CECOSLOVACCHIA (IX, p. 602; App. I, p. 390; II,1, p. 541; III,1, p. 335)
Dal 10 gennaio 1969 la C. è una repubblica federale, formata dagli stati ceco (Boemia e Moravia) e slovacco (Slovacchia). In base alla costituzione dell'11 luglio 1960, modificata con la legge sulla Federazione del 28 ottobre 1968 (e successivamente nel luglio 1971), il potere legislativo spetta a un parlamento bicamerale, l'Assemblea federale, che dura in carica 5 anni ed elegge il presidente della Repubblica (il quale dura in carica 6 anni e nomina e revoca il governo).
L'Assemblea federale, eletta a suffragio universale diretto (da tutti i cittadini che abbiano compiuto 18 anni) in base a liste uniche del Fronte nazionale, organizzazione di massa dominata dal Partito comunista, è divisa nella Camera del popolo (di 200 membri, eletti proporzionalmente alla popolazione dei due stati: attualmente 138 cechi e 62 slovacchi) e nella Camera delle nazionalità (di 150 membri, 75 per stato). Entrambi gli stati hanno assemblee legislative (Consiglio nazionale ceco e slovacco, rispettivamente di 200 e 150 membri) e governi propri. La capitale federale è Praga. Nel 1961 la C. ha adottato una nuova divisione amministrativa in 12 kraj (province), di cui 8 nella Boemia-Moravia (compreso quello della capitale) e 4 nella Slovacchia (compreso quello di Bratislava).
Condizioni demografiche e sociali. - L'ultimo censimento generale della popolazione, effettuato nel dicembre 1970, ha rilevato una popolazione residente di 14.361.557 ab., in confronto ai 13.745.577 ab. registrati dal precedente censimento del 1961. Secondo una valutazione del 1974, la popolazione era salita a 14.686.255 ab., con una densità di 115 per km2. Il tasso d'incremento annuo (4,5‰ nel periodo 1961-74) si colloca al di sotto della media europea. Ciò si deve sia alla flessione degl'indici di natalità (da 20,3‰ nel 1955 a 17,4‰ nel 1972), sia a un'elevazione degl'indici di mortalità (da 9,6‰ a 11,1‰), con la conseguente caduta del tasso d'incremento naturale (da 10,7‰ a 6,3‰), aggravata nel bilancio demografico anche da qualche movimento migratorio. Oltre i due terzi degli abitanti vivono nelle città, fra cui 6 superano i 100.000 ab., e precisamente: Praga, che è passata da 1.003.341 ab. nel 1961 a 1.078.100 ab. nel 1970 (+ 7,4%), Brno da 314.000 a 339.200 (+ 8,0%), Ostrava da 235.000 a 279.800 (+ 19,1%), Bratislava da 242.000 a 291.100 (+ 20,3%), Plzen da 138.000 a 147.300 (+ 6,7%) e Košice da 80.000 a 142.000 (+ 77,7%).
Il quadro etnico-linguistico composito del paese si presenta piuttosto stabile: nel 1970 cechi 65,0% (64,8 nel 1961), slovacchi 29,2% (29,3 nel 1961), ungheresi 4,0% (3,9 nel 1961), altre nazionalità 1,8% (2% nel 1961). Le minoranze ungheresi, rutene e ucraine sono in attesa di una speciale autonomia politico-amministrativa e culturale, prevista dalla nuova costituzione federale. Nel 1974 sono stati normalizzati i rapporti tra lo stato e la Chiesa cattolica, a cui è rimasta fedele la maggioranza della popolazione.
Il tenore di vita si mantiene sui livelli dei paesi più evoluti dell'Europa occidentale (il reddito pro capite era stimato nel 1972 di 1456 dollari). L'indice di mortalità infantile è sceso da 34,1‰ nel 1955 a 21,4‰ nel 1972. Lo sviluppo dell'istruzione, obbligatoria fino al 15° anno d'età, ha ridotto gli analfabeti a meno del 3%. Le strutture sanitarie assicuravano nel 1971 un posto letto ospedaliero ogni 140 ab. e un medico ogni 442. Molto diffusi sono i moderni beni di consumo durevole come lavatrici (79% delle famiglie nel 1968), i frigoriferi (47%), gli aspirapolvere (47%), i mezzi di comunicazione di massa (nel 1972: un apparecchio radio ogni 4 ab., un televisore ogni 4, un telefono ogni 6,5, una copia di giornale ogni 3) e la motorizzazione privata (un'autovettura ogni 13 ab.). Molto elevati sono anche gl'indici pro capite dei consumi alimentari più pregiati e dei consumi energetici.
Condizioni economiche. - La pianificazione economica, iniziata nel 1951 e imperniata sulla socializzazione di tutte le imprese, ha accentuato il ritmo dello sviluppo agricolo e industriale del paese, già su buoni livelli nel periodo prebellico, adeguando le strutture produttive ai nuovi rapporti commerciali derivanti dall'inserimento nel COMECON.
A seguito della congiuntura sfavorevole del 1962, a una pianificazione quinquennale venne sostituita una pianificazione annuale e venne promosso un processo di liberalizzazione dell'economia, in contrasto con la linea sovietica della gestione centralizzata e burocratica. Dopo la pubblicazione nel settembre 1964 di una "Bozza di principi per il perfezionamento del sistema della direzione pianificata" e nel luglio 1966 del decreto relativo alle "Condizioni generali per la direzione economica delle imprese", il 1° gennaio 1967 fu ufficialmente avviato il Nuovo Modello Economico (NEM), a cui già aderiva il piano 1966-70. Il nuovo corso prevedeva una parziale autonomia per i dirigenti delle imprese, una programmazione settoriale più aderente alle reali esigenze del mercato interno, lo sviluppo delle industrie leggere e della produzione dei beni di consumo. Dopo la "Primavera di Praga" del 1968 e l'intervento militare del patto di Varsavia, fu ripristinato in gran parte il sistema economico precedente, mantenendo solo alcune riforme minori (progressivo allineamento dei prezzi a quelli internazionali, riduzione o abolizione dei sussidi governativi e degli sgravi fiscali, riduzione degl'investimenti nell'industria pesante e aumento di quelli nell'industria leggera e nei servizi sociali, differenziazione delle retribuzioni sulla base della produttività del singolo lavoratore e della redditività aziendale). A partire dal 1969 è cominciato un lento, ma progressivo riaccentramento e rafforzamento delle funzioni direttive a livello governativo con il ritorno ai metodi amministrativi e la reintroduzione degl'indici quantitativi, secondo una linea di prudenza e di gradualità, che tiene conto degli effetti e delle reazioni di ogni provvedimento. Questa politica, indicata in un primo tempo come "Sistema della direzione pianificata" e ora denominata Programma Economico Migliorato, mira a eliminare i più gravi squilibri dell'economia cecoslovacca e ad accrescerne l'intensità e l'efficienza, senza nuocere agl'interessi generali del COMECON. Essa è rispecchiata nel piano 1971-75 che si prefigge di migliorare il tenore di vita della popolazione, accrescendo i consumi dei beni materiali, migliorando i servizi sociali e rafforzando le garanzie per i lavoratori.
