegati - Kramář e Beneš - la Cecoslovacchia ottenne alla conferenza della pace risultati straordinariamente soddisfacenti. Col trattato di Versailles la Germania le cedette il territorio slesiano di Hlučín (Hultschin). Il trattato di San Germano le attribuì le terre della corona di San Venceslao (Boemia, Moravia e Slesia) secondo le loro frontiere storiche ed alcune piccole aggiunte a danno dell'Austria. Col trattato del Trianon l'Ungheria le cedette non solo le regioni montagnose dei Carpazî abitate da Slovacchi, ma anche la Russia Subcarpatica e le regioni di pianura a nord del Danubio con Bratislava. Quanto alla Slesia di Teschen le rivendicazioni cecoslovacche urtarono contro quelle polacche; vi furono anche scontri sanguinosi: il 19 febbraio 1919, con l'intervento delle potenze dell'Intesa, fu concluso un armistizio e il 27 settembre il Consiglio supremo stabilì che la delimitazione definitiva avrebbe avuto luogo in seguito a un plebiscito. Contemporaneamente al trattato di pace con l'Austria, la Cecoslovacchia firmò a San Germano con le grandi Potenze (10 settembre 1919) un trattato relativo al trattamento delle minoranze. Essa s'impegnò ad assicurare piena e intera protezione della vita e della libertà a tutti i suoi abitanti, senza distinzione di nascita, di nazionalità, di lingua o di razza e a dare alla Russia Subcarpatica la più larga autonomia compatibile con l'unità dello stato cecoslovacco. Gl'inconvenienti d'essere la Cecoslovacchia uno stato interno vennero diminuiti con l'internazionalizzazione dell'Elba e del Danubio e con la possibilità d'istituire zone franche nei porti di Trieste, Amburgo e Stettino.
Il gabinetto Kramář, che rimase in ufficio otto mesi (14 novembre 1918-7 luglio 1919), dovette dapprima domare un movimento secessionista dei territorî tedeschi della Boemia e della Moravia, che aspiravano ad unirsi ai loro connazionali. Poi cercò di padroneggiare la situazione in Slovacchia, dove le frontiere non erano ancora definite e dove alcuni elementi slovacchi separatisti e tutti quelli magiari o magiarofili si agitavano: quando il governo comunista di Béla Kun prese il potere in Ungheria, truppe ungheresi invasero la Slovacchia, ma furono respinte dai Cèchi; le potenze stabilirono poi una linea di confine, a cui corrisposero in seguito, presso a poco, le frontiere definitive.
Anche la situazione economica esigeva l'energico intervento del governo. All'esaurimento provocato dalla guerra si aggiunsero le difficoltà che dovevano necessariamente accompagnare lo smembramento della monarchia degli Asburgo. Sul terreno delle riforme sociali, l'opera del gabinetto Kramář fu fortemente influenzata dalle tendenze socialiste, che prevalevano allora in Cecoslovacchia, come in varî altri stati d'Europa. La riforma agraria (legge del 16 aprile 1919) autorizzò il governo a parcellare tutti i fondi, che avessero un'area superiore ai 150 ettari di terra arabile o ai 250 ettari di terre di altre categorie, attribuendo ai proprietarî un'indennità corrispondente a circa un sesto del valore effettivo. Tale riforma fu giustificata tanto con la sproporzione che esisteva tra la grande e la piccola proprietà quanto col fatto storico che, dopo la battaglia della Montagna Bianca (1620) gli Asburgo avevano concesso vasti latifondi ai nobili di nazionalità tedesca o magiara.
Le elezioni municipali, effettuate il 15 giugno 1919, dimostrarono che i varî partiti non partecipavano al governo in proporzione delle forze di cui disponevano nel paese. Il gabinetto Kramár si dimise quindi l'8 luglio e Masaryk affidò il potere al socialista Tusar, il quale costituì un ministero con prevalenza di socialisti: Beneš conservò il dicastero degli Affari esteri. Il primo gabinetto Tusar (8 luglio 1919-25 maggio 1920), che continuò la politica economica e sociale del precedente, ebbe il merito di far approvare dall'Assemblea nazionale la costituzione, votata il 29 febbraio 1920: in conformità di essa si fecero poi (18 e 25 giugno) le elezioni per la Camera dei deputati e per il Senato. I varî partiti cecoslovacchi ottennero 199 seggi nella prima (su 281) e 102 nel secondo (su 142): i Tedeschi 72 e 37, gli Ungheresi 10 e 3.
Dopo le elezioni il ministero si dimise. Lo stesso Tusar fu incaricato di costituire il nuovo gabinetto. L'Assemblea nazionale rielesse Masaryk presidente della repubblica con 284 voti su 411. Tusar rivolse subito ai Tedeschi l'invito a collaborare con la maggioranza, ma il suo appello non ebbe favorevole accoglienza: i Tedeschi persistettero nel loro atteggiamento di riserva ostile verso lo stato.
Alla conferenza di Spa (4-17 luglio 1920) la Polonia, sotto la grave minaccia dell'invasione bolscevica, dovette piegarsi a rinunciare al plebiscito di Teschen e a rimettersi, per le contestazioni di frontiera con la Cecoslovacchia, alla decisione delle grandi Potenze, ciò che corrispondeva al desiderio del governo di Praga, fortemente sostenuto dalla Francia. In seguito a ciò la Conferenza degli ambasciatori pronunziò la sua decisione il 28 luglio. Nella regione di Teschen, la Cecoslovacchia ottenne, oltre l'intero distretto di Frýdek, la maggior parte di quello di Fryštát (compresa questa città e l'intero bacino carbonifero) e più della metà di quello di Teschen (compresa la linea ferroviaria Bohumín-Jablunkov); essa ottenne anche la parte principale dei territorî contestati di Spiš e d'Orava nei Carpazî. L'appoggio della Francia in tali questioni era il corrispettivo di concessioni fatte dalla Cecoslovacchia sul terreno politico e militare. La missione militare italiana, diretta dal Generale Piccione, che aveva organizzato l'esercito nei primi tempi, provvedendo anche all'occupazione e alla difesa della Slovacchia contro gli Ungheresi, era stata sostituita nel maggio 1919 da una missione francese, cui fu preposto il generale Pellé: più tardi il generale francese Mittelhauser fu addirittura nominato capo dello stato maggiore dell'esercito cecoslovacco. In questo periodo Beneš iniziava un'azione diplomatica diretta a costituire la cosiddetta "Piccola Intesa" cioè un'intesa fra la Cecoslovacchia, la Iugoslavia e la Romania.
Il secondo gabinetto Tusar ebbe, fin dalla sua costituzione, un'esistenza difficile perché, avversato dai partiti moderati e dagli allogeni, disponeva nella Camera dei deputati d'una maggioranza molto esigua. Ma quando, nel settembre 1920, per iniziativa della frazione comunista, si produsse una crisi nel partito socialista, Tusar e gli altri ministri, appartenenti a tale partito, si dimisero, ciò che portò al ritiro dell'intero gabinetto. Data l'impossibilità di formare un governo parlamentare, si ricorse ad un ministero di funzionarî presieduto dal Černý, in cui Beneš conservò tuttavia il portafoglio degli Affari esteri (15 settembre). Mentre i comunisti si staccavano dai socialisti, costituivano un partito separato e conducevano nel paese una violenta agitazione, che culminò nel dicembre in uno sciopero generale, gli altri cinque maggiori partiti cecoslovacchi appoggiarono attivamente il governo per mezzo d'un comitato parlamentare, composto dei loro cinque capi (pětka). Invece i Tedeschi accentuarono l'opposizione e finirono con l'abbandonare il parlamento, dichiarando di non voler partecipare ai lavori legislativi.
Le trattative iniziate da Beneš fin dal dicembre 1919, per un accordo fra la Cecoslovacchia, la Iugoslavia e la Romania, il cui scopo principale doveva essere d'infrenare ogni tentativo di reazione da parte degli Ungheresi, avevano avuto un primo risultato, concretato dalla convenzione, firmata a Belgrado il 14 agosto dal ministro degli Affari esteri cecoslovacco, recatosi appositamente colà, e dal suo collega iugoslavo Ninčić; essa stabiliva fra i due stati un'alleanza difensiva, di cui una convenzione militare segreta doveva definire le modalità, in caso di attacco non provocato dell'Ungheria contro uno dei medesimi. Da Belgrado Beneš si era recato a Bucarest per abboccarsi con Take Jonescu e stipulare con la Romania un'alleanza, analoga a quella con la Iugoslavia, ma il ministro romeno, pur consentendo nelle direttive della politica cecoslovacca, evitò di prendere impegni formali, desiderando dissipare prima i malintesi che la convenzione con la Iugoslavia aveva suscitato in varî paesi, tra cui l'Italia. Infatti la convenzione cecoslovacco-romena fu firmata a Bucarest soltanto il 23 aprile 1921. Nel frattempo l'Italia e la Iugoslavia conclusero a Rapallo (12 novembre 1920) non soltanto il trattato per la delimitazione della frontiera comune, ma anche una convenzione contro un'eventuale restaurazione della Casa d'Asburgo in Austria o in Ungheria e per il mantenimento dei trattati di San Germano e del Trianon, a cui la Cecoslovacchia aderì l'8 febbraio 1921 in occasione d'una visita fatta a Roma da Beneš al conte Sforza, ministro degli Affari esteri. Durante il primo tentativo fatto dall'ex-imperatore Carlo per riprendere il potere in Ungheria (fine di marzo principio d'aprile del 1921) l'Italia e i tre stati della Piccola Intesa procedettero in intimo accordo per liquidarlo energicamente. Al momento del secondo tentativo (ottobre 1921), l'atteggiamento dell'Italia fu più riservato, essendosi il marchese Della Torretta allontanato alquanto dalle direttive del suo predecessore nei riguardi della Piccola Intesa la quale mostrò però la stessa fermezza, facendo anche una parziale mobilitazione.
Dopo aver infrenato l'agitazione comunista, il Gabinetto Černý aveva assolto il suo compito principale. Nel settembre 1921 il partito socialista che si era riconsolidato dopo la crisi, si dichiarò pronto a partecipare di nuovo al governo. Il Gabinetto Černý si dimise il 27 e Beneš fu incaricato di costituirne uno nuovo, conservando il portafoglio degli Affari esteri: tutti i grandi partiti cecoslovacchi vi furono rappresentati. Sul terreno della politica interna il ministero Beneš continuò l'opera di ricostruzione, iniziata da quelli precedenti: la corona cecoslovacca fu rivalutata da 10 a 17 centesimi di corona-oro e stabilizzata a tale tasso. Dal punto di vista della politica estera, si ebbe un ravvicinamento fra la Cecoslovacchia e la Polonia, fino allora divise dalla questione di Teschen e dalle simpatie che la prima mostrava per l'agitazione nazionale rutena (ucraina) in Galizia orientale e la seconda per il movimento separatista in Slovacchia. Nel novembre 1921 fu firmato un accordo politico, per cui i due stati si garantivano i loro territorî, s'impegnavano a reprimere ogni propaganda, diretta contro l'integrità dell'altro e a osservare una neutralità benevola, nel caso in cui uno di essi fosse attaccato da qualcuno dei suoi vicini: con una dichiarazione segreta inoltre la Polonia aderì alla politica antiasburgica. Ma tale accordo non fu mai ratificato, specialmente per l'avversione che sussisteva nell'opinione pubblica polacca e per la controversia circa l'appartenenza del comune di Javorina, nel territorio di Spiš.
Il 16 dicembre fu concluso un trattato di garanzia e d'arbitrato fra la Cecoslovacchia e l'Austria. Alla conferenza di Genova, in cui Beneš stesso rappresentô il suo governo, gli stati della Piccola Intesa e la Polonia procedettero di conserva, gravitando piuttosto verso la Francia. La Cecoslovacchia partecipò inoltre attivamente all'azione per la restaurazione economica e finanziaria dell'Austria, che traversava una gravissima crisi.
Il gabinetto Beneš rimase in carica circa un anno. Si dimise il 5 ottobre 1922 e fu sostituito da uno presieduto da Švehla, capo del partito agrario. Il nuovo governo si adoperò anzitutto a consolidare la situazione economica e finanziaria del paese. Il ministro delle finanze Rašín fu assassinato da un giovane squilibrato a tendenze anarcoidi. Nel bilancio dello stato furono introdotte considerevoli economie (3 miliardi di corone) per combattere il disavanzo. Il pareggio fu raggiunto nel 1924: nello stesso anno fu limitata la libertà di stampa per infrenare le violenze dei comunisti; furono ridotti gli effettivi di pace dell'esercito.
Nella sessione del settembre 1923 Beneš fu eletto membro del consiglio della Società delle Nazioni con decorrenza dal 1° gennaio 1924. Il 25 gennaio 1924 Poincaré (presidente del consiglio e ministro degli Affari esteri) firmò a Parigi con Beneš un trattato politico. I due governi si sono impegnati a intendersi sulle questioni internazionali che possano mettere in pericolo la loro sicurezza e attentare alla situazione creata con i trattati di pace e a concertarsi sui provvedimenti comuni che fossero eventualmente minacciati. Speciale allusione fu fatta: 1. al mantenimento dell'indipendenza dell'Austria; 2. all'esclusione della casa d'Asburgo dal trono dell'Austria o dell'Ungheria; 3. a un'intesa in caso di restaurazione degli Hohenzollern in Germania.
Il 12 marzo 1924 il consiglio della Società delle Nazioni risolse, dopo lungo dibattito, a favore della Cecoslovacchia la controversia con la Polonia per l'appartenenza del comune di Javorina.
I rapporti fra l'Italia e la Iugoslavia ebbero nel 1924 una ripercussione sui rapporti tra l'Italia e la Cecoslovacchia. Il patto d'amicizia italo-iugoslavo, firmato a Roma da Mussolini e da Ninčić il 27 gennaio 1924 e la soluzione della questione di Fiume furono seguiti dal trattato italo-cecoslovacco, firmato a Roma da Mussolini e dal ministro Kybal il 5 luglio 1924; nella sua parte generale esso è formulato più vagamente di quello fra la Cecoslovacchia e la Francia, ma i due stati s'impegnano ad aiuto e collaborazione reciproca per il mantenimento della situazione creata dai trattati di San Germano del Trianon e di Neuilly.
Nel 1925 si produsse un incidente fra la Santa Sede e il governo cecoslovacco per la partecipazione di quest'ultimo alle feste in onore di Hus. Fin dall'inizio i rapporti fra il Vaticano e Praga avevano avuto un carattere delicato per certe tradizioni politiche del popolo cèco e per la predominante influenza del partito socialista che reclamava senz' altro la separazione della chiesa dallo stato. Il governo si rendeva però conto dell'opportunità di giungere ad un accordo, almeno parziale, con la Santa Sede per le circoscrizioni delle diocesi e per la nomina dei vescovi. Già nel 1921, in occasione della sua visita a Roma, Beneš ne aveva intrattenuto il cardinal Gasparri. La questione era poi stata trattata a Praga col nunzio apostolico, mons. Marmaggi, il quale, nel giugno 1925, lasciò il suo posto, facendo formale protesta contro la partecipazione del governo alla commemorazione del Hus. I negoziati non furono completamente rotti, ma subirono una sosta.
Nel novembre 1925 si procedette alle nuove elezioni, da cui derivò un notevole spostamento nelle forze dei varî-partiti: si rafforzarono gli agrarî e il partito popolare: si indebolirono i nazionali-democratici e i socialisti, specialmente per la scissura con i comunisti, i quali conquistarono ben 41 seggi alla Camera dei deputati e 20 al Senato. In seguito a ciò, il Gabinetto Švehla fu rimpastato, ma la sua compagine rimase indebolita. I socialisti, la cui importanza politica scemava, accentuarono le loro divergenze con gli agrarî per la questione dei dazî protezionisti, sicché il gabinetto finì per dimettersi il 17 marzo 1926.
Si costituì di nuovo un Ministero d'affari presieduto, come il primo, da Černý. Il suo compito principale fu di far votare le leggi sul regime doganale, sul trattamento dei funzionarî dello stato, sul trattamento del clero, sull'imposta sullo zucchero e sull'aumento dell'imposta sulle bevande alcooliche. Queste questioni portarono ad una trasformazione della situazione parlamentare: i Tedeschi appartenenti al partito agrario e a quello cristiano-sociale collaborarono con i partiti borghesi cecoslovacchi, mentre i socialisti delle varie nazionalità si riavvicinarono. Ciò permise qualche mese dopo la sostituzione del gabinetto d'affari con uno parlamentare, presieduto da Švehla, a cui parteciparono, oltre Beneš ed i rappresentanti dei maggiori partiti borghesi cecoslovacchi, due tedeschi. Va ricordato che l'entrata al governo dei Tedeschi ebbe luogo dopo il convegno di Locarno (ottobre 1925), a cui la Cecoslovacchia e la Polonia furono formalmente ammesse e vi conclusero convenzioni d'arbitrato con la Germania, sebbene in realtà le questioni dell'Europa orientale ne fossero state stralciate, e dopo il convegno di Thoiry (settembre 1926), che sembrò aprire più larghe possibilità ad un'intesa franco-tedesca. Il 15 gennaio 1927 entrarono nel gabinetto Švehla anche due rappresentanti del partito popolare (autonomista) slovacco. Esso ha attuato una riforma dell'ammistrazione finanziaria dei comuni e una riforma amministrativa, dividendo il paese in quattro provincie, sottoposte ad un regime uniforme (Boemia, Moravia-Slesia, Slovacchia, Russia Subcarpatica).
Il 27 maggio 1927 Masaryk, i cui poteri scadevano, è stato rieletto presidente della Repubblica con 274 voti su 432: a suo favore hanno votato tutti i partiti, rappresentati al governo (meno i popolari autonomisti slovacchi), i socialisti nazionali cecoslovacchi, i socialisti cecoslovacchi e tedeschi.
Nel gennaio 1928 sono state definitivamente risolte le vertenze con la Santa Sede che, a tal uopo, aveva inviato a Praga, nella primavera del 1927, come delegato apostolico, mons. Ciriaci.
