cedere
. Il verbo appare in tre passi della Commedia e in ciascuno di essi ha una diversa sfumatura semantica, benché sia sempre in chiaro rapporto con il latino cedo (" dar luogo ", " ritirarsi ") da cui deriva.
In If XXVI 28 come la mosca cede a la zanzara, nel verbo è contenuta un'idea di tempo; la mosca " dà luogo " alla zanzara, la quale dunque " succede " a lei.
In Pd XX 57 [Costantino] per cedere al pastor si fece greco, c. vale " piegarsi al volere ", " sottomettersi ", di fronte a un'autorità ritenuta superiore, e indica l'azione di Costantino che rinuncia, in favore del papa, a Roma come capitale dell'impero.
Infine, in Pd XXXIII 56 e 57 Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che ' l parlar mostra, ch'a tal vista cede, / e cede la memoria a tanto oltraggio, ha il senso traslato di " essere inferiore ", " non essere all'altezza di qualcosa ", o meglio " di qualche compito ", e ben indica il senso di impotenza che D. avverte trovandosi sul punto di dover descrivere la visione di Dio; efficace è inoltre la ripetizione del verbo alla fine di un verso e al principio del verso successivo: " Di fronte alla trascendente visione - il mio veder fu maggio... tal vista... tanto oltraggio - si noti come echeggia malinconico quel cede e cede, con cui si ribadisce l'umana insufficienza " (Grabher). Ed è appunto questa ripetizione che distingue la terzina da quella analoga di Pd I 7-9: " Le affermazioni di questa terzina sono quelle stesse del I canto... ma con un più insistente senso di sopraffazione " (Momigliano).