Nel periodo 1956-72 la composizione della popolazione attiva ha subito sensibili variazioni: gli addetti all'agricoltura sono scesi dal 33 al 16,6%, mentre quelli delle industrie sono saliti dal 40,5 al 47,3% e quelli del settore terziario dal 26,5 al 36,1%. L'agricoltura ha visto proseguire il processo di socializzazione che ha fatto salire la superficie agraria delle aziende statali dal 15% del 1955 al 30% del 1969, delle cooperative dal 25 al 56% e degli appezzamenti individuali dei membri delle cooperative dal 2 al 4%, mentre le aziende private sono discese dal 58 al 10%. L'esodo della popolazione rurale ha accelerato le trasformazioni strutturali e il passaggio da un'economia privatistica a un'economia imperniata sulle grandi aziende statali o cooperative, in cui si applicano le tecniche colturali più avanzate, con largo uso di macchine (un trattore ogni 52 ha nel 1969) e fertilizzanti. Nel 1969 a fianco di 795.000 poderi privati e di 649.000 appezzamenti coltivati individualmente dai contadini cooperativizzati (con una superficie media di 0,9 ha) si collocavano 343 aziende statali (con una media di 625 ha e di 137 soci).
Modeste variazioni ha subito invece l'utilizzazione del suolo, che ha raggiunto ormai una sistemazione ottimale. Nel decennio 1962-71 risultano in lieve aumento le foreste (da 34,1 a 34,9%), gl'incolti e gl'improduttivi (da 9 a 9,7%), mentre sono in lieve diminuzione i seminativi (da 41,2 a 40,7%), le colture legnose (da 1,2 a 1%) e i prati-pascoli (da 14,5 a 13,7%). Le maggiori aliquote del reddito agricolo provengono sempre dai prodotti dell'allevamento (37%) e dai foraggi (25%), a cui fanno seguito i cereali (17%), le colture industriali (14%) e gli ortaggi (7%). La politica di specializzazione continua a favorire le colture più redditizie; in forte aumento sono le produzioni di grano, orzo, mais, barbabietole da zucchero, luppolo, semi oleosi, vino, frutta e ortaggi, mentre sono diminuiti le patate e il tabacco. Nel settore zootecnico a una contrazione del patrimonio ovino-caprino ed equino fa riscontro un incremento dei capi suini e bovini, con considerevoli miglioramenti nelle rese.
Le cospicue risorse forestali, governate e utilizzate con metodi sempre più aggiornati, forniscono quantità sempre crescenti di legname (da 14,9 milioni di m3 nel 1955 a 19,3 nel 1972).
La produzione industriale ha rilevanza sul piano mondiale sia come quantità (1,3% del totale) e qualità, sia per le esportazioni nell'area del COMECON (di cui la C. è il paese più industrializzato) e del Terzo Mondo. I settori che sono stati caratterizzati da maggiori incrementi produttivi sono le industrie metalmeccaniche (29% di tutta la produzione industriale), chimiche e della gomma (7%) e delle costruzioni.
Sebbene le risorse del sottosuolo siano già da lungo tempo utilizzate, le industrie estrattive hanno realizzato progressi nella produzione di carbone fossile (da 22 milioni di t nel 1955 a 28 milioni nel 1973), di lignite (da 40,8 a 82 milioni di t), di gas naturale (da 173 a 1167 milioni di m3), nonché di uranio, i cui giacimenti di Jáchymov sono sempre i più importanti d'Europa. Alla carenza di idrocarburi supplisce l'Unione Sovietica con l'oleodotto dell'Amicizia e con un metanodotto, che arrivano a Bratislava, dov'è stata potenziata l'industria di raffinazione (nuove raffinerie sono in costruzione a Kralupy e Zoluži). La produzione di energia elettrica (per il 94,3% di origine termica) si è quadruplicata fra il 1953 e il 1972 (da 12,4 a 51,4 miliardi di kWh), rendendo possibile fin dal 1960 il completamento dell'elettrificazione di tutto il paese. Al reattore nucleare sperimentale di 2 MW, in funzione fin dal 1958, si è recentemente affiancata la centrale nucleare di Jaslovske Bahunice, nella Slovacchia (di 100 MW), mentre altre due sono in costruzione. Nel settore metalmeccanico la C. si segnala per la grande espansione dell'industria siderurgica, le cui produzioni sono salite fra il 1950 e il 1972 per la ghisa e le ferroleghe da 1,7 a 8,5 milioni di t e per l'acciaio da 3,1 a 12,7 milioni di tonnellate. Il potenziamento in corso dell'acciaieria di Košice consentirà alla C. di coprire completamente anche il suo fabbisogno di laminati sottili.
L'industria automobilistica (Skoda), largamente esportatrice, ha aumentato nel periodo 1955-73 la produzione di autovetture da 13.000 a 164.448 e di autoveicoli industriali da 12.000 a 28.378; un nuovo stabilimento è in costruzione a Trnova. Progressi anche maggiori ha fatto l'industria chimica, che ha intensificato la produzione di base (dal 1964 al 1973: acido solforico da 893.000 a 1.214.000 t, acido cloridrico da 31.700 a 49.300 t, soda caustica da 146.000 a 217.200 t), di fertilizzanti azotati, di materie plastiche e resine, nonché di fibre tessili artificiali e sintetiche. Con lo sviluppo dell'industria delle costruzioni è aumentata anche la produzione di cemento (da 2,3 milioni di t nel 1953 a 8,4 milioni nel 1973). Notevoli progressi hanno compiuto anche le industrie tradizionali dei settori tessile, alimentare, del vetro, della porcellana, del cuoio e delle calzature, degli strumenti musicali, ecc.
Commercio e comunicazioni. - Il commercio estero ha continuato a crescere d'importanza in rapporto con la struttura industriale del paese. La bilancia commerciale si è mantenuta attiva (ad eccezione del 1968): il saldo passivo con i paesi industriali del mondo occidentale è infatti largamente compensato dal saldo attivo con i paesi del COMECON e del Terzo Mondo. Sono in flessione gli scambi con i paesi socialisti (dal 78% del 1953 al 70% del 1970) e del Terzo Mondo (dal 10% del 1960 all'8% del 1970), mentre sono in aumento quelli con i paesi industriali del mondo occidentale (dal 15% del 1953 al 22% del 1970). Nel 1972 le esportazioni erano dirette soprattutto verso i paesi del COMECON (66,3%), con alla testa l'Unione Sovietica (33,9%), seguita dalla Rep. Dem. Tedesca (10,9%), Polonia (9,3%), Ungheria (5,3%), Romania (3,6%) e Bulgaria (3,3%); fra gli altri paesi si segnalavano la Rep. Fed. di Germania (5,2%), la Iugoslavia (3,2%) e l'Austria (2,2%). Analoga alla precedente, con lievi variazioni nelle percentuali, è la graduatoria dei paesi da cui provengono le importazioni.
In fatto di composizione merceologica all'esportazione sono in aumento: macchinari e impianti (49,8%), prodotti industriali di base (19,2%), prodotti chimici (4,8%) e altri prodotti finiti industriali (13,1%), mentre sono in diminuzione le materie prime e i combustibili (8,2%) e i generi alimentari (4,4%); all'importazione segnalano invece notevoli incrementi i macchinari e impianti (34,1%) e i beni di consumo industriali (27,8), mentre sono diminuiti le materie prime e i combustibili (23,6%) e i generi alimentari (14%).
Le vie di comunicazione sono in corso di potenziamento con la costruzione dell'autostrada Praga-Brno-Bratislava, il cui primo tronco Praga-Mirošovice (di 23 km) è stato aperto al traffico nel luglio 1971. La rete stradale si è allungata del 20% fra il 1960 e il 1972; le strade principali sono passate da 50.000 a 73.000 km, quelle secondarie da 80.000 a 70.000. Nello stesso periodo il parco automobilistico è passato da 220.000 a 1.351.650 autoveicoli, di cui l'84,5% autovetture.
Minori progressi ha fatto la rete ferroviaria (da 13.139 a 13.332 km per il 18% elettrificati).
Una riduzione ha subito invece la rete idroviaria (da 510 a 483 km), che tuttavia ha visto aumentare i traffici (4.868.000 t di merci nel 1972), specie sull'asta danubiana. Dal 1964 la C. possiede anche una piccola marina mercantile con base nel porto polacco di Stettino: si tratta di 11 navi per una stazza lorda di 86.510 t (1973).