La Santa Sede ha proceduto ad una riforma delle circoscrizioni ecclesiastiche in modo da farle coincidere con le frontiere dello stato, mentre prima alcune parti del territorio erano sottoposte alla giurisdizione di vescovi stranieri, specialmente in Slovacchia a quella dei vescovi ungheresi; per la nomina dei vescovi è stata ammessa una partecipazione dello stato. Nel febbrario 1929 Švehla, da lungo tempo infermo, si è dimesso ed è stato sostituito dal ministro della Difesa nazionale Udržal.
Bibl.: G. Stuparich, La nazione cèca, 2ª ed., Napoli 1921; V. Kybal, Le origini diplomatiche dello stato cecoslovacco, Praga 1929; La Cecoslovacchia (Pubblicazioni dell'Istituto per l'Europa Orientale), Roma 1925; J. Prokeš, Histoire Tchéchoslovaque, Praga 1927; V. Nosek, The spirit of Bohemia, Londra 1926; Documents diplomatiques relatifs aux conventions d'alliances conclues par la République tchéclosvaque avec le Royaume de Roumanie, Praga 1923; C. Sforza, Un anno di politica estera, Roma 1921; H. Grappin, La question de la Silésie de Teschen, Parigi 1919; République Tchéclosvaque (Annuaire), 1927; A. Vergé, Avec les Tchéclosvaques, Parigi 1926; A. Pavel, Les bases et les effets de la réforme foncière en Tchéclosvaquie, Praga 1925; F. Tommasini, Gli accordi di Locarno e l'Europa orientale, in Nuova Antologia del 16 maggio 1926; M. Mercier, La formation de l'État tchécoslovaque, Chartres 1923; T. G. Masaryk, Die Weltrevolution, Berlino 1925; E. Beneš, Souvenirs de guerre et de revolution, Parigi 1928.
Etnografia e Folklore.
Etnografia. - La Cecoslovacchia si può dividere in tre regioni culturali: il bacino boemo, la pianura della Morava e la regione superiore dell'Oder con la catena dei Carpazî fino al Tibisco.
Nei mutevoli legami politici cui il paese deve fin dal primo Medioevo lo sviluppo culturale, ebbe grande importanza la dipendenza del regno di Boemia insieme con la Moravia dal Sacro Romano Impero germanico e ben presto anche la sua appartenenza al medesimo. Questa sfera culturale occidentale giunge fino ai Carpazî, i quali però sono già piuttosto nella cerchia della civiltà europeo-orientale. Dopo l'esodo dei Boi celti e dei Marcomanni germani e durante i movimenti della trasmigrazione dei popoli, la Boemia divenne la sede di tribù slave, fra le quali emergono già nei primi tempi i Cèchi presso la Moldava inferiore. Conservarono a lungo le loro particolarità i Chodi, sui confini della Selva Boema meridionale intorno a Domažlice; oggi però il popolo cèco della Boemia è generalmente unificato nella cultura. Maggiori sono le differenze in Moravia fra gli Horachi, abitanti gli altipiani verso la Boemia, gli Hanachi della pianura morava ricca di frutta e frumento, e gli Zahorachi stabilitisi per il dissodamento del terreno boschivo, nella solitaria regione montuosa, a oriente di Přerov-Hranice. Un gruppo di forte originalità, unito sia per lingua sia per cultura nazionale, formano poi gli Slovacclhi della Moravia. Nei Beschidi si sono domiciliati fin dal sec. XVI, dopo una vasta trasmigrazione dai Carpazî orientali, i Valacchi, che sono pastori d'origine romena. Intorno a Moravská Ostrava siedono i Lachi, la cui parlata assomiglia già al polacco. Dal passo di Dukla fino alla regione delle sorgenti del Tibisco abitano gruppi ucraini (ruteni): i Lemki, i Boiki e gli Hutzuli, con patrimonio culturale arcaico e particolare.
Ai Tedeschi si deve il dissodamento delle regioni montuose marginali della Boemia. I Bavaresi disboscarono soprattutto la Selva Boema e parte della regione dell'Ohre, il Nordgau, nel sec. X e XI: nella Selva Boema i contadini "reali", esenti dalla servitù della gleba, godettero anche quali sentinelle dei confini e delle strade (come i Chodi cèchi verso il nord) privilegi speciali. Da Kraslice fino al Ještěd è stabilito il ceppo sassone che nel sec. XII rese abitabili gli altipiani dei Monti Metalliferi; nel bassopiano di Cheb e nella regione dell'Elba, esiste tuttora il confine linguistico stabilito dopo la guerra dei Trent'anni. Al di là dello Ještěd abitano gli Slesiani, i quali si sono estesi in Moravia fino al bacino di Moravská Třebova, il Schönhengstgau, e nella regione delle sorgenti dell'Oder, il Kuhländchen, mentre ceppi d'origine bavarese si stabilirono, e tuttavia vi sopravvivono, nella Moravia meridionale. Essi e i montanari dell'Alta Sassonia colonizzarono anche una parte della regione dello Spiš (Zips) nei Tatra meridionali e le regioni minerarie della valle superiore del Hron intorno a Krimnica. La cultura artigianesca dei Tedeschi ha dato alla vita popolare di quei paesi fin da principio una caratteristica speciale. Lanaiuoli e tessitori di lino fiamminghi del basso Reno francone portavano grande incremento fin dal sec. XIII alla vita industriale della Slesia e Moravia. A Sobotište (Slovacchia) esistono ancora comuni di anabattisti risalenti al sec. XVI, dove si esercitano l'industria della maiolica e altre arti manuali.
I Tedeschi. - La maggior parte dei villaggi dei dissodatori tedeschi furono costruiti nei secoli XII e XIII; a ogni contadino fu assegnata una striscia di terreno, estendentesi dalla valle verso il monte, abbastanza larga per la casa, l'orto, i prati e i campi, sicché si vennero a formare delle serie di colonie o di possessi rurali. Nelle regioni più alte la colonia a villaggio è man mano sostituita da insediamenti isolati e da fattorie alpestri (le Bauden del Riesengebirge); anche nello Schönhengstgau vige il sistema delle fattorie sparse. Nel bassopiano si sono fondati all'uso franconetedesco centrale, villaggi allineati su strada. Anche le città dello Spiš mostrano lo stesso piano originario. Si tratta per lo più di costruzioni disposte su tre lati (una o due case d'abitazione con stalla e granaio), nella Moravia anche a quattro lati. Nella Selva Boema la fattoria si riduce spesso a un edificio per abitazione e stalla col granaio collocato di traverso e in alcuni distretti intorno a Wallern apparisce ancora la casa alpestre bavarese con l'entrata dal lato del comignolo e il tetto coperto di assicelle di legno. Dimostra una tecnica caratteristica, nella Selva Boema, la costruzione a travatura, formata da travi collocati orizzontalmente, sostituita modernamente da quella in pietra; nella regione dell'Ohr̈e e dell'Alta Sassonia prevale la costruzione a scompartimenti, spesso molto decorativa; nel NE., oltre quest'ultima, quella fatta su pilastri con riempimento di travi oppure la costruzione a travatura rinforzata da una fasciatura. Nella Moravia settentrionale e nello Spiš s'incontrano spesso costruzioni in pietra o argilla. Hanno conservato un antico carattere nazionale nella Selva Boema specialmente i villaggi degli spaccalegna e dei soffiatori di vetro, nei cui nascondigli trovavano rifugio carbonai, uccellatori, cacciatori di frodo e contratbbandieri e fino al secolo XVIII anche predoni. La leggenda del franco tiratore, musicata poi dal Weber, trae origine da questi luoghi. Intagliatori di talento elevarono l'industria casalinga del legno qua e là a vera altezza artistica (costruzione di mobili, industria del giocattolo, scultura in legno); i vetrai fabbricavano i quadri sotto vetro, venduti fin nei più lontani paesi, quale ornamento delle abitazioni dei contadini; le donne si dedicavano ai lavori di tombolo. Ancora più rinomati in questi campi sono le regioni dei Monti Metalliferi. L'applicazione di pitture di soggetto popolaresco sui mobili ha avuto nei paesi dell'Ohře nelle diverse epoche stilistiche dal 1760 al 1860 la massima fioritura. Carattere popolaresco ebbero anche l'arte dello stagnaro, l'industria della ceramica e la pittura di miniature, tramandata di padre in figlio, per doni di battesimo e di nozze. Grande importanza ebbero i Tedeschi nell'industria morava della maiolica; nella Slesia v'erano famose scuole d'intaglio (erano specialmente rinomati i presepî). Regolata alla maniera tedesca era pure la vita delle maestranze e corporazioni dell'artigianato nelle città. La foggia del vestire della popolazione tedesca in Boemia corrisponde in colore e taglio complessivamente a quella delle regioni tedesche limitrofe: gli uomini usavano calzoni di pelle nera o gialla fino al ginocchio; mentre i giovanotti portavano delle giubbe corte, gli adulti vestivano lunghe giacche e, per andare in chiesa, mantelli con o senza bavero. Caratteristiche presso le donne erano specialmente le cuffie intessute per lo più di fili d'argento e d'oro; la popolazione femminile delle campagne adottò tuttavia già nel sec. XIX quale copricapo fazzoletti multicolori. Tutti questi costumi, come pure i polsini riccamente trapunti delle camiciette femminili e i baveri neri strettamente pieghettati dei mantelli degli sposi, derivazione di fogge fiamminghe del sec. XVI, appartengono ormai a un passato di parecchie generazioni. Nel NE. della Boemia e nelle isole linguistiche della Moravia si può riconoscere un influsso slavo-orientale abbastanza pronunciato solo nei costumi festivi, così p. es. i pantaloni lunghi degli uomini, calzati dentro a stivaloni altissimi, le camicie di giorno a guisa di blouses, le sciarpe e i nastri variopinti delle donne e in particolare le vesti nuziali.
Gli Slavi. - a) I Cèchi della Boemia e Moravia. I villaggi cèchi hanno solo nel SO della Boemia e in una parte del NE. della Moravia il carattere difensivo della disposizione a cerchio o a ferro di cavallo con stagno, recinto per le bestie e chiesa nel centro, disposizione che era ritenuta in passato come tipicamente slava. Il più delle volte le abitazioni sono disposte in fila presso corsi d'acqua o strade di comunicazione, e si hanno anche veri villaggi su strada. Nei monti coperti di boschi le colonie rurali si diradano sempre più a fattorie singole poste sui tratti dissodati (chiamati paseka o kopanice; gli abitanti kopaničáři). Qui vigono ancora le vecchie costruzioni in travatura; nella pianura però dovunque solo quelle in muratura e argilla. Masserie particolarmente estese posseggono gli Hanachi, la cui casa d'abitazione mostra spesso un avancorpo d'ingresso a terrazza. Fino nella Boemia orientale era ancora estesa nel sec. XVI la forma europea orientale del camino, il quale riempiva di fumo tutta la stanza che non diveniva abitabile se non dopo esserne stata liberata. Da quell'epoca in poi fu adottato, come nella costruzione delle masserie e del mobilio, il modello francone. Fu modificato però, seguendo le tendenze ornamentali dell'arte popolare slava, lo stile del mobilio che, come i costumi pittoreschi, appartiene ormai, almeno in Boemia, interamente al passato. Più a lungo di tutti conservarono le loro caratteristiche storiche i Chodi, che, a differenza dei loro vicini tedeschi, vivevano in villaggi chiusi composti di masserie circondate da muri, con le finestre rivolte tutte verso l'interno, mentre i granai (sýpka) formavano delle torri con feritoie. Quali custodi dei confini essi portavano un tempo un bastone uncinato, il cui uso perdura ancor oggi nei Carpazî. I corpetti dei celibi e le giacche lunghe degli ammogliati erano adorni di graziosi ricami in seta; si portava anche una lunga veste ufficiale di panno bianco (halena); le donne usavano gonne pieghettate che venivano rovesciate e fermate intorno alla vita come nel sec. XVI; anche l'adozione del panno bianco per le gonne è di carattere antico. Nella Boemia meridionale esistevano sciarpe per coprire testa e spalle, grembiuli adorni di magnifici ricami in seta e perle; nella Boemia orientale s'usavano tende ricamate per le gestanti; nella pianura morava sciarpe riccamente trapunte per le puerpere in occasione della loro prima uscita. In Moravia si sono conservati più a lungo i costumi variopinti, specie in occasione di festività.
b) Gli Slovacchi. Gli Slovacchi hanno conservato molto della loro vecchia civiltà popolaresca. Nelle fattorie, parimenti su modello francone tedesco, delle regioni intorno a Bratislava, le donne ornano le pareti in muratura delle stanze e la cucina con pitture variate; anche sulle case in travatura delle regioni boschive si riscontrano pitture a colori vivaci. Dànno una caratteristica speciale gli alti granai massicci e i fienili, che sono riuniti spesso a gruppi nei campi o nei pressi del villaggio; i granai però si trovano spesso anche nella casa colonica. Nelle regioni montane più alte s'incontrano costruzioni molto primitive, e ivi continuano a vivere ancora le vecchie usanze. I lunghi e stretti calzoni degli uomini, le loro giacche senza pistagna, i mantelli a ferraiolo con cappuccio, oppure le pellicce di capra con applicazione di ricami spesso molto artistici, sono fogge tipicamente europeo-orientali. I costumi delle donne si distinguono sia per i colori vivaci sia per l'uso abbondante e pieno di gusto di ricami variopinti nelle sciarpe per la testa, nei colli delle camicette e nei grembiuli: arte popolaresca che diventa sempre più ricca quanto più ci si avvicina a plaghe abitate da gente benestante e che mostra caratteristiche differenze di stile fra villaggio e villaggio. Ciò vale anche per gli abiti maschili, che nella loro confezione più lussuosa hanno servito a suo tempo di modello alle uniformi dei reggimenti di cavalleria del vecchio impero. L'arte del merletto come pure l'industria dei pizzi a tombolo, spesso anche colorati, è in fortissimo regresso anche in queste regioni; morta è la vecchia arte dell'intaglio dei pastori, la quale, come altrove, trovava la sua espressione in calici adorni di plastiche raffigurazioni di bestie, in conocchie traforate e simili oggetti. Anche l'industria slovacca della maiolica che copiava modelli svizzeri e olandesi appartiene al passato.
Il Folklore. - I Cecoslovacchi. - Il popolo cèco ha varie caratteristiche comuni con i rimanenti Slavi: tuttavia la sua particolare posizione geografica e le sue vicissitudini storiche hanno accentuato nel corso del tempo talune differenze. I costumi, le leggende, i canti popolari sono pressoché scomparsi in varie regioni, mentre in altre minacciano di scomparire per effetto dell'industrializzazione e delle vie di comunicazione assai più sviluppate che presso altri popoli slavi.
Usanze caratteistiche. - Tuttavia nelle regioni più distanti dai grandi centri abitati si sono mantenute in vita varie usanze caratteristiche: per il giorno di S. Matteo (24 febbraio) i ragazzi vanno nell'orto prima dello spuntar del sole, si arrampicano sugli alberi e chiedono a gran voce dal santo una buona raccolta. Una delle tradizioni più diffuse è quella della pomlázka (specie di frustino ornato di nastri multicolori) con cui i giovanotti inseguono e frustano per scherzo le ragazze che, per liberarsi, devono regalare ai loro inseguitori delle uova colorite (kraslice), evidente residuo d'un rito di fecondità. L'uso di queste uova colorite (di cui alcune sono ornate di disegni veramente notevoli) è del resto largamente diffuso anche indipendentemente dalla pomlázka. Per San Giovanni vige ancora in certe regioni l'abitudine di accendere i fuochi sui monti (rito del solstizio d'estate che serve a intensificare il calore solare in vista della prossima mietitura); la tradizione voleva che in tale circostanza le coppie dei fidanzati saltassero sopra le fiamme: se il salto riusciva, era un segno di buon augurio. Un'usanza caratteristica è pure costituita dal cosiddetto pout', o rito del "pellegrinaggio": i giovani e le ragazze s'incontrano in tale occasione e si scambiano dei regali (anelli, dolciumi, ecc.). L' "espulsione della morte" (vynášení smrti) viene eseguita specialmente da bambini o da ragazze: un fantoccio di paglia infilato su un bastone e rivestito di vecchie vesti muliebri viene portato fuori dal villaggio e generalmente affogato in un fiume o in un ruscello. Il fantoccio rappresenta la morte e l'inverno. Poi viene tagliato un alberino, che, ornato di nastri, viene portato in giro per il villaggio, come simbolo della stagione buona e della vita: rito che ricorda assai da vicino quello di Mamurio Veturio (inverno) e si riannoda in genere al rito del capro espiatorio o del pharmakos (morte). Assai diffuse le leggende sulle ninfe, sulle vergini della foresta (lesní panny), sui vyažlata, specie di cagnolini misteriosi che s'aggirano di notte nelle foreste; lo skřítek (detto anche šotek, diblík, ecc.) è una specie di divinità domestica e il suo culto si è sviluppato da quello degli antenati. Le sudice (divinità del destino) vengono, ma senza farsi vedere, per la nascita dei bambini. Frequentissimi sono i diavoli, le streghe, i draghi, gl'incantatori, ecc.
Canti popolari. - Quello che è stato detto a proposito dei costumi, può anche esser detto per i canti popolari. Mentre in Boemia tendono ad estinguersi, sono tuttora largamente diffusi in Moravia e in Slovacchia. Nella massima parte dei casi così le parole come la melodia sono popolari, ma è pure frequente il caso che a melodie popolari si applichi un testo letterario" (p. es. la nota canzone Moravo, Moravo, Moravičko milá).
Per quel che riguarda il contenuto, il canto popolare cèco è epico o lirico. Il primo è a sua volta d'argomento religioso o profano: come tipo d'epica religiosa si possono citare varie Leggende di Maria, come tipo di epica profana il Lamento dell'orfano (motivo del resto assai diffuso anche nel folklore di altri popoli), in cui il bambino a cui è morta la madre si lamenta dei cattivi trattamenti che subisce da parte della matrigna. Nei canti lirici predomina l'amore che si fonde e s'intreccia generalmente con immagini assai belle della natura.
Una caratteristica dell'epica popolare slovacca è costituita dai canti briganteschi; ciò si spiega tenendo conto delle condizioni sociali e politiche in cui vivevano gli Slovacchi: l'oppressione dei contadini da parte dei latifondisti, il gravoso sistema fiscale, l'amministrazione spesso disordinata e infine la configurazione montagnosa del terreno sono motivi che spiegano a sufficienza la diffusione del brigantaggio. Nei canti popolari slovacchi (come anche nei canti popolari di altri popoli dell'Europa orientale) il brigante viene idealizzato e considerato come un ardito vendicatore dei poveri. Il simbolo di questi briganti-idealisti è Jánošík.
