Cefalea
La cefalea, dal greco κεϕαλαία, derivato di κεϕαλή, "testa", indica genericamente una sensazione molesta o dolorosa al capo, connessa a una causa patologica specifica (cefalee secondarie o sintomatiche), oppure slegata da qualsiasi motivazione morbosa documentabile (cefalee primarie o idiopatiche). In questo secondo gruppo rientrano le tre forme principali qui prese in esame, responsabili di disagi personali e sociali notevoli: l'emicrania, la cefalea di tipo tensivo e la cefalea 'a grappolo'. Attualmente, la terapia punta l'attenzione sul fenomeno del dolore, cercando, in primo luogo, di correggere la patologica propensione alla cefalea primaria (terapia di base) e, comunque, di porre fine al singolo attacco (terapia sintomatica).
La denominazione cefalee primarie o idiopatiche è utilizzata per le forme in cui il dolore (sintomo d'obbligo per la diagnosi) si manifesta senza cause organiche documentabili. Al contrario, nelle cefalee secondarie o sintomatiche il dolore è connesso a una lesione organica (infiammazione delle meningi, processi espansivi intracranici ecc.) ed è quindi sintomo di un morbo. L'uso dell'aggettivo primaria, quindi, come in altre locuzioni (per es. ipertensione primaria), è spia dell'assenza di lesioni anatomiche e dell'incapacità di sintetizzare in un aggettivo la causa originaria della patologia. Sul capitolo delle cefalee primarie (denominate ormai sinteticamente cefalee) convergono oggi interessi scientifici, sociali, economici, industriali, in quanto viene sempre più considerato lo straordinario peso di questa malattia diffusissima sulla vita affettiva, sociale e lavorativa dell'individuo. I paesi socialmente più evoluti stanno dando crescente appoggio alla ricerca sul tema delle cefalee primarie. L'Italia conferma, in questo settore, un'avanguardia di pensiero non sincronizzata con la gestione sociale del problema che, forse per difficoltà economiche o per egoismi settari, è tuttora sostanzialmente insoluto.
Per comprendere chiaramente le conseguenze che la cefalea può avere sulla qualità di vita dell'individuo, non si fa qui riferimento alle forme miti, di tipo sporadico e di modesta severità, che nel linguaggio comune vengono denominate mali di testa normali proprio perché sperimentati da un larghissimo numero di soggetti; vengono invece prese in considerazione unicamente le cefalee primarie parzialmente o totalmente invalidanti, che si calcola interessino non meno del 2% dell'intera popolazione, cioè circa un milione di soggetti nel nostro paese. A parte il fenomeno doloroso debilitante dell'attacco emicranico, le conseguenze, mai sufficientemente sottolineate, delle cefalee primarie, parzialmente o totalmente invalidanti, riguardano la qualità di vita del paziente e la sua resa socioeconomica.
a) Conseguenze che coinvolgono la qualità di vita.
Le cefalee possono ledere la qualità di vita con differenti modalità. L'induzione o l'aggravamento di uno stato depressivo si osservano frequentemente nei due tipi principali di cefalee (l'emicrania e la cefalea detta di tipo tensivo). La depressione è di solito secondaria alla sensazione di handicap soggettivo e alle turbative che la patologia induce nell'ambiente familiare e lavorativo. Anche l'ansia concorre a peggiorare la qualità di vita, e la sua comparsa è in genere legata, specie nelle cefalee primarie a crisi, all'insicurezza che nasce dal preferenziale scatenarsi degli attacchi, quando sarebbe invece richiesta la piena efficienza (appuntamenti di lavoro, viaggi, impegni di studio, esami).La diminuzione della memoria, specie di tipo 'recente' (simile a quella che si verifica nella senescenza), accoppiata a un calo di concentrazione e quindi a riduzione della capacità di apprendimento, influenza anch'essa negativamente la qualità di vita. Infatti, il paziente si trova spesso costretto a rinunciare a viaggi anche piacevoli, ad attività sportive soprattutto di tipo competitivo e a impegni intellettuali. Questa condizione, d'altra parte, favorisce lo slittamento verso il super-uso di analgesici, fenomeno che viene non di rado malinteso e criticato nell'ambiente di lavoro e familiare. Lo stato ansioso-depressivo si associa frequentemente a declino o a perdita completa del tono sessuale, non sempre correttamente interpretati dal partner.
b) Conseguenze socioeconomiche.