Molto attivi sono anche i traffici aerei che fanno capo agli aeroporti internazionali di Praga (Ruzyne) e Bratislava e ad altri aeroporti abilitati per i servizi interni.
Dopo h crisi del 1967 in forte ripresa è il movimento turistico internazionale che è passato dai 4.166.000 arrivi del 1968 agli 11.498.000 del 1972.
Bibl.: Socialisticke Československo, La Tchécoslovaquie socialiste, Bratislava 1963; E. Hall, The land and the people of Czechoslovakia, Philadelphia 1965; W. V. Wallace, Czechoslovakia, Wellingborough 1970; J. Demek, M. Strida (e altri), Geography of Czechoslovakia, Praga 1971.
Storia. - La destalinizzazione inaugurata da Chruščëv aprì anche in C. un periodo di innovazioni, regolate sul ritmo della politica sovietica e sostenute da successive campagne per la revisione dei grandi processi politici: la prima (1955-56) assai cauta e limitata nei risultati, la seconda invece (lanciata nel dicembre 1962 dal XII congresso del Partito comunista cecoslovacco) di portata senz'altro notevole. La personalità di Antonín Novotný conferisce un'impronta all'intero periodo: segretario del partito per quasi tre lustri, fino al gennaio 1968, presidente della repubblica per oltre un decennio, fino all'aprile dello stesso anno, consapevole della situazione reale e lontano da qualsiasi ambizione nazionalistica, Novotný mantenne a lungo in C. la continuità del potere; ma rappresentò un elemento di stabilità anche nel sistema dei paesi socialisti, che in quegli anni fronteggiava la crisi polacca e ungherese e perdeva la sua struttura unitaria nello scontro col "dogmatismo" di Tirana e Pechino.
Nell'aprile 1956 il Comitato centrale del PCC eliminò dalla scena politica A. Čepička, genero di Gottwald, esponente ideologico del Cominform, succeduto nel 1949 al gen. Svoboda come ministro della difesa; a pochi giorni di distanza, il II congresso degli scrittori fornì l'occasione per i primi interventi sul tema dell'autenticità e libertà d'informazione. Ma la svolta successiva della politica sovietica dopo la rivolta ungherese, quando la stessa posizione di Chruščëv parve vacillare, sopraggiunse a contenere l'evoluzione così avviata. Al congresso del Partito comunista slovacco dell'aprile 1957, il segretario K. Bacílek denunciò l'influenza esercitata dal disciolto circolo Petöfi di Budapest su alcuni scrittori slovacchi, collaboratori del Kulturny Život di Bratislava; nel giugno, di fronte al Comitato centrale del PCC, l'ideologo J. Hendrych indicò nel revisionismo la minaccia più grave al progresso delle scienze umane. L'esigenza di riabilitare le vittime dei processi, culminati nel 1952 con la confessione e la pena capitale di R. Slánský, fu delusa nell'ottobre 1957, quando il Comitato centrale confermò la condanna di Slanský e dei suoi complici, ammettendo solo per alcuni casi l'eccessivo rigore delle pene o anche la possibilità di errori giudiziari. La ritrovata sicurezza del gruppo dirigente è il presupposto della nuova Costituzione approvata dall'Assemblea nazionale nel luglio 1960, che caratterizzò la C. come una repubblica socialista (ČSSR), fondata sull'alleanza degli operai, dei contadini e degli intellettuali, e sancì il ruolo dirigente del PCC nella società e nello stato.
Ma quando il XXII congresso del PCUS (ottobre 1961) dimostrò che la linea del primo segretario Chruščëv aveva superato le opposizioni, improvvisamente il lento processo di destalinizzazione in C. fu accelerato. Riunito nel febbraio 1962, il Comitato centrale cecoslovacco eliminò dalla scena politica il ministro degli interni R. Barák. Nel dicembre dello stesso anno il XII congresso sollevò ancora il problema della revisione dei processi. I risultati dell'inchiesta furono resi di pubblico dominio nell'agosto 1963: questa volta fu riabilitata la memoria di Slánský e di V. Clementis, mentre furono riammessi nella vita politica e culturale G. Husák, L. Novomeský, E. Löbl. S'imponeva a questo punto un mutamento effettivo nella compagine di govenno: sempre il Comitato centrale, nel settembre 1963, criticò duramente l'operato di V. Široký, presidente del Consiglio da oltre dieci anni, sostituendolo con J. Lenárt, non ancora gravato da responsabilità governative. Già nel maggio gli scrittori cecoslovacchi avevano tenuto il loro III congresso, cui era stato ammesso il poeta Novomeský, rappresentante dell'avanguardia culturale d'anteguerra, salutato da vivi applausi dopo tredici anni di silenzio; M. Kundera aveva denunciato l'isolamento della cultura ceca dalle correnti mondiali e l'ostracismo che aveva colpito, tra gli altri, anche il nome di Lukács. Sulle orme dell'Ivan Denisovič di Solženicyn, uscirono allora i Reportages in ritardo di L. Mnačko e la Spina dorsale di L. Bublík; il biennio 1963-64 vide ancora una fioritura letteraria e teatrale, fortemente impegnata nel generale rinnovamento. Ma già sul principio del 1965 si delineava chiaramente la tendenza a frenare gl'intellettuali riformatori; una legge sulla stampa dell'ottobre 1966 contemplava forme di censura preventiva, esercitate da un ufficio del ministero degli Interni.
Durante tutto il periodo dal 1956 al 1967 la politica estera cecoslovacca fu solidale con quella sovietica. In occasione della doppia crisi dell'autunno 1956, governo e partito presero posizione contro l'imperialismo occidentale e contro la ribellione ungherese, salutarono con favore le soluzioni raggiunte a Varsavia e a Budapest, si allinearono tempestivamente contro i revisionisti iugoslavi. Durante la crisi di Berlino (1958-61) la diplomazia cecoslovacca ribadì il punto di vista del Patto di Varsavia; ospitando a Karlovy Vary, nell'aprile 1967, la conferenza dei partiti comunisti europei, i dirigenti di Praga abbracciarono le tesi sovietiche sulla sicurezza collettiva. Nel marzo 1967 la Repubblica socialista cecoslovacca concluse con la Repubblica Democratica Tedesca un trattato di alleanza diretto al "superamento del militarismo e del neonazismo" e al regolamento del problema tedesco, insistendo sulla non-validità del trattato di Monaco e sul riconoscimento di due stati tedeschi sovrani. Quanto alla controversia albanese e cinese, sullo scorcio del 1961 la C. sostituì il suo ambasciatore a Tirana con un incaricato d'affari, cui spettava di rappresentare in quella capitale anche gl'interessi sovietici (dopo che i rapporti diplomatici Albania-URSS erano stati interrotti); a poca distanza dalla pubblicazione dei "venticinque punti cinesi i (v. comunismo, in questa App.), il PCC indirizzò una lettera al PCUS, dov'erano riaffermati i principi della destalinizzazione, della coesistenza, del ruolo direttivo spettante all'Unione sovietica. Ma già al XII congresso del partito cecoslovacco era stata negata al delegato cinese la possibilità di pronunciare un discorso.