La lirica popolare slovacca è oltremodo ricca e si trova anche artisticamente a un livello elevato. Ha un' importanza tutta speciale, perché ha potentemente influenzato i primi poeti slovacchi, e se ne sentono tuttora gl'influssi nella letteratura.
Anche la Russia Subcarpatica ha canti popolari assai interessanti, in cui si rispecchiano la povertà e il primitivismo della regione. Questi canti si staccano notevolmente e sotto varî riguardi dai canti cecoslovacchi.
I tedeschi. - Le regioni abitate da popolazioni tedesche sono geograficamente sparpagliate su una superficie assai vasta: ciò spiega le differenze folkloristiche non insignificanti dall'una all'altra di queste regioni. Si ricordino le cavalcate della Selva di Boemia e i doni votivi in onore di S. Leonardo, rappresentato in forma di bestia. Specialmente in Slesia sono notevoli le rappresentazioni drammatiche di S. Nicola e della Naticità di Gesù. I canti popolari si concentrano specialmente nella regione della belva di Boemia, che, di tutte le regioni abitate da popolazione tedesca, è quella dove le tradizioni antiche si sono meglio conservate. Le leggende di Rübezahl, che la fantasia popolare colloca nelle Montagne dei Giganti, sono comuni tanto ai tedeschi quanto ai Cèchi.
Bibl.: Národopisná Výstava Českoslovanská, Praga 1895; Österreichisch-Ungarische Monarchie in Wort und Bild; Böhmen, Mähren und Schlesien, Oberungarn; L. Niederle, Slovanské starožitnosti, Praga 1911; Národopis lidu Českolovanského, Praga 1914, 1921-22; E. Lehmann, Sudetendeutsche Volkskunde, Lipsia 1926; J. Blau, Landes- und Volkskunde der Tchechoslowakischen Republik, 2ª ed., Reichenberg 1927; K. J. Erben, Sto prostonárodních pohádek slovanských v nářecích původních, 1865; C. Zíbrt, Staročeské výroíní obyčeje, pověry, slavnosti, 1889; V. Flajšhans, České přisloví, Praga 1911-13; Fr. Barteš e L. Janáček, Národní písně moravské nově nasbírané, Praga 1900-01; J. Polívka, Pohádskoslovné studie, 1904; J. Horák, Výbor slvoenskej poezie l'udovej, voll. 2, 1923-28; V. Tille, Soupis českých pohádek, 1930; J. Horák, Les études ethnographiques en Tchéclosvaquie, in Revue des études slaves, I, 1921.
Periodici: Beiträge zur deutsch-böhmischen Volkskunde (dal 1896); Český Lid (dal 1892); Zeitschrift für österreichische Volkskunde (dal 1894); Národopisný-Sborník Českoslovanský, 1897-1905, poi: Národ. Věstík Českoslov.
Lingua e dialetti.
Poiché nelle manifestazioni della vita privata, e, quel che più importa, pubblica, tanto i Cèchi, quanto gli Slovacchi si servono della propria parlata (sicché anche lo slovacco ha tutti gli attributi d'una lingua a sé), non si può, a rigore di termini, parlare d'una lingua cecoslovacca. Questa denominazione è tuttavia usata nei trattati di carattere scientifico per designare un gruppo linguistico strettamente unito da legami di affinità indubbia (il gruppo cioè dei parlari slavi di Boemia, Moravia, Slesia e Slovacchia), e anche nell'uso comune quale esponente dell'unità politica ed etnografica degli abitanti slavi della Cecoslovacchia. A complicare ancora più le condizioni linguistiche vi sono in Moravia dei parlanti un dialetto di tipo prevalentemente slovacco, per i quali però la lingua culturale e amministrativa è il cèco e non lo slovacco. Non coincidendo quindi nel territorio linguistico cecoslovacco l'uso delle lingue e dei dialetti, conviene per maggiore chiarezza: 1. tracciare il confine linguistico comune; 2. rilevare brevemente le peculiarità che caratterizzano il gruppo cecoslovacco; 3. tracciare le caratteristiche del cèco e 4. dello slovacco; 5. dare brevi indicazioni sulla grafia e sulla pronunzia delle due lingue.
Confini linguistici del cecoslovacco. - Dato l'incunearsi di Tedeschi, Ungheresi e Polacchi nel territorio cecoslovacco, le molte oasi alloglotte in mezzo allo stesso e, infine, il graduale e talvolta appena percettibile passaggio tra il cèco e lo slovacco da una parte, lo slovacco e il ruteno (ucraino) dall'altra, ci si limiterà a indicare approssimativamente il confine che separa i Cecoslovacchi dalle popolazioni appartenenti ad altri gruppi linguistici. Nei pressi di Domažlice il confine linguistico raggiunge il suo punto più occidentale. Da qui esso piega a NE., passando per Nyřany, Touškov, Manětín, Rakovník, Třebenice, Litoměřice, raggiunge l'Elba che costeggia per un tratto volgendo poi a SE. Se ne stacca però presto e risale verso NE. su una linea che unendo Mšeno con Tannwald tocca la frontiera statale. Di nuovo il confine piega verso SE. nei pressi di Vrchlabí, Dvur Králové, Jaromĕř; ritorna verso il N. (Úpice, Police) e vicino a Náchod e Rokytnice riprende contatto con la frontiera germanica. Qui il confine linguistico entra in Moravia, ne attraversa un tratto sulla linea Šumperk-Sternberk e volge poi a nord sino a raggiungere, presso Bohumín, una terza volta la frontiera della repubblica. Da qui si ritorna di nuovo verso sud-est seguendo all'ingrosso una linea che lascia in territorio prevalentemente cèco Ostrava Morava, Frýdek, Frýdlant (all'est e al nord si parla polacco) e tocca l'antico incrocio fra la Slesia, Moravia ed Ungheria. Continuando a ovest, il confine linguistico concorda approssimativamente con la frontiera galiziana, sino a Stropkov in Slovacchia, donde, confinando con territorio ruteno, scende a sud quasi lungo l'Ondava, si avvicina a Užhorod e volge poi all'ovest fino verso Košice, ove taglia un'oasi ungherese. Da qui il confine, ormai nella direzione nettamente occidentale, congiunge le località Rožňava, Lučenec, Levice, Vráble, piega al sud verso Nové Zámky, riprende la direzione di prima sino a raggiungere Bratislava e il confine austriaco che segue lungo la Morava per scostarsene non molto, piegando a ovest (ZnojmoDačice-Jindřichův Hradec-Krumlov-Prachatice). Volgendo più a nord, si ritorna, sulla linea Vimperk-Janovice, a Domažlice.
Importanti sono, per entro a questo territorio, le isole tedesche lungo la frontiera boemo-morava e in Moravia, nonché quelle ungheresi in Slovacchia, dove le città meridionali hanno tuttora un carattere notevolmente ungherese. Minore importanza hanno alcune piccole oasi polacche e croate.
Il gruppo cecoslovacco. - Per trovare dei tratti comuni a tutti i dialetti cecoslovacchi, bisogna di regola risalire a un'epoca antica, in buona parte preistorica dal punto di vista cèco o slovacco. Fa eccezione a questa regola la perdita dell'antico accento slavo, melodico e mobile, cui si sostituì su quasi tutto il territorio cecoslovacco l'accento fisso sulla prima sillaba (nel cèco, più che nello slovacco, l'uniformità dell'accento è mitigata dall'alternarsi di sillabe postoniche brevi e lunghe). I parlari cèchi e slovacchi concordano nel rispondere con *trat, *tlat (cioè ra, la fra due consonanti) al protoslavo *tort, *tolt (or, ol fra due consonanti); *gord "città, fortezza" > hrad, *golva "testa" > hlava. Lo stesso riflesso si incontra però anche nello slavo meridionale. Invece per > (o nasale) cui oggi nel territorio cèco corrisponde ou, e in quello slovacco di regola u, bisogna riportarsi all'epoca dei primi documenti cèchi per trovare il riflesso unitario u (e qui pure il cecoslovacco concordava col serbocroato). Che anche innovazioni relativamente recenti abbiano potuto diffondersi su quasi tutto il territorio cecoslovacco lo dimostra, per es., g > h (*bogŭ "Dio > Bůh in cèco, Boh in slovacco), che però penetra profondamente anche nell'area russa (ucraino e biancorusso). In linea generale, i parlari slovacchi sono, in confronto con i cèchi, più conservatori, sicché molte innovazioni che caratterizzano oggi l'area cèca sono estranee a quella slovacca.
Maggiore è l'affinità tra le due lingue letterarie. Nella sintassi e nella fraseologia essa non è molto pronunziata, poiché i Cèchi hanno subito fortemente, in questo campo, l'influsso del tedesco, mentre gli Slovacchi si sono appoggiati al russo, un po' per influenza diretta dei parlari ruteni (piccolo-russi, ucraini) limitrofi e molto per russofilia. Ma tale affinità si manifesta chiaramente nel lessico che, salvo non molte divergenze importanti ("adesso" si dice in cèco ted o nyní, in slovacco teraz), si potrebbe quasi definire comune. La parentela fra le due lingue è così stretta da render possibile la comprensione reciproca.
Lingua cèca. - La posizione del cèco entro alla famiglia delle lingue slave è determinata dalla situazione geografica delle regioni cèche; vi ha quindi maggiore affinità tra il cèco e il lusaziano (serbo di Lusazia) o il polacco, che non tra il cèco e il russo, o tra il cèco e lo slavo meridionale. La parentela tra il cèco, il lusaziano e il polacco è così evidente che è lecito parlare di un sottogruppo slavo-occidentale, per quanto non sia facile rilevare dei tratti linguistici precisi che accomunino queste tre lingue slave.
Fra tutte le lingue slave (prescindendo dal paleoslavo e dai diversi adattamenti di esso alle lingue letterarie degli Slavi ortodossi), la cèca è la più ricca di documenti antichi. Sicché il suo periodo preistorico si può considerare definitivamente superato già alla fine del sec. XIII. Molte e importanti sono le innovazioni fonetiche, morfologiche e lessicali prima e dopo questa data. Nella prima parte del periodo preistorico il cèco possedeva ancora le semivocali ĭ e ŭ (corrispondenti a i e u arieuropei) la cui pronuncia, secondo la loro posizione nella parola, era piena o ridotta; nel primo caso le semivocali sono passate a e, nel secondo si sono dileguate (paleosl. dĭnĭ "giorno" > den, paleosl. sŭnŭ "sonno" > sen). Le vocali nasali, come lo dimostra fra altro il nome latinizzato Venceslavus, erano ancora intatte.
Molto più tardo è il passaggio di a in e (ie) e di u in i dopo consonanti palatali. Dal sec. XIII in poi esiste una lingua letteraria cèca che trova il suo apogeo nel periodo ussita. Ma anche in questo periodo, già vincolato a tradizioni, la lingua letteraria continua a subire fortemente l'influsso dei varî dialetti (e soprattutto di quello centrale). Vi appaiono così successivamente alcune fra le più caratteristiche innovazioni fonetiche ie > i, o > uo > ů, é > i. Nella morfologia spariscono lentamente, come anche in molte altre lingue slave, l'aoristo e l'imperfetto; nella prima persona del presente si diffonde sempre più la desinenza -m. I contatti con popolazioni tedesche fanno affluire nel cèco molte voci tedesche (p. es. kramář da Krämer, rada "consigliere" e "consiglio" da Rat, ecc.).
Hus riforma l'ortografia e attingendo ai parlari popolari offre ai Cèchi modelli di lingua. Più importante ancora nel campo strettamente linguistico sono: la Grammatica di Blahoslav (1571) e la Bibbia di Kralice (1579-1593). Anche nella storia della lingua cèca il Risorgimento, iniziatosi alla soglia del sec. XIX, segna un periodo nuovo. Superato lo stato di disorganizzazione, dovuto all'oppressione culturale, la lingua si unifica, affina ed arricchisce, grazie all'opera tenace di tutta una schiera di studiosi e scrittori, fra i quali vanno rilevati particolarmente Dobrovský, Jungmann e Vrchlický. Piuttosto esagerata è stata presso i Cèchi la tendenza puristica, per cui il cèco, a differenza di qualche altra lingua slava, possiede tutta una terminologia tecnica che, per reazione all'influenza tedesca, volle essere completamente, e non lo è che in parte, indigena. Ma lo sforzo sistematico è stato coronato, nell'insieme, da un successo reale, e il cèco come lingua letteraria appare ormai uno strumento ricco e duttile.
Accanto alla lingua letteraria sussistono tuttora varî dialetti che, secondo le regioni, possono essere suddivisi in boemi, moravi e slesiani. Importanti, per la loro differenza dal tipo letterario, sono i dialetti della Moravia, specialmente quelli detti "hanachi".
Lingua slovacca. - Per quanto la stretta parentela fra il cèco e lo slovacco non possa essere messa in dubbio, pure non pochi studiosi hanno cercato di mettere in rilievo, interpretandoli diversamente, gli elementi russi, polacchi e slavo-meridionali dello slovacco. Questi ultimi anzi sarebbero, secondo Czambel, tanto importanti qualitativamente e quantitativamente da dover ricorrere all'ipotesi che gli Slovacchi originariamente appartenessero al gruppo degli Slavi meridionali, ipotesi giustamente respinta da tutti i linguisti cèchi ai quali fu agevole dimostrare che le concordanze slovacco-serbocroate risalgono in buona parte a periodi recenti.
Certo è però che lo slovacco, sia per la sua posizione geografica, sia per la sua forte differenziazione dialettale (conseguenza, questa, della regione montuosa abitata dagli Slovacchi e della mancanza di facili vie di comunicazione tra le singole regioni), segna, specialmente ove si considerino i dialetti delle regioni limitrofe, spesso uno stadio di transizione verso l'ucraino e il polacco. I tre dialetti principali sono l'occidentale, il centrale e l'orientale.
Una delle caratteristiche che più nettamente differenzia i tre parlari è costituita dai riflessi dell'óž lunga (vól "bue", kón "cavallo", móž "coltello" di fronte a vuol, kuoň, ňuoz; vul, kuň, nuň). Notevole è, nel dialetto orientale (a contatto, cioè, coi parlari ucraini), la mancanza di alcuni fra i tratti più spiccati del cèco: le sillabe lunghe, la generale stabilizzazione dell'accento sulla prima sillaba e il valore vocalico di l e r (si dice polný "pieno" e kark "gola" per plný e krk) vi sono sconosciuti.
Nel fissare il tipo letterario dello slovacco vi sono state, durante il sec. XIX, incertezze e oscillazioni. Antonio Bernolák si basava nella sua Grammatica slavica (1790) sul dialetto di Trnava che appartiene al gruppo dei dialetti occidentali. Ma questo dialetto era parlato da un gruppo di Slovacchi troppo esiguo e aveva, inoltre, agli occhi dei patrioti radicali, lo svantaggio di essere troppo affine al cèco. I successori di Bernolák (Štúr, Hodža, Hurban) vi sostituirono perciò, nei loro scritti e nella loro propaganda, il dialetto centrale, che è il più diffuso e che, per le sue caratteristiche, può essere considerato il più propriamente slovacco. Nel 1846 lo Štúr ne fissò le regole nella sua Nauka reči slovenskej (Grammatica della lingua slovacca). Ma tra i partigiani del Bernolák, i seguaci dello Štúr e coloro che aderivano al compromesso tentato da M. Hattala (Grammatica linguae slovenicae, 1860) vi furono lunghe e aspre controversie. La tendenza verso una possibilmente completa emancipazione dello slovacco dal cèco, impersonato soprattutto da Samuel Czambel che pure fissava le norme della sua grammatica sul dialetto centrale, finì, verso la fine del secolo, con l'imporsi definitivamente. Tuttavia la lingua letteraria slovacca è ancora parzialmente in formazione.
Grafia e pronunzia. - Dei caratteri comuni dell'alfabeto latino il cèco possiede: a, b, c (= z sorda) d, e, f, g (sempre velare), h (simile all'h tedesco), ch (= ch tedesco), r, j (come in ieri), k, l, m, n, o, p, q, r, s (sempre sorda), t, u, v, x, y (vale i), z (= s sonora). Con l'aggiunta di segni diacritici vi sono in cèco: d′, t′, ň (= d, t, n palatali), č (simile a ci in ciascuno), š (= sc(i)), ž (francese j), ř (press'a poco rž, senza essere però un suono composto), ů (u lunga). L'accento espiratorio colpisce sempre la prima sillaba della parola, che non conosce la distinzione tra brevi e lunghe. Si segnano con accento acuto le vocali lunghe postoniche.
Quanto alla grafia e alla pronunzia delle vocali e consonanti slovacche si può dire, in linea generale, che vi ha concordanza col cèco. Fanno eccezione: ä (e molto aperta, quasi a), ô (vale uo). d^ o d′ (più dolce di d in oèco), dž (- c sonora), dz (c sonora), l (velare), l (lievemente palatale), t. (più dolce che in cèco); de, ne, te hanno, con rarissime eccezioni, pronunzia palatale. Poiché lo slovacco, che pure ha l'accento sulla prima sillaba, conosce anche sillabe lunghe accentuate, l'accento indicante la lunghezza può stare anche sulla prima sillaba.
Bibl.: a) Grammatiche pratiche: B. Černý e C. Ongaro, Corso pratico elementare della lingua cecoslovacca (cioè: cèca), Milano 1928; A. Mazon, Grammaire de la langue tchèque, Parigi 1921; E. Smetánska, Tschechische Grammatik, Berlino e Lipsia 1914 (e parecchie altre grammatiche per i Tedeschi); G. Maršall, Praktisches Lehrbuch der slowakischen Sprache, Vienna e Lipsia 1921; in mancanza d'una buona grammatica slovacca bisogna ricorrere a S. Czambel, Rukovät' spisovnej reči slovenskej (Manuale della lingua letteraria slovacca), 2ª ed., Turč. Sv. Martin 1915. b) Dizionarî: manca un buon dizionario per gl'Italiani; quello di Fr. Rusinský (Třebič 1920) è insufficiente; Herzer e Prach, Enzyklopädisches deutsch-böhmisches Wörterbuch, 2ª ed., voll. 3, 1906-1921. - Fondamentali tuttora, ad onta di non lievi difetti, sono lo Slovník Českoněmecký (Praga 1836-1839) di Josef Jungmann e il Česko-německý, slovník skoněmecký (Praga 1836-1839) di Josef Jungmann e il Česko-némecký slovník (sette parti, con tre fascicoli di aggiunte, Praga 1878-1906) di František St. Kot.