Il sofferente di cefalee primarie costa, non rende, e contagia negativamente l'ambiente di lavoro: così, sinteticamente, può essere puntualizzato il ruolo negativo sul piano socioeconomico delle cefalee primarie. Il 'contagio' psichico si identifica nella reciproca ostilità tra il soggetto sofferente (irritato e irritabile) e i suoi compagni e/o superiori, che finiscono non di rado per definirlo un soggetto dotato di scarso senso di responsabilità. L'onere sociale è ulteriormente aggravato dalla necessità di praticare ripetuti esami di laboratorio spesso dispendiosi, di sottoporsi a terapie non sempre bene indirizzate e a ricoveri ospedalieri, e soprattutto di far ricorso alla costosa e dannosa schiavitù degli analgesici. Pochi (evidentemente di temperamento ferreo) sono i sofferenti che non si sentono irrimediabilmente battuti in questa impari lotta contro la 'malattia'. La loro estrema tenacia si basa sulla convinzione, peraltro in genere corretta, di essere per il resto sani, e sulla certezza che, una volta rimossa la cefalea, potranno tornare a essere persone normali, dotate di buon rendimento. È convinzione generale, almeno nei paesi tecnicamente più progrediti, che uno dei più consistenti investimenti in campo sanitario debba essere quello destinato all'organizzazione e al potenziamento della prevenzione e della diagnosi e terapia precoci. Nelle casistiche dei centri specializzati, tale approccio si dimostra capace di determinare una caduta quasi verticale nella frequenza delle cronicizzazioni della malattia nel successivo svolgersi dell'esistenza.
Come per la maggior parte delle malattie che riconoscono una base costituzionale, anche per le cefalee primarie si ammette l'esistenza di una predisposizione eredofamiliare. È ormai assodato che individui sani ma con consanguinei affetti da cefalee primarie (in particolare da emicrania) sono soggetti caratterizzati da un'iperalgesia sistemica ed ereditabile: condizione che implica l'ereditabilità di un peculiare, anomalo assetto delle vie di trasmissione del segnale sensitivo/algogeno (Nicolodi-Sicuteri 1994; Nicolodi et al. 1994; Nicolodi et al. 1997). In questi soggetti è facile evidenziare una predisposizione alla cefalea: nella maggior parte dei casi è sufficiente somministrare una dose terapeutica di certi farmaci (trinitroglicerina, fenfluramina), dose che rimarrebbe priva di qualsiasi effetto nei 'veri' esenti (soggetti, cioè, personalmente esenti dal disturbo e con familiari consanguinei che ignorano del tutto cosa sia il mal di testa), per evocare negli individui a rischio un attacco doloroso similemicranico, che può essere il primo e l'ultimo di tutta la vita (Sicuteri-Del Bene-Anselmi 1976; Sicuteri et al. 1987). È del resto sufficiente, in questi soggetti apparentemente sani ma a rischio cefalalgico, eseguire un interrogatorio 'mirato' per appurare che essi non soffrono, appunto, di cefalee spontanee, ma che anche una modesta elevazione febbrile è in grado di provocare in loro una seppur lieve cefalea.Questi fenomeni sono, nella loro linearità, indicativi di grande suscettibilità al dolore (cioè della presenza di una bassa soglia al dolore, detta, in termini tecnici, iperalgesia). L'iperalgesia è un processo che si instaura e si mantiene a livello del sistema nervoso centrale. La presenza di iperalgesia congenita, dimostrata nei consanguinei sani degli emicranici, suggerisce l'esistenza di uno squilibrio ereditario dell'apparato nervoso preposto alla funzione dolorofica.