Sul piano dell'amministrazione e della gestione economica, esperimenti di decentramento territoriale furono annunciati nel 1957; ma a distanza di pochi mesi fu invece decisa una riorganizzazione del sistema sulla base dell'autonomia amministrativa delle imprese, e sollecitata la formazione di unioni aziendali direttamente sottoposte ai ministeri. Parte cospicua in questo dibattito ebbe l'economista O. Šik (v.). Le misure concrete non furono tuttavia soddisfacenti, se il Comitato centrale tornò più volte sul problema, finché entrò in vigore (gennaio 1967) un nuovo sistema economico, ispirato sia alle tesi innovatrici già ventilate in C. nel 1958, sia alla riforma sovietica del 1965. L'incertezza dei provvedimenti e il disagio dell'apparato produttivo furono confermati dalla sorte del II e del III piano quinquennale, che subirono nel corso di attuazione sostanziali modifiche.
Logorato dalla vicenda delle aspettative autorizzate e deluse, il potere di Novotný entrò in una fase di rapida dissoluzione, avviata dal IV congresso degli scrittori, nel giugno 1967. Dopo la lettura di un messaggio di Solženicyn sul destino della letteratura russa nelle condizioni dello stalinismo e del neostalinismo, seguì l'intervento di M. Kundera, il più largamente rappresentativo. In esso era posto il problema della nazione ceca e della sua sopravvivenza: la cultura ceca non può perdere il contatto col pensiero europeo e con le sue fonti classiche e cristiane, perduranti attraverso tutte le rivoluzioni culturali. Gl'ideologi ufficiali colsero questa singolare valutazione dello "spirito europeo": in polemica con essa, si richiamarono alla teoria ždanoviana dei due campi, socialista e imperialista, che non lasciava spazio a terze posizioni. A sua volta, l'atteggiamento degli Slovacchi, orientati verso un autonomismo sempre più radicale, fu un altro fattore di crisi: durante una visita a Bratislava, Novotný fu accolto con manifestazioni ostili (nell'ottobre una dimostrazione di studenti nel quartiere praghese di Strahov scosse ulteriormente il suo prestigio). Nel gennaio 1968 egli fu costretto alle dimissioni dalla carica di segretario, che passò ad A. Dubček (v.), leader dal 1966 dei comunisti slovacchi; nel marzo la presidenza della repubblica fu assunta da L. Svoboda; nell'aprile Lenárt fu sostituito da O. Černík alla testa del governo. In tal modo, prendeva consistenza in C. la possibilità di una forma specifica di socialismo; inoltre, nel movimento di riforma degli anni Sessanta era viva l'attesa di un'ampia ed effettiva coesistenza fra i due sistemi mondiali, imposta dalla universalità del pensiero scientifico. Ota Šik, ora vicepresidente del Consiglio, propugnava un nuovo orientamento dell'economia nazionale: questa, sottratta all'integrazione nel quadro est-europeo, avrebbe preso vigore dalla concorrenza con le industrie inglesi, tedesche e francesi; un prestito intorno ai 500.000 dollari, concesso dalla RFT, era destinato nei progetti di Šik a tonificare il meccanismo produttivo, che avrebbe trovato un suo equilibrio fra la Comunità europea ed il Comecon. A sua volta il Comitato centrale, orientato nella sua nuova maggioranza verso soluzioni originali, rese pubblico un programma d'azione che rivedeva i fondamenti di tutta la politica interna: il partito cercava di liberarsi dagl'impacci burocratici e di guadagnare un nuovo dinamismo, interessando a un dibattito costruttivo l'intera opinione pubblica, anche estranea alle sue file. Sui Literární Listy, nuovo organo dell'Uinione degli scrittori, apparve il documento più rappresentativo dell'opinione cecoslovacca durante la "primavera di Praga": le Duemila parole del giornalista L. Vaculík, una sorta di manifesto che ottenne la firma dal filosofo K. Kosík, del drammaturgo J. Topol, del regista O. Kreiča, degli olimpionici E. Zàtopek e V. Čáslavská, chiamando in sostanza neocomunisti e non-comunisti a sostenere insieme l'indirizzo felicemente prevalso nel partito e a collaborare al risanamento del paese.
Il nuovo corso di Dubček urtava contro la linea accolta dal movimento comunista internazionale nelle conferenze di Mosca del 1957 e del 1960, fondata sull'unità e la coesione dei partiti e dei paesi della comunità socialista; inoltre scopriva un punto di minore resistenza verso la Ostpolitik della Germania di Kiesinger e di Brandt, che esercitava su Praga e Bratislava una forte attrazione culturale ed economica. Fu dunque particolarmente dura l'opposizione di Ulbricht e di Gomulka, mentre i sovietici esercitavano pesanti pressioni in occasione d'incontri bilaterali e multilaterali. Nel luglio cinque partiti comunisti (i partiti al potere nei paesi membri del Patto di Varsavia, eccettuato il Partito operaio romeno), invitarono i Cecoslovacchi, in nome dell'internazionalismo e della sicurezza della "comunità socialista", a respingere l'"offensiva pacifica" .Portata dall'imperialismo. A breve distanza di tempo, nell'incontro di Čierna, i sovietici impegnarono i dirigenti cecoslovacchi a partecipare a una successiva riunione di partiti comunisti. In effetti la dichiarazione di Bratislava del 3 agosto 1968, impegnando tutti i firmatari al "rafforzamento della cooperazione politica e militare nell'organizzazione del Patto di Varsavia", fu una sorta di premessa al successivo intervento. Tra il 20 e il 21 agosto forze corazzate del Patto di Varsavia (eccettuata la Romania) stabilirono in poche ore, con azione di sorpresa, il controllo su tutto il paese. I maggiori esponenti della "primavera", Dubček, Černík e il presidente dell'Assemblea nazionale J. Smrkovský, furono arrestati e tradotti a Mosca, presto raggiunti da Svoboda; mentre a Praga un congresso clandestino condannava l'invasione, essi s'impegnarono a restaurare il ruolo dirigente del partito. Tali eventi produssero una serie di reazioni: la Cina denunciò l'aggressione sovietica, mentre la Iugoslavia e la Romania affermavano la propria volontà d'indipendenza; F. Castro, invece, aderì alla tesi sovietica, denunciando un accostamento cecoslovacco all'imperialismo di Washington e di Bonn. Da parte occidentale i commenti furono prevalentemente ispirati all'esigenza di non turbare la distensione in atto. Nel settembre, la Pravda dichiarò ripetutamente che nessun govemo socialista ha il diritto di prendere decisioni "che danneggiano il socialismo nel suo paese, o gl'interessi vitali di altri paesi socialisti"; gli osservatori occidentali denunciarono allora una dottrina della "sovranità limitata", concernente gli stati socialisti (estesa più tardi, nella conferenza internazionale di Mosca del giugno 1969, anche ai partiti comunisti). In un secondo vertice a Mosca, da cui rimase escluso Smrkovský, sostituito questa volta da Husák, i Cecoslovacchi riconobbero la realtà dell'occupazione e accettarono la permanenza di alcune divisioni sovietiche.
Dell'originario programma di riforme, il governo Černík attuò la federalizzazione, entrata in vigore nel gennaio 1969 per venire incontro alle richieste slovacche. Sempre nel gennaio il rogo di J. Palach, studente di filosofia a Praga, esasperò la tensione. Poi s'impose gradualmente la guida di Husák, segretario del PCC dall'aprile 1969; anche Černík, sebbene avesse cercato d'inserirsi nel nuovo equilibrio al prezzo di un tardivo attacco contro Dubček, finì sostituito da L. Štrougal nel gennaio 1970. Tra i primi atti della nuova direzione politica fu la conclusione, nel maggio 1970, di un nuovo trattato di amicizia, collaborazione e aiuto reciproco con l'Unione Sovietica (il terzo, dopo quelli del 1943 e del 1963); il preambolo sottolineava il concetto d'internazionalismo proletario, gli obblighi derivanti dal Patto di Varsavia, i principî della divisione internazionale del lavoro entro il Comecon. I rapporti con la Germania di Bonn sono stati regolati col trattato del giugno 1973, l'ultimo della serie degli Ostverträge di Brandt, dopo quelli con l'URSS e la Polonia; in esso era accolta la non-validità dell'accordo di Monaco e proclamata l'intangibilità degli attuali confini. Il potere di Husák (eletto dall'Assemblea federale, nel maggio 1975, presidente della Repubblica in sostituzione di Svoboda) si è configurato in una sorta di centrismo, tra i fautori di una linea intransigente, guidati da V. Bilák, e gli esponenti della "primavera" in patria e all'estero, che ancora nel febbraio 1977 hanno levato una voce in difesa dei diritti sanciti dalla conferenza di Helsinki (v. sicurezza europea, in questa App.).
