CELEBE (gr. κελέβη)
La parola, secondo Ateneo (XI, 475 c-d), indicava un vaso da bere, mentre secondo altri (Antimaco di Colofone, in Athen., loc. cit.; Teocrito, II, 2) designava un vaso di grandi dimensioni a imboccatura molto larga, destinato agli stessi usi del cratere, a contenere cioè una grande quantità di vino mescolato con acqua, e da cui si attingeva durante i banchetti. Per Esichio invece (s. v. κελέβη) è uno scaldavivande. Riguardo alla forma sappiamo soltanto ch'era ἀμϕίϑετος, cioè fornito di due anse. Convenzionalmente gli studiosi d'oggi chiamano celebe un grande vaso ad ampia bocca, fornita di labbro aggettante, e a corpo ventricoso, dalla cui spalla si staccano due anse unite con delle colonnette al labbro della bocca. Creato dai ceramisti corinzî nella prima metà del sec. VI a. C., è poi largamente diffuso nella ceramica attica fino al sec. IV a. C. La forma si fa via via più alta e più aggraziata.
Bibl.: Daremberg e Saglio, Diction. des ant. gr. et rom., III, p. 816 seg.; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, § 42.