Il dolore è il fenomeno imprescindibile per la diagnosi di cefalea. È proprio sull'origine di questa manifestazione che si sono concentrati gli sforzi di ricerca degli studiosi, senza giungere peraltro, almeno fino a oggi, a conclusioni definitive. Il dolore è una sensazione sempre sgradita, finalizzata a segnalare alla coscienza l'azione di un agente nocivo, esterno o interno, che lede una parte del nostro organismo. Complesse vie nervose provvedono a condurre il messaggio doloroso dalla parte offesa alla corteccia cerebrale cognitiva. In condizioni normali, quindi, il dolore ha la funzione fisiologica di avvisare il soggetto dell'esistenza di un processo dannoso in atto. Ma, al pari di ogni altro apparato, anche quello dolorifico è soggetto a disfunzioni che possono essere di natura organica o funzionale. Nel caso delle cefalee primarie, si parla di dolore patologico o centrale o neurogenico. Si tratta infatti di un tipo di dolore in cui non è identificabile una noxa che attiva queste vie di trasmissione in maniera ortodossa, cioè stimolando i recettori del dolore: esso, in questo caso non fisiologico ma patologico, deriva da uno squilibrio tra il processo di trasmissione del segnale sensitivo/algogeno e quello della sua modulazione-inibizione, per cui si può giungere alla percezione di sensazioni dolorose anche per stimoli che normalmente non provocano dolore.È noto come uno sbilanciamento tra l'entrata non ben controllata dei segnali sensitivo/algogeni e un deficit dei sistemi che fisiologicamente attenuano queste sensazioni può provocare dolori cosiddetti spontanei (Kritzanosky 1976). Molti anni fa (Sicuteri-Anselmi-Fanciullacci 1974; Sicuteri 1976) si è avanzata l'ipotesi che causa del dolore nelle cefalee primarie possa essere un deficit del sistema inibitorio. In altri termini, il dolore delle cefalee primarie costituirebbe la più comune espressione clinica di una deficienza del sistema che modula/inibisce la trasmissione dei segnali sensitivi e dolorosi. Vista l'enorme ricchezza di afferenze sensitive dell'estremità cefalica, il dolore si proietta primariamente a livello delle strutture intra- ed extracraniche; però può interessare anche altri segmenti o l'intero corpo (panalgia centrale; Sicuteri-Anselmi-Del Bianco 1973; Nicolodi-Sicuteri 1992). A seconda del grado di compromissione di questo sistema di controllo del dolore, che in condizioni normali garantisce l'analgesia, si può anche sviluppare intenso dolore apparentemente 'spontaneo'. Tenendo presente questa impostazione, ci si può rendere conto del perché le arterie e le vene cefaliche, come pure le meningi, fittamente innervate, siano spesso le prime sedi ove il dolore viene percepito. Tale ipotesi propone così un'interpretazione del tutto diversa da quella della teoria vascolare (Wolff 1963), oggi obsoleta, che riteneva essere la dilatazione dei vasi cefalici l'origine del dolore nell'emicrania. In realtà, è osservazione comune come non tutti i soggetti rispondano alla vasodilatazione (per es. dovuta a sforzi fisici o a esposizione al calore) con cefalea. Molti atleti dovrebbero in tal caso soffrire di cefalea: se così non è, ciò significa che la vasodilatazione può essere un fenomeno precipitante la cefalea solo in soggetti con predisposizione eredofamiliare.
La classificazione maggiormente seguita è ancor oggi di tipo descrittivo e si basa sui sintomi che connotano le differenti forme. Tra queste fanno spicco: l'emicrania, caratterizzata da cefalea ad attacchi non di rado invalidanti, della durata di 24-48 ore, spesso plurimensili; la cefalea di tipo tensivo, ad andamento quotidiano, monotono; la cefalea a grappolo, con brevi (1/2-1 ora) attacchi ripetuti violentissimi - con localizzazione del dolore, caratterizzato da ritmicità infradiana (quindi con attacchi che si ripetono ritmicamente nelle 24 ore) e intrannuale (cicli d'attacchi dolorosi a cadenze fisse nell'arco dell'anno), e focalizzato soprattutto a livello oculare - sempre monolaterali, associati a iperemia cutanea e soprattutto congiuntivale, lacrimazione e secrezione di muco dalla narice ipsilaterale. Quest'ultima forma, che colpisce quasi esclusivamente i soggetti di sesso maschile, è chiamata dagli autori francesi du suicide, per la minaccia spesso