Bibl.: J. M. Montias, Riforme in Cecoslovacchia, in L'Est, 1966, n. 2, pp. 1-20; Survey, 1966, n. 59 (dedicato al "risorgimento culturale ceco" di quegli anni); Dějiny KSČ. Studjiní přicučka, Praga 1967; IV sjezd Svazu československých spisovatelů, ivi 1968; Dějiny Československa v datech, ivi 1968; Dossier cecoslovacco, a cura di R. Garaudy, ivi 1968; Osteuropa, XVIII, 1968, nn. 10-11 (dedicati alla crisi dell'agosto); R. Richta, La via cecoslovacca, Milano 1968; O. Šik, O současném stavu národniho hospodařstvi v ČSSR, Praga 1968; id., La verità sull'economia cecoslovacca, Milano 1968; P. Tigrid, Praga 1948-Agosto 1968, ivi 1968; id., Così finì Alexander Dubček, ivi 1970; B. Meissner, Die "Breshnew-Doktrin"... Eine Dokumentation, Colonia 1969; Winter in Prague. Documents on Czechoslovak communism in crisis, a cura di R. A. Remington, pref. di W. E. Griffith, Cambridge, Mass.-Londra 1969; H. Brahm, Der Kreml und die Tschechoslowakei 1968-1969, Berlino 1970; Trois générations. Entretiens sur le phénomène culturel tchécoslovaque, a cura di A. Liehm, pref. di J.-P. Sartre, Parigi 1970; V. V. Kusin, The intellectual origins of the Prague spring, Cambridge 1971; G. Golan, The Czechoslovak reform movement, ivi 1971; id., Reform rule in Czechoslovakia. The Dubčekra 1968-69, ivi 1973; R. Urban, Vom "Prager Frühling" zur Normalisierung. Tschechoslowakische Schriftsteller unter Novotný, Dubček und Husák, in Osteuropa, XXI, 1971, pp. 73-97; A. Müller, Zur Lage in der Tschechoslowakei, ibid., XXIII, 1973, pp. 599-617; H. Gordon Skilling, Czechoslovakia's interrupted revolution, Princeton 1976; A. Müller, Der tschechoslowakische Weg zur "Charta 77", in Osteuropa, XXVII (1977), pp. 557-72.
Letteratura cèca. - La letteratura cèca si trovò nel secondo dopoguerra, per la quarta volta nella sua storia, a dover prefigurare, "costruire" e sottoporre a critica un difficile processo di trasformazione della società. Tale tendenza di fondo della letteratura cèca trova però ostacolo, nel corso degli anni Cinquanta, proprio nella politicizzazione esplicita e programmatica che lo stato socialista richiedeva. Non ci si rese subito conto di come fosse necessariamente condannata al fallimento sostanziale l'ambizione di realizzare una letteratura del "realismo socialista" che non rispettava più l'autonomia della letteratura come tale e che imponeva dei modelli, dei giudizi e perfino, talvolta, delle sanzioni. Un secondo ostacolo, di natura più propriamente letteraria, fu poi la circostanza che la letteratura cèca aveva colmato un certo ritardo storico nei confronti della cultura europea soltanto negli anni tra le due guerre, raggiungendo in molti campi risultati veramente eccezionali (Nezval, Halas, Vančura, ecc.). Fu quindi di grave danno la barriera che le circostanze storiche frapposero tra Est e Ovest. Gli anni Cinquanta vedono dunque una prosa e una poesia che riflettono le esperienze della guerra, del 1948 e della costruzione del nuovo regime. La prosa degli anni Cinquanta può dividersi in tre filoni. Vi è prima di tutto un romanzo realistico che tenta di saldare il grande realismo ottocentesco di stampo francese e russo con le esigenze nuove. E il caso soprattutto di M. Pujmanová (1893-1958): autrice feconda e popolare, essa è ormai un classico del romanzo d'epoca. La sua nota trilogia (Lidé na křižovatce, Hra s ohněm, Život proti smrti, "Gente al crocevia", "Gioco con il fuoco", "La vita contro la morte", 1937-52) è un poderoso affresco della situazione del paese prima e dopo la guerra. Più dichiaratamente storico è l'interesse della pentalogia Veliké století ("Il grande secolo") di Fr. Kubka (1894-1969), che segue lo sviluppo della società cèca dal 1848 al 1945.
Un secondo filone è dato dal romanzo di contenuto e stile più attuale, centrato sui ricordi di guerra e sulla problematica della costruzione del socialismo. La cosiddetta prosa "della costruzione" è rappresentata in modo sintomatico, nel bene e nel male, da V. Řezáč (1901-56), scrittore peraltro pregevole, coi romanzi Nástup ("Lo spiegamento", 1951) e Bitva ("La battaglia", 1954); da B. Říha (1907), che affrontò per primo il tema della socializzazione delle campagne (Země dokořan, "Terra aperta", 1950; Dvě jara, "Le due primavere", 1952); da A. Branald (1910), autore di romanzi-reportage sul mondo del lavoro (Hrdinové všedních dnů, "Eroi di tutti i giorni", 1953-54; Král železnic, "Il re delle ferrovie", 1959); da Zd. Pluhař (1913) con un buon romanzo sul dramma degli emigrati cèchi (Opustíš-li mne, "Se mi abbandoni", 1957); e da N. Frýd col romanzo Krabice živých ("Scatole viventi", 1956), sui campi di concentramento.
Più interessante è quella prosa che, pur accostandosi a problematiche analoghe, conserva precise intenzioni letterarie e pone attenzione anche alla soggettività dell'individuo-protagonista della storia. Segnaliamo il nome di J. Drda (1915-70), primo presidente dell'Unione scrittori cecoslovacchi, nella cui prosa si mescolano sapientemente il dettaglio realistico e quotidiano con elementi fantastici e poetici. I racconti di Němá barikada ("La barricata muta", 1946) sono comunque inferiori al precedente romanzo Městečko na dlani ("La cittadina in una mano", 1940). E. Valenta (1901) disegna in Jdi za zeleným světlem ("Segui la luce verde", 1956) l'interessante ritratto psicologico di un intellettuale durante la guerra. Le prose brevi di L. Aškenazy (1921) sfuggono poeticamente alla regola del naturalismo descrittivo. Jan Otčenášek affronta senza falsi schematismi in Občan Brych (t[ Il cittadino Brych", 1955) il tema del febbraio 1948 e successivamente (Romeo, Julie a tma, "Romeo, Giulietta e le tenebre" 1958 trad. it. Milano 1960) quello del rapporto tra individuo e società. Citiamo poi K. Ptáčník (1921) con Ročník jedenadvacet ("Classe ventuno", 1954), I. Kříž (1922), e A. Lustig (1926).
La poesia degli anni Cinquanta vive un momento di vuoto, nel senso che non ha una sua precisa identità. Alcuni poeti importanti, spesso già attivi prima della guerra, rendono omaggio pregevole e sincero alle esperienze della guerra (Seifert con Přilba hlíny, "L'elmo della terra", 1945-48; Hrubín con Hirošima, 1948; Holan con Rudoarmejci, "Soldati rossi", 1947). Altri tentanto la poesia politica (Kainar, Skála), mentre una generazione più giovane stenta a trovare una voce diversa dall'imperante moda declamatoria.