Opere di carattere scientifico: Per i confini: L. Niederle, Obrozrenie sobremmenago, slavjanstva (Rassegna del mondo slavo contemporaneo), Pietroburgo 1909. Per le lingue cèca e slovacca: O. Hujer, Úvod do dějin jazyka českého (Introduzione alla storia della lingua cèca), 2ª ed., Praga 1924; J. Gebauer, Historická mluvnice jazyka českého (Gramm. storica della lingua cèca, in 3 volumi (fondamentale, benché incompleta); Praga 1894-1909; V. Flajšhaus, Náš jazyk matěriký; dějimy jakika českého a vývoj spisovné slovenštiny (La nostra lingua materna; storia della lingua cèca e sviluppo dello slovacco letterario), Praga 1924; S. Czambel, Slovenská reč a jej miesto v rodine slovanských jazykov (La lingua slovacca e la sua posizione nella famiglia delle lingue slave), Turč. Sv. Martin 1906; V. Vondrák, Vývoj současného spisovného jazyka (Sviluppo della lingua letteraria cèca contemporanea), Bruna 1927. Riguardano prevalentemente o esclusivamente la dialettologia cecoslovacca: Fr. Bartoš, Dialektický slovník moravský (Dizionario dialettale moravo), Praga 1906; id., Dialektologie moravská, voll. 2, Bruna 1886-1895; V. J. Dušek, Hláskosloví nářečí jihočeských (Fonetica dei dialetti cèchi meridionali), Praga 1894; J. Kubín, Lidomluva Čechů kladských (Il parlare popolare dei Cèchi di Kladsko), Praga 1913; Fr. Travnícek, Príspevky k ceskému kláskoslovi (Contributi alla fonetica cèca), Bruna 1926; Fr. Travníček, Příspěvky k dějinám českého jazyka, (Contributi alla storia della lingua cèca), Bruna 1927; Fr. Pastrnek, Beiträge zur Lautlehre der slowakischen Sprache in Ungarn, Vienna 1888; O. Broch, Studien von der slovakisch-kleinrussischen Sprachgrenze im nördlichen Ungarn, Cristiania 1897; Z. Stieber, Ze studjów nad słowackiemi gwarami Spisza (Studî intorno ai dialetti slovacchi dello Spíš), in Lud Słowiański (Popolo slavo), I, Cracovia 1930; Vl. Šmilauer, Slovenské střídnice jerové a změna e, ě > a, o (I riflessi slovacchi degli "jer" e il cambio di e, ě > a, o), Praga 1930. Per la pronuncia: O. Broch, Slavische Phonetik, Heidelberg 1911; A. Frinta, Novočeská výslovnost (Pronunzia cèca contemporanea), Praga 1916.
Letteratura.
Letteratura cèca. - Le prime tracce di un'attività letteraria cèca sono in stretto legame con la conversione al cristianesimo delle popolazioni del territorio del regno della Grande Moravia. Si tratta cioè dei frammenti glagolitici di Kiev e di Praga in slavo ecclesiastico con elementi dialettali di provenienza cèca. Ma da questi frammenti a veri e proprî monumenti letterarî non si passò che al principio del sec. XII, sotto l'influenza della cultura romano-germanica, con leggende sui santi cèchi Václav e Ludmila e cronache, scritte in latino, la più antica delle quali è quella del canonico Cosma (1045-1125), Chronica Bohemorum.
Nel sec. XIII si hanno traduzioni di scritti sacri e di canti di chiesa. La più antica di queste traduzioni è il cosiddetto Salterio di Wittenberg. Ma l'influenza del contatto col mondo romano-germanico non si fece sentire soltanto nella letteratura ecclesiastica; nel mondo laico si ebbe un'eco abbastanza vivace della poesia cavalleresca: Alessandro Magno, Tristano, Dietrich von Bern, ecc., trovarono cantori anche nelle terre boeme, dove dapprima li avevano fatti conoscere, alle corti dei principi, i cantori tedeschi. La versione cèca dell'Alessandreide si distingue, in confronto dei suoi modelli latino e tedesco, per concisione e anche per le frequenti variazioni che se non testimoniano di originalità, mostrano una certa libertà del poeta nella rielaborazione del soggetto. Ma più importante di questa e di tutte le altre analoghe, è la cosiddetta cronaca in versi attribuita erroneamente a Dalimil, la prima opera storica scritta in cèco. Prendendo le mosse dalla biblica confusione delle lingue, la cronaca descrive gli avvenimenti patrî dall'arrivo dell'eroe Čech alla salita al trono di Jan di Lussemburgo (1310). Come in tutte le altre letterature gl'inizî del teatro cèco sono da ricercarsi nelle rappresentazioni sacre, che raggiunsero il loro fiore nel sec. XIV. Vera importanza letteraria ha la rappresentazione di contenuto umoristico: Mastičkář (Il ciarlatano), imitata dal latino. La letteratura didattica fu coltivata soprattutto nella forma della favola; di quella satirica ci è stata conservata una curiosa documentazione nei Desatero přikázaní božích (Dieci comandamenti di Dio), quadro, in circa 1200 versi, dei peccati contro i singoli comandamenti, in parte imitazione dei Gesta romanorum che furono tradotti in cèco. Se anche nelle traduzioni dei libri sacri si ebbero i primi saggi di prosa cèca, il primo monumento letterario in prosa deve essere considerato il Kniha Rožmberská (Libro di Rožmberk), raccolta di norme formali più che giuridiche, documento prezioso per lo studio del diritto cèco. Si ritiene che ne sia autore Petr Vok z Rožmberka, morto nel 1347. A completare il quadro della vita del tempo, giova ricordare anche la Contesa dell'anima col corpo, libera rielaborazione d'un noto motivo medievale. Assai favorevoli alla letteratura furono i tempi di Carlo IV, il quale, educato a Parigi, fondò a Praga nel 1348 la prima università cèca. Data la concezione religiosa che della cultura aveva l'imperatore, la letteratura ebbe soprattutto un colorito religioso. Sono del tempo di Carlo numerose liriche religiose, alcune delle quali, come O Maria, růže stkvoucí (O Maria, rosa splendente), Navštiv nás, Kriste (Visitaci, o Cristo), Píseň k svaté Dorotě (Canto alla Santa Dorotea), hanno un reale valore artistico; molte leggende, come la versificazione della famosa Legenda aurea col nome di Passionál, e altre opere sacre come la Vita di Cristo, rielaborazione delle Meditationes vitae Christi di S. Bonaventura, la versificazione delle Vite dei Santi padri e la Legenda o sv. Kateřinf (Leggenda di S. Caterina), non sono prive di colorito epico. Caratteristico dell'atmosfera è da ritenere anche il dialogo poetico tra un amante disgraziato e la sventura (Tkadleček), che lega in un certo modo la poesia spirituale a quella mondana dei "vaganti" che, ritornati dai loro studî in Francia, Germania, Italia, cantavano le avventure del loro soggiorno all'estero. Il più noto di questi canti è quello in cui Záviš, "maestro" all'Università e autore di canti di liturgia, langue d'amore per la sua bella. Sempre in rapporto con le origini religiose, si sviluppò anche la poesia moraleggiante e didattica, il cui monumento più notevole sono i due poemetti di Smil Flaška di Pardubice: Rada otcova synovi (Il consiglio del padre al figlio) e Nová rada (Il nuovo consiglio). L'imperatore Carlo non si limitò a promuovere ogni manifestazione letteraria, ma diede ad una di esse, quella storica, un impulso personale scrivendo in latino la propria biografia. Gli studî storici ebbero del testo molti cultori: tra essi un Přibik Pulkava z Radenína (morto nel 1380) fu autore d'una Cronaca cèca; altri, soprattutto ecclesiastici, scrissero cronache mondiali più o meno ampie e in latino: così un Marignola, italiano, vescovo in Calabria, per iniziativa dell'imperatore introdusse in una sua Cronaca del mondo gli avvenimenti cèchi fino al 1283; un ignoto tradusse al principio del sec. XV Il milione di Marco Polo, primo libro di viaggi in cèco. Dell'interesse per gli studî giuridici testimonia un'ampia esposizione del diritto cèco del giudice Ondřej z Dubé.
Sebbene nel suo complesso la letteratura nelle sue varie forme mirasse a mettersi all'altezza della civiltà occidentale, le voci contro i lati oscuri della cultura straniera erano abbastanza frequenti. Già Carlo IV aveva chiamato a predicare contro la vita corrotta della nobiltà e del clero il predicatore austriaco Konrad Waldhauser. I successori di Waldhauser, Jan Milíč z Kroměríže e Matĕj z Janova, furono veri e propri apologeti d'una rigida morale cristiana, pur non riuscendo sempre a evitare certe esagerazioni. L'efficacia dell'eloquenza di Jan Milíč varcò anche i limiti di Praga. Colui che doveva essere il fondatore della prosa filosofica cèca, Tomáš ze Štítného o più brevemente Štítný (1331-1401), più profondo del suo padre spirituale Jan, aveva attinto la sua cultura nelle opere di S. Tommaso, di S. Agostino, di S. Bonaventura, di Ugo da S. Vittore; convinto che a diffondere le idee non giovino soltanto i trattati, accanto a vere e proprie trattazioni filosofiche egli diede risposta ai problemi religioso-spirituali dei suoi tempi in forma di dialogo, in una lingua semplice e piana. Se nelle spiegazioni che nei Dialoghi (Řeči besední) il padre dà ai figli, lo scrittore non mostra grande indipendenza di pensiero dai suoi maestri medievali, per la libertà con cui egli si serve della lingua parlata, è da considerarsi un novatore felice.
Sebbene Štítný nelle sue esposizioni, e generalmente anche i suoi contemporanei Waldhauser, Milič e Matěj z Janova non si allontanassero dalle dottrine della Chiesa cattolica, essi sono tuttavia da considerarsi in certo senso quali precursori del movimento religioso riformatore. All'università di Praga si seguivano attentamente le dottrine riformatrici e nel popolo si ascoltavano con fervore le prediche di Matĕj z Janova invocanti il ritorno al cristianesimo apostolico. L'atmosfera era in generale minacciosa: mancava soltanto l'uomo che riunisse nella sua persona, con le aspirazioni, anche la forza di farne una realtà per tutta la nazione. Quest'uomo uscì dall'università e dal popolo insieme e fu Jan Hus.
Il periodo di storia letteraria che s'inizia con l'attività di Hus (principio del sec. XV) e arriva fino agli ultimi anni di regno di Maria Teresa (seconda metà del sec. XVIII) mostra una stretta connessione tra l'attività letteraria e gli avvenimenti politici e religiosi.
L'alta personalità del riformatore Hus si rifletté subito anche nella letteratura, da una parte per la convinzione da cui egli fu animato che la lingua è lo strumento immediato della coscienza nazionale d'un popolo, dall'altra per gli sforzi ch'egli fece per adeguare la lingua scritta alle necessità dell'uso quotidiano, rigettando ogni e qualsiasi arcaismo e sollevando un dialetto, quello della capitale, a dignità di lingua letteraria. Preceduto da Tomáš Štítný nell'idea di servirsi della lingua nazionale, sul suo predecessore egli ebbe il vantaggio d'una più immediata sensibilità degl'interessi degli ascoltatori e delle forme in cui dovessero essere espressi.
Oltre che con la sua riforma ortografica, i suoi proprî scritti e le prediche in lingua ricca ed espressiva, Hus si acquistò grande merito nella storia letteraria con l'impulso dato al canto di chiesa in lingua cèca (v. hus, jan).
Lo spirito ascetico però da cui furono guidati gli ussiti, non era favorevole allo sviluppo dell'arte, e la lirica, la prosa narrativa, il teatro, che avevano cominciato a dar qualche frutto notevole nel periodo precedente, scomparvero quasi del tutto per alcuni secoli. La letteratura fu esclusivamente al servizio delle polemiche religiose e politiche e solo eccezionalmente diede frutti degni di ricordo, come gli scritti di Jakoubek ze Stříbra e quelli di Jan z Přibramě. Solo quando la potenza degli ussiti fu in pieno declino, la forza ideale che aveva dato inizio al movimento, trovò un nuovo rappresentante in una figura di grande originalità per il suo tempo, Petr Chelčickÿ (1390-1406), che spinse fino agli estremi le idee di Hus, enunciando dei principî di anarchismo sociale, e soprattutto quello della non resistenza al male. La forza della convinzione e la passione con cui Chelčický (v.) difende questi principî dànno alle sue opere un eccezionale valore anche dal punto di vista letterario. La loro importanza fu tuttavia soprattutto nel fatto che generarono il movimento dell'Unione dei fratelli boemi, avversarî in origine a ogni forma di cultura, ma che crearono in seguito delle proprie scuole, si servirono dell'invenzione della stampa per la diffiusione dei loro scritti dogmatici e delle loro raccolte di canti religiosi, fondarono un archivio e si preoccuparono di aver dei proprî storici; così che essi gradualmente nel corso del sec. XVI si trovarono alla testa della cultura cèca (v. boemi, Fratelli; luca di praga; augusta, giovanni; blahoslav, jan). Per lo studio dell'originale della Bibbia, Blahoslav e i Fratelli che tradussero il Vecchio Testamento possono essere intellettualmente avvicinati a molti degli umanisti del tempo. Blahoslav può anzi essere considerato come l'intermediario tra lo spirito dei Fratelli boemi e la cultura umanistica.
L'umanesimo aveva fatto una prima apparizione in Boemia già nel 1356 con la venuta del Petrarca alla corte di Carlo IV. Del resto sotto i Lussemburgo la Boemia era stata in stretti rapporti con l'Italia. Il sopravvenire del movimento ussita aveva soffocato i primi germi, ma un secolo dopo un nuovo tentativo di diffondere le idee umanistiche in Boemia fu fatto da Enea Silvio Piccolomini, che fu anche autore di una Cronaca cèca, scritta in latino dal punto di vista cattolico. Un fervente propugnatore l'umanesimo trovò in Boemia in Bohuslav Hasištejnský z Lobkovic (1460-1510).
Nell'umanesimo trapiantato in Boemia bisogna rilevare come nota caratteristica dapprima l'indifferenza per i problemi nazionali dovuta al fatto che suoi cultori furono in prevalenza preti e nobili cattolici, poi un prevalere della tendenza a servirsi dell'ideale formalistico e dei modelli classici per perfezionare le idee nazionali, dando loro nuove e sempre più ampie possibilità. È solo in questo secondo periodo che si può parlare d'un umanesimo cèco. Il più eminente rappresentante fu Viktorin Kornel ze Všehrd (1460 circa 1520), dotto giurista che in un'ampia opera O práviech, o súdiech i dskach zemĕ české (Sul diritto, i tribunali e le tavole della terra cèca) diede un quadro critico della cultura giuridica cèca, richiamandosi con grandi lodi al suo predecessore Dalimil.
La diffusione dell'umanesimo arricchì la prosa didattica che prevalse nella letteratura cèca per tutti i due secoli successivi; numerosissime inoltre furono in questo periodo le opere di carattere medico, politico, di scienze naturali, le descrizioni di viaggi.
Particolare sviluppo ebbero, in stretto legame con l'umanesimo, gli studî storici, animati dagli stessi ricchissimi avvenimenti che avevano sconvolto e ancora sconvolgevano il paese: le lotte tra gli utraquisti ussiti e i Fratelli boemi, e più tardi la crescente influenza del cattolicesimo che veniva esercitata dall'ordine dei gesuiti con l'appoggio degl'imperatori asburgici. La forma preferita continuava a essere la cronaca, trasformata addirittura in calendario storico per una maggiore precisione cronologica. Modello del genere è rimasto il Kalendář historický di Daniel Adam z Veleslavína (1545-1599), poligrafo che diede una così forte impronta alla sua epoca che da lui si chiamò epoca di Veleslavín. L'influenza di Veleslavín non fu in realtà benefica per la lingua cèca, per il suo eccessivo barocchismo, e fu una fortuna che in senso contrario agissero i Fratelli boemi, miranti a conservare la tradizione di Hus della maggiore naturalezza e semplicità linguistica.
Nel 1618 scoppiò la guerra dei Trent'anni con la "defenestrazione" di Praga. Nel 1620 con la sconfitta della Montagna Bianca cessava d'esistere un esercito boemo. La restaurazione cattolica prese forme violente che distrussero ogni e qualsiasi possibilità di ulteriore sviluppo spirituale in senso nazionale. Ma lo spirito dei Fratelli boemi non si spense del tutto, mantenuto vivo nell'esilio forzato dall'ultimo vescovo della comunità, Jan Amos Komenský (Comenius, 1592-1670). L'opera di Komenský appartiene senza dubbio al patrimonio spirituale dell'umanità; molti dei principî da lui enunciati per la prima volta, hanno arricchito nel corso dei secoli seguenti i popoli di tutto il mondo. Specialmente il Labyrint svĕta a ráj srdce (Labirinto del mondo e il paradiso del cuore) è opera assai notevole letterariamente, sia perché è in essa come un compendio degli elementi della letteratura cèca precedente, sia per la freschezza e ricchezza d'espressione linguistica del tutto nuova, caratteristica - questa - di Komenskü che si rivela anche nelle sue opere minori e che fa rimpiangere come il materiale da lui raccolto per un grande dizionario della lingua cèca sia andato irreparabilmente perduto. Ma Komenský è un isolato, e la sua epoca, che coincide col periodo della reazione cattolica, è caratterizzata dalla sempre più estesa diffusione del latino e del tedesco a tutto danno della lingua cèca che scomparve quasi dall'uso delle classi cittadine, insieme a decine di migliaia di libri in lingua nazionale che andarono distrutti. Le due opere di Bohuslav Balbin, Miscellanea historica regni Bohemiae e Dissertatio apologetica pro lingua slavonica, sono indizî delle possibilità ancora latenti nella nazione e punto di partenza per la rinascita della lingua.