enunciata, ma fortunatamente non attuata, di interrompere in qualsiasi modo un dolore tra i più insopportabili. Questi i tipi fondamentali nella classificazione della IHS (International headache society classification 1988), arricchita da sottotipi molto più dettagliati, troppo numerosi per essere qui riportati, e anche talvolta inutili per il medico pratico, sia per la grande quantità delle forme rappresentate, sia per il fatto che ciascuna forma è definita da moltissimi parametri, oltretutto non sempre riscontrabili nella realtà clinica. Infatti, se ciò può essere utile a definire dei gruppi epidemiologicamente omogenei, ne consegue però che un discreto numero di pazienti finisca per essere sottratto alla possibilità di un inquadramento diagnostico.Il primo, e per ora l'unico, raggruppamento delle cefalee primarie basato su ineccepibili basi anatomofunzionali è quello che utilizza come parametro discriminativo le caratteristiche semeiologiche legate all'attivazione dell'uno o dell'altro dei due sistemi fondamentali adibiti alla sensibilità dolorifica: il sistema della sensibilità viscerale e quello della sensibilità somatica.La sensibilità degli organi situati nelle cavità addominale, toracica e craniale è fornita dal sistema algoforo viscerale, e anche le arterie e le vene dispongono di un'innervazione esclusivamente viscerosensitiva. In pratica, dai visceri emanano sensazioni non dolorose, esclusivamente finalizzate ed elementari (per es., senso di ripienezza dello stomaco, della vescica e del retto), come pure sensazioni dolorose, evocate in modo particolare dalla rapida e forzata distensione dei visceri stessi, dal loro spasmo, da un danno di notevole estensione (Paintal 1986; Procacci-Zoppi-Maresca 1986). Una particolare sensazione viscerale che può essere definita 'salvavita' è quella dell'oppressione respiratoria (fame d'aria), a partenza polmonare, quando l'individuo si trova sotto sforzo fisico massimale (Paintal 1986).Il sistema sensitivo somatico innerva invece le parti più superficiali del nostro corpo, cioè pelle e cuoio capelluto, muscoli e tendini. Questo sistema trasporta sensazioni dolorose e non dolorose molto più variate rispetto a quelle del sistema viscerale, cioè sensazioni che sono evocate da una miriade di stimoli, dalla puntura di spillo, alla microustione, al tatto.
Orbene, il dissesto sensitivo può interessare l'uno o l'altro sistema, dando luogo a sensazioni dolorose e non dolorose 'automatiche', cioè spontanee, che insorgono senza apparente motivo. Si possono avere così disestesie o dolori di tipo viscerale o di tipo somatico (Sicuteri-Nicolodi 1989; Sicuteri-Nicolodi 1991b). Nell'emicrania (da noi chiamata cefalea viscerotopica, poiché è coinvolto il sistema viscerosensitivo) sono presenti solo sensazioni dolorose e non dolorose viscerali. Tra queste ultime, il senso di ripienezza gastrica con nausea, la sensazione di replezione vescicale cui consegue lo stimolo a orinare frequentemente, la stanchezza muscolare, l'oppressione respiratoria, le palpitazioni cardiache (Sicuteri-Nicolodi 1989; Sicuteri-Nicolodi 1991b).
Nella cefalea di tipo tensivo (così definita secondo la denominazione IHS, evidentemente influenzata dalla precedente denominazione di cefalea muscolotensiva, denominazione del tutto arbitraria perché non confortata da dati sperimentali), il dolore monotono, cronico e quotidiano, è di tipo esclusivamente somatico. Esso interessa infatti il cuoio capelluto e i muscoli paracranici della nuca, del collo, a volte del volto; sono spesso presenti sensazioni non dolorose somatiche, come senso di freddo o di caldo (al vertice del cranio), di formicolio, di torpore, oppure insensibilità dolorosa, mentre mancano completamente le sensazioni di tipo viscerale (Sicuteri-Nicolodi 1989; Sicuteri-Nicolodi 1991b).
Semplice risulta l'autodiagnosi: se all'acme del dolore si scuote vigorosamente la testa, il dolore dell'emicrania, tipicamente viscerotopico (delle meningi, dei vasi intracranici), aumenta, mentre nessun effetto viene registrato da chi soffre di cefalea somatotopica (o di tipo tensivo), con l'eccezione di una possibile sensazione di sbandamento. Il dolore, peraltro, resta qui immodificato, potendo, anzi, anche essere alleviato da questa manovra.