Come si comprende, il momento di rottura viene dopo il 1956, quando la denuncia del culto della personalità libera in una certa misura il potenziale che si era accumulato. S'indebolisce la censura e diventa meno rigido l'obbligo di scrivere per il fine aprioristicamente dato della costruzione del socialismo. Prende lentamente corpo una sorta di rinascita letteraria che darà i suoi frutti entro un decennio, talvolta affrettata o immatura, spesso frenata dalla censura, ma con risultati via via più sicuri e a volte eccellenti.
La prosa degli anni Sessanta è difficilmente riconducibile a dei criteri unitari. E troppo varia e troppo vicina a noi. Alcuni scrittori affrontano i temi delle deformazioni postbelliche (J. Mucha), della vita contemporanea (Vl. Páral). Dal 1957 al 1963 Vl. Neff (1909) pubblica una sua pentalogia che riassume nella storia di una famiglia le sorti della borghesia cèca. Ma gli scrittori che s'impongono, anche fuori del paese, hanno interessi diversi.
J. Škvoreckě (1924), il cui primo romanzo Zbabělci (1958, scritto nel 1949, trad. it. I vigliacchi, Milano 1969) fece rumore perché trattava - per la prima volta con una certa libertà - il tema della liberazione, ha una buona vena di narratore e un interesse acuto per il ritratto d'ambiente, ma non sembra capace di raggiungere un impegno rigoroso dal punto di vista ideologico e stilistico. Felice è il ritratto di Lvíče (trad. it. Il leoncino, Milano 1971).
M. Kundera (1929) è con Fuks il più noto degli scrittori cèchi contemporanei. Rinnegati gl'inizi poetici, Kundera si è imposto per il suo amore del paradosso, per la sua satira della società staliniana (Žert, 1967, trad. it. Lo scherzo, Milano 1969). La forza di Kundera sta nella capacità di cogliere con ironia e precisione i riflessi dei meccanismi sociali sulla psicologia e sulla vita dei singoli, rasentando l'assurdo (Smèsné lásky, 1963-68, trad. it. Amori ridicoli, Milano 1973; Život je jinde, 1974, trad. it. La vita è altrove, Milano 1976).
L. Fuks (1923) centrò già nel 1963 con Pan Theodor Mundstock ("Il signor Theodor Mundstock") la dimensione di un tragico humour noir per nulla allegro. Spalovačmrtvol (1967, trad. it. Il bruciacadaveri, Torino 1972) è il suo romanzo maggiore, che colpisce per la fascinosa tenerezza con cui il signor Kopfrkingl distribuisce la morte in nome della felicità. Con una tecnica analoga (prosa divisa in lunghi periodi avvolgentisi l'uno all'altro, con ripetizioni ossessive di interi brani) è costruito anche il pregevole Myši Natalie Mooshabrové (1970, trad. it. Una buffa triste vecchina, Milano 1972). Fuks ha scritto anche racconti.
B. Hrabal (1914) è probabilmente il maggiore, il più promettente e per così dire il più cèco dei prosatori attuali. Laureato in legge, ha fatto l'operaio e l'addetto alle coulisses in teatro. Scrive racconti umoristici sui tragicomici destini di tipici "piccoli uomini" cèchi, i cui comportamenti (soprattutto linguistici) sono osservati con partecipe humour e resi con una felicità e creatività linguistica per cui si è voluto fare il nome di Gadda, laddove bisogna invece fare quello del grande Hašek. Ostře sledované vlaky ("Treni strettamente sorvegliati", 1965) racconta un episodio della resistenza; Inzerát na dům, ve kterém nechci bydlet (1966, trad. it. Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare, Torino 1968); Pábitelé (1964, trad. it. Vuol vedere Praga d'oro?, Milano 1973) è forse il suo libro migliore. Vi è poi un gruppo di scrittori orientati verso una prosa di tipo più sperimentale, che sente le influenze dei metodi analitici del nouveau roman e dei metodi d'indagine strutturalista (lo strutturalismo ha una sua poderosa tradizione cèca, autonoma e diversa rispetto a quella francese). Citiamo i nomi di J. Fried (1923) e V. Linhartová (1938). Il primo aveva incominciato con versi di tipo proletario sotto l'influsso di Wolker e Biebl, ma le sue cose migliori sono i racconti analitici di Časová tísen (1961, trad. it. I minuti contati, Milano 1964) e Hobby (1969, trad. it. Torino 1975). La Linhartová, che si occupa di arte, scrive prose altamente intellettualizzate, dove i piani semantici s'incastrano gli uni negli altri e la riflessione continua del narratore raggiunge effetti spersonalizzanti (Prostor k rozlišení, "Spazio per distinguere", 1964; Meziprůzkum nejblížuplynulého, 1964, trad. it. Interanalisi del fluito prossimo, Torino 1969; Dům daleko, "Una casa lontano", 1968). Molto vivace è la produzione teatrale: citiamo M. Kundera, Fr. Hrubín, P. Kohout e, più interessanti ancora, J. Topol (1935) e V. Havel (1936).
La poesia degli anni Sessanta esce finalmente dalle strettoie ideologiche. J. Seifert è da considerarsi soprattutto poeta grande dell'avanguardia tra le due guerre. Citiamo tuttavia Koncert na ostrově "Concerto nell'isola", 1965), Halleyova kometa ("La cometa di Halley", 1967), Odlévání zvonů ("La fusione delle campane", 1967).
V. Holan (1905) è probabilmente il massimo poeta cèco vivente e uno dei maggiori d'Europa. La sua vena metafisica e barocca si riallaccia direttamente alla linea máchiana della poesia cèca, con l'importante mediazione di alcuni amatissimi poeti francesi (Baudelaire, Mallarmé, Vildrac) e di alcuni grandi del Seicento europeo (Shakespeare, Gongora). La scrittura di Holan, che s'era fatta aperta e leggibile in un breve periodo di ottimismo e gratitudine dopo la guerra, ritorna ben presto cifrata e oscura, ricchissima di allusioni metafisiche, letterarie, bibliche, ecc. Già in Příbehy ("Storie", 1963) si risale dalle vicende di singoli individui a meccanismi filosofici generali, a volte confinanti con l'assurdo.
In Noc s Hamletem (1964, trad. it. Una notte con Amleto, Torino 1966), un Amleto reincarnato propone motivi mistici e fantastici tipicamente holaniani: il rapporto tra astratto e concreto, tra eterno e temporale, tra amore e morte. La qualità più interessante del verso holaniano sta forse nella sintassi tagliata, ellittica o acefala del periodo, nel quale si distende una meditazione sostanzialmente filosofica, che procede però per metafore (Na sotnách, 1967; Asklépiovi Rohouta, "Un gallo per Asclepio", 1970).
Fr. Hrubín è poeta intimo e quasi religioso, animato da profondo amore per l'uomo e la terra. Nei versi postbellici Hrubín (1910-71) ha tentato spesso con successo di fondere la propria vena umana con la necessità di un impegno civile. Romance pro křídlovku ("Romanza per un flicorno", poema, 1962) è il dramma di un giovane che scopre di dover portare insieme con il peso dell'amore quello della morte. É costruito come un montaggio di diversi motivi. Il verso di Hrubín è melodico, ricco di molteplici impulsi semantici (Černá denice, "La nera stella del mattino", 1968).