L'illuminismo si fece sentire beneficamente anche nelle terre cèche, e per quanto gli sforzi dell'imperatore Giuseppe fossero diretti alla germanizzazione centralizzatrice della cultura, l'influenza delle idee che gli scrittori tedeschi introducevano nel paese servì indirettamente anche al risveglio della coscienza nazionale. E la possibilità di fondare riviste scientifiche e letterarie (la prima di queste, l'Apollo di A. G. Meissner, apparve nel 1785) e di costituire società scientifiche, come "La privata società scientifica" sorta a Praga nel 1773 sul modello di quella viennese e trasformatasi ben presto nella "Societas Scientiarum Bohemica" giovò anche allo sviluppo degli studî storici e linguistici. L'interesse per la lingua cèca, sebbene diretto soprattutto a fini pratici, è molto caratteristico di questi anni. Nel 1783 un Alois Hanke z Hankenštejna pubblica una sua Empfehlung der böhmischen Sprache und Literatur e un Karel Ignác Thám una Obrana Jazyka českého (Difesa della lingua cèca) e poco più tardi (nel 1792) un Jan Rulík una Sláva a výbornost jazyka českého (La fama e l'eccellenza della lingua cèca). Nel 1791 l'università di Praga vide sorgere una cattedra di lingua e letteratura cèca, che diventò ben presto il centro delle più o meno chiare aspirazioni nazionali, al cui sviluppo senza dubbio aveva dato già una spinta il Decreto di tolleranza pubblicato nel 1781. All'università di Praga infine studiò colui che per i suoi studî filologici fu meritamente chiamato il fondatore della slavistica: Josef Dobrovský (v.). Dopo aver studiato teologia, sotto l'influenza del suo amico Václav Fortunat Durych (1735-1802), autore della De slavo-bohemica sacri codicis versione dissertatio, Dobrovský si volse interamente agli studî linguistici e nel 1792 pubblicò la Geschichte der böhmischen Sprache und Literatur, punto di partenza di ogni ulteriore lavoro. Ma oltre che la sua dottrina e il suo severo profondo spirito critico, fecero di Dobrovský il padre della rinascita cèca la sua personalità e la sua fede.
Come le idee dell'illuminismo avevano dato il primo impulso, le idee romantiche dovevano produrre il definitivo risveglio degli spiriti cèchi. Vi furono ancora, soprattutto sotto l'influenza della letteratura polacca, dei tentativi di poesia pseudo-classica, dovuti soprattutto alla scuola di Antonín Jaroslav Puchmajer (1769-1820), ma alla morte di Dobrovský, nel 1829, il romanticismo, sia pure non privo di residui razionalistici, aveva già conquistato in pieno la nuova generazione in gran parte formata di suoi scolari. Alla testa di questa generazione animata dall'ideale di creare una scienza cèca di forma e di contenuto e una poesia essenzialmente nazionale, fu l'autore dello Slovník Česko-německý (1834-39), Josef Jungmann (1773-1847), traduttore, fra l'altro, del Paradiso perduto di Milton, dell'Arminio e Dorotea di Goethe, della Campana di Schiller in una forma letteraria che fece delle sue traduzioni dei modelli di lingua letteraria, e profondo conoscitore della lingua e della letteratura cèca (v. Jungmann, Josef). Del tutto nel campo del romanticismo si mossero altri due poeti che con lo Jungmann sono considerati i fondatori della letteratura cèca moderna, lo slovacco Jan Kollár (1793-1852) e František Ladislav Čelakovský (1799-1852), autore il primo di un poema: Slávy dcera (La figlia di Slava) che fu considerato come un vero vangelo della solidarietà slava del tempo (v. kollár, jan), raccoglitore e imitatore il secondo di canti popolari slavi, secondo il modello herderiano caro al romanticismo (v. čelakovský). Il ritorno al passato leggendario delle stirpi cèche, che formava lo sfondo del poema del Kollár, e l'entusiasmo per la poesia popolare suscitato dalle raccolte del Čelakovský erano elementi di una delle correnti più caratteristiche del romanticismo: l'esaltazione dello spirito nazionale. A questa esaltazione, più o meno direttamente voluta, si dovettero i famosi falsi del poeta Václav Hanka (1791-1861) che pubblicò con grande successo otto canti epici, sei poemetti lirici da lui composti come opere risalenti al sec. XIII (comprovanti perciò un'antichissima fioritura di poesia cèca che fino allora era ignota) di cui egli avrebbe trovato il manoscritto. D'altro lato il primo quarto del secolo non è privo di esperimenti artistici: notevole in particolar modo fra tanti il poema Vznešenost přírody (La sublimità della natura) di Matĕj Zdirad Polák (1788-1856), autore anche di un Viaggio in Italia, notevole per il suo valore culturale.
L'idea della solidarietà slava o panslavismo accennata dal Kollár, se ebbe nutrimento anche dalle due raccolte del Celakovský: Ohlas písní ruských (Eco di canti russi) e Ohlas písní českých (Eco di canti cèchi), e dalle poesie di altri poeti, come Erben (1811-1871), che subirono l'influenza della poesia popolare, trovò la sua giustificazione nelle opere scientifiche del tempo, come le raccolte folkloristiche degli stessi Celakovský ed Erben, i lavori filologici e storici di Pavel Josefalařík (1795-1861) e di František Palacký (1798-1876). Con Šafařík (v.) che univa in sé la rigidità di Dobrovský, suo maestro, e le aspirazioni romantiche della nuova generazione, alla quale apparteneva, la scienza cèca fece passi giganteschi. Tutte le conoscenze sul mondo slavo furono da lui riesaminate e approfondite con severo metodo storico e filologico nell'opera Slovanské starožitnosti (Antichità slave; 1837). Alla storia cèca dedicò tutta la sua vita Palacký (v.), al quale l'opera Storia del popolo cèco in Boemia e in Moravia meritò il titolo di padre della nazione, soprattutto per aver con essa messo in evidenza, in tutto il corso della storia cèca, una linea di continuità, che egli romanticamente disse adempimento d'un piano divino. Fautore dell'austroslavismo che intendeva risolvere il problema nazionale nell'orbita della monarchia austro-ungarica, Palacký trovò un forte appoggio nella forza critica, nello spirito satirico e nella energia polemica di Karel Havlíček (1821-1856) che può considerarsi il fondatore del giornalismo politico cèco. Lo studio dell'antichità e della storia ebbe il sopravvento nella prima metà del secolo, ma non mancò, accento alle voci poetiche ispirate dalle idee patriottiche, anche la voce della pura poesia, quella di Karel Hynek Mácha (v.) che, ispirandosi ai poeti tedeschi, ai romantici polacchi e, attraverso questi, a Byron, fu il primo vero poeta cèco, per il quale lo scriver versi non fosse un dovere, ma un bisogno dello spirito. La morte prematura gli tolse forse la possibilità di realizzare tutto quel che nella sua opera frammentaria era già annunziato: senso profondo della natura, comprensione della musicalità della poesia, e una personale, pessimistica concezione della vita.
Le due forme d'arte che avrebbero potuto più della lirica tener desti gli spiriti, il teatro e l'arte narrativa, avevano avuto finora scarsi cultori; Josef Kajetán Tyl, il cui nome è rimasto più legato all'inno Kde domov můj (Dove è la mia patria) che non ai piccoli romanzi di vita popolare, ai racconti storici e alle tragedie storiche di cui egli fu fecondo autore, intrecciando l'indirizzo storico e quello folkloristico di Celakovský; Václav Klicpera (1792-1859), che tentò la farsa, il dramma storico e il romanzo alla Walter Scott godendo grande popolarità; František Turinský e Karel Simeon Macháček, imitatori di Schiller; il fantasioso Prokop Chocholoušek (1859-1864), autore tra l'altro d'un lungo romanzo I templari di Boemia, in cui è evidente l'influsso dell'Ivanhoe di W. Scott, Jan Erazim Vocel (1802-1871), che in un ciclo di romanzi, ballate ed elegie esaltò la stirpe dei Přemyslidi (Přemyslovci 1838), e nel Labyrint slávy (Il labirinto della gloria) tentò il problema di Faust in terra cèca; e infine František Jaromír Rubeš (1814-1853), satirico dell'ambiente praghese.
La rivoluzione del 1848 aveva portato con sé un rivolgimento spirituale che difficilmente poteva essere soffocato dalla reazione. Col romanzo Babička (La nonna) di Božena Němcova (1820-1862) pubblicato nel 1855, idillio sentimentale sopra un quadro di costume d'un realismo un po' convenzionale, continuavano e non senza successo, ad aver vita le idee herderiane; con Josef Václav Frič (1829-1890), editore dell'almanacco "Lada Niola" (nome di una pretesa Venere slava), il byronismo magniloquente si fondeva con le idee della "Giovane Germania"; con Vítězslav Hálek (1835-1874) l'idealismo poetico prendeva addirittura un tono di profetismo; con Karel Sabina (1813-1877) compariva il romanzo sociale, ispirato alle idee socialiste dell'Europa Occidentale.
Tutto il ventennio che va dalla fondazione dell'Almanacco "Lada Niola" alla morte di Hálek è chiamato il periodo di Hálek e Neruda. L'attività di Hálek (v.) abbracciò si può dire ogni genere letterario, ma di questa produzione ricchissima sono rimasti vivi solo alcuni racconti di vita contadina, qualche lirica e il romanzo autobiografico Il commediante. In Jan Neruda (1834-1891) si afferma invece la generazione nuova, che sempre più si andava orientando verso gl'ideali nazionali che avevano ispirato gli uomini migliori del primo trentennio del secolo. In Neruda (v.) doveva inoltre trovare la sua prima efficace espressione il realismo, sebbene nutrito di lirismo, nell'umorismo commovente dei Povídky Malostranské (Racconti di Malá Strana) e nei suoi efficaci articoli per i giornali. Adolf Heyduk (1835-1923) nutrì l'armonia delle sue liriche di vive impressioni ispirategli dalla terra e dalle vicende slovacche; narratrice d'acuto senso realistico e di profonda conoscenza di problemi sociali fu Karolina Světlá (pseudonimo di Johana Mužáková, 1830-1899) che, liberatasi ben presto dalla iniziale influenza di George Sand, trovò nella vita dei montanari materiale interessante d'osservazione diretta; realizzatore, almeno in parte, del tentativo di dare al teatro una tragedia sociale fu Frantisek Jeřábek col suo Služebník svého pána (Un servitore del suo padrone).
Siamo arrivati così già alla soglia del settanta, quando una nuova schiera di poeti fa la sua comparsa e conquista gli spiriti, riunendosi intorno alla rivista Lumír che fondata da Mikovec nel cinquanta era stata poi diretta da Hálek e rinnovata da Neruda: di carattere e di tendenze diverse i "lum írovci" furono affratellati dal desiderio comune di portare la letteratura cèca all'altezza delle altre letterature europee. Questo desiderio non fu però di essi soltanto che, sebbene per vie diverse, anche altri nello stesso tempo vi mirò, riuscendo anzi a risultati più immediati e di più facile presa su larghe cerchia di lettori.
La lotta tra le due tendenze, nazionalista e cosmopolita, che con colorito diverso da decennî si svolgeva nella letteratura, prese tuttavia per opera del nuovo gruppo un suo carattere preciso. La corrente nazionalista, con evidente colorito slavofilo, s'era rinnovata infatti nel nome di Svatopluk Čech (1846-1908), in origine aderente al Lumír e poi fondatore della rivista Květy (I fiori) di tendenze a quella opposte. Nei suoi numerosi racconti in versi, Čech (v.) fu soprattutto preoccupato di dar forma alla sua concezione d'una missione dello slavismo e la grande popolarità di cui egli godette e che per molto tempo lo fece considerare il maggiore poeta cèco del sec. XIX, fu dovuta evidentemente al tono con cui egli esaltò gli Slavi nel suo retorico quadro di progresso dell'umanità. Per la retorica della costruzione artistica e per alcuni tratti del carattere può essere avvicinata a lui la guida spirituale del movimento femminile in Boemia, Eliška Krásnohorská (1847-1926).
Il cosmopolitismo aveva avuto già cultori nel periodo di transizione, come per es. V. Nebeský (1818-1882), traduttore dei greci antichi e degli spagnoli, imitatore di Mickiewicz e di Lenau, autore d'un epos filosofico Gli antipodi, intorno. alla figura romantica di Ahasvero; Frantisek Doucha, che tradusse Shakespeare e Byron, Camões e Dante; Josef V. Sládek (1845-1812), autore delle Canzoni del villaggio e dei Sonetti cèchi.
Traduttori furon più o meno quasi tutti i poeti della scuola cosmopolitica e come traduttore è soprattutto noto il più grande fra essi, Jaroslav Vrchlický (pseudonimo di Emilio Frida, 1853-1912) che anche come poeta originale, lirico, drammatico ed epico, fu d'una fecondità che ha del miracoloso e che può spiegarsi solo se si tien conto del relativamente ristretto ambito delle sue idee moventisi intorno ad un umanitarismo panteistico di maniera, di scarsa profondità anche se ricchissimo d'immagini ed espressioni. A Vrchlický (v). si richiamarono molti poeti, cosicché può ben parlarsi d'una sua scuola.
L'altro maestro del cosmopolitismo nell'arte fu Julius Zeyer (1841-1901), anch'egli lirico ed epico, aperto alle influenze straniere, occidentali ed orientali, ma tuttavia non insensibile alla bellezza delle leggende della propria patria. L'epos cèco del ciclo Vyšehrad apre infatti la serie delle composizioni epiche di Zeyer; e il ciclo carolingico, le saghe e i miti germanici si succedono a quello, rivelando un poeta in continua ricerca. E la nostalgia della patria si farà sentire fortissima e dolorosa nel quasi autobiografico romanzo San Maria Plojhar, accanto all'entusiasmo per l'Italia che lo Zeyer ebbe comune con Vrchlický. Narratore oltre che poeta, Zeyer (v.) si trovò ad un dato momento isolato in mezzo alla crescente corrente realistico-sociale. Il realismo sociale già trionfante nell'Europa Occidentale, non doveva tuttavia tanto facilmente riportar la sua piena vittoria, ché un'altra forma d'arte narrativa, il romanzo storico, aveva conquistato i lettori, per merito soprattutto di Alois Jirásek (1851-1930), storico di professione. Jirásek (v.) può considerarsi, nelle debite proporzioni, il Walter Scott dei Cèchi. I suoi romanzi ebbero molti imitatori.
Accanto al romanzo storico, più di questo preparazione al romanzo sociale propriamente detto, possono considerarsi da una parte il romanzo di costumi provinciali di cui è caratteristico rappresentante Jan Vrba, pittore del contadino boemo meridionale, e che aveva avuto già cultori precedentemente in Václav Kosmák (1843-98), in Karel Rais, in Josef Holeček che ci ha lasciato delle descrizioni robuste della vita dei contadini nella Boemia meridionale, in Teréza Nováková (1853-1912) imitatrice della Světlá rievocatrice della tradizione dei Fratelli boemi con tendenza al simbolismo nella sua maturità; dall'altra il romanzo cittadino rappresentato da Ignát Herrmann, descrittore bonariamente ironico, e senza grandi pretese, della piccola borghesia praghese.
Nell'ultimo decennio del sec. XIX, nonostante che le correnti precedenti continuino ad avere i loro cultori, si produce nella letteratura cèca un rivolgimento, preannunziatore d'un rinnovamento quasi totale di gusti. Quelli che sono stati i principî delle precedenti generazioni vengono rinnegati dalla generazione che muove verso il secolo nuovo. Nella poesia le grandi concezioni epiche a colorito patriottico da una parte e la magnificenza verbale dall'altra vengono accusate di retorica, e soprattutto di mancanza d'interiorità. Nell'arte narrativa lo stesso realismo appare fiacco e insufficiente mentre il romanzo storico è ritenuto addirittura anacronistico e rivela le strutture interne della sua faticosa costruzione. Il teatro, prigioniero dell'intreccio di maniera alla francese con František Jeřábek (1836-1893) e con Emanuele Bozděch (1841-1889), del classicismo schilleriano col filosofo Josef Durdík (1837-1902) e più tardi del realismo popolareggiante con Jirásek e con Mrštík (1863-1912), tenta invano di risollevarsi coi più esperti Ladislav Stroupežnický e Jaroslav Hilbert, analizzatori convenzionali e a freddo di problemi ibseniani. Il fermento porta anzi addirittura ad eccessi iconoclastici, che trovano il loro riflesso nella critica letteraria, la quale passa già dalla sfera filologica o della convenienza nazionale a un punto di vista più moderno ed europeo. Da una parte abbiamo il cosiddetto sociologismo psicologico, che dal punto di vista critico troverà in František Salda, e meno genialmente in František Krejcí, i suoi rappresentanti; dall'altra il soggettivismo impressionistico, che vede lo stretto legame tra l'opera d'arte formale e la sensibilità dell'artista quale rivelatore d'un mondo nuovo, e troverà il suo centro d'irradiazione in Jiří Karásek critico. Al posto delle correnti, delle tendenze, delle scuole subentrano così le personalità artistiche, ma di quelle anche queste sono riflesso ed eco, come, p. es., il decadentismo in Hlaváček, tipo cèco del "poète maudit" ma più noto per la sua esaltazione dei "sokol", il romanticismo nell'attività poetica di Machar, il naturalismo pessimistico di Josef Šlejhar traboccante in una specie d'estatico misticismo o di predica del ritorno alla natura, ben noto alle generazioni del passato, e come il misticismo più complicato di Jiří Karásek, poeta che, attraverso i modelli più vicini - Huysmans e forse anche, sebbene per contrasto, Barbey d'Aurevilly e il polacco Przybyszewski -, si potrebbe far risalire allo Zeyer cattolicizzante.
Una delle ragioni del fermento e della sempre maggiore individualizzazione era evidentemente nell'evoluzione stessa della letteratura cèca che aveva dovuto o adattarsi alle condizioni del paese o, per uscirne, prendere in prestito da letterature che avevano avuto altro punto di partenza ed altra evoluzione. Ma c'era anche il fatto che la reazione seguita al dominio di Vrchlický era stata proclamata in nome del realismo: impreparati ad una vera creazione realistica, i Cèchi s'erano dati al realismo scientifico soprattutto nella linguistica e nella storia. In nome del realismo era stata chiusa infatti la polemica intorno alle falsificazioni di Hanka, in nome del realismo la filosofia cèca, nell'opera di Tomáš Garrigue Masaryk, era divenuta rapporto vivo ed immediato con le questioni morali della società e del suo tempo. Da questo realismo filosofico era uscito il Machar razionalistico che, navigando in acque contrarie a Vrchlický, finiva col cadere anch'egli nella costruzione d'un ciclo poetico: Svědomí věků (La coscienza dei secoli): cambiate un poco le ideologie, si tratta pur sempre d'un contenuto ideologico in forma inevitabilmente più o meno retorica. Ma si ha anche il caso di Stanislav K. Neumann (v.), che dal rimpianto decadentistico per la Roma pagana e l'anarchismo individuale passa a cantare la folla della grande città moderna e si trasforma addirittura in poeta proletario e rivoluzionario, soggiacendo formalmente agl'influssi del futurismo italiano. Tenendo presenti le singole personalità, si può parlare di scuole e trovare rappresentati al principio del secolo nuovo l'impressionismo, il vitalismo, il dinamismo, dominanti in Occidente. Solo quando viene a contatto con la terra madre la nuova spiritualità acquisita genera poeti originali, ma inevitabilmente richiamantisi a motivi tradizionali, come Pietro Bezruč, nel quale la nota nazionale si fonde con quella sociale, preannunziando, con voce di profeta nella tempesta, il suo svolgimento nella poesia prima socialisteggiante e poi addirittura comunista, figlia degli ulteriori avvenimenti storico-sociali. Questo ventennio di lotta tra l'uno e l'altro secolo sarebbe rimasto solo come il lievito d'un più tardo fiorire, se alcune delle personalità da esso generate non si fossero sollevate veramenle in alto: anzitutto Otakar Březina (v.) e poi Antonín Sova (v.), Otakar Theer (v.), Viktor Dyk (v.).
D'altra parte se nella poesia il fermento degli spiriti si palesa più chiaramente, soprattutto perché nella manifestazione frammentaria e momentanea trova una rispondenza immediata, esso non manca di rispecchiarsi neppure nell'arte narrativa. Senza dubbio romanzi come quelli di Karel Čapek-Chod (v.) sono realistici, anzi naturalistici nell'analisi scientifica dei personaggi, ma l'elemento romantico nella concezione e nella visione totale è anch'esso evidente; senza dubbio sono realistici i romanzi di Anna Maria Tilschová, ma la sua aspirazione redentrice esula dal realismo tradizionale; realistiche sono le descrizioni di Růžena Svobodová (1868-1920) ma è romantica la sua fede nell'amore creativo; realistici infine i romanzi di Božena Benešová, ma fuori della tradizione il suo passaggio dalla fatalità individualistica alla fede religiosa e metafisica; realistiche le opere di Fráňa Šrámek (v.), ma fuori del realismo la sua spiritualizzazione della sensualità. Su tutti domina più o meno chiara la potente personalità di Dostoevskij. L'aspirazione all'assoluto che è dietro la relatività umana del realismo dostoievskiano ha toccato anche narratori caratteristicamente sociali come Vančura (v.) e Olbracht (v.), spingendo il primo a visioni apocalittiche e dando al secondo un colorito romantico, forse non voluto, nella concezione della salvezza dell'individualità nel suo assorbimento nella collettività.
Se la guerra mondiale ha dato una nuova accentuazione alle correnti realistiche, fornendo ricchissimo materiale d'osservazione a Rudolf Medek, a Peter Křička, a Josef Kopta, minuto cronista della nuova storia, a František Langer (v.) per il quale la guerra è stata la rivelazione della realtà umana da lui incorniciata in una forma neo-classica, infine a J. Hašek (v.), il celebrato autore del Buon soldato Švejk, l'ironista più grande che abbia dato la letteratura cèca, essa ha d'altra parte, rendendo il popolo cèco indipendente nel quadro d'una nuova Europa, stretto sempre più i legami fra i suoi artisti, specialmente poeti, e l'arte occidentale. Gli stessi cèchi Neumann e Šrámek sono stati i maestri intermediarî della generazione nuovissima, ma più d'uno fra i discepoli ha saputo sollevarsi all'altezza dei maestri: Karel Toman (v.), Otakar Fischer e soprattutto Josef Hora (v.) e Jiří Wolker (v.), il primo angosciato dalla sua stessa ribellione, il secondo noto soprattutto per la sua bella versione del Faust, gli altri due intenti alle voci collettive riecheggianti musicalmente nello spirito che se ne fa interprete. Da questa ideologia non era difficile il passaggio o meglio il ritorno all'arte per l'arte, alla poesia pura, passaggio al quale si è accennato, ma che in poeti come Seifert, Nezval (v.), Biebl, discendenti immediati, nel loro poetismo, dall'impressionismo dei decennî precedenti, non pare debba essere l'ultima realizzazione dell'arte cèca contemporanea.
Letteratura slovacca. - Si può parlare d'una vera e propria lingua letteraria slovacca soltanto da quando Antonio Bernolák (1762-1813), giovane teologo cattolico, pubblicò nel 1787 a Presburgo (l'odierna Bratislava) una dissertazione in cui affermava i diritti d'una lingua indipendente slovacca. Il distacco di Bernolák dalla lingua letteraria cèca, la lingua di Hus, segnava il distacco dei cattolici slovacchi, cioè della maggioranza della nazione. Ormai il fatto era compiuto e non valse a tornare indietro neppure l'opposizione fatta in anni successivi da parecchi risvegliatori nazionali che vedevano con scetticismo e timore il sorgere e l'approfondirsi di questo dualismo linguistico e letterario. Le regole principali dell'ortografia slovacca vennero stabilite dal Bernolák nel lavoro intitolato Linguae slavicae per regnum Hungariae usitatae compendiosa simul et facilis ortographia (1787). Ma l'opera principale del Bernolák resta pur sempre il Lexicon slavicum bohemico-latino-germanico-ungaricum uscito dopo la morte dell'autore, dal 1825 al 1827, in sei volumi.
Anche il primo poeta slovacco, Jan Hollý (1785-1849), fu un sacerdote cattolico. Imbevuto di cultura greco-latina (Hollý fu anche un buon traduttore dell'Eneide), scrisse tre grandi poemi epici, di evidente imitazione classica, a favore dell'idea panslava (Svatopluk, Cyrillo-Methodiada, Sláv). Tutti e tre questi lavori, e specialmente gli ultimi due, sono di scarso valore artistico: hanno invece importanza notevole come affermazione di lingua slovacca e anche per il loro pensiero politico.
La prima figura notevole della letteratura slovacca è L'udevít Štúr (1815-1856). Col suo carattere energico e ostile ai compromessi infiammava la gioventù. Lo si può considerare come il fondatore della prima scuola poetica slovacca: i canti, le leggende, le tradizioni del popolo divennero il motivo predominante della sua poesia. Ma, chiuso nelle sue ideologie slavofile, non riuscì a capire il valore delle grandi letterature occidentali, il cui influsso riteneva deleterio per i popoli slavi e in particolare per gli Slovacchi. Non intravide neppure il pericolo che l'esagerato attaccamento al folklorismo nascondeva per la giovane letteratura slovacca. La sua opera più importante ci è stata conservata soltanto nella traduzione russa fattane dal Lamanskij: Slavianstvo i mir buduščago (Gli Slavi e il mondo del futuro). Questo libro, in cui non è escluso che abbia messo le 'mani il traduttore russo, divenne per intere generazioni slovacche una specie di vangelo. La cultura slava (in particolare russa) vi viene contrapposta con eccessiva faciloneria alla cultura dell'Occidente; interessante il fatto che l'autore non si mostrerebbe alieno a lasciare eventualmente naufragare la lingua e la cultura slovacca nel vasto mare russo; tipica è pure l'avversione dello Štúr verso la mentalità cèca, che gli sembra troppo occidentalizzata e lontana dalle aspirazioni religiose a lui care. Una caratteristica dei panslavisti slovacchi, poco importa se protestanti o cattolici, è stata del resto sempre la simpatia per la religione ortodossa, in quanto religione della Russia zarista e slava.
Uno dei migliori allievi dello Štúr è Samo Chalupka (v.), nato nel 1812 e morto nel 1883. Nella sua poesia s'incrocia la lirica di tipo popolare con una nota democratico-patriottica. Per quanto la sua produzione poetica sia di tenue valore artistico, l'impeto che la pervade la rende in parte viva anche al giorno d'oggi.
Il più notevole poeta slovacco di quegli anni è tuttavia Janko Král' (1822-1876). La sua poesia si differenzia assai dai soliti motivi folkloreggianti e dai versi a tendenza patriottica. Avvocato per necessità, fu natura irruente di poeta e di rivoluzionario, che per i suoi ideali nazionali e vagamente comunisti, solo per fortunata combinazione non finì sulla forca. Alcuni critici non hanno visto in lui che un vagabondo e un decadente; altri, e più a ragione, hanno voluto vedervi un precursore dell'impressionismo. Natura meno agitata e tormentata del Král', ma pure interessante e spontaneamente poetica è Jan Botto (1829-1881) la cui fama si riconnette a un po-metto intitolato Smrt' Jánošíkova (La morte di Jánosik). Jánošík è il tipo del brigante idealizzato che combatte contro gli esattori delle imposte e i latifondisti crudeli. Assai felice è la fusione tra la nota folkloristica e quella personale del poeta.
Andrea Sládkovič, il cui vero nome è Braxatoris (1820-1872), fu anch'egli un discepolo dello Štúr, superiore però in forze al maestro e anche di mentalità più moderna. L'ideale slovacco e slavo, l'aspirazione alla libertà dei singoli individui come dell'umanità tutta quanta sono motivi che si affermano di frequente nella sua poesia. La sua opera più nota è la Marina, in cui si sentono influssi puškiniani e in cui l'amore alla terra natale non è sminuzzato in retorica, ma sentito nei suoi sviluppi umani. Veramente notevoli sono anche alcune sue liriche che indicano quale progresso abbia compiuto la poesia slovacca dal tempo dello Štúr.
Una figura curiosa e caratteristica per l'ambiente slovacco è Svetozar Hurban Vajanský (1847-1916), romanziere e uomo politico, che accentua violentemente l'ostilità tradizionale dello lúr contro l'occidentalismo. Vajanský e tutto il movimento facente capo a lui sono proprio da considerare come il polo opposto del "progressismo" e dell'"occidentalismo" dei Cèchi. Ma proprio come i "progressisti" cèchi si valevano spesso dei più facili motivi presi in prestito alla filosofia positivista occidentale, così Vajanský e i suoi seguaci si aggrappavano ai più vecchi motivi della slavofilia reazionaria russa che volevano adattare all'Europa.
Poeta di ampio respiro è Mikuláš Országhilviezdoslav (1849-1920) che conosceva non soltanto i grandi poeti slavi, ma pure i principali scrittori dell'Occidente fra i quali Dante. Nell'epica Hájnikova žena (La moglie del guardaboschi) egli ci dà un potente quadro di vita slovacca e di passioni umane. Tra le migliori cose della letteratura slovacca sono pure da collocarsi Ežo Vlkolinský e Gábor Vlkolinský.
Martino Kukučin (1860-1928), il cui vero nome era Matteo Bencúr, può considerarsi come l'unico grande romanziere e novelliere slovacco. Subì l'influsso del realismo psicologico russo, senza peraltro soggiacervi. Nelle sue opere la natura slovacca e il popolo slovacco hanno forse trovato il loro più bel monumento, perché, lungi dall'intisichire i suoi personaggi in particolari folkloristici, li avvicina al resto degli uomini, e non li separa con barriere artificiose di falso autoctonismo.
Assai interessante è lo sviluppo recentissimo della letteratura slovacca, che dopo la guerra mostra sempre più la tendenza a liberarsi dal peso eccessivo delle tradizioni. Tra i poeti meritano di venir ricordati Krasko, Rázus, Roy, Jesenský, ecc. Tra i prosatori è particolarmente degno di menzione Gregor Tajovský. Infine con la sua recente raccolta di versi intitolata Nedel'a (La Domenica) Laco Novomeský ha segnato una notevole affermazione poetica nella letteratura slovacca contemporanea: vi si è sentita l'eco della poesia d'avanguardia francese e della poesia sociale cèca; tuttavia il Novomeskü mostra d'essere più che un imitatore e segna formalmente una grande modernizzazione.
Per la sua attività culturale e folkloristica merita di essere menzionata la Slovenská Matica che ha la sua sede centrale a Turčiansky Svätý Martin. Svolgeva già prima della guerra, disponendo di mezzi relativamente scarsi, un'intensa lotta per la difesa della lingua slovacca. Ha pubblicato di recente belle edizioni dei principali scrittori slovacchi e raccoglie abbondante materiale riferentesi a tutta la vita passata e presente della nazione.
Teatro. - Anche nelle terre cèche la produzione drammatica s'inizia con le sacre rappresentazioni. Nel sec. XIII appaiono già, intercalate nel testo latino, traduzioni in cèco. Ma le lotte religiose ne impediscono, per due secoli successivi, lo sviluppo. Non mancano però nel sec. XVI rappresentazioni scolastiche e popolari. Delle prime si servono i gesuiti con lo scopo di attrarre nelle loro scuole la gioventù aristocratica. Diffondendosi dove c'erano collegi gesuitici, questi saggi drammatici in lingua latina, perdurarono fino al sec. XVIII. In questo periodo cominciano ad apparire in Boemia compagnie straniere, fra le quali le italiane che vi giunsero nel 1627. Nel sec. XVIII predomina l'opera italiana che ebbe anche, specialmente per le solennità dell'incoronazione, un proprio teatro e contemporaneamente si hanno già a Bruna (1732) e a Praga (1737) dei teatri stabili. Nel teatro di Praga fu data, nel 1771, la prima rappresentazione in lingua cèca, che però ebbe seguito appena nel 1785 nel nuovo "Ständetheater" (Stavovské divadlo). Verso la fine del sec. XVIII furono aperti a Praga, soprattutto per soddisfare al bisogno del popolo, alcuni altri teatrini. Nel periodo del risorgimento cèco il teatro assume da principio una funzione quasi esclusivamente nazionale, per quanto il repertorio sia in prevalenza straniero. Appena con l'apertura del Teatro cèco provvisorio (1862) si solleva il livello dell'arte drammatica cèca che, anche in armonia con le aspirazioni della sorgente classe borghese, tende a liberarsi in parte dalla sua funzione patriottica e dal suo dilettantismo. Per dare carattere di stabilità e consistenza a questo sforzo, s'iniziò, nel 1868, la costruzione del "Teatro nazionale", che però, inaugurato appena nel 1881, fu poco dopo distrutto da un incendio. Quanto fosse sentito il bisogno di tale teatro lo dimostra il fatto che, a soli due anni di distanza e con non lieve sacrificio finanziario della nazione cèca, fu ricostruito l'attuale Národní Divadlo, dedicato tanto al teatro in prosa quanto all'opera musicale. L'esempio, rapidamente imitato dalle altre città, è stato di grande giovamento allo sviluppo delle due branche teatrali e, nello stesso tempo, ha favorito lo sviluppo della cultura cèca in generale, e particolamente l'affermarsi del sentimento nazionale. L'ulteriore progresso del teatro moderno cèco s'identifica quindi in gran parte col progresso della letteratura e, per la parte operistica, della musica cèca (v. cecoslovacchia: Letteratura; Musica; e praga, per ciò che riguarda più particolarmente la vita teatrale della capitale). Mentre fino alla guerra il teatro cèco era in parte ostacolato nel suo sviluppo artistico da finalità nazionali e sociali, troppo palesemente ostentate, nel dopoguerra esso mostra una sempre più spiccata tendenza verso l'arte pura; e i teatri di avanguardia di Praga e Bruna hanno raggiunto realizzazioni notevoli, riconosciute e apprezzate anche all'estero, così dal punto di vista dell'interpretazione, come da quello della messa in scena.
Bibl.: J. Jungmann, Historie literatury české, Praga 1849; J. Jireček, Rukovět' k dějinám literatury české do konce XVIII věku (Manuale di storia della letteratura cèca sino alla fine del sec. XVIII), Praga 1874-76; J. Vlček, Dějiny české literatury (Storia della letteratura cèca), Praga 1897 segg.; J. e A. Novák, Přehledné dějiny literatury České (Storia prospettica della letteratura cèca), 3ª edizione, Olomouc 1922; J. Vlček e altri, Literatura česká, XIX století (Letteratura cèca del sec. XIX), Praga 1902 segg.; G. Pallas e V. Zelinka, Obrazové dějiny literatury české (Storia illustrata della letteratura cèca), Praga 1926; J. Jakubec, Dějiny literatury české, I, Praga 1929; J. Vlček, Dejiny literatury slovenskej (Storia della letteratura slovacca), Turč. Sv. Martin 1923; J. Máchal, Slovanské literatury (Letterature slave), Praga 1922 segg.; A. Procházka, České kritiky, Praga s. a.; id., Literární silohouety a studie, Praga s. a.; F. X. Šalda, Duše a dílo. Podobizny a medailony (Anima e opera. Ritratti e medaglioni), 3ª edizione, Praga 1922; A. Novák, Myšlenky a spisovatelé (Opinioni e scrittori), Praga 1914; id., Krajané a sousedé (Compatriotti e vicini), Praga 1922; Fr. Frýdecký, šlovensko literární (Slovachia letteraria), Ostrava Morava 1920; A. Pražák, Slovenská svojkost (Originalità slovacca), Bratislava 1926; id., Dějiny spisovné slovenštiny po dobu Štúrovu (Storia dello slovacco letterario dopo Štúr), Praga 1922.
In italiano numerosi studî di letteratura cèca nella Rivista di letterature slave e nell'Europa Orientale; M. Kukučin, Cronache della Casa triste (con uno studio di W. Giusti sulla letteratura slovacca), Udine 1928; H. Jelínek, La littérature tchèque contemporaine, Parigi 1912; H. Turcerová, L. Štúr et l'idée de l'indépendance slovaque, Parigi 1923; J. Jakubec e A. Novák, Geschichte der čechischen Literatur, 2ª ed., Lipsia 1913; A. Novák, Die tschechische Literatur aus der Vogelperspektive, Praga 1923; id., Der Geist der čechischen Literatur, in šlav. Rundschau, II, 1930; F. Chudoba, A short survey of Czech literature, Londra 1924.
Arte.
Prima dell'introduzione del cristianesimo non vi erano, nelle regioni abitate dai Cecoslovacchi, che costruzioni preistoriche in legno, delle quali ben poche notizie ci furono tramandate. Invece, subito dopo la conversione, e cioè già nel sec. IX, sorgono, in stretto rapporto con l'arte religiosa dell'Occidente, in Slovacchia, e un po' più tardi in Moravia e in Boemia, le prime chiese cristiane. Le più antiche cappelle dei castelli principeschi costruite in pietra, rivelano, con la loro forma circolare, l'influenza di costruzioni simili della Baviera e della Franconia. Esempio tipico ne era la "rotonda" di San Vito, fatta costruire sul castello di Praga da San Venceslao. Appena nella seconda metà del sec. XI appaiono, nelle regioni boeme, chiese di tipo basilicale, quale p. es. la nuova chiesa di San Vito. Nel sec. XII furono fondate, in Boemia e in Moravia, numerosi monasteri, dei quali però soltanto quello di San Giorgio sul castello di Praga si è conservato in modo da poterci dare una idea dell'aspetto di questi monasteri cèchi di tipo romanico. Le costruzioni romaniche sono, durante tutto il sec. XII, abbastanza semplici: le vòlte sono rarissime e l'ornamento architettonico è piuttosto povero. Nell'architettura profana sono notevoli alcune case in stile romanico e soprattutto il ponte di pietra di Praga, il secondo di questo tipo in tutta l'Europa centrale. In generale il periodo romanico significa per la nazione cèca l'assimilazione lenta e graduale della cultura e dell'arte dell'Occidente: verso il principio del sec. XIII questo sforzo appare già coronato da successo, come lo dimostrano le chiese di monaci di Kladruby e Teplá in Boemia, e quella di Velehrad in Moravia. Accanto alle influenze germaniche è stato accertato, per quest'epoca, anche il diretto influsso italiano (così nella chiesa di S. Giovanni di Praga, oggi distrutta: opera, a quanto pare, dovuta ai gruppi vaganti di costruttori italiani).
Scarsi sono gli avanzi della pittura romanica (cappelle di S. Clemente a Stará Boleslav e cappella di S. Caterina del castello di Znojmo); più notevole la miniatura con influenze germaniche.
L'affermazione dell'arte gotica nella prima metà del sec. XIII, è condizionata, nelle sue caratteristiche, dai profondi cambiamenti della situazione politica e sociale. La colonizzazione delle città cèche con elementi stranieri, in primo luogo tedeschi, si riflette nell'immediato sostituirsi dello stile gotico al romanico, e nella grande varietà architettonica degli edifici costruiti in quest'epoca. Nella Boemia meridionale si fa sentire l'influenza dell'arte austriaca e bavarese, a Praga invece prevalgono correnti artistiche provenienti dalla Germania settentrionale. Nel sec. XIV lo stile gotico, risentendo ora anche dell'influsso francese, si consolida e unifica, e raggiunge, durante il regno di Carlo IV, il suo apogeo.
A questo periodo di splendore segue, durante le guerre ussite, un'epoca di stasi e di regresso che viene superata appena negli ultimi cinquant'anni della Boemia indipendente.
Ricca d'opere noevoli durante il periodo gotico è anche la pittura, soprattutto per ciò che riguarda le miniature. Meno ricca, specialmente nel sec. -XIII è la scultura che ebbe però, nel regno di Carlo IV, un rappresentante vigoroso e originale in Pietro Parléř. (Per ulteriori notizie su questo periodo v. boemia: Vita culturale).
L'arte del Rinascimento significa per le terre cèche un graduale superamento della tradizione medievale e l'assimilazione di nuovi elementi; processo che si manifesta anzitutto nell'architettura. L'ala del castello di Praga, detta ala di Vladislao, e costruita dal 1486 al 1493, pur essendo, nell'insieme, gotica, ha già tracce dell'arte del Rinascimento nelle porte e nelle finestre. Questa mescolanza dei due stili, in cui il Rinascimento si afferma solo lentamente, dura fin verso il 1530. Un cambiamento radicale si avverte con la venuta degli architetti italiani, che ben presto presero il sopravvento sugli architetti locali. Essi venivano in compagnie bene organizzate; non erano architetti di grande fama, ma appunto perciò erano più disposti a venire incontro ai desiderî dei loro clienti. Sorse allora il cosiddetto "Rinascimento cèco", uno stile che, pur essendo nei suoi particolari puramente italiano, mantiene certe forme architettoniche medievali (gli Erker, le torrette e i frontoni). Le pareti degli edifici sono in buona parte decorate di grafiti, più tardi di chiaroscuri e di ornamenti policromi. In questo stile sono costruiti molti castelli, palazzi cittadini, case e edifici pubblici, per es. i castelli di Litomyšl, Černý Kostelec e Jindřichýv Hradec, il palazzo Schwarzenberg a Praga; il palazzo comunale a Plzeň, varie case a Praga, Německý Brod, Tábor, Prachatice, la graziosa villa "Kratochvíle", e in Moravia i castelli di Moravská Třebová, Mor. Krumlov, Bučovice, Ivanovice, Náměstí, ecc. Sorgono pure alcuni edifici in stile interamente italiano: anzitutto il Belvedere, di architetto ignoto, costruito tra il 1534 e il 1560; la Míčovna (Giuoco a palla) eretta, come pure il Belvedere, nel giardino reale di Praga, opera del tedesco Bonifacio Wolmut; appartengono infine a questo periodo gli stucchi della villa Hvězda (Stella) presso Praga. Alla fine del sec. XVI allo stile Rinascimento subentrano, senza alterarlo completamente, elementi barocchi. Permane il predominio italiano, mentre l'architettura tedesca e quella olandese esercitano un influsso pressoché nullo. Nell'architettura religiosa il miscuglio del gotico e del Rinascimento dura fino agl'inizî della guerra dei Trent'anni: l'elemento gotico doveva evidentemente servire a differenziarla dall'architettura profana "pagana"). La chiesa gesuita di S. Salvatore a Praga è la più importante costruzione religiosa di quel tempo.
La pittura del Rinascimento ha lasciato numerosi esempî sparsi nelle varie città (specialmente a Chrudim) in cui la tradizione tarda-gotica si confonde con i caratteri rinascimentali della pittura italiana e olandese. I numerosi affreschi nei castelli costruiti allora sono essenzialmente decorativi. Le miniature con ornamenti ricchi ed esuberanti rappresentano l'aspetto migliore della pittura cèca. Questi miniatori, come pure i pittori di epitaffî erano prevalentemente cechi, mentre gli affreschi e i grafiti sulle facciate erano soprattutto opera d'Italiani.
Nella scultura del Rinascimento abbondano i rilievi funerarî, generalmente di mediocre fattura. Migliori sono le pale d'altare con rilievi intagliati (p. es. a Zbraslav); ma se ne sono conservati pochi. Notevole, tra le sculture monumentali, il mausoleo reale di S. Vito a Praga (1564-1589), opera dell'olandese Collin. La fontana di bronzo del giardino reale di Praga fu eseguita da Tommaso Jaroš di Bruna sul modello d'uno scultore ignoto, probabilmente italiano. La fontana in marmo sulla Piazza della Città Vecchia a Praga, di cui oggi si conservano pochi resti, è opera dello scultore Vincenzo Straširyba.
Quanto alle arti minori, occorre menzionare anzitutto il vetro di Boemia, celebre già allora. Lo sviluppo considerevole della lavorazione del metallo è testimoniato da numerose campane, fonti battesimali, ecc. Tra gli oggetti preziosi è particolarmente degno di nota lo scettro e il pomo reale eseguiti per ordine di Rodolfo II. Anche nelle arti minori dominano gl'influssi italiani, ma si affermano pure caratteri germanici e olandesi.
Un posto speciale occupa il gruppo di artisti, pittori, scultori e gioiellieri, che riunì alla sua corte Rodolfo II. Erano quasi tutti Olandesi, Tedeschi e Italiani. Degni di menzione i pittori B. Spranger e Hans von Aachen e lo scultore Adriaen de Vries.
L'arte barocca si divide nelle terre cèche in due periodi nettamente distinti: il primo occupa la maggior parte del sec. XVII, il secondo la fine di questo e il sec. XVIII.
Elementi barocchi sparsi cominciano a manifestarsi già alla fine del sec. XVI nell'architettura cèca che ben presto fu completamente dominata, anche nella sua struttura, dall'arte italiana. I primi saggi sono: la chiesa di S. Maria della Vittoria a Praga, benedetta nel 1613, come chiesa. luterana, nobile costruzione nello stile classicheggiante dell'Italia settentrionale, di architetto ignoto; la porta del castello di Praga del 1614, attribuita, senza fondamento, allo Scamozzi; infine il palazzo Waldstein, cominciato a edificare nel 1621 da Albrecht di Waldstei, su disegno di architetto ignoto, che con la sua spaziosissima loggia dà l'impressione d' un palazzo reale. Le case continuano, nonostante la decorazione barocca, ad avere in genere il tipo tradizionale medievale; le chiese, i conventi, i palazzi prendono un carattere italiano; nei castelli di campagna predomina la pianta di tipo francese, mentre l'esecuzione rimane improntata a carattere italiano. Notevoli alcune personalità, come Francesco Caratti, Carlo Lurago, che risentono dello stile barocco dell'Italia settentrionale. Gl'influssi dell'Italia centrale, specialmente del barocco romano, non erano ancora penetrati fino lassù. Lo stabilirsi di rapporti diretti con Roma segna un fatto importante nella storia dell'architettura barocca cèca, che ne fu aiutata ad acquistare la sua indipendenza. Grande merito ha J. B. Mathey, francese d'origine, ma che aveva studiato a Roma. Svolse la sua attività a Praga negli ultimi decennî del sec. XVII; le sue costruzioni, scevre d'influssi borrominiani, palesano lo stile più sobrio della corrente classica romana. Domenico Martinelli, con le sue costruzioni eseguite in Boemia e in Moravia intorno al 1700, si manifestò già un fedele seguace dell'architettura barocca romana ma il passo più decisivo è segnato dal gruppo di edifici dell'inizio del secolo XVIII, attribuiti prima a Ch. A. Dienzenhofer e ora all'architetto viennese Hildebrandt, in cui sono utilizzate, anzi superate, tutte le più audaci novità del più progredito barocco italiano del Guarini. Notevole anche Giovanni Santini, che trasformò alcune chiese in un originale stile gotico-barocco.
Da questa corrente si sviluppò nel secondo quarto del sec. XVIII lo stile del più giovane Dienzenhofer, Ignazio Kilian, con carattere spiccatamente locale, ma d'importanza e risonanza molto più vaste. L'arte di Dienzenhofer dominò completamente l'architettura cèca del suo tempo, dandole un carattere omogeneo e unitario, in cui le altre personalità quasi scomparvero. Nella seconda metà del sec. XVIII l'architettura cèca continuò in genere a seguire le vie indicate da I. K. Dienzenhofer e mantenne il suo aspetto barocco più a lungo che negli altri paesi d'Europa, fin quasi alla fine del secolo. I radicali cambiamenti verificatisi fuori della Cecoslovacchia si riflessero nelle terre cèche solo nella decorazione architettonica,che, verso la metà del secolo,volse alle forme rococò poi classicheggianti
Anche nella pittura l'avvento dello stile barocco venne preceduto dalla scomparsa degli ultimi residui medievali e dal completo predominio della maniera italiana. Il movimento è legato al nome di K. Škréta, allievo ell'ecletticismo italiano d'allora. La prima metà del sec. XVIII è periodo d'intensa attività anche per la pittura. Particolarmente notevoli W. Reiner, autore di magnifici freschi; e P. Brandl, più vicino alla corrente germanica. La pittura si mantenne a un alto livello pure nella seconda metà del secolo, quando la maniera monumenta le cedette al fare più raccolto del rococò. Da menzionarsi: Norbert Grund.
La scultura barocca non ha nel sec. XVII nomi notevoli; domina in genere lo stile italiano postmichelangiolesco, nella formulazione di Giovanni da Bologna. Qui si può nominare M. Brokov, per quanto egli appartenga già al gruppo di scultori con i quali si afferma il sec. XVIII. Di questì è particolarmente notevole M. Braun che introduce in Boemia lo stile pittorico berniniano. Nella seconda metà del secolo Ignazio Platzer portò il naturalismo barocco alle estreme conseguenze. Le arti minori dell'epoca barocca lasciarono ricordi numerosi: altari in legno e suppellettile religiosa con intagli spesso magistrali, calici, gioielli, ecc.
L'arte neoclassica si affermò relativamente tardi e segnò un'ulteriore decadenza di fronte quella manifestatasi nella seconda metà del sec. XVIII. Nel campo dell'architettura va ricordato soprattutto lo Stavovské divadlo (Ständetheater) a Praga (1781-1783), con forti reminiscenze barocche. I pochi edifici di questo periodo denotano scarsa originalità e dipendono interamente dall'architettura viennese e berlinese. Degne di nota la dogana di Praga e la çhiesa dei piaristi pure a Praga. Prive d'importanza la pittura e la scultura neoclassica ceca.
Un improvviso miglioramento s'avverte verso la metà dello scorso secolo, anzitutto nel campo della pittura: Josef Mánes, educatosi al romanticismo tedesco e riallacciandosi più tardi alla pittura rococò, rivolse presto il suo interesse alla popolazione campagnola cèca e ai suoi costumi. Nella sua arte fortemente personale si afferma una nota tipicamente cèca. A Mánes seguirono altri pittori che predilessero temi folkloristici, tra i quali il più insigne è Mikuláš Aleš. Avendo trovato un'espressione propria, la pittura cèca non si chiuse al resto del mondo. Ebbe un notevole influsso la scuola storica di Monaco, di cui il principale rappresentante in Boemia fu V. Brožík. A questa scuola appartiene pure l'elegante L. Marold. Intanto l'attenzione degli artisti cèchi si rivolge anche verso Parigi. Lo sviluppo della pittura francese verso il naturalismo e il colorismo influenza nelle sue varie fasi J. Čermák, Purkynĕ, Pinkas, Hynais e Chittussi (v.) che è già un paesaggista di tendenza impressionistica. Il paesaggismo cèco aveva del resto tradizioni assai degne già con A. Kosárek e J. Mařák.
L'influsso dell'impressionismo francese culminò nell'ultimo decennio del sec. XIX (gruppo intorno all'associazione Mánes). Il migliore rappresentante di questo gruppo fu A. Slavíček, morto giovane. Altri membri di questo gruppo tendevano più a composizioni decorative e monumentali, come J. Preisler. M. Švabinský è autore di ritratti disegnati a penna, di rara penetrazione psicologica. La tendenza a superare l'impressionismo cominciò verso il 1910, prima con l'espressionismo, poi col cubismo, di cui il più conseguente seguace è E. Filla. L'attuale pittura cèca è caratterizzata dalla ricerca d'un nuovo stile su base naturalistica.
La scultura cèca si sviluppò con ritmo più lento. Nei primi decennî dopo la metà del secolo si può menzionare solo V. Levý. Verso il 1880 si affermò la personalità di J. V. Myslbek che libera la scultura cèca dall'accademismo e la conduce verso il naturalismo. Per influsso della scultura impressionistica francese sorse una reazione passeggera contro Myslbek, cui la generazione successiva si ricollegò nuovamente, assimilando però contemporaneamente i risultati formali della scultura francese postimpressionistica. Il più insigne rappresentante di questa generazione fu J. Štursa (v.), morto relativamente giovane. O. Gutfreund si distingue per un carattere di delicata intimità. Derivano pure da Myslbek: B. Kafka, O. Spaniel, J. Mařatka, e altri. F. Bílek segue una propria via mistica.
Nell'architettura si affermò, come nel resto d'Europa, una tendenza storica con costruzioni neogotiche, seguita, intorno al 1860, dall'imitazione del Rinascimento italiano che continua quasi sino alla fine del secolo. I due stili medievali furono usati per le costruzioni nuove e le ricostruzioni antiche (notevoli i lavori alla cattedrale di S. Vito a Praga, eseguiti da J. Kranner, J. Mocker e da K. Hilbert). I primi architetti che imitarono il Rinascimento italiano furono A. Barvitius e V. Ulmann. Notevole è J. Zítek, che costruì il Teatro nazionale. Suo contemporaneo fu J. Schulz che fece il Museo nazionale a Praga. A. Wiehl rinnovò il Rinascimento cèco. Prima della fine del secolo risorse pure il barocco e si manifestarono influssi esotici. Da menzionarsi particolarmente, tra questo variopinto miscuglio, lo stile di secessione. Infine, sorse uno stile eclettico, straordinariamente ricco, con carattere prevalentemente decorativo.
Un elemento purificatore portò da Vienna il giovane architetto J. Kotěra scolaro di O. Wagner. Lo seguì tutta la giovane generazione, prima di tutto B. Hübschmann ed A. Engel che divenne un seguace particolarmente tenace della semplicità e chiarezza costruttiva della nuova corrente.
Ma presto si cominciò ad abbandonare l'architettura del Wagner; e la nuova architettura voleva giungere d'un colpo a quel punto culminante, in cui la forma artistica è legge a sé stessa e domina sovranamente la costruzione e la materia. Ciò doveva esser raggiunto anzitutto con l'applicazione delle forme del cubismo pittorico all'architettura, poi con la creazione d'uno stile caratterizzato da esuberanza di forme decorative e da forti effetti coloristici. Pioniere teorico di quest'indirizzo fu P. Janák; lo applicò praticamente soprattutto J. Gočár e con lui O. Novotný ed altri. La nuova reazione che predilige le composizioni architettoniche a grandi linee si manifestò nel fervore con cui negli ultimi anni venne accettata la cosiddetta architettura puristica. Fuori di queste correnti resta invece Dušan Jurkovič il quale si ispira ai varî motivi dell'arte popolare slovacca.
Quanto alla Slovacchia, siccome essa era parte integrante del regno d'Ungheria, il suo sviluppo artistico si svolse in maniera diversa da quello delle terre storiche, appartenenti all'Austria. Occorre inoltre tener presente il fatto che le prime manifestazioni artistiche d'una certa importanza si riconnettono con l'arrivo di coloni stranieri, specialmente tedeschi, che costruirono le città e sfruttarono le ricchezze naturali della regione. Perciò la Slovacchia non produsse niente d'importante nell'epoca romanica, mentre lo stile gotico, che nel sec. XIV appare nell'architettura (cappella e duomo di Bratislava, chiese di Trnava, Levoča, ecc.), vi giunge con notevole ritardo riguardo agli altri paesi d'Europa. Il duomo di Košice, edificato secondo modelli francesi, è del sec. XV. A quell'epoca risale la costruzione di numerosi castelli (Trenčin, Orava, Bratislava, Zvolen, Spiš, ecc:); oggi quasi tutti in rovina. La pittura del sec. XIV, sia a fresco sia su tavola, subì i più svariati influssi, specialmente tedeschi e italiani. Ha invece caratteri più originali la scultura slovacca gotica; il più elevato grado di sviluppo venne raggiunto dal maestro Paolo di Levoča.
Il Rinascimento ebbe inizio nell'architettura con l'incrociarsi e mescolarsi di diverse tendenze, che, dalla metà del sec. XVI, vennero sostituite da uno stile d'impronta più schiettamente slovacca: il cosiddetto Rinascimento slovacco orientale, che ricorda anche certe costruzioni veneziane. Ad esso appartengono castelli e chiese (Betlanovce, Fričovce, Velká Bytča, Mičina, ecc.) nonché case d'abitazione cittadine (Prešov, Levoča) e uno speciale tipo di campanile. La scultura e la pittura ebbero invece un'importanza piuttosto secondaria.
Nel barocco l'architettura seguì le tendenze austriache; e gli artisti italiani che nel sec. XVII diedero l'impronta della loro arte a Vienna lavorarono pure in Slovacchia (chiesa degl'Invalidi a Trnava, di Conti e Torini; Domenico Martinelli lavorò a Nitra; Carlone al castello di Bratislava, ecc.). Nel sec. XVIII si adottò lo stile del Fischer e del Hildebrandt, come si vede in alcune chiese di Bratislava. Anche i palazzi, fuorché in alcune località di campagna, si riconnettono all'architettura di Bratislava del tempo di Maria Teresa, quando l'architetto viennese di corte Hildebrandt trasformò l'antico castello nello stile del tardo rococò e influì sulla costruzione dei nuovi palazzi dell'aristocrazia ungherese. Nella plastica barocca che nel sec. XVII creò principalmente pale d'altare (Nitra, Trnava) emerge il nome dell'austriaco Giorgio Donner, che produsse nel periodo della sua attività a Bratislava numerose sculture di grande valore (la decorazione della cappella di Giovanni l'Elemosiniere e la statua di San Martino; la decorazione di altri interni di chiese, 1730-39). Imponenti gruppi di statue vennero scolpiti da alcuni scultori meno conosciuti, tra cui merita di venir ricordato Dionisio Stanetti con le statue della Santa Trinità a Kremnica e Štiavnica, derivate dalla plastica austriaca. Anche la pittura barocca può considerarsi piuttosto parte integrante della pittura austriaca che una vera e propria manifestazione indipendente di carattere locale (Bibiena e Troger a Bratislava, Galiardi a Nitra, Maulpertsch a Bohuslavice, Kracker a Jasov).
Nel sec. XIX la Slovacchia è inondata da una folla di artisti mediocri. Soltanto nella seconda metà del secolo si ha un risveglio e si afferma una nota nazionale che procede all'incirca di pari passo col graduale destarsi del sentimento patriottico; in questo tempo si gettano le basi dell'ulteriore sviluppo dell'arte slovacca. Sono anzitutto Bohúň e Klemens, dai quali deriva all'inizio del nuovo secolo un'abbondante serie d'artisti tuttora attivi.
Bibl.: F. J. Lehner, Dějiny umění národa českého (Storia dell'arte della nazione cèca), I, i-I, 3, Praga 1903-07; v. Birnbaum, J. Pečírka, A. Matějček, J. Cibulka, Déjepuis výtvarného umění v Čecháh (Storia delle arti plastiche in Boemia) in corso di pubbl; Zd. Wirth, Die Čechoslovakische Kunst von der Urzeit bis zur Gegenwart (in coll. con V. Bírnbaum, A. Matějček, J. Schránil), Praga 1926; F. H. Harls, České uměni (L'arte cèca), I, II, Praga 1908-11; A. Matícek e Zd. Wirth, L'art tchèque contemp., Praga 1920; A. Prokop, Die Markgrafschaft Mähren in kunstgeschichtl. Bewiehung, I-IV, Vienna 1904.
Musica.
È incerto se a germi tedeschi o all'opera degli apostoli slavi Cirillo e Metodio sia da collegare il sorgere dei primi canti sacri del popolo cèco. Probabilmente fin da allora convergevano in Boemia influenze eterogenee, come del resto avvenne anche nei secoli successivi: un documento assai significativo è dato, a questo proposito, da un passo della cronaca di Cosma che narra e descrive le cerimonie svoltesi in occasione dell'ingresso di Thietmar, primo vescovo di Boemia, nel 967. Secondo Cosma, al Te Deum intonato dal clero si sarebbe unito il canto tedesco Khriste Keinado cantato dal duca Boleslao II e dai nobili, mentre dal popolo non si sarebbe levato che un semplice Krls (Kyrie eleison), forma d'invocazione che ritorna in altri momenti della storia musicale boema, in varî esempî, e cui è legato il primo documento scritto che si abbia di quella lontana epoca musicale: il canto Hospodine pomiluj ny, dalla tradizione attribuito a S. Adalberto.
E, del resto, anche nella stessa composizione d'un canto, cioè dell'inno di S. Venceslao, noto fin dal sec. XIII e che rispetto al precedente gode di pari fama, è possibile discernere la traccia di influenze musicali disparate; evidentissima p. es. la somiglianza di alcuni suoi elementi con elementi della nota antifona del monaco sangallese Notker media vita in morte sumus. L'inno di S. Adalberto (che nella storia boema ha importanza grande, quale inno nazionale, da cantarsi, come fu cantato alla battaglia della Morava, in chiesa e in guerra) di cui abbiamo la notazione musicale data da Giovanni di Holešov nel 1497, e quello di S. Venceslao sono i più antichi documenti diretti che si posseggono riguardo a questo primo periodo della musica in Boemia.
La storia musicale si può dire si venga attuando, durante questi lontani secoli, quasi al di fuori di ogni contributo da parte dei Cèchi, i quali si limitano ad accogliere liberamente le pratiche elaborate altrove. Così vediamo, nella prima metà del sec. XIII, una certa diffusione degli usi cavallereschi di Germania, incoraggiata dal re Venceslao I (cui si deve anche la venuta dei Minnesänger). D'altra parte daJ 1250 in poi, sotto Venceslao II, si vede adottata, nelle solennità religiose, la tecnica del discanto, e istituita, nel duomo di Praga, una cappella di bonifantes (sic), o fanciulli cantori assistiti da un organista.
Eccettuate brevi parentesi (precisamente sotto Carlo I, cioè l'imperatore Carlo IV, di grande favore gode la musica francese così sacra come profana, tanto che sarà necessario un divieto dell'autorità per arrestarne la divulgazione) durante circa un secolo, dal 1250 al 1350, l'influsso tedesco è il più serio e il più fecondo, specialmente quello degli ultimi Minnesänger: Reimar di Zweter, il Werner, il Tannhäuser, e - più d'ogni altro - Enrico di Meissen, detto il Frauenlob.
Sempre sotto l'impronta tedesca, visibile soprattutto nella maggior parte dei canti e delle arie di danza degli studenti, nella seconda metà del sec. XIV si cominciano a discernere i primi tentativi d'espressione dell'animo cèco, nelle composiz'ioni di Giovanni di Záviš e di Giovanni di Jenstein (Jan z Jenštejna), e - in un genere diverso - nei rorate (canti religiosi, in testo dapprima latino e poi boemo, che nascono come variazioni e fioriture melismatiche di tropi e di sequenze) i quali costituiscono un genere tipico della musica religiosa boema. A questa espressione dell'animo musicale boemo, più che i canti dello Záviš (irresoluti tra i modelli del gregoriano e dei Minnesänger) giunsero quelli del Jenstein e qualche aria studentesca di danza, come si vede p. es., nella seguente danza strumentale, interessante per residui del vecchio melodizzare pentafonico.
Si può dire che il segno decisivo, per il cammino dell'arte musica cèca, sia stato dato dalla riforma ussita, che conduce a una musica essenzialmente rude e prossima alla tedesca popolare. Prima di tutto al canto sacro, dopo un breve periodo di completa abolizione, vien dato, anziché il rituale latino, un nuovo testo cèco, cosicché anche alle forme musicali nate in Occidente, su testi latini e rispondenti alla liturgia cattolica, viene impedito ogni adito e ogni possibilità d'influsso. Il canto sacro cèco rimane quindi, nello spirito, popolaresco, alieno da eccessivi artifizî di composizione, e tale lo troviamo nelle ricche raccolte di inni che si pubblicarono a cura degli ussiti e specialmente dei Fratelli boemi e che rispondevano ai fini di propaganda cui la musica doveva pure servire.
A tale proposito è necessario osservare che a questi medesimi caratteri s'informò anche il canto religioso cattolico che la Controriforma finì per opporre, con testi latini e boemi, a quello dei protestanti; né poteva essere altrimenti, date le finalità che ci si proponevano e date d'altra parte le esigenze e le possibilità musicali del popolo cèco del tempo. Allo sviluppo del canto nazionale cèco tra i borghesi diedero opera anche speciali associazioni tra dilettanti di musica e di canto, chiamate "cori di letterati"; vi si teneva in onore non soltanto il canto a una voce ma anche quel canto polifonico che il tempo e le circostanze consentivano, e che andò, in seguito, sempre più accostandosi ai tipi dell'arte protestante tedesca.
Notevoli compositori di questo periodo sono, tra gli altri, Giovanni Traiano Turnovský (noto soprattutto per i suoi cori a 5 o a 6 voci maschili), Giorgio Rychnovský, Feyt e Harant di Polžice. Oltre questi musicisti di nazionalità cèca, in Boemia troviamo però anche maestri tedeschi, i quali al divampare delle lotte religiose ritornano in patria, chi fuggendo gli ussiti, chi fuggendo la Controriforma; maestri d'origine cèca troviamo, per contro, in Germania: Kuhnau, Pachelbel, ecc.
La Controriforma ha un'importanza abbastanza grande nella storia della musica in Boemia, in quanto, pur ignorando in gran parte le correnti musicali di tipo popolare che il canto ussita aveva accolto in sé e concretato in forme definitive, segna il sorgere, in Praga, di un centro di vita musicale aperto alle esperienze e alle correnti di tutti i paesi e specialmente a quelle dei paesi occidentali. La residenza della corte imperia e fece di Praga un luogo di convegno di maestri celebri, quali p. es. Carlo Luytton, Jacopo Regnard, Filippo De Monte, Alessandro Orologio, i due Hasler, Giovanni e Jacopo, e Jacopo Gallo (Gallus). Questa assimilazione delle esperienze musicali straniere, dopo l'interruzione prodotta dalla guerra dei Trent'anni, culmina verso il 1700 con la fondazione in Praga d'un teatro d'opera italiana, determinata dalle felici accoglienze tributate alla rappresentazione di La costanza e la forza del Fuchs diretta da Antonio Caldara allora maestro del teatro di Vienna. Già nel 1680 a Praga si era rappresentata un'opera di Antonio Draghi.
Per quanto il fervore di questa vita musicale abbia potuto iniziarsi e poi apparire completamente separato dall'intimo spirito nazionale cèco, tuttavia possiamo ora riconoscere la sua necessità per il raggiungimento di un vero e proprio stile d'arte.
Assistiamo infatti nel pieno Settecento alla fioritura d'una scuola musicale che esprime l'animo nazionale boemo in forme ben definite e chiare. Come dall'Italia così anche dalla Germania continueranno a venire alla Boemia, lungo tutto il secolo, esperienze d'arte assai importanti, ma d'ora in poi si tratterà più che altro d'uno scambio, nel quale la Boemia si mostrerà spesso generosa.
Il contributo della Boemia alla formazione della scuola di Mannheim è infatti assai grande: tanto lo Stamitz quanto il Filtz, i Benda, il Jírovec (Gyrowetz), il Koželuh, il Rössler, il Richter, ecc., erano oriundi dalla Boemia, né è qui necessario ricordare l'importanza di questa scuola riguardo alla storia della musica strumentale. D'altra parte le correnti puramente slave già manifestatesi nei confini patrî col Černohorský (1684-1740), con lo Zoch, col Seeger, sino ai cosiddetti "liutai" (Kalliwoda, Jelínek, Neruda, ecc.) furono per un certo tempo deviate e allontanate dall'influenza formidabile di W. A. Mozart (Praga vide le prime rappresentazioni del Don Giovanni e della Clemenza di Tito) e poi, ma per poco, da quella del primo romanticismo musicale tedesco; influenza, quest'ultima, visibile specialmente nelle opere di J. V. Tomásek (1774-1850), Voříšek (Vorzischek), Vitásek, ecc.
Il romanticismo apporta anche in questo campo un fattore nuovo: l'interesse per il canto e per la musica popolare. Per più d'un secolo la musica cèca è caratterizzata dalla coesistenza di due correnti: l'una di carattere accademico e professionale, l'altra più aderente all'arte indigena e popolare e strettamente connessa al rinnovamento letterario del risorgimento cèco. All'infuori di queste due tendenze il campo musicale è dominato da nuove influenze provenienti dall'estero; prescindendo dalla musica sinfonica e da camera, anche in Boemia ha avuto una grande importanza l'antagonismo fra l'opera italiana e quella tedesca (C. M. Weber e Wagner).
Nel 1826 ha avuto luogo a Praga la rappresentazione del primo dramma musicale, composto da due Cèchi (Chmelenský e Škroup), e rappresentato in lingua cèca. Questa data segna quindi l'inizio, sia pure modestissimo, della futura opera cèca che nel suo primo periodo segue le sorti della letteratura nazionale. Questo connubio non avrebbe probabilmente dato risultati fecondi, se contemporaneamente non fosse sorto a Praga e altrove un vero ambiente musicale. È del 1873 la fondazione della società filarmonica (dal cui seno uscirà, più tardi, l'orchestra sinfonica "La filarmonica cèca"); prima ancora (1864) fu iniziata la serie di concerti ad abbonamento. Il movimento ha per capo Bedřích Smetana (v.) il quale, oltreché come compositore di opere e di musica sinfonica, svolge anche una grande attività come critico musicale e direttore dell'opera di Praga. Frutto di tale attività è la creazione, presso i Cèchi, di una propria arte musicale, nella quale le due tendenze, l'accademica e la popolareggiante, appaiono fuse e superate. Ne deriva che i continuatori dello Smetana (Dvořák, Fibich, Foerster ed altri) possono più facilmente seguire il proprio impulso creativo e ispirarsi a quelle fonti che maggiormente corrispondono al loro talento e al loro gusto. Appaiono così, accanto ai caratteri tipici delle forme d'arte popolari (forte accentuazione del ritmo, spesso invertito; preferenza del modo minore, ecc.), a riflessi di nuove tendenze e scuole (Brahms, Mahler e, nel campo teoretico, Hanslick), anche individualità musicali di carattere autoctono e originale.
Nelle regioni slovacche la musica resta più lungo tempo asservita all'ideologia etnicista, per cui vi prevale la tendenza di basarla su motivi esclusivamente popolari. Oggi ancora tale indirizzo, rappresentato lungamente dal compositore di musica sacra Jan Levoslav Bella, non appare completamente superato.
Dalla lunga schiera dei musicisti contemporanei (J. Suk, V. Novák, B. Vomáčka, A. Hába, K. Hába, e altri) emergono O. Ostrčil e Janáček: il primo, assertore in Cecoslovacchia dell'"arte pura", non soltanto come compositore, ma anche come direttore del Teatro Nazionale di Praga e fondatore d'una rigogliosa scuola musicale; il secondo per l'impetuoso ma equilibrato spirito novatore che gli ha permesso di riprendere, approfondendone il significato, la base etnica della musica cèca.
Il contributo portato dai Tedeschi all'odierna vita musicale nelle terre cèche non è trascurabile, soprattutto per quel che concerne l'apporto dei benefici provenienti da una lunga tradizione di dottrina e di stile; va però osservato che molti musicisti tedeschi nati in Cecoslovacchia rientrano nella sfera musicale germanica, avendo svolto la loro più matura attività fuori della Cecoslovacchia.
La Cecoslovacchia, e, in modo speciale, la Boemia, è diventata così un centro sviluppatíssimo di vita mugicale, tanto per la ricchezza d' istituti, di sale da concerto e d'imprese teatrali, quanto per la bontà delle scuole (p. es. la celeberrima scuola violinistica di Praga tenuta dallo Ševcík). Grande è la fama dei violinisti cèchi J. Kubelík, J. Kocian, V. Příhoda; e accanto a questi ed altri solisti (il pianista J. Heřman, l'organista Fr. Wiedermann, i cantanti Burian, F. Destinová), si sono affermati all'estero i direttori d'orchestra V. Talich (direttore, dal 1920, della Filarmonica) e O. Nedbal, nonché il Quartetto cèco e il Quartetto Ševčík-Lhotskčný.
Bibl.: J. Srb-Debrnov, Dějiny české hudby v čechách a na Moravě (Storia della musica cèca in Boemia e Moravia), 1891; Nejedlý, Dějiny české hudby, 1903; id., Dějiny předhusistkého zpěvu v Čechách (Storia del canto preussitico in Boemia), Praga 1904; R. Batka, Geschichte der Musik in Böhmen, 1906; Nettl, Musikbarock in Böhmen und Mähren, 1927; J. Borecký, Strudb přehled dějin České hudby (Breve compendio della storia della musica cèca), 2ª ed., Praga 1928. V. anche A. de Bertha, Bohème, in Lavignac, Enciclopédie de la musique, Parigi 1922, e V. Stepan, in La Cecoslovacchia, Roma 1925.
V. tavv. CLXXVII a CLXXXVI.