Come già detto, un altro elemento discriminante tra i due tipi fondamentali di cefalee primarie è la presenza o assenza, durante la crisi cefalalgica, di fenomeni tipicamente vegetativi (nausea, vomito, astenia, palpitazioni, leggeri o marcati collassi circolatori ecc.). Questi fenomeni osservabili comunemente nella cefalea viscerotopica (o emicrania), sono del tutto assenti, invece, in quella somatotopica o di tipo tensivo. Semplicemente tenendo presenti queste caratteristiche, come pure altri dati relativi alla farmacoresponsività, è possibile evitare o ridurre quei frequentissimi equivoci diagnostici che innegabilmente implicano errori terapeutici e che, in massima parte, riguardano le cosiddette cefalee croniche miste, costituite dalla sovrapposizione di emicrania e di cefalea di tipo tensivo, condizione quest'ultima d'estrema rarità.
Il meccanismo della cronicizzazione (quotidianeità) di una cefalea inizialmente episodica, qual è la forma più comune di emicrania, si ricollega al menzionato difetto dei sistemi dell'analgesia, specie quello serotoninergico, individuato anni fa quale meccanismo dell'emicrania e sintetizzato nella sempre più seguita 'teoria serotoninergica' (Sicuteri-Anselmi-Fanciullacci 1974; Sicuteri-Nicolodi 1991a). Il messaggio sensitivo/algogeno, non inibito né controllato dai sistemi dell'analgesia, riesce a sensibilizzare e indurre vere e proprie alterazioni neuroplastiche a livello del sistema neuronale, che riconosce come protagonisti gli aminoacidi eccitatori, trasmettitori, questi, impegnati nella trasduzione del segnale sensitivo/algogeno all'interno del sistema nervoso centrale. Tali alterazioni neuroplastiche sono terreno sufficiente all'instaurarsi di una condizione d'iperalgesia/allodinia, che si concreta in un abbassamento generalizzato della soglia del dolore. Quanto più severa sarà la condizione d'iperalgesia/allodinia costituitasi, tanto più evidente risulterà la propensione a soffrire anche per stimoli assolutamente inadeguati. Gli attacchi dolorosi, quindi, si faranno sempre più frequenti fino a esitare in una condizione di cronicità che spinge inevitabilmente il sofferente a un largo uso o super-uso di farmaci analgesici (Nicolodi-Sicuteri 1995), la cui sospensione causa un'esacerbazione dolorosa tanto drammatica da condurre a una vera e propria dipendenza fisica dagli analgesici.
La maggiore o minore propensione alla cronicizzazione sembra direttamente proporzionale all'entità dell'iperalgesia ereditabile, cui si è già fatto cenno. Tale iperalgesia, ereditabile e indipendente da eventi dolorosi subiti, è stata definita terza iperalgesia (Nicolodi et al. 1994; Nicolodi et al. 1997) per differenziarla dalle note forme di iperalgesia primaria e secondaria, ambedue acquisite e conseguenti a dolore iterativo e severo. Ovviamente, anche l'iperalgesia primaria e secondaria hanno un ruolo, che definiremmo rafforzativo, nella genesi della cronicizzazione, pur restando alla terza iperalgesia, ereditabile, il ruolo predisponente e quindi determinante. Questi dati hanno permesso di concentrarsi sulla possibilità di un intervento terapeutico che determini un blocco della funzione dei sistemi ad aminoacidi eccitatori fondamentali nell'iperalgesia, terreno appunto della cronicizzazione. Si configura quindi come dato tra i più recenti l'acquisizione della 'teoria aminoacidergica dell'emicrania cronicizzata' (Nicolodi-Sicuteri 1995; Nicolodi-Del Bianco-Sicuteri 1997).
Due sono i tipi di terapia possibile: quella di fondo e quella sintomatica.
a) Terapia di fondo.
La terapia di fondo (o di base) si propone di correggere, nei limiti del possibile, la patologica propensione al dolore: a questo scopo, i farmaci attivi sui recettori della serotonina hanno avuto larga applicazione. La teoria serotoninica è scaturita dalla convinzione che l'unico neurotrasmettitore capace di agire sul sistema dolorifico, sulla depressione, sul vomito, sull'ipersonnia e sull'instabilità termica che si associano all'attacco emicranico potesse essere la serotonina (Sicuteri 1959). Anche alcuni farmaci, come i betabloccanti, la flunarizina, gli antidepressivi triciclici, hanno correlati farmacologici con questo neurotrasmettitore. La serotonina sembra avere buon gioco pure nella cefalea di tipo tensivo o somatotopico, in cui gli unici risultati positivi - seppure non costanti - sono legati all'uso di inibitori delle monoaminoossidasi, associati al precursore della serotonina: il 5-idrossitriptofano (Sicuteri 1987; Nicolodi-Sicuteri 1996). Per le cefalee a grappolo gravi cronicizzate, la terapia di fondo trova nel litio, che agisce sul ricambio serotoninico (Ekbom 1974), e nella terapia neuroendocrina a bersaglio ipotalamico (Nicolodi-Sicuteri-Poggioni 1993) i rimedi più efficaci, che possono sortire benefici consistenti in almeno il 50% dei casi.
b) Terapia sintomatica.
La terapia sintomatica mira a troncare gli attacchi ed è identica nell'emicrania e nella cefalea a grappolo. Ergotamina e indometacina (Sicuteri-Michelacci-Anselmi 1965) costituiscono i farmaci di elezione. La serotonina, per la sua potente azione analgesica centrale, e forse anche per il suo potere vasocostrittivo, potrebbe trovare indicazione nell'attacco di emicrania; sfortunatamente, però, la sua attività è fugace, limitata a qualche ora. Recentemente, una geniale modifica da parte di farmacologi inglesi ha reso più resistente e più 'mirata' nei suoi effetti terapeutici la molecola serotoninica (Humphrey et al. 1988; Humphrey et al. 1991), mettendo così a disposizione del medico un farmaco (sumatriptan) caratterizzato da notevolissima efficacia, seppure non da infallibilità, associata a scarsi effetti collaterali. L'azione dei farmaci sintomatici è preziosa per evitare il tracollo della qualità di vita del paziente, e quindi per rompere la spirale di aggravamento. D'altro canto, un eccesso in questo senso può far cadere il paziente nella 'trappola' dell'analgesico-dipendenza. Un'arma dunque, quella dei sintomatici, a doppio taglio, da usare con grande accortezza. Un ulteriore, fondamentale progresso nella terapia della cefalea è legato alla recente introduzione dei 'modulatori negativi' degli aminoacidi eccitatori (antagonisti dei recettori N-metil-D-aspartato, eminenti tra i recettori per gli aminoacidi eccitatori; o ancora inibitori della sintesi o della liberazione degli aminoacidi eccitatori). Tra questi, si fa menzione della ketamina, capace di indurre, quando somministrata in dosi subanestetiche e non dissociative, significativo, rapido miglioramento in quadri anche drammatici di emicrania cronicizzata associata ad abuso di analgesici (Nicolodi-Sicuteri 1995). Campo d'azione analogo è riconosciuto al gabapentin e ad altri farmaci in grado di interferire con la sintesi o con il rilascio degli aminoacidi eccitatori (Nicolodi-Del Bianco-Sicuteri 1997). La terapia di 'modulazione negativa' della neurotrasmissione aminoacidergica sta consentendo la risoluzione di gran parte di casi precedentemente definiti insormontabili. Il meccanismo d'azione va ricondotto alla correzione dei processi di sensibilizzazione neuronale e di neuroplasticità, che sono terreno d'iperalgesia sempre più ridondante, capace di esitare in una patologia dolorosa cronica. È pertanto, questo descritto, un approccio terapeutico in grado di restituire qualità all'esistenza di gran parte dei pazienti che sono considerati ormai invalidi alla vita economica, sociale e familiare.
Si può affermare, in conclusione, che, se i progressi compiuti negli ultimi decenni nell'interpretazione patogenetica e nella terapia delle cefalee primarie continueranno con lo stesso ritmo, l'impatto di questo male oscuro, debilitante, e con effetti non di rado devastanti sulla qualità di vita, potrà essere straordinariamente limitato. Soprattutto la diagnosi precoce e la prevenzione basata sull'individuazione dei soggetti a rischio potranno svolgere un ruolo fondamentale per il raggiungimento di un obiettivo che cinquant'anni fa sembrava impossibile conseguire.
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