Alla stessa generazione appartiene il moravo O. Mikulášek (1910), che si riallaccia a Halas. Vicino a Holan per alcuni temi (la morte), egli ne è lontano invece perché privilegia la tensione drammatica ed esistenziale che scorge nei destini umani (Svlékání hadů, "La muda dei serpenti", 1963). Aggiungiamo i nomi di J. Noha, Fr. Nechvátal, J. Taufer, V. Závada (1905, poeta notevole già prima della guerra). Negli anni Sessanta si afferma però anche una generazione più giovane, quella dei poeti detti "della vita quotidiana", che scrivono versi centrati sulla vita di ogni giorno, con un ricupero del reale nettamente polemico rispetto ai miti del passato. Citiamo i pregevoli M. Holub, M. Florian, K. Šiktanc, J. Šotola.
Infine citiamo i nomi di J. Skácel (1922) e P. Kabeš (1941). Skácel, moravo, parte da una poesia-immagine delicatamente lirica e ancora legata al mondo contadino, su cui innesta dapprima una conquistata attitudine all'analisi e all'ironia e poi un interesse di tipo drammatico, dovuto forse all'influenza di Mikulášek. Kabeš, ex direttore del mensile d'avanguardia Sešity, è poeta riflessivo, dall'immaginazione intellettuale. Appartiene alla generazione più giovane dei poeti cechi, tra i quali si segnalano ancora J. Gruša (1938) e I. Wernisch (1942). La situazione dopo il 1968 è naturalmente molto problematica. Molti dei poeti e prosatori fin qui citati non pubblicano più (Fried, Škvorecký, Hrabal, Kundera, Linhartová, Holan, Seifert, Holub, Šotola, Šiktanc, Kabeý, Mikulášek, Skácel, ecc.); alcuni sono emigrati. La situazione attuale vede quindi il ricupero di alcuni scrittori delle vecchie generazioni (Pluhař, Frýd, Neff, Branald, Noha, Nechvátal, Taufer). Si può fare il nome di Otčenášek (Když v ráji pršelo, "Quando pioveva in paradiso", 1972), mentre una morte prematura ha stroncato il talento di Ota Pavel (Smrt krásných srnců, "La morte dei caprioli", 1971; Jak jsem potkal ryby, "Come incontrai i pesci", 1974). Fuks, abbandonati i suoi temi e il suo stile, pubblica ma è in evidente crisi (Návrat z žitného pole, "Ritorno dal campo di segale", 1974). Tra i poeti, oltre al vecchio Závada (Na prahu, "Sulla soglia", 1970), sono molto attivi Kainar e Skála. Le forze giovani che vengono pressantemente invitate alla letteratura non sembrano in grado per ora di produrre opere pregevoli, mentre Hrabal e Skácel, che negli ultimi anni hanno scritto ottime cose, non vengono pubblicati, e Kundera pubblica in Francia.
Letteratura slovacca. - La situazione è in gran parte analoga a quella cèca, con un'importante differenza. La letteratura slovacca è più giovane e la sua vocazione realistica meno disturbata da interferenze. Quindi sono diversi i tempi e le reazioni: è più duro lo schematismo "socialista" postbellico, ma è anche più serenamente "realistica" la letteratura dopo il 1956.
Negli anni Cinquanta si affronta il tema della guerra, in particolare dell'insurrezione nazionale slovacca (1944), sulle orme di un famoso romanzo di P. Jilemnický (1909-49), considerato l'opera modello della letteratura patriottica e socialista nazionale (Kronika, "Cronaca", 1947). Nascono così i romanzi di R. Jašík (1919-60), i romanzi-reportage di D. Tatarka (1913). In poesia si affermano il patos pacifista e socialista di J. Kostra (1910), l'ottimismo rivoluzionario di P. Horov (1914, già surrealista), i versi internazionalisti di F. Král'(1903-55) e la poesia civile di A. Plávka (1907). Parallelamente, l'interesse si volge ai problemi sociali della Slovacchia postbellica, in particolare alla socializzazione della campagna (Fr. Hečko, 1905-60, con Drevená dedina, "Il villaggio di legno", 195I; la trilogia Generácia, "Generazione", 1958-61, di Vl. Mináč, 1922).
Agl'inizi degli anni Sessanta si ha la differenziazione. Mentre vi è una seconda moda di romanzi sulla guerra, si afferma, specialmente in poesia, la ricerca di un "eroe" meno schematico, dell'uomo senza miti, cioè. A. Bednár (1914) rappresenta il primo momento (Hromový zub, "Il dente del tuono", 1964) insieme con Jašík (Mřtvi nespievajú, "I morti non cantano", 1961) e con L. Ťžaký. Tre poeti notevoli invece interpretano il secondo momento. Il maggiore è senz'altro L. Novomeský (1904), figura centrale della cultura e della vita politica slovacca, tornato alla letteratura dopo la guerra con Vila Tereza (1963), Do mesta 30 min. ("30 minuti per la città", 1963), Stamodtial'a iné ("Stamodtial'e altre", 1964). M. Rúfus (1928) e Mir. Válek (1927) rinnovano l'apparato della poesia slovacca e s'interrogano sulla credibilità dei sentimenti e degli atteggiamenti morali dei loro contemporanei. Vicino a tali posizioni è anche V. Mihálik (1926).
Un elemento di rottura è rappresentato, nel panorama slovacco degli anni Sessanta, da L. Mnačko, autore di reportages che hanno grande eco anche all'estero. Opoždené reportaže ("Reportages postdatati", 1963) forniva testimonianze sui processi stalinisti; Jak chutná moc (1967, in tedesco a Vienna, trad. it. Il gusto del potere, Milano 1968) scopriva i retroscena del neostalinismo novotniano; La settima notte (Milano 1968) è un reportage sull'intervento sovietico, datato 1-20 settembre 1968. P. Karvaš(1920), drammaturgo e teorico, è figura di rilievo nazionale, se non internazionale.
Se negli anni Cinquanta e Sessanta è in primo piano la prosa di tipo epico, la situazione attuale vede invece il prevalere della poesia. Le possibilità di non perdersi dopo i fatti del 1968 sembrano maggiori in Slovacchia che in Boemia e Moravia. Alle voci di Plávka, Horov, Žáry (ex nadrealista, rapidamente uscito dalle secche del "realismo"), Mináč, Bednár, Rúfus, ecc., si affiancano oggi quelle di giovani poeti dai quali è lecito attendere in futuro risultati di un certo interesse (J. Mihálkovič, M. Kovačik, L. Feldek, S. Šimonovič).
Bibl.: J. Petrmichl, Patnáct let ceské literatury, Praga 1961; Fr. Buriánek, Česká literatura 20. století, ivi 1968; id., O české literatuře našeho věku, ivi 1972. Autori vari, Dejiny slovenskej literatury, II, Bratislava 1965. Annate delle riviste: Host do domu, Literárni noviny (listy), Tvář, Česká literatura, Plamen, Impuls.
Arti figurative e Architettura. - In C., i moderni indirizzi artistici avevano grandi tradizioni, le quali in principio hanno impresso il loro carattere anche sull'evoluzione successiva al 1945.
Nella pittura, per un certo periodo, svolgono un ruolo determinante gl'indirizzi già delineatisi prima del 1948, quali il cubismo cèco e il gruppo Manés - custode, sotto la guida spirituale di E. Filla, della tradizione dell'École de Paris -, la generazione surrealista dell'Imaginativni maliřstvi ("pittura immaginativa") che agì fra il 1930 e il 1950 (J. Ister, F. Muzika, V. Tikal, K. Teige, J. Šima, Z. Sklňař), e infine il gruppo "Umelěcká beseda" ("Circolo artistico": V. Rabas, M. Švabinsky, J. Grousz), legato alla tradizione paesistica dell'impressionismo cèco.
In architettura domina il funzionalismo rappresentativo di elevato livello tecnico (B. Rozehnal: Ospedale per l'infanzia, Brno 1950; E. Kramár, S. Lukačovič: Edificio per uffici postali, Bratislava 1947-49), ma emerge già anche la critica al tecnicismo unilaterale del funzionalismo nella teoria della bioplasticità di K. Hoznik (Tvorba životního slohu, "Creazione di uno stile di vita", 1939-46), che pone l'accento sulla funzione psicologica dell'architettura. Ma l'effetto di questa teoria si realizza solo nella pratica architettonica degli anni Sessanta. Caratterizza gli anni Cinquanta la soluzione teorica e pratica della progettazione-tipo e dell'utilizzazione degli elementi prefabbricati.
Nell'arte figurativa slovacca, accanto alle tendenze pittoresche (M. Bazovsky), è forte specialmente l'indirizzo folkloristico (M. Benka, L. Filla, pittori, e J. Kostka, scultore). Dopo il 1950, però, lo sviluppo organico s'interrompe a causa dell'interpretazione volgare del realismo socialista. Il programma dell'arte socialista, comunitaria, s'identifica allora con la visione accademica di carattere illustrativo. Di conseguenza nell'architettura è messo in ombra il funzionalismo, mentre viene alla ribalta l'esigenza di un carattere nazionale. Anche se l'eclettismo storicistico non crea valori durevoli, l'accentuazione della tradizione nazionale fa convergere l'interesse sulla difesa dei monumenti e si avviano numerosi importanti lavori di restauro (Telč). Nella scultura si rafforza il linguaggio formale del realismo, l'indirizzo che raccoglie l'eredità di J. V. Myslbek (J. Wagner, J. Bruha) e, accanto alla tradizione impressionista, sempre considerevole nella scultura ceca (V. Makovský: Monumento alla vittoria sul fascismo, Brno 1955), si forma uno stile teatrale, patetico e rappresentativo di scultura monumentale, di cui esempio più caratteristico è il monumento ai caduti di K. Pokorný a Česka-Třebova (1950). Nella pittura, J. Brož, J. Čumpelík e J. Drha, fra gli altri, rappresentano questa visione accademic a.
Il conservatorismo derivante dalla volgarizzazione del realismo socialista domina però solo pochi anni. Negli anni Sessanta, le cosiddette mostre di confronto sottopongono a revisione l'evoluzione artistica post-bellica e indirizzi di spirito d'avanguardia assumono la guida sia nella teoria sia nella pratica artistica. Nel 1957, la mostra dell'astratto-lirico I. Kotik apre un'epoca di tolleranze verso l'arte astratta. Per un decennio, numerose tendenze di questi indirizzi d'avanguardia si presentano in modo individuale nell'arte della C., della quale sono caratteristiche, in primo luogo, la poliedricità artistica e la libera raffigurazione. Nell'architettura, il padiglione cecoslovacco all'Esposizione mondiale di Bruxelles del 1958 (progetto di F. Cubr, J. Hrubý, Z. Pokorný) è il primo esempio di un'architettura moderna che ritorna sulla via del funzionalismo. Nuove tendenze edilizie compaiono specialmente nell'architettura industriale (Z. Alexa, B. Lederer, padiglione Z della Fiera internazionale di Brno, 1959), e costruiti nello spirito del funzionalismo sono anche gli edifici pubblici (K. Prager: Istituto di ricerche di chimica macronucleare di Praga, Petřiny, 1964; V. Dedeček, R. Miňovský: Scuola superiore di agraria, Nitra 1965; S. Franc, L. Hanf: Città universitaria, Praga, Strahov, 1965; J. Albrecht, J. Kadeřdbek, K. Prager: Edificio dell'assemblea nazionale, Praga, dal 1966). Ruolo sempre maggiore rivestono anche i problemi di urbanistica. Nelle arti figurative si rafforza specialmente l'indirizzo magico-surrealista, immaginativo.
La pittura surrealista di M. Medek (le sue prime opere astratte risalgono al 1946-47) funge da ponte fra la grande generazione del 1930-50 e le nuove tendenze. Le personalità più spiccate della nuova generazione si riuniscono nel gruppo Šmidra ("Bizzarria"). Questo gruppo di giovani artisti pone l'accento sulla libertà dell'immaginazione creativa e le parole chiave della loro attività sono il singolare, l'inusitato, il bizzarro. La loro arte risale, attraverso i predecessori diretti, ossia i pittori surrealisti-immaginativi, al manierismo e al barocco cèco. L'oggetto magico, l'assemblage, la mitologia individuale, motivata con la psicologia del profondo, compaiono tutti nelle loro opere e, in sostanza, sono sempre loro ad adottare anche l'indirizzo della pop art (A. Vesely, B. Dlouhy, J. Vozniak, K. Nepraš). Importanti anche le grafiche della tendenza surreale-simbolica (A. Brunovsky). Polo accentratore dei giovani artisti moderni slovacchi è il gruppo intitolato al pittore d'avanguardia fra le due guerre M. Galanda (M. Pašteka, R. Krivos, V. Kompanek, A. Čutek). Nell'arte figurativa slovacca il surrealismo s'intreccia con l'espressionismo e ne sono rappresentanti, nei suoi lavori grafici, l'illustre pedagogo V. Hločnik, e fra gli scultori J. Jankovičche mescola il surreale col grottesco.
Accanto ai predominanti indirizzi espressivo-surrealistici, si fanno strada anche altre tendenze dell'arte moderna, anche se la loro tradizione non era così forte come quella del surrealismo. Accanto all'astrazione lirica (J. John, J. Jira), agl'indirizzi "concreti" o factual (M. Čunderlik, "Club dei concretisti"), si rafforza anche il costruttivismo, di cui sono rappresentanti nella scultura K. Malich (nel 1963 fra i promotori del gruppo "incrocio), costruttivista), A. Trizuljak, il cinetico M. Dobes e J. Novak che allestisce costruzioni mobili. Il ramo più autonomo del neocostruttivismo è però il "lettrismo", ben diverso dal fenomeno omonimo nell'arte francese, che si basa su composizioni tipografiche (M. Urbasek, E. Ovčaček).
Gli elementi della pop art e della neo-figurazione caratterizzano la pittura di Filo Julian e di J. Načeradsky. All'ambiente e all'arte concettuale è improntata l'arte di S. Filko, mentre l'idea dell'happening compare in modo più efficace presso lo slovacco A. Mlynárcik. Non può annoverarsi nella tendenza concreta il più originale pittore cèco d'avanguardia, J. Kolař, che dipinge opere filosofico-concettuali. Nella scultura rappresentano uno stile a parte gli scultori in legno (V. Prečlik, K. Kompanek, J. Meliš, L. David), i quali, dipartendosi dalle reminescenze della cultura materiale dei contadini, vanno alla ricerca della metamorfosi plastica degli utensili di uso popolare. Il folklorismo è forte anche nella pittura slovacca (M. Laluha).
Secondo le tradizioni, il settore più forte dell'artigianato è la lavorazione del vetro; sviluppato è anche il design industriale.
Vedi tav. f. t.
Bibl.: M. Lamač, Contemporary art in Czechoslovakia, Praga 1958; R. Matustik, Moderné slovenské maliarstvo, Bratislava 1964; Tendences actuelles de l'art tchèque (catalogo), Praga, sett.-ott. 1966; Mostra d'arte contemporanea cecoslovacca (catalogo), Torino 1967; L. Novák, 300 Malírú, socharu, grafiku. 5 generaci k 50 létum republiky, Praga 1968; Gravures tchécoslovaques contemporaines (catalogo), Ginevra 1970; O. Dostal, J. Pechar, V. Procházka, L'architecture moderne en Tchécoslovaquie, Praga 1970.