Cecoslovacchia
(IX, p. 602; App. I, p. 390; II, i, p. 541; III, i, p. 335; IV, i, p. 395; V, i, p. 535)
Storia
di Martina Teodoli
La convivenza fra Cechi e Slovacchi e la forma istituzionale che la C. doveva assumere si presentarono sin dal 1918, alla fine della Prima guerra mondiale, fra le questioni essenziali della vita politica del nuovo Stato. Dopo la soluzione centralista inizialmente imposta da Praga e l'esperienza separatista della repubblica slovacca filonazista durante la Seconda guerra mondiale, fra il 1948 e il 1960, con l'istituzione a Bratislava di un parlamento locale, si ebbe una parziale affermazione delle rivendicazioni autonomiste slovacche. Queste furono formalmente riconosciute con l'istituzione, nel 1969, della federazione cecoslovacca, ma la pratica centralista del regime di G. Husák di fatto annullò l'autonomia slovacca. Il riemergere del problema nazionale, all'indomani della caduta del regime comunista, nel quadro della crisi sociale che colpì nei primi anni Novanta il paese investendo in particolare la Slovacchia, innescò un processo di rapida dissoluzione della federazione che portò, il 1° genn. 1993, alla nascita di due Stati indipendenti, la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca (v. ceca, repubblica e slovacchia, in questa Appendice).
L'elaborazione di un nuovo quadro costituzionale, posto all'ordine del giorno, dopo la caduta del regime comunista, da tutte le forze politiche cecoslovacche, si arenò di fronte all'emergere fra queste di posizioni difficilmente conciliabili: mentre una parte crescente del mondo politico slovacco rivendicava una soluzione di tipo confederale, i principali esponenti dei partiti cechi, interessati in primo luogo a un rapido compimento del passaggio a un'economia di mercato, sottolinearono la necessità di mantenere un certo grado di centralizzazione. Il contrasto fra Cechi e Slovacchi si approfondì parallelamente all'aggravarsi della crisi sociale connessa all'avvio delle riforme economiche: alla fine del 1991 la disoccupazione in Slovacchia raggiunse il 12%, a fronte del 4% delle regioni ceche, e il malcontento alimentò le tendenze nazionaliste e autonomiste. Dalla fine del 1991 apparve evidente che l'ipotesi di dotare la federazione di una nuova Costituzione, prima dello svolgimento delle elezioni politiche federali e locali previste per il giugno 1992, era destinata a fallire. Le elezioni si svolsero quindi in una situazione di stallo che favorì il radicalizzarsi delle posizioni: mentre a Praga si affermava, con il 38% dei voti, il Partito civico democratico, formazione di orientamento nettamente liberista nata da una scissione a destra del Forum civico, a Bratislava emergeva, con il 34%, il nazionalista Movimento per una Slovacchia democratica, fautore di una soluzione di tipo confederale e di un rallentamento della riforma economica. L'incompatibilità delle strategie politiche ed economiche dei due partiti determinò un blocco delle prospettive politiche unitarie: dopo la costituzione di un governo federale provvisorio e le dimissioni di V. Havel dalla carica di presidente della Repubblica (luglio), il processo di separazione subì un'accelerazione, favorita dall'adesione del Partito civico democratico e del suo leader, V. Klaus (che assunse la guida del governo ceco), alla prospettiva della dissoluzione dello Stato cecoslovacco. Le trattative intavolate dai governi locali ceco e slovacco (quest'ultimo guidato da V. Meciar, leader del Movimento per una Slovacchia democratica) sfociarono quindi, dopo la firma di un Trattato di amicizia e cooperazione (17 dicembre), nella dissoluzione delle strutture federali (31 dicembre 1992).
Bibliografia
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F. Wehrlé, Le divorce tchéco-slovaque: vie et mort de la Tchécoslovaquie, 1918-1992, Paris 1994.
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