CEFISODOTO (Κθϕισόδοτος, Cephisodŏtus)
Conosciamo due scultori greci di questo nome, probabilmente l'uno nipote dell'altro. Il primo, Cefisodoto il Vecchio, è infatti concordemente ritenuto, per quanto manchino documenti sicuri, il padre di Prassitele, di cui Cefisodoto il Giovane era certamente il figlio.
Di C. il Vecchio sappiamo che era cognato di Focione (Plutarco, Phoc., 19); Plinio ne indica gli anni del maggior fiorire intorno al 370 a. C.; la sua produzione dové perciò iniziarsi già sulla fine del sec.V.
Molte opere di lui vengono ricordate dalle fonti letterarie, Plinio e Pausania: una statua in bronzo di Eirene (la Pace) che reca sulle braccia Pluto (la Ricchezza) bambino, fatta per l'Agorà di Atene, forse dopo la pace del 371; un altro gruppo simile, di Ermes con il piccolo Dioniso; l'immagine di un oratore, la cui precisa personalità era sconosciuta; due gruppi delle Muse, sull'Elicona, per uno dei quali aveva avuto collaboratori Strongilione e Olimpiostene, ed altre, la cui attribuzione a C. è tuttavia incerta. Sicuramente identificata in copie posteriori non è che la prima, della quale la replica migliore è quella nella gliptoteca di Monaco, proveniente dalla Villa Albani. La scultura è caratteristicamente espressiva per il periodo artistico cui appartiene: poiché, mentre la figura di Eirene, nella maniera di ponderazione e in quella di trattare la veste ricadente a grandi pieghe, si ricollega strettamente con l'arte del sec. V, la materna espressione della donna e la grazia del fanciullo preludono alla maniera artistica di Prassitele e degli scultori del sec. IV. Il tema è quello che avrà così largo sviluppo nell'arte cristiana nella rappresentazione della Vergine col Bambino.
Dei varî tentativi di riconoscere l'Ermes con Dioniso fanciullo in copie romane, o di identificarlo con la celebre scultura prassitelica di Olimpia, nessuno si può dire sicuramente fondato.
Varia e copiosa fu la produzione di C. il Giovane, a giudicare dalla menzione che ne fanno i testi letterarî, e dal numero delle basi iscritte col suo nome, rinvenute ad Atene e in altre località della Grecia (Loewy, Inschrif. griech. Bildh., n. 108 segg.). Egli non lavorò quasi mai da solo, ma in unione col fratello Timarco (v.) o con altri. Plinio ne indica il momento di maggior fiore fra il 296 e il 293; ma sulla base delle opere ricordate come sue si deve ritenere che il periodo della sua attività fosse molto lungo, dagli ultimi decennî del sec. IV a tutto il primo quarto circa del III. Frammenti originali delle sculture da lui fatte per l'altare di Asclepio a Coo (Herod., IV, 21 segg.) furono recuperati nello scavo del santuario; di una statua di Latona che era a Roma nel tempio di Apollo Palatino (Propert., II, 31, 15 segg.) possiamo farci un'idea dalla riproduzione che ne abbiamo nella base di Sorrento (v. apollo). I tentativi fatti per identificare un suo ritratto di Menandro non possono dirsi accertati: alcune recenti scoperte (Not. Scavi, 1929, p. 352; Bullettino arch. com., 1928, p. 187) potranno forse portarvi nuova luce. Sembra dica giustamente Plinio quando scrive che C. e suo fratello Timarco furono, anche artisticamente, gli eredi del padre: la loro arte segna tuttavia il passaggio all'ellenismo.
Bibl.: G. Lippold, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, col. 232 segg.; M. Bieber, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XX, p. 163 segg.; id., Die Söhne des Praxiteles, in Jahrbuch d. deutsch. arch. Inst., XXXVIII-XXXIX, p. 242 segg.; Mirone, in Rev. arch., 1922, p. 